Sulla scia di John Axelrod, un altro
texano, il giovane Robert Trevino si
affaccia per la prima volta su podio de laVerdi
per dirigervi un concertone di quelli
proprio tradizionali quanto impegnativi, una specie di ponte tra la gioventù e
la vecchiaia del romanticismo in musica.
Primo piatto: la Quinta di Schubert che, come le sorelline che la
precedono e le sorelle e sorellone che la seguiranno, è uno scrigno di melodie
che spuntavano come funghi dalla straripante fantasia del ragazzo viennese.
Insomma, la vena del più grande liederista
di ogni tempo (e proprio Mahler ne sarà epigono) che viene faticosamente
piegata ai dettami della forma sinfonica.
Unica fra le sorelline, sorelle e
sorellona, la Quinta si distingue per
allontanarsi momentaneamente dal modello haydniano, riducendo l’Introduzione all’iniziale Allegro a 4 sole battute in note lunghe
a coprire le crome staccate dei
violini. Nulla a che vedere con le lunghe introduzioni delle precedenti
sinfonie, culminate in quella interminabile della Quarta. Poi la Sesta
ritornerà sull’antica strada e la Grande
porterà tutto alle celestiali lungaggini
di schumanniana memoria.
Si usa apparentare la sinfonia anche
alla n°40 del Teofilo, per via delle
somiglianze dei due Menuetti in SOL minore, ma in realtà quelle di Schubert
sono sinfonie che solo epidermicamente si possono far risalire ai modelli di Haydn o Mozart, non parliamo della distanza abissale da Beethoven, tutto
concentrato sui suoi temi scolpiti in poche note, poi sottoposti a sviluppi
fino all’inverosimile.
Charles Mackerras con l’Orchestra Age of Enlightenment ce ne dà qui una sua interessante
interpretazione, che uso come base per qualche nota esplicativa.
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Dicevo della forma. Schubert sa ovviamente che una sinfonia deve avere il
movimento iniziale (e il finale, come in questo caso, in alternativa al Rondo) in forma-sonata, e poi un Andante e un Menuetto, e lui cerca di
rispettare le regole, magari permettendosi qualche deviazione (seria o
furbesca) come accade proprio all’Allegro
di apertura. Esposizione dei due
temi, poco contrastanti fra loro (anche questa è una caratteristica distintiva
di Schubert, lontanissimo dalla concezione beethoveniana delle coppie
eroico-elegiaco, maschio-femmina, severo-contemplativo): dopo la brevissima
introduzione, ecco (6”) il primo in SIb maggiore, tonalità di impianto, come si
suol dire, ripreso poco dopo (25”). Poi (40”) un robusto ponte
modulante (con digressione alla relativa SOL minore) e quindi (1’04”)
il secondo tema canonicamente nella dominante FA maggiore, ma con una birichina
quanto fugace modulazione (1’20”) a REb maggiore, poi (1’32”)
la robusta transizione alla coda (1’50”) e il mandatorio da-capo (1’58”).
Nello sviluppo (3’55”) si manifesta l’idiosincrasia
di Schubert per i contrasti à-la-Beethoven: intanto la durata è assai limitata,
poi ci si sente solo uno spezzone del primo tema, nulla del secondo, e invece
ecco nuovi spunti melodici (4’12”) questi sì contrastanti con i
due temi, per la loro natura piuttosto spigolosa. Si arriva così rapidamente (4’48”)
alla ricapitolazione, con una vera e
propria sorpresa: invece del SIb a cui
anche il secondo tema si dovrà accodare, ecco che il primo viene esposto nella sottodominante MIb maggiore! Insomma, è
come se Schubert riproponesse pari-pari l’esposizione in questa tonalità, col
secondo tema (5’48”) sulla dominante, che è proprio il SIb dove si deve
tassativamente tornare (ecco, è una trovata seria o una presa in giro? ) A 6’34”
arriva una transizione alla coda diversa e più trascinante rispetto a quella
dell’esposizione.
L’Andante con moto è in MIb maggiore e presenta subito (7’05”)
una dolcissima melodia, prima negli archi e poi nei legni. Segue (7’35”)
uno sviluppo della stessa melodia, una specie di controsoggetto, con qualche
inflessione malinconica, prima del ritorno all’origine (8’08”). Il tutto viene ripetuto
(8’31”).
Ecco poi (9’27”) un’altra modulazione piuttosto ardita, che apre una
sezione in DOb maggiore, dove viene presentato (9’38”) un nuovo motivo
dall’andamento ascendente, che modula ancora arditamente (10’15”) al SOL maggiore! Ora
con una lunghissima transizione lenta e modulante si torna alla tonalità di
base di MIb (11’43”) dove il tema
principale e il suo controsoggetto vengono ripresi con sottili variazioni.
Ancora l’ardita modulazione di poco prima (13’08”) ma questa volta a SOLb
maggiore, dove riudiamo la sezione precedentemente esposta in DOb e che sfocia
conseguentemente (13’56”) in RE maggiore. Ci si riporta quindi (14’37”)
al tema principale in MIb e ci si avvia verso la Coda (15’15”) chiusa da una mirabile cadenza e da un dolcissimo
arpeggio discendente dei corni.
La struttura è classica: due
sezioni di Menuetto (SOL minore) la prima più concisa (ripetuta a 16’35”)
e la seconda (16’55”) più lunga, che riporta (17’18”) al tema
principale, ripetuta a 17’42”. Poi (18’29” e 19’00”)
due di Trio (SOL maggiore) con
immancabili ritornelli, quindi (19’48”) la ripresa del Menuetto.
Il finale Allegro vivace torna ovviamente in SIb maggiore ed è in
forma-sonata, qui tutto sommato abbastanza lineare: infatti l’esposizione presenta un ritornello sul
primo tema e un altro che riprende entrambi i temi. Ecco quindi il primo (21’01”)
negli archi, subito ripreso dai fiati (21’08”). Segue un controsoggetto (21’14”)
e poi (21’28”) ancora il tema. Controsoggetto e tema ripetuti da 21’38”.
Poi (22’01”)
troviamo un ponte modulante, con percorso ascendente (una caratteristica di
questi passaggi della sinfonia) ed ecco (22’27”) il secondo tema (sempre non
contrastante!) in FA maggiore, sviluppato fino ad una transizione (22’52”)
che porta (23’03”) alla coda che lo chiude seccamente. Si ripete tutto
daccapo (23’24”) senza ritornelli (secondo tema a 24’26”). Anche qui lo sviluppo (25’23”) è assai libero
(il secondo tema non vi compare, ma solo qualche abbozzo del primo). La ripresa (26’34”) è però canonica:
primo tema, ponte (27’11”) e secondo tema (27’42”) in SIb maggiore; poi
transizione (28’07”) e (28’19”) conseguente coda.
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Trevino esordisce low-profile: niente
podio, niente bacchetta. Del resto l’orchestra è poco più di quella di cui potè
godere il 19enne Schubert quando suonò per la prima e unica volta questa
sinfonia: due soli contrabbassi e quattro violoncelli, per dire, e violini e
viole in proporzione, neanche 30 archi in tutto.
L’esecuzione
è più che apprezzabile, sveltita dall’omissione del da-capo del Finale. Il Direttore sembra dirigere un... menuetto,
dimenandosi e giogioneggiando quanto basta. Ma tutto fa brodo.
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Ecco
poi Mahler e tutto cambia: orchestra
ipertrofica (e non è nemmeno il massimo mahleriano, mancano addirittura i
tromboni) podio taglia-Xian (Trevino è poco più alto della cinesina) e
bacchetta regolamentare. Anche il gesto mi pare più adeguato alla bisogna,
secco e (si direbbe) preciso. A differenza di quella rigorosa del Bignamini di
2 anni e mezzo fa, la lettura di Trevino è abbastanza all’americana (Bernstein
sullo sfondo) con contrasti portati all’eccesso (mi limito a citare i due affrettando nel primo movimento, dove
solo un miracolo ha permesso ai ragazzi di non lasciar per strada la metà delle
note).
Ragazzi
guidati da Dellingshausen (munito del
violinetto scordato da imbracciare nei passaggi del secondo movimento) con
Santaniello a presidiare le retrovie (così come il pari-grado Grigolato per i
violoncelli, con Scarpolini sulla
prima sedia).
Convincente soprattutto il Ruhevoll, mirabile esempio di variazioni
su un semplice temino. Chi è stata sotto la media è la povera Twyla Robinson, vocina sottile (va be’ che
è un Lied bambinesco...) e un paio di
entrate che mi son parse in ritardo.
Pubblico
in buon numero (ma non oceanico) e prodigo di applausi, anche ritmati, e di bravo!
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