Riecco in un
Auditorium strapieno il rampante-con-juicio
Jader Bignamini sul podio de laVerdi
per dirigervi un concerto tutto russo, ma di musicisti di…
esportazione.
La prima parte
è dedicata a Rachmaninov, e
precisamente al famigerato Rach3 (ascoltato recentemente agli Arcimboldi dal
giovane bresciano Federico Colli con Temirkanov e i suoi) qui interpretato da
un altro ventunenne: il milanese Luca
Buratto.
Sarà magari
perché questo Rachmaninov è, come
dire, più di pancia che di testa e quindi non pone all’interprete (né all’ascoltatore,
a dirla tutta) problemi metafisici… fatto sta che l’esecuzione del ragazzo è
stata proprio travolgente!
Intanto non si
è risparmiato una sola nota (sappiamo quanto venga tagliato, col beneplacito
dell’Autore, questo concerto) e si è semplicemente cautelato tenendosi lo
spartito dentro la cassa del pianoforte.
Quanto alla cadenza del primo movimento (che per la
prima parte esiste in due versioni, entrambe autografe) Luca ha optato per la
seconda (indicata come ossia) che è
forse la meno eseguita, ma che non è certo di difficoltà inferiore all’altra.
Meritatissimo
successo e grandi ovazioni per questa bella realtà del concertismo italiano, che
ci offre un bis (ancora Rach?)
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Poi tutto Stravinski: uno e… due.
Lo Scherzo
fantastique è un’opera del primo periodo (russo, 1907-8). Si volge ancora
indietro, a Ciajkovski e soprattutto al maestro Rimski; però ci si trovano già
i germi di ciò che maturerà di lì a pochi anni (se non mesi) come l’impiego,
insieme ad uno spiccato cromatismo, di scale a toni interi e di scale diminuite
(o ottofoniche che dir si voglia). L’accostamento con Le Sacre (1913) è quindi
assai interessante ed istruttivo.
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La
composizione fu ispirata dallo scritto del 1901 La vie des abeilles (La vita
delle api) di Maurice Maeterlinck
(un vero esperto in materia, avendo fatto per 20 anni l’apicoltore) e in
effetti ci si sente il ronzio di insetti e coleotteri (teniamo presente che a
quei tempi Rimski aveva già composto il suo Calabrone…)
In
tutto consta di 460 battute, suddivise in tre sezioni, più una coda, così
articolate in agogica:
a) 1-167 Con moto (6/8)
b) 168-297 Moderato assai (3/4, 9/8 e 6/8)
c) 298-460 Tempo I – Accelerando-Stringendo-Vivo (6/8)
Si noti
ancora la regolarità del tempo, che ha pochissime e morbide variazioni, al
contrario di quanto accadrà per le opere successive (Le sacre ha 7 cambi di tempo nelle sole prime 9 battute!)
Le tre
sezioni corrispondono al programma
letterario pubblicato nella prima edizione della partitura, il quale programma
deriverebbe più o meno dal corposo saggio di Maeterlinck, costituito da ben 7 libri, così strutturati:
I Sulla soglia dell’alveare (8 capitoli)
II Lo sciame (31
capitoli)
III La fondazione della città (25 capitoli)
IV Le giovani regine (18 capitoli)
V Il volo nuziale (12 capitoli)
VI Il massacro dei maschi (3 capitoli)
VII Il progresso della specie (19 capitoli)
Così avremmo
in Stravinski: (a) la vita dell’alveare, poi interrotta (b) dall’accoppiamento
dell’ape-regina con il fuco e, dopo la morte del maschio, (c) ripresa con maggior intensità.
Mentre le due sezioni estreme abbondano di cromatismi e scale esotiche, quella
centrale è assai più diatonica e ci si sente persino Wagner (l’incantesimo del Parsifal e atmosfere dei Meistersinger…)
oltre ad influssi dell’impressionismo di Debussy
e a reminiscenze proprio di Rachmaninov (la seconda sinfonia, composta un paio
d’anni prima di questo Scherzo).
Nelle
due sezioni estreme abbiamo un ampio impiego degli strumentini (fra cui
l’ottavino, ovviamente) per evocare l’incessante muoversi e operare degli
insetti; ci troviamo anche note rapidamente ribattute, che diventeranno
ossessive nel Sacre. La sezione centrale allarga i tempi e si fa
più cantabile ed elegiaca.
Stravinski
a posteriori negò di aver voluto comporre della musica a programma, pretendendo invece che fosse nata come musica pura… ma sappiamo che sulla
sincerità del nostro nessuno sarebbe disposto a mettere la mano sul fuoco. Per
di più su quella musica fu costruito – toh! - un balletto (proprio col titolo
da Maeterlinck) e chissà che la sconfessione di Stravinski non sia legata più
prosaicamente a contenziosi economici relativi a come spartire i proventi di quello
spettacolo.
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Bignamini ha il merito
di averci evocato un ordinatissimo alveare e non un… vespaio (smile!) facendo suonare tutti con grande
leggerezza, proprio come fosse un Mendelssohn del Sogno.
Infine ecco il
piatto forte della Sagra (traduzione proprio ridicola, che fa pensare a salsicce
alla brace, frittura di pesce, zucchero filato e processioni con madonne pellegrine);
un capolavoro che ancor oggi – a un secolo di distanza! – sa di avanguardia, di
novità, di rottura.
Straordinaria
prestazione dell’Orchestra in tutte le sezioni, e sicura conferma del valore di
Bignamini, che appare sempre più maturo e autorevole.
Intanto uno
dei padri de laVerdi pare destinato
a prendere – non proprio domani mattina - il timone della Scala. Intanto sarà protagonista,
con l’Orchestra che lui ha guidato per anni, di un avvenimento quasi unico per Milano:
l’Ottava di Mahler (21 e 23 novembre alla
vecchia Fiera).
2 commenti:
Lo spartito era indispensabile a Luca SOLO per cercare di rispettare le sospette e non gradite variazioni orchestra+direttore (una sola prova per questo concerto, forse, non è sufficiente...)
@Micol
guarda che tenere lo spartito sott'occhio non è un disonore (e non è la prima volta che capita anche a solisti famosi...)
Sulle "sospette e non gradite variazioni": deduco che non ci fosse piena sintonia fra Luca, Jader e l'orchestra?
"Una sola prova": da un lato è segno di grande capacità di adattamento da parte di tutti... dall'altro è un filino preoccupante.
Grazie per il commento e ciao!
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