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05 febbraio, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 17

Tutto Shakespeare nel programma del diciassettesimo concerto della stagione. Programma evidentemente di appetibilità dubbia, visto che lascia un Auditorium purtroppo assai poco affollato. (Pochi, ma buoni ?!)

Eric Wolfgang Korngold è un musicista particolare, essendo nato a Brno e cresciuto nella Vienna e nella Mitteleuropa tardo-romantica di Mahler, Strauss, Zemlinsky, per poi trasferirsi – geograficamente, ma anche artisticamente - a Hollywood per dedicarsi, con grande successo, alle musiche da film. Della sua notevole produzione – fu un autentico bambino-prodigio - viene qui presentata la Suite di musiche di scena per Much ado about nothing, scritta nel periodo viennese, quasi contemporaneamente alla sua opera più famosa, Die tote Stadt, ancora oggi abbastanza eseguita. Questa di Shakespeare – Molto rumore per nulla - è una commedia degli equivoci e dei tiri burloni, ma anche dei doppi sensi a sfondo umoristico o volgare (il nothing del titolo può essere interpretato, in gergo elisabettiano, come 'n O-thing, in italiano sorca, passera, vulva… insomma, ci siamo capiti).

La Suite prevede un'orchestra con organico ridotto. In particolare – nella sezione archi - Grazioli schiera il puro quartetto; più nutrite le sezioni di fiati e percussioni; l'arpa è in prima fila a sinistra e il pianoforte dietro, a destra. Consta di 5 brani: 1. Ouverture, che sembra già precorrere il futuro americano di Korngold (Broadway, per la verità, più che Hollywood); 2.La ragazza nella camera nuziale; 3. Dogberry e Verges (il capo della polizia di Messina e il suo braccio destro, due tipi alla totò&peppino); 4. Intermezzo (assai straussiano); 5. Masquerade (il ballo mascherato organizzato dal governatore di Messina, dove sembra di sentire atmosfere mahleriane da Wunderhorn). Il tutto dura circa un quarto d'ora, ma per Grazioli è un bel modo per rompere il ghiaccio, con questa musica leggera e orecchiabile.

Accantonato per il momento il grande di Stratford (salvo che per la geografia) si passa a William Walton, un nostro contemporaneo (scomparso 27 anni fa) autore di ogni tipo di musica ("basta che mi paghino, io scrivo di tutto e per tutti" pare confessasse candidamente il nostro) inclusa quella da film, dal 1920 ai primi anni '80. E anche amico dell'Italia, avendo soggiornato parecchio, fino alla morte, in una specie di esilio dorato, a Forio d'Ischia, di cui ci resta la perenne eredità del giardino botanico della Mortella. Walton ebbe l'onore di rappresentare una sua opera (Troilus and Cressida, scritta per emulare il Peter Grimes di Britten) nientemeno che alla Scala (1956) e in versione ritmica italiana predisposta nientemeno che da Eugenio Montale. Sfortunatamente con esito catastrofico, dalla seconda moglie argentina (Susanna) attribuito alle défaillance della soprano, a suo dire capitata a cantare proprio durante il suo ciclo mestruale (!?!)

Guarda caso, questa settimana la BBC gli dedica una mini-serie (Composer-of-the-week) con quotidiane trasmissioni – ascoltabili per 7 giorni, on-demand - delle sue opere più importanti e proprio ieri ha trasmesso il Concerto per Violoncello, composto a Forio d'Ischia nel 1956 in omaggio (retribuito 300 dollari!) al grande Gregor Piatigorsky. Qui un'esecuzione del dedicatario (forse già pentitosi di aver sborsato quella sommetta per un simile concerto?): 1.mov; 2.mov; 3.mov-a; 3.mov-b.

Steven Isserlis, britannico e quindi con affinità elettive con l'Autore, ci ha intrattenuto con maestrìa e – nel secondo movimento, Allegro appassionato, come nelle due lunghe cadenze nelle variazioni del terzo - ha fatto sfoggio di tutto il suo virtuosismo, porgendoci al meglio questa musica, al primo ascolto abbastanza ostica, ma pur sempre ancorata a forme e strutture tradizionali, più vicina a Stravinski che non a Boulez, tanto per semplificare al massimo. Chiamato da applausi insistenti, Isserlis ha gentilmente concesso un bis: ha posato l'archetto ed ha letteralmente aggredito con le 10 dita le 4 corde dello strumento, in un vorticoso pizzicato. Che gli ha meritato ulteriori applausi.

Dopo l'intervallo è la volta di Hamlet, la Suite dalle musiche di scena scritte da Dimitri Shostakovich nel 1932. È il primo di una serie di lavori che il compositore dedicò alla tragedia shakespeariana. Sono 13 brani – poco più di un minuto a testa - di musica orecchiabile, quasi da balletto, con largo impiego di percussioni, di uno Shostakovich che sta arrivando alla maturità (ha appena composto la Lady Macbeth) e il cui caratteristico stile si riconosce da lontano e non si può non apprezzare.

Si chiude con Romeo&Giulietta di Ciajkovski, naturalmente la versione ultima del 1880, anch'essa profondamente influenzata da Balakirev, e che ha differenze strutturali rispetto alla prima, assai più semplice e più breve. È percorsa dai tre temi principali: padre Lorenzo, la guerra fra Capuleti e Montecchi e l'amore dei due protagonisti. Il primo dei temi – una specie di corale di marca tipicamente russa - è proprio la novità principale dell'ultima versione, e fa da collante per gli altri due, entrando con essi in dialogo. Anche il finale è diverso: intanto per l'ampliamento della riproposizione del tema dell'amore; poi, perché la prima versione chiude con due secchi accordi perfetti di SI maggiore, mentre l'ultima, dopo sei accordi in fortissimo, si conclude con un semplice, vuoto ma drammatico, SI naturale in tutti gli strumenti, arpa e flauti esclusi.

Oggi – magari senza conoscerne l'origine – molti ne hanno presente proprio il motivo del love-theme (esposto nell'opera dapprima in REb e poi in RE) perché impiegato in spot pubblicitari, oltre che come sottofondo in diversi film:


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Grazioli ne dà un'interpretazione coinvolgente, creando bene le diverse atmosfere che caratterizzano i temi principali: religiosa, arroventata (con formidabili interventi delle percussioni, piatti in testa) e strappalacrime. Ne esce un pezzo di grande effetto, come dev'essere, che guadagna agli esecutori altri calorosi applausi del pubblico.

Il prossimo concerto vedrà protagonista il fantastico Berlioz.

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