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22 dicembre, 2009

Concerto di Natale verdiano alla Scala

Dopo il Requiem, che ha ricevuto per la verità accoglienze controverse, Daniel Barenboim si ri-cimenta nel Verdi sacro per il Concerto natalizio della Scala. Teatro con parecchi vuoti, probabilmente conseguenza del maltempo.

Orchestra con disposizione moderna, salvo l'inversione di leggìi fra violoncelli e viole, forse per non soffocare queste ultime fra i bassi.

Come antipasto, il Quartetto trascritto per orchestra d'archi. Barenboim dirige a memoria e senza bacchetta. Come sempre in questi casi, l'esecuzione da parte di un grande complesso aggiunge turgidezza e maestà alla composizione, ma fatalmente la priva della sua caratteristica peculiare: l'aspetto solistico (caso emblematico ne è il cantabile in LA maggiore del Prestissimo, affidato ai violoncelli). Perciò accontentiamoci, prendendo atto dell'estrema cura che gli archi filarmonici e il Maestro hanno profuso per portare questo capolavoro alle nostre orecchie nel modo migliore.

Senza intervallo, entrano tutto il resto dell'Orchestra e il Coro per i Quattro Pezzi Sacri. Qui Barenboim si fa portare leggìo e partitura, ed entra brandendo la sua bacchetta… che però lascerà depositata sul leggìo.

L'Ave Maria si appoggia alla famosa scala enigmatica (sconquassata, come Verdi la chiamava) del bolognese Adolfo Crescentini: DO - REb - MI – FA# - SOL# - LA# - SI – DO (con intervalli di 1-3-2-2-2-1-1 semitoni). Che incombe dapprima sui bassi, poi sulle contralto, indi sui tenori e infine sulle soprano, prima dell'Amen conclusivo. Quale che sia l'enigma che ci sta dietro, Verdi mostra di saperne cavare un gioiello di armonia e melodie. E il coro di Bruno Casoni ce lo presenta con grande precisione e soprattutto con appropriatezza di espressioni.

Lo Stabat Mater di Barenboim rende tutta la profondità del doloroso testo di Jacopone. Una particolare menzione meritano l'arpa e gli strumentini per lo stupendo accompagnamento del Paradisi gloria, con sestine puntate, mirabilmente sottolineate da quelle degli archi alti. Dopo l'Amen, davvero cupo, come Verdi prescrive, il suono di clarinetti, fagotti e corni, imitati da viole e violoncelli, con l'aggiunta dei contrabbassi nelle ultime due misure, a riproporre l'iniziale Stabat mater dolorosa.

La dantesca Laude della Vergine impegna ancora il solo coro, anzi le sole signore, veramente brave nell'esprimere i diversi dolce, dolcissimo, cantabile dolcissimo e calmo, morendo, che Verdi dispensa a piene mani nelle 86 battute del brano.

Infine il Te Deum, con il cantus firmus iniziale e i due cori che sembrano farsi eco in lontananza, prima dell'esplosione del SOL sul pedale di MIb maggiore che infiamma l'atmosfera. Per la chiusa compare, in un angolino del coro, e facendo una piccola digressione dal para-religioso personaggio dante-bizetiano di Micaëla, Adriana Damato. Qui deve cantare poche battute, ma per lei assai appropriate, in vista dell'ultima recita di Carmen: In te, Domine, in te speravi. Il suo SI acuto in diminuendo parrebbe di buon auspicio…

Milano, come spesso le accade, non ha mezze misure. Così siamo circondati da montagne di neve, ora infradiciate dalla pioggia, che danno al centro cittadino più l'aspetto di una discarica, che di un presepe. Ma comunque sia, Buon Natale!

2 commenti:

mozart2006 ha detto...

Grazie ancora per le tue preziose cronache della vita musicale milanese, molto più attendibili di quelle che si leggono sulla stampa italiana.

daland ha detto...

@mozart2006

Grazie a te e buone feste!