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12 ottobre, 2013

Orchestraverdi – Concerto n°4

 

Il quarto concerto della stagione de laVerdi nasce da una collaborazione con MilanoMusica. Ergo non può non proporre brani di compositori contemporanei (o almeno che tali sono stati per molti di noi…)

Si tratta di Morton Feldman (cui è intitolata la rassegna milanese di quest'anno) e di Tōru Takemitsu, due compositori vissuti in pieno ‘900 e accomunati dall’aver subito – in modi e tempi diversi – l’influenza di un tale che (per me, qui lo dico e qui lo confermo) avrebbe fatto meglio ad occuparsi esclusivamente di funghi e non di suoni (smile!): John Cage.

Di Feldman (1926-1987) la bella Geneviève Strosser ci propina The viola in my life IV. Nel 1970 Feldman aveva composto una prima versione del brano per viola e piccolo complesso (flauto, violino, violoncello, percussioni, pianoforte) su commissione dei Pierrot Players (poi rinominatisi The London Fires) e per la famosa violista Karen Phillips; nei mesi successivi ne compose due nuove varianti: una (la II) con accompagnamento di altro complesso cameristico (flauto, clarinetto, violino, violoncello, percussioni, pianoforte, il famoso ensemble schönberghiano del Pierrot) e l’altra (la III) per viola e solo pianoforte. Nel 1971 poi compose - su commissione della Biennale di Venezia, che ne ospitò la prima esecuzione il 16 settembre, sempre con la Phillips - la variante IV che prevede per accompagnare il solista un’orchestra di organico quasi normale, ed è una specie di compendio delle precedenti tre. (Tutte sono ascoltabili qui ).

Musica da sessioni di terapia zen (smile! vi assicuro che ascoltare in cuffia e al buio tutti i 4 pezzi, quasi tre quarti d’ora, è un’esperienza davvero unica…) dove i suoni della viola, spesso isolati e lunghi (con qualche breve sussulto) appaiono come una specie di melopea spezzata e si alternano ad interventi degli strumenti accompagnatori, che creano di volta in volta brevi tappeti sonori o ruvide risposte all’imperturbabile e monotono incedere dello strumento solista. Il rischio di dormita generale – e di bruschi risvegli in corrispondenza di qualche entrata improvvisa delle percussioni - è quindi assai alto.

Questa quarta variante dura fra i 15 e i 20 minuti (a seconda che il terapista sia più o meno carogna, stra-smile!) e si chiude, dopo tanta lagna, con un brusco accordo dissonante del pianoforte che precede le ultime note della viola, per assicurarsi che nessuno fra il pubblico faccia brutte figure, rimanendosene lì appisolato per il resto della serata. 

Geneviève Strosser e Tetsuji Honna evidentemente in questa musica ci credono e fanno del loro meglio per convincere anche il pubblico: che non fa mancare gli applausi, ma in questi casi non sai mai se sia per intima convinzione o semplicemente per buona educazione e riconoscimento dell’abnegazione degli esecutori…
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Poi è la volta di Marginalia di Tōru Takemitsu (1930-1996) composta pochi anni dopo la viola di Feldman. L’ispirazione per questo brano (il cui titolo letteralmente viene dall’espressione note a margine) venne a Takemitsu, come lui stesso scrisse, da alcune opere letterarie (E.A.Poe, S.Takiguchi) e pittoriche (P.Klee e S.Francis) che colpirono la sua immaginazione. Quindi il pezzo sarebbe costituito da un’ossatura tematica principale e da liberi approfondimenti sul tema (i marginalia, appunto).

Il compositore giapponese, pur sperimentando molte delle diavolerie che nel secondo dopoguerra venivano inventate a più non posso dai vari Cage (per dire: anche qui c’è il solito secchio d’acqua in cui un percussionista immerge un mini-gong per ottenere evidentemente suoni… liquidi) mi pare assai ancorato a sani principi compositivi, non facendo mancare alle sue opere un minimo di narrativa, che scarseggia o manca del tutto in brani come quello di Feldman.

Personalmente – e del tutto arbitrariamente, riferendomi soltanto a sensazioni di prima mano – potrei di individuare nel brano una serie di atmosfere che elencherei così: un mondo inanimato; qualcosa sembra risvegliarsi; ritorna il caos indistinto; altro segno di vita, e arriva… la Valse (!); ritorno di tenebre abissali; angosciante instabilità; climax; leggero rasserenamento; nuova agitazione e acquietamento; insorgere di un anelito; progressiva eccitazione; frustrazione; eroismo e climax; drammatica sospensione; elegia finale.

Insomma, qui qualcosa viene raccontato: non è ciò che deve fare (anche) la Musica? Strano a dirsi, un esperto come Alex Ross, nel suo ormai celebre The rest is noise, dedica pagine e pagine a Feldman, per poi liquidare in poche righe Takemitsu… mah.
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Chiude il concerto lo stravinskiano Petrushka, edizione originale del 1911. E a proposito di raccontare in musica, Stravinski ci fa qui una mirabile evocazione della storia di una marionetta, che si dipana all’interno della kermesse della settimana grassa di SanPietroburgo.

Chi desideri approfondire i contenuti dell’opera e la tecnica compositiva che Stravinski impiegò troverà pane per i suoi denti in questo benemerito sito tedesco (diciamo la verità, i crucchi non ci danno lezioni solo di buona economia…) Ogni aspetto (ambientale e soprattutto musicale) dell’opera vi viene sviscerato in modo straordinario, con dovizia di informazioni e con l’aggiunta di autorevoli commenti (ad esempio: Boulez).

Smagliante la prova dei ragazzi, in tutte le sezioni dell’orchestra, ugualmente impegnate allo stremo da questa incredibile partitura, un vero preludio per Le sacre, che ascolteremo fra una settimana.

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