ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

17 febbraio, 2014

Troppa Clemenza?


O troppo Renzi? (stra-smile!)

Dopo quella – ultra-stagionata ma sempre giovine - appena passata alla Fenice, si è potuto godere (prima per radio l’11, poi sabato 15 in streaming) di quella, nuovissima nonchè tetesca, di München.

Ieri poi Reggio Emilia ha ospitato la seconda delle due recite dell’ultimo lavoro teatrale del Teofilo (transitato la scorsa settimana anche da Modena) nel fortunato allestimento barese del 2008.


Fra queste due ultime produzioni c’è qualche singolare analogia: in primo luogo la scena, che è praticamente fissa e a forma di emiciclo: quella tedesca (di Jan BosseStéphane Laimè) è in plastica chiara e trasparente, inserita in un contesto di teatro-nel-teatro; quella (in realtà una semicupola rovesciata) di Walter Pagliaro - Luigi Perego è in legno. Entrambe si ripresentano, nel secondo atto, degradate a fronte dell’incendio della fine del primo atto: quella tedesca coperta e annerita da ceneri e fuliggine, quella italiana semi-diroccata e sventrata in più punti.

Costumi vagamente settecenteschi nei due casi, però più sobri per Pagliaro-Perego, fin troppo appariscenti quelli di Bosse-Behr, con parrucche incredibili per Vitellia e Servilia e una tunica bianca da asceta-eremita per Tito. Il tedesco poi nel second’atto, dove quasi tutti i personaggi vanno in crisi, de-traveste Sesto e Annio e così crea due coppie… gay!

Altra analogia riguarda l’approccio registico al soggetto: in entrambi i casi assolutamente (fin troppo?) serioso e rispettoso dell’austerità del libretto, che a noi 3millenari rischia di annoiare o far sorridere. Pagliaro ha cercato di movimentare le scene più statiche, oltre che tagliando un 20% di recitativi secchi, facendo entrare sul palco dei mimi con compiti vagamente didascalici, o aggiungendo qualche tocco di pruderie agli incontri fra Vitellia e Sesto.

Resta il dubbio se produzioni come queste si giustifichino sul piano meramente economico (in questi tempi di vacche magre) e non converrebbe promuovere la musica del Tito (la sola che ne fa un capolavoro) tramite esecuzioni in forma semiscenica, se non proprio puramente di concerto.

Un altro curioso parallelo fra le due produzioni è il sesso del (ehm) corno di bassetto: a Monaco come in Emilia suonato da bravissime rappresentanti, per l’appunto, del gentil sesso (la nostra risponde al nome di Miriam Caldarini).  

Sul piano strettamente musicale, il cast nostrano non ha sfigurato rispetto a quello crucco, con un convincente Paolo Fanale nel ruolo del titolo (il Toby Spence di Monaco era assai poco… imperiale!) e una volitiva Gabriella Sborgi come Sesto. Ma bravi anche gli altri, a partire da Teresa Romano in Vitellia (a dispetto di qualche urletto di troppo) e poi la promettente Ruzan Mantashyan come Servilia e Aurora Faggioli in Annio. Valeriu Caradja è stato un buon Publio, anche nell’atteggiamento moderato e non truce come spesso (Monaco compresa) viene interpretato.

Su un buon standard il Coro di Modena (guidato da Stefano Colò) e convincente l’Orchestra Regionale dell’ER, che Eric Hull ha guidato con sicurezza e gran padronanza della partitura (cosa in cui il blasonatissimo Petrenko non mi pare lo abbia affatto superato, esibendosi anche in qualche gigioneria di troppo).   

Purtroppo c’è un aspetto di fondamentale importanza che ha invece differenziato Monaco da Reggio: lassù il sold-out, qui da noi la metà dei palchi vuota (ahi ahi…)

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