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10 settembre, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 1

Ieri sera l'Auditorium di Largo Mahler ha ospitato il primo concerto della stagione. Presentato come un omaggio a Shakespeare per via dei tre brani assortiti - incentrati su Romeo e Giulietta - in realtà ha avuto il suo cardine nel concerto di Prokofiev, il vero pezzo forte della serata.

Che è iniziata con la breve (163 battute in tutto, in RE maggiore) ouverture belliniana dei Capuleti (opera per nulla risalente al genio di Stratford-upon-Avon, peraltro, ma a fonti squisitamente italiane); un'ouverture che non ha certo la complessa strutturazione di quella della Norma, per dire. Forse scritta in tutta fretta, come l'intera opera, del resto, che ha mutuato assai dall'infelice Zaira. Qui serve a scaldare i motori all'orchestra, in vista del clou della serata.

Che arriva con il trentenne Alexander Kobrin, alle prese con il celebre e difficile Terzo concerto per pianoforte e orchestra di Sergei Prokofiev. Su youtube si può ascoltare una registrazione del concerto interpretato dal suo autore, a Londra nel 1932 (primo, secondo, terzo tempo).

Il primo movimento è caratterizzato dall'esposizione di due temi, ciascuno dei quali, proposto rispettivamente da clarinetto e oboe, viene poi ripreso in forma variata dal pianoforte. L'esposizione si chiude con una sezione basata su un motivo discendente (con incipit di metro ditrocheo):

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Arriva ora lo sviluppo, basato inizialmente sulla manipolazione del primo tema e del motivo della chiusa, poi da quella del secondo tema. Una coda tutta in semicrome chiude il movimento, con due pesanti accordi in fortissimo, sul DO.

Il secondo movimento è un tema – che ha una qualche vaga reminiscenza di quello iniziale del primo movimento – seguito da cinque variazioni, più la ripresa del tema a chiudere il tutto.









Inizia in MI minore, quasi come una rozza marcia funebre (o magari come la camminata ciondolante di un ubriaco); ha quindi un che di mahleriano, come confermano i tre incisi del fagotto (ricordano la scala ascendente che apre il secondo movimento della nona) che si intromette nella duplice esposizione del tema da parte di flauto e clarinetto. La prima variazione è in carico al pianoforte che, come dire, cerca di tirar un po' su il morale, introducendo qualche sfumatura di maggiore, ma poi ancora flauto e clarinetto ci riportano all'atmosfera greve del tema, col pianoforte ridotto a fare da sottofondo con un tremolo di biscrome. Ora però si passa in Allegro, per la seconda variazione, introdotta da velocissime quartine in semicroma del pianoforte, col sottofondo delle crome dei corni e delle semicrome dei violini secondi, che suonano dei tritoni (SI-FA) e con la tromba che espone il tema, sul DO#, quasi uno sberleffo. La cosa si ripete due volte, prima che i fagotti e gli archi bassi vi mettano fine, con una scala discendente (al MI) in staccato e pizzicato, rispettivamente. La terza variazione ha come protagonista il pianoforte, che disintegra letteralmente il tema e – qualcuno ha scritto – sembra una pallina che rimbalza vorticosamente sulle pareti di un campo di squash. Due tetri accordi dei fiati paiono proprio sotterrarla! Ecco ora l'Andante meditativo della quarta variazione, protagonista l'incipit del tema, proposto dal pianoforte, poi dai corni, quindi dall'oboe, ancora dai corni, in un'atmosfera rarefatta, caratterizzata dalle liquide crome del pianoforte e da un delicato intervento del clarinetto. Nella quinta variazione (Allegro giusto) è ancora il pianoforte a farla da padrone, con una specie di moto perpetuo accompagnato in modo martellante dall'orchestra. Il tutto sfocia nella riesposizione del tema, ma a valori doppi, dapprima nel flauto, poi nel clarinetto. Ricompaiono ancora le scale ascendenti del fagotto, mentre il pianoforte percorre un moto oscillante per crome puntate, fino a chiudere sul MI.

Il movimento conclusivo, in forma di rondò e in tempo ternario, Allegro ma non troppo, è aperto dai fagotti (raddoppiati dal pizzicato degli archi) che propongono il tema iniziale:




Il pianoforte e poi l'orchestra ne riprendono via via degli incisi, poi sono gli oboi a riproporlo in modo completo, prima che pianoforte e violini espongano il secondo tema:








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Pianoforte, archi e strumentini sembrano rincorrersi con veloci quartine e sestine di semicroma, finchè il pianoforte, secondo i canoni del rondò, ripropone il primo tema (Poco più mosso) sviluppandolo ulteriormente con frequenti battute in fortissimo, per arrivare poi ad una sezione (Meno mosso) in cui vengono presentati due nuovi motivi, il primo, di carattere elegìaco, da oboi e clarinetti, il secondo – in 4/4 più nervoso, con improvvisi scatti verso l'alto – dal pianoforte, poi seguito dagli strumentini:








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Questa sezione continua (tornando a 3/4 e contrappuntando i due motivi) con il pianoforte protagonista, fino alla ripresa, in Allegro, del primo tema, in clarinetti e fagotti, seguiti poi dal pianoforte, dove il solista è chiamato ad eseguire virtuosistici passaggi con note clusterizzate, come questo:

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Si arriva quindi alla coda, con un forsennato rincorrersi fra solista ed orchestra:








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che porta allo schianto finale sulla triade di DO maggiore, che è però un DO vagamente… inquinato (sennò non si era originali!) dai SI di secondi violini, corni e secondo oboe, e dai RE della seconda fila dei violini primi, del primo oboe e del primo clarinetto.

Prestazione di tutto rilievo di Kobrin, uno che – a differenza di altri asiatici (smile!) – pare una statua che muove solo dita e piante dei piedi, tanto è composto e concentrato sulla tastiera. Grandi applausi e chiamate, che lo convincono ad offrire un primo bis (Schumann?) e poi un secondo (il brevissimo tema del settimo Preludio dell'op.28 di Chopin) che è un modo simpatico per salutare tutti.

Nella seconda parte del concerto ecco la scena d'amore della sinfonia drammatica op.17 di Berlioz. È la terza, delle sette parti che costituiscono Roméo et Juliette, che nel suo insieme prevede anche l'intervento di solisti di canto e del coro (non è un'opera, né una cantata, ma una sinfonia con cori, scrive Berlioz nella prefazione). E in effetti il coro – i Capuleti che lasciano la festa - ci sarebbe anche al principio di questa parte (123 battute in Allegretto) ma qui viene omesso per comprensibili ragioni, per cui si comincia con l'Adagio (Giulietta al balcone) che è una lunga preparazione degli archi, con rari interventi dei fiati, alla presentazione del tema di Romeo, il love-theme, come si usa dire, inizialmente esposto dal 4° corno e dai primi violoncelli:


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Poi è tutto un ritornare su questo tema, con variazioni (piccole o grandi) di struttura, di tempo e di volume del suono, insomma, tutte le possibili (kamasutriche…) forme e posizioni che può assumere il rapporto fra due innamorati. Non per nulla tale Wagner – autore del Tristan – riconobbe pubblicamente i meriti del Berlioz autore del Roméo.

Chissà che la buona prova in questo assaggio non porti la direzione musicale a mettere in programma l'intera sinfonia in un prossimo futuro: se lo meritano sia l'opera che... il pubblico!

Chiude il concerto l'ouverture-fantasia Romeo e Giulietta di Ciajkovski, già presentata – con Grazioli sul podio - nella scorsa stagione. Qui, a differenza dell'intimistico Berlioz, abbiamo lo scatenamento delle passioni (= percussioni: grancassa, piatti, oltre agli interventi tempestosi dei timpani). Zhang ne cava un'esecuzione trascinante, accolta da interminabili applausi e ripetute chiamate.

Next week un solenne ed enigmatico Elgar, seguito dal più allucinato dei Rachmaninov.

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