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15 febbraio, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°21

 

Zhang Xian si dedica in questo concerto al grande repertorio ottocentesco (una specie di DNA dell’Orchestra, del resto) presentando opere (poco o molto popolari) di Schumann e Schubert. 

Fra le meno popolari (si fa per dire) ci sono le due del genio (un po’ pazzo, smile!) di Zwickau: il concerto per 4 corni e quello per violoncello. Del viennese frequentatore di postriboli (beh, ognuno ha i suoi gusti, e la cosa è addirittura apprezzabile se conduce ad esiti musicali siffatti…) la Grande Sinfonia, che il pazzo di cui sopra – che l’aveva disseppellita dalle scartoffie del fratello dell’Autore - giudicava di lunghezza abnorme, ma… celestiale. (Siamo romantici o no?)
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Ad aprire la serata il Konzertstück per 4 corni e orchestra. È il residente Radovan Vlatkovich a guidare il pacchetto dei primi tre corni de laVerdi (Ceccarelli-Amatulli-Cardone) in questo autentico pezzo di bravura, composto da Schumann proprio per sfruttare tutte le possibilità espressive che (ai suoi tempi) erano state introdotte dall’invenzione del ventil-horn (il moderno strumento a valvole) che soppianterà progressivamente il corno naturale, certo più romantico, ma meno dotato sul lato cromatico. Inutile dire che i solisti sono chiamati a notevoli virtuosismi, compresi i LA sovracuti che il primo corno arriva a toccare verso la fine del Lebhaft e poi nel Sehr lebhaft conclusivo.  

In un pezzo di tale difficoltà qualche sbavatura è quasi scontata, e direi che quelle emerse ieri sera si possono tranquillamente perdonare. Cosa che il pubblico ha fatto volentieri, gratificando i quattro moschettieri di applausi ed ovazioni.
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L’invasione cinese continua (smile!): oltre al podio, è cinese anche il solista, Jian Wang, che si cimenta con il Concerto per violoncello, estremo lascito della grande (nonostante tutto) mente di Schumann. Concerto dalla struttura piuttosto anomala (a parte la suddivisione in tre tempi) dove singoli temi continuamente sviluppati occupano quasi interamente i diversi movimenti, quindi c’è relativamente poco dialogo. Insomma, poca forma-sonata e molta fantasia (del resto l’Autore aveva originariamente intitolato il pezzo come Konzertstück…)

Wang, e la Xian che lo ha spalleggiato, ne hanno dato un’interpretazione sofferta, non dico nichilista, ma insomma anche i pochi squarci di sereno sono sempre stati rapidamente oscurati da densi nuvoloni (forse Clara non avrebbe gradito, ma chi può dire avesse ragione lei a trovare in un pezzo come questo qualcosa di ottimistico?)  

Una curiosità: mentre molti interpreti se ne scrivono una propria, Wang ha eseguito la cadenza finale (quella accompagnata) predisposta da Schumann.

Successo pieno coronato da un bis: invece del solito brano da una suite bachiana, il simpatico Jian (ma in cinese vuol dire Gianni?) ci ha deliziato con una languida canzoncina della sua terra.
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Su Schumann allego un saggio del sommo Quirino Principe, apparso su Musica&Dossier del Settembre 1990.
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Quando è in programma la Grande schubertiana i bookmakers fanno affari d’oro accettando scommesse sulla durata e, soprattutto, sui… ritornelli. Questi ultimi riguardano, per la precisione:

- primo movimento: (1) l’intera esposizione (Allegro non troppo) per un totale di 176 battute su 684 (al netto);

- terzo movimento (escludendo la ripresa canonica dello Scherzo): (2) prima sezione dello Scherzo (Allegro vivace) di 56 battute; (3) seconda sezione dello Scherzo di 182 battute; (4) prima sezione del Trio di 48 battute; (5) seconda sezione del Trio di 102 battute; complessivamente 388 battute su un totale di 405 (al netto);

- quarto movimento: (6) l’intera esposizione (Allegro vivace) per un totale di 380 battute su 1154 (al netto).

È evidente come il rispettare o meno tutti o parte dei ritornelli abbia effetti anche sensibili sui tempi di esecuzione, che sono comunque egualmente influenzati dall’approccio alle agogiche tenuto dal Direttore.

Per fare degli esempi pratici: proprio qui in Auditorium, anni fa il venerabile Helmuth Rilling, rispettando scrupolosamente tutti e 6 i da-capo e tenendo però un piglio mediamente abbastanza spedito, fece durare la Sinfonia un’ora esatta.

Su Youtube si può ascoltare un’esecuzione di Giulini del 1990 (a Parigi) che dura ben 63 minuti. Eppure, di tutti i 6 da-capo, Giulini esegue – come è ormai prassi abbastanza consolidata - solo il (2) e il (4) (!!!) Per dire, Böhm (anni ’70) con gli stessi ritornelli impiega 12 minuti di meno!

Per divertimento si può calcolare quanto durerebbe una data esecuzione se fossero rispettati tutti i da-capo (oggi con diavolerie informatiche disponibili anche ai comuni mortali, e non solo agli studi delle case discografiche, si può persino ricostruirci un CD…) Nel caso di Böhm saliremmo da 51 a 62 minuti (cioè più o meno come Rilling). In quello di Giulini si arriverebbe addirittura ad un’ora e un quarto abbondante (neanche fosse… Mahler!!!)

Ai tempi dei vinili (non parliamo dei 78 giri!) una delle più banali ragioni del taglio dei ritornelli (o dei tagli tout-court, proprio da barbarie) era la durata registrabile di una faccia del microsolco, che faticava a superare (pena una gran perdita di qualità) i 25 minuti. Oggi certe scuse non reggono più e il razionale che giustificherebbe queste scorciatoie consisterebbe nelle mutate attitudini moderne all’ascolto (della serie: non facciamoli addormentare o esasperare, per carità, sennò non ritornano più…)

Razionale che si ammanta spesso di sopraffine considerazioni estetiche, del tipo: se passi due volte in 5 minuti a rivedere la Gioconda, la seconda volta ti viene da vomitare (smile!) Così potremmo dire che Giulini è un cicerone che ti fa stare mezz’ora di fila davanti alla Gioconda, spiegandotela lentamente e con parole pompose; Böhm ti ci fa stare solo 20 minuti, raccontandotela con fare più spedito; Rilling te la spiega ripetendo ogni concetto per due volte, il tutto in 25 minuti!

Beh, detto ciò prendiamo atto che anche la cinesina si è adeguata (e non certo da oggi, del resto) all’andazzo prevalente, però con una piccola deroga: ha eseguito il da-capo (1) dell’esposizione, così invece dei 48 minuti indicati sul programma di sala ne ha impiegati 53!

Un filino troppo spedito (per i miei personali gusti) l’Andante introduttivo. Emozionante l’Andante con moto, soprattutto all’entrata del secondo soggetto. Strepitoso lo Scherzo e travolgente il Finale, con qualche chilo di enfasi di troppo (smile!) in quei gruppi di quattro minime che precedono la chiusa. 

Insomma: nessuno si è addormentato né ha lasciato l’Auditorium anzitempo in preda a convulsioni isteriche. Tutt’altro: il successo è stato proprio travolgente. Bene così (?!)

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