Chiusosi il ROF il 22, si sta chiudendo anche
Bayreuth, un Festival che ha avuto come principale oggetto di interesse il
nuovo Tristan della premiata
coppia Christian-Kathy, che ha avuto
l’ultima replica il 23. E dopo averne ascoltato la prima per radio, l’ormai lontano 25 luglio, torno sull’argomento
per esprimere ora qualche considerazione sulla messinscena, essendo disponibile
in web (almeno fino ad ora, salvo interventi censori…) la registrazione
filmata
di una successiva rappresentazione. Pur con tutte le cautele, dovute al fatto
che la regìa televisiva – soprattutto con l’uso dello zoom - in qualche modo distorce (in meglio e/o in peggio) ciò che la
regìa teatrale propina allo spettatore in sala, è possibile quanto meno trarre
dalle immagini registrate alcuni concreti spunti di riflessione.
In generale la critica parla di una
Katharina che avrebbe abbandonato, magari complice Thielemann, il furore
iconoclasta dei suoi Meistersinger del
2007 per orientarsi verso un approccio magari più vicino a quello di zio Wieland, cercando cioè di
approfondire i molteplici significati reconditi del dramma. Ma c’è poi
riuscita? A me pare proprio di no, e spiegherò perché.
Le scene sono piuttosto spartane e assai
fredde, per non dire glaciali, e le luci danno il loro contributo alla
creazione di atmosfere quasi spettrali, e sempre sono funzionali – non sembri
un paradosso – ad accentuare l’oscurità, che permane anche in quei rari momenti
dove la scena dovrebbe essere – stando al testo - in piena luce (un esempio per
tutti: il finale atto I). I costumi sono assai curati e sufficientemente
anonimi: moderni, ma seri e non pacchiani, compreso il cappottone di Tristan,
peraltro di foggia piuttosto diversa dal solito cliché made-in-DDR.
Assolutamente di alto livello l’interpretazione
dei componenti del cast, dal punto di vista attoriale: la ripresa televisiva
mette benissimo in risalto le grandi qualità di tutti (fino a che punto legate
a specifiche indicazioni e prescrizioni della regista o già in loro dotazione,
sarebbe peraltro da appurare).
Le diverse personalità dei protagonisti
sono messe a fuoco in modo accettabile, se si esclude – ahinoi, e questo è il punto
dolente dell’intera messinscena – la figura di Re Marke, sulla quale
evidentemente la regista ha deciso, chissà poi perché, di riversare gran parte
della sua (residua?) dotazione di idee strampalate e dissacratorie. La cosa ha
implicato, per conseguenza diretta, una concezione a dir poco cervellotica
dell’intero second’atto e poi del finale del dramma.
Atto I
Il freddo ginepraio di scale e
praticabili entro cui si muovono i 4 personaggi (marinaio e cori non si vedono,
salvo fugaci apparizioni di addetti all’apertura o chiusura di qualche varco)
immagino debba rappresentare il livello di totale incomunicabilità che separa i
due protagonisti principali, mentre per gli altri due (Brangäne e Kurwenal)
costituisce la barriera alla conoscenza di ciò che avviene nella psiche dei
rispettivi padroni. Nelle prime due
scene (o quasi) la regista rispetta alla lettera il testo: Isolde manifesta a
Brangäne tutta l’insopportabilità della situazione in cui lei si trova, le
chiede di Tristan e le ordina di andare da lui per invitarlo a renderle
omaggio. Brangäne esegue, riferisce l’ordine di Isolde a Tristan, che risponde
tergiversando (ed estraendo dal cappottone il velo nuziale, simbolo certamente
azzeccato in quel preciso frangente e nelle scene successive: lui sta recando
Isolde in sposa al suo Re).
Ma adesso abbiamo una prima chiara
deviazione rispetto al testo originale: mentre Kurwenal inizia la sua
impertinente descrizione degli avvenimenti che portarono alla morte di Morold,
con tanto di testa mozzata e rispedita in Irlanda, ecco che Isolde, invece di
ascoltare da lontano, dal suo alloggio a prua, raggiunge i tre cercando,
pienamente corrisposta da Tristan, di congiungersi con lui, impeditane dallo
scudiero. E già qui siamo al gratuito, poiché se è (o sarà…) evidente che i due
protagonisti si amano fin dallo sguardo,
è altrettanto chiaro dal testo che nessuno dei due si vuol ancora esporre esplicitamente
verso l’altro.
E il peggio arriva quando, finita
l’esternazione di Kurwenal, lui, Isolde e Brangäne vengono fatti letteralmente
sprofondare di due piani rispetto a Tristan (che cerca invano, contrariamente
al libretto, di raggiungerli): per cui tutta la successiva scena terza si
svolgerà, anziché fra Isolde e l’ancella, di fatto fra Isolde e Kurwenal(!) Il
quale, invece di irrompere all’inizio della quarta scena, viene quindi messo a
parte dei particolarissimi rapporti intercorsi fra il suo capo e la principessa
d’Irlanda, fatti dei quali lui dovrebbe rimanere totalmente all’oscuro
addirittura fino al terzo atto! L’unico sottoprodotto plausibile di questa
strampalata interpretazione di Catherina è il pugnale (ma nemmeno, pare un
innocuo coltello da cucina, che però qui simbolizza beceramente la spada) che Isolde strappa a Kurwenal e
che le serve per mimare su di lui il racconto del suo incontro (e conseguente
innamoramento) con Tristan.
Altra chiara e gratuita – e fuorviante –
scelta della regista è di far udire da Tristan, appostato su un praticabile
proprio al di sopra di Isolde, l’esternazione della donna, che (in realtà)
dovrebbe confidare solo all’ancella di non poter sopportare la prospettiva di
dover vivere vicino all’eroe che lei ama senza poterne godere. Sì, perché
Tristan deve solo immaginare (e sperare) che lei lo ami, non certo averne la
certezza dalle di lei parole!
A questo punto bisogna pur parlare dei
filtri, anzi del filtro! OK, d’accordo,
sappiamo bene che questa storia dei filtri è tutta una finzione e che il filtro
d’amore in realtà è acqua fresca, o comunque un qualunque intruglio non venefico, che insomma deve solo
servire a non far schiattare gli innamorati dopo che si sono, bevendolo e
credendolo di morte, dichiarati implicitamente il loro amore. Però,
accipicchia, un minimo di realismo e di logica andrebbe conservato, altrimenti
tutto diventa una gratuita pagliacciata.
Come l’ha immaginata Wagner tutta questa
storia? Ecco: in uno scrigno (d’oro!) sono conservati alcuni recipienti
contenenti i filtri (uno contro le malattie, un altro contro i veleni e un
terzo, afrodisiaco). Ma Isolde indica all’ancella (che inorridisce) una quarta
ampolla, da lei accuratamente contrassegnata: il filtro di morte, che lei
intende bere con Tristan, che sta per arrivare. Al momento opportuno, quando
Isolde ordinerà a Brangäne di versare il liquido nella coppa d’oro dove
brindare con Tristan, l’ancella (che si dovrà solo vedere, poiché non canterà
in quel frangente) invece del filtro di morte, verserà quello d’amore (o di…
non morte, ecco). Tutto perfettamente realistico quindi, perché logico e
plausibile.
Invece la Kathy cosa ci propina? Tutti i
filtri sono di ugual colore rosaceo e contenuti in fiale perfettamente uguali (!?);
Isolde estrae dal suo abito quello di morte, perfettamente uguale agli altri
(evidentemente senza alcun contrassegno particolare); Brangäne glielo strappa
di mano e le restituisce quello d’amore (tanto son tutti uguali!) Di
conseguenza, al momento del brindisi è Isolde e non l’ancella (che è del tutto
assente) ad estrarre dal petto il filtro, senza accorgersi però che non è
quello giusto, che Brangäne le ha scambiato sotto il naso poco prima: insomma,
una pantomima francamente risibile. E ancora non è tutto, come vediamo tra
poco.
La quarta scena si dovrebbe aprire con
l’irruzione di Kurwenal per annunciare alle donne che il porto è in vista. Qui
invece lo scudiero, come si è visto, era già lì da un pezzo… In compenso, al
posto di Kurwenal, che invano cerca di spostare un paio di scale per salire, è
Isolde ad essere issata repentinamente all’altezza di Tristan, per il loro
fatale incontro (!?) Qui c’è il drammatico scontro fra Isolde e l’ancella (che
sta al piano di sotto!) a proposito del filtro, che Isolde ha con sé, ed è già
quello… scambiato prima da Brangäne!: ma che senso ha allora la disperazione
dell’ancella, quando lei sa benissimo che la fiala in possesso di Isolde, e che
verrà usata per il brindisi, non è quella di morte? (Chiedere lumi a Kathy,
please.)
La quinta scena si apre con l’entrata di
Tristan, che Isolde accoglie con un… appassionato abbraccio (!?!) Ed anche in
seguito lo avvicina con moine del tutto gratuite. Invece è perfetta la resa del
momento in cui Tristan, dal voi,
passa al tu, mettendo in mano ad
Isolde la spada (ehm… il coltellino) con cui vendicare Morold. Lei invece è
piuttosto prosaica, facendo scendere la punta del coltello lungo il corpo di
lui, fino ad altezze… vergognose, ecco.
Ovviamente, date le premesse, Brangäne è
del tutto assente (non solo col canto) dalla scena del brindisi, mentre in
compenso lì c’è un nuovo appassionato abbraccio (eddai!) fra i due
protagonisti. Scena francamente poco efficace, con il contenuto della fiala che
viene versato sulle mani unite dei due, così come fiacca è la scena del
successivo… risveglio: i due paiono più inebetiti che in suprema esaltazione, ecco. E l’abbraccio che finalmente li
unisce finisce per dire poco (della serie al
lupo, al lupo!) essendo ormai il terzo, a quel punto.
Il finale è dignitoso, sempre con
pochissima luce, ed ha comunque il pregio di non far invadere la scena da masse
disturbanti e, come è peggio (vedi Chéreau) dal farvi entrare anzitempo Re
Marke.
Tutto sommato un atto caratterizzato da
una regìa non esecrabile, anche se piuttosto (diciamo così) confusionaria, in
particolare per ciò che attiene agli spostamenti fisici dei 4 personaggi, che bisnonno
Wagner - orsono 150 anni - aveva previsto con assoluta meticolosità, in
funzione dei rispettivi stati d’animo, e che la pronipotina ha bellamente
reinventato senza particolare costrutto.
Atto II
Invece di perdere un sacco di tempo a descriverlo
passo per passo, facciamo prima proponendo un test di drammaturgia, mostrando
esclusivamente le immagini (audio spento) di quest’atto senza preannunciare il
titolo dell’opera, e chiedendo agli esaminandi di descrivere sommariamente
l’azione che hanno visto in scena. Ecco, la risposta quasi unanime sarebbe
pressappoco di questo tenore:
Un
boss mafioso vuole liberarsi di un capo-banda rivale, così si serve di una
delle sue zoccole, che fa opportunamente imbottire di droga, per adescare il
rivale in uno dei suoi locali, osservandone inosservato dall’alto ogni minima
mossa. A rapporto consumato, compresi riti sado-maso, lo sorprende in flagrante
ed ha quindi il facile pretesto per farlo mandare al creatore dal suo guardaspalle.
Gli dedica anche un accorato quanto ipocrita epitaffio, prima di andarsene
trascinando via la povera zoccola.
Capito com’è il second’atto di Tristan,
versione riveduta e corretta dalla Kathy?
Atto III
Qui abbiamo un sano minestrone dei primi
due atti. Il giardino del castello di Kareol, dove Tristan giace moribondo
sotto un gran tiglio, si è trasformato in un luogo di veglia funebre, con tanto
di lumini disposti intorno alla quasi-salma. Oltre a Kurwenal e al pastorello
(che peraltro dovrebbe soltanto affacciarsi al muro di cinta) vegliano Tristan
altri due individui non meglio precisati (inutile dire che sono un’invenzione
della regista, anzi una scopiazzatura da Chéreau, che ce ne aveva messi una
mezza dozzina almeno…)
Tristan è stato accoltellato alla
schiena dal sicario del boss Marke (e non infilzato nel petto, come da
libretto) però giace tranquillamente… supino (come da libretto! un modo come un
altro per far rimarginare la ferita). Poi addirittura si alza e si mette a
girare qua e là come nulla fosse: evidentemente tutto il second’atto doveva
essere stato solo un brutto sogno, provocato forse dall’intruglio bevuto a
bordo nell’atto iniziale.
Nei suoi vaneggiamenti, lui vede
ovviamente Isolde, che gli appare diverse volte, incastonata in piramidi trasparenti (e questa magari è un’idea sensata); poi si accascia, questa volta
bocconi, perché la ferita deve davvero fargli molto male, ecco. Ma ben presto
si rimette arzillamente in piedi, Isolde sta arrivando e lui ne vede una, due,
tre e addirittura quattro!
Finalmente muore e viene ricoperto da un
telo, sul quale Kurwenal depone una croce e i due clandestini collocano due calle. Ma Isolde deve provare a
riportarlo in vita, così lo scopre, però per poco, chè qualcuno ristende il
velo e depone croce e fiori sulla salma. Finito? Beh, ancora manca l’arrivo del
boss Marke e del resto dei protagonisti, che compaiono di botto in scena, proprio
teletrasportati. Il parapiglia che ne segue, con ammazzamenti di Melot e
Kurwenal, sembra un gioco delle belle statuine. Alla domanda di Marke che
chiede di Tristan, il morente Kurwenal risponde (come da libretto): sta qui,
accanto a me. Peccato che accanto a lui giaccia… Melot, evabbè.
Marke si mette al collo una fascia (sarà
quella di sindaco o una stola di prete?) per fare l’elogio funebre al rivale
che lui aveva fatto accoltellare nel second’atto; Isolde canta il suo Liebestod
sulla salma, accanto a Brangäne, con Marke impietrito ad osservare i tre (miracolo,
proprio come da libretto!) Ma, precisamente quando il corno inglese intona per
l’ultima volta il motivo del filtro (SOL#-LA-LA#-SI) ecco il boss che si
riprende la sua zoccola e se la porta via.
Il bello è che a Bayreuth – alla prima - hanno buato Thielemann e la Herlitzius,
mica la tenutaria del baraccone! Vengono i brividi a pensare come sarebbe (o
sarà…) un suo Parsifal.