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11 febbraio, 2017

2017 con laVerdi – 7


Sulla scia di John Axelrod, un altro texano, il giovane Robert Trevino si affaccia per la prima volta su podio de laVerdi per dirigervi un concertone di quelli proprio tradizionali quanto impegnativi, una specie di ponte tra la gioventù e la vecchiaia del romanticismo in musica.

Primo piatto: la Quinta di Schubert che, come le sorelline che la precedono e le sorelle e sorellone che la seguiranno, è uno scrigno di melodie che spuntavano come funghi dalla straripante fantasia del ragazzo viennese. Insomma, la vena del più grande liederista di ogni tempo (e proprio Mahler ne sarà epigono) che viene faticosamente piegata ai dettami della forma sinfonica.

Unica fra le sorelline, sorelle e sorellona, la Quinta si distingue per allontanarsi momentaneamente dal modello haydniano, riducendo l’Introduzione all’iniziale Allegro a 4 sole battute in note lunghe a coprire le crome staccate dei violini. Nulla a che vedere con le lunghe introduzioni delle precedenti sinfonie, culminate in quella interminabile della Quarta. Poi la Sesta ritornerà sull’antica strada e la Grande porterà tutto alle celestiali lungaggini di schumanniana memoria.

Si usa apparentare la sinfonia anche alla n°40 del Teofilo, per via delle somiglianze dei due Menuetti in SOL minore, ma in realtà quelle di Schubert sono sinfonie che solo epidermicamente si possono far risalire ai modelli di Haydn o Mozart, non parliamo della distanza abissale da Beethoven, tutto concentrato sui suoi temi scolpiti in poche note, poi sottoposti a sviluppi fino all’inverosimile.

Charles Mackerras con l’Orchestra Age of Enlightenment ce ne dà qui una sua interessante interpretazione, che uso come base per qualche nota esplicativa.
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Dicevo della forma. Schubert sa ovviamente che una sinfonia deve avere il movimento iniziale (e il finale, come in questo caso, in alternativa al Rondo) in forma-sonata, e poi un Andante e un Menuetto, e lui cerca di rispettare le regole, magari permettendosi qualche deviazione (seria o furbesca) come accade proprio all’Allegro di apertura. Esposizione dei due temi, poco contrastanti fra loro (anche questa è una caratteristica distintiva di Schubert, lontanissimo dalla concezione beethoveniana delle coppie eroico-elegiaco, maschio-femmina, severo-contemplativo): dopo la brevissima introduzione, ecco (6”) il primo in SIb maggiore, tonalità di impianto, come si suol dire, ripreso poco dopo (25”). Poi (40”) un robusto ponte modulante (con digressione alla relativa SOL minore) e quindi (1’04”) il secondo tema canonicamente nella dominante FA maggiore, ma con una birichina quanto fugace modulazione (1’20”) a REb maggiore, poi (1’32”) la robusta transizione alla coda (1’50”) e il mandatorio da-capo (1’58”).

Nello sviluppo (3’55”) si manifesta l’idiosincrasia di Schubert per i contrasti à-la-Beethoven: intanto la durata è assai limitata, poi ci si sente solo uno spezzone del primo tema, nulla del secondo, e invece ecco nuovi spunti melodici (4’12”) questi sì contrastanti con i due temi, per la loro natura piuttosto spigolosa. Si arriva così rapidamente (4’48”) alla ricapitolazione, con una vera e propria sorpresa: invece del SIb  a cui anche il secondo tema si dovrà accodare, ecco che il primo viene esposto nella sottodominante MIb maggiore! Insomma, è come se Schubert riproponesse pari-pari l’esposizione in questa tonalità, col secondo tema (5’48”) sulla dominante, che è proprio il SIb dove si deve tassativamente tornare (ecco, è una trovata seria o una presa in giro? ) A 6’34” arriva una transizione alla coda diversa e più trascinante rispetto a quella dell’esposizione.

L’Andante con moto è in MIb maggiore e presenta subito (7’05”) una dolcissima melodia, prima negli archi e poi nei legni. Segue (7’35”) uno sviluppo della stessa melodia, una specie di controsoggetto, con qualche inflessione malinconica, prima del ritorno all’origine (8’08”). Il tutto viene ripetuto (8’31”). Ecco poi (9’27”) un’altra modulazione piuttosto ardita, che apre una sezione in DOb maggiore, dove viene presentato (9’38”) un nuovo motivo dall’andamento ascendente, che modula ancora arditamente (10’15”) al SOL maggiore! Ora con una lunghissima transizione lenta e modulante si torna alla tonalità di base di MIb (11’43”) dove il tema principale e il suo controsoggetto vengono ripresi con sottili variazioni. Ancora l’ardita modulazione di poco prima (13’08”) ma questa volta a SOLb maggiore, dove riudiamo la sezione precedentemente esposta in DOb e che sfocia conseguentemente (13’56”) in RE maggiore. Ci si riporta quindi (14’37”) al tema principale in MIb e ci si avvia verso la Coda (15’15”) chiusa da una mirabile cadenza e da un dolcissimo arpeggio discendente dei corni.  

L’incipit del Menuetto, in SOL minore (16’15”) rimanda ovviamente a quello della K550:

La struttura è classica: due sezioni di Menuetto (SOL minore) la prima più concisa (ripetuta a 16’35”) e la seconda (16’55”) più lunga, che riporta (17’18”) al tema principale, ripetuta a 17’42”. Poi (18’29” e 19’00”) due di Trio (SOL maggiore) con immancabili ritornelli, quindi (19’48”) la ripresa del Menuetto.

Il finale Allegro vivace torna ovviamente in SIb maggiore ed è in forma-sonata, qui tutto sommato abbastanza lineare: infatti l’esposizione presenta un ritornello sul primo tema e un altro che riprende entrambi i temi. Ecco quindi il primo (21’01”) negli archi, subito ripreso dai fiati (21’08”). Segue un controsoggetto (21’14”) e poi (21’28”) ancora il tema. Controsoggetto e tema ripetuti da 21’38”. Poi (22’01”) troviamo un ponte modulante, con percorso ascendente (una caratteristica di questi passaggi della sinfonia) ed ecco (22’27”) il secondo tema (sempre non contrastante!) in FA maggiore, sviluppato fino ad una transizione (22’52”) che porta (23’03”) alla coda che lo chiude seccamente. Si ripete tutto daccapo (23’24”) senza ritornelli (secondo tema a 24’26”). Anche qui lo sviluppo (25’23”) è assai libero (il secondo tema non vi compare, ma solo qualche abbozzo del primo). La ripresa (26’34”) è però canonica: primo tema, ponte (27’11”) e secondo tema (27’42”) in SIb maggiore; poi transizione (28’07”) e (28’19”) conseguente coda.
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Trevino esordisce low-profile: niente podio, niente bacchetta. Del resto l’orchestra è poco più di quella di cui potè godere il 19enne Schubert quando suonò per la prima e unica volta questa sinfonia: due soli contrabbassi e quattro violoncelli, per dire, e violini e viole in proporzione, neanche 30 archi in tutto.

L’esecuzione è più che apprezzabile, sveltita dall’omissione del da-capo del Finale. Il Direttore sembra dirigere un... menuetto, dimenandosi e giogioneggiando quanto basta. Ma tutto fa brodo.
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Ecco poi Mahler e tutto cambia: orchestra ipertrofica (e non è nemmeno il massimo mahleriano, mancano addirittura i tromboni) podio taglia-Xian (Trevino è poco più alto della cinesina) e bacchetta regolamentare. Anche il gesto mi pare più adeguato alla bisogna, secco e (si direbbe) preciso. A differenza di quella rigorosa del Bignamini di 2 anni e mezzo fa, la lettura di Trevino è abbastanza all’americana (Bernstein sullo sfondo) con contrasti portati all’eccesso (mi limito a citare i due affrettando nel primo movimento, dove solo un miracolo ha permesso ai ragazzi di non lasciar per strada la metà delle note).

Ragazzi guidati da Dellingshausen (munito del violinetto scordato da imbracciare nei passaggi del secondo movimento) con Santaniello a presidiare le retrovie (così come il pari-grado Grigolato per i violoncelli, con Scarpolini sulla prima sedia).

Convincente soprattutto il Ruhevoll, mirabile esempio di variazioni su un semplice temino. Chi è stata sotto la media è la povera Twyla Robinson, vocina sottile (va be’ che è un Lied bambinesco...) e un paio di entrate che mi son parse in ritardo.

Pubblico in buon numero (ma non oceanico) e prodigo di applausi, anche ritmati, e di bravo!

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