Sulle possibili dissacrazioni o scandalose interpretazioni di cui potrebbe essere oggetto la prossima Carmen alla Scala si è scritto e letto parecchio. Va da sé che solo le rappresentazioni si potranno giudicare, nel bene e/o nel male.
Intanto però – a mo' di passatempo - è possibile stabilire che cosa non dovrebbe essere un'interpretazione dell'opera, che non voglia smaccatamente stravolgerne le caratteristiche fondanti. Vediamo quindi quali sono queste caratteristiche.
Intanto una considerazione generale: potrebbe sembrare un'ovvietà, ma va tenuto presente che la Carmen in cartellone è quella di Meilhac-Halévy (libretto) e di Bizet (musica). Non è quella di Mérimée, tanto per essere chiari. Anche se quest'ultima fornì l'ispirazione a Bizet e ai suoi librettisti e - paradossalmente – fu amatissima dal compositore. Ma quella che Meilhac-Halévy scrissero e che Bizet mise in musica è totalmente altro dalla novella di Mérimée. Per usare un linguaggio chimico, o gastronomico, la Carmen di Mérimée è composta per il 20% di leggerezza ed esteriorità e per l'80% di vicende della mala, drammi, psicopatie e tragedia; quella di Bizet ha ingredienti in proporzioni esattamente ribaltate: 80% commedia e 20% tragedia e dramma. E poco ci debbono interessare le ragioni di questa diversità; che risiedano nella sensibilità del musicista e dei suoi librettisti, o nella bigotteria e nel conformismo dei responsabili del Teatro che aveva commissionato l'opera, o nei divieti della censura, o in tutte queste cose messe insieme e in altre ancora, resta un fatto: la Carmen di Bizet è fatta così e non cosà. E al pubblico – o almeno a quella parte di esso che paga il biglietto per vedere e sentire la Carmen di Bizet – non dovrebbe essere propinata una sua versione adulterata, per quanto rifacentesi alle remote fonti che la ispirarono. Sarebbe come se, dovendo inscenare Die Walküre, invece dei testi e dell'intreccio di Wagner, si impiegassero quelli della Völsungasaga, alla quale Wagner pur vagamente si ispirò: sarebbe una stupidaggine, pura e semplice (ahinoi, la realtà ci dice che di simili stupidaggini se ne sono viste già fin troppe, e ciò dovrebbe essere un buon motivo per non perpetrarne di nuove).
A proposito di commedia, subito il primo atto dell'opera ci introduce nella vita di tutti i giorni di una città, con "gente che viene, gente che va", e persino con un siparietto (la Pantomime, sempre in bilico fra l'essere eseguita o espunta) una specie di gag, di scenetta davvero degna di Totò: un attempato signore che passeggia con una bella e giovane donna e si imbatte nell'amante di lei che lo buggera indicandogli l'uccellino, mentre lui passa furtivamente un biglietto d'amore alla donna. Essendo ambientato a Siviglia, potrebbe persino essere una specie di citazione rossiniana, protagonisti Bartolo, Rosina e Lindoro. Insomma, un fatto che nulla ha a che fare con la vita - menchemeno con il dramma – di Carmen, ma che rende bene l'idea della generale ambientazione leggera dell'Opera. La vita quotidiana continua a scorrervi, dall'inizio alla fine, senza che nulla cambi o mostri di cambiare, fra gente che fa il suo lavoro e si diverte e altra che sbarca il lunario con attività più o meno clandestine. È in questo quadro che si inserisce la storia a fine tragico di Carmen e José, come fosse una vicenda di cronaca nera, di quelle che occupano forse la prima pagina della locale gazzetta per un paio di giorni, dopodiché tutti riprendono le loro attività o – come i soldati - il loro passatempo di osservare la gente che viene e che va. Ciò ovviamente non significa che si debba inscenare un banale stereotipo di Spagna vista con occhi francesi; ma qualunque forzatura, in senso socio-politico, di questo quadro sarebbe del tutto ingiustificata e fuori luogo.
Mentre nel racconto di Mérimée la tragedia ci viene annunciata assai presto, e il seguito altro non è se non un lungo, dettagliato e mediamente tetro resoconto dei fatti, avvenimenti e sentimenti che l'hanno determinata, nella Carmen di Bizet il finale drammatico non è per nulla prevedibile fin dall'inizio: l'opera – e questa è la sua caratteristica peculiare, che ne fa un capolavoro - si muove attorno ad un progressivo cambiamento di atmosfera, che va dal fatuo clima da operetta (all'inizio ci sembra di essere al Paese dei campanelli…) che nulla di tragico lascia presagire, a quello equivoco, ma anche sanguignamente pomposo, che comunque comincia a preoccupare (Pastia) a quello notturno e tenebroso presso la base dei contrabbandieri, al presentimento di morte (le carte) di Carmen e finalmente sfocia nella catastrofe (anche questa peraltro incastonata in una festa di popolo). E questo è anche il percorso che - grazie alla musica di Bizet - lo stato d'animo dello spettatore dovrebbe seguire. Se invece – fin da subito – la scena fosse occupata da segnali, o simboli, o riferimenti al tragico finale cui Carmen e José sono predestinati, sarebbe come se – in un film poliziesco – già alla sua prima apparizione il colpevole venisse identificato e poi perennemente seguito da un simbolo, una freccia o una didascalia! Daremmo subito del matto a quel regista, credo!
Ora passiamo al paesaggio. Siviglia non è più vincolante per Carmen, José, Escamillo e Micaëla di quanto lo sia per Figaro, Rosina, Lindoro e Bartolo. Manifatture di tabacco, locande equivoche e contrabbandieri sono sparsi sull'intero pianeta; e ogni paesotto ha il suo presidio di militari, polizia o carabinieri. Attenzione però: uno dei personaggi di Carmen fa di professione il torero, tutti cantano a squarciagola Toreador, e il finale dell'opera è precisamente ambientato nei pressi di una plaza-de-toros. Allora, tanto per dirne una, domandiamoci quale senso avrebbe un'ambientazione messa in un impianto sportivo diverso (ad esempio un autodromo dove corresse un campione di Formula1 a nome Escamillo, oppure un palazzo dello sport dove si tengono incontri di pugilato) ma dal quale arrivassero le note del coro che canta: "Viva! è bella la gara! Viva! Sanguinante sulla sabbia, il toro si slancia! Guardate! Guardate! Il toro punzecchiato a balzi si slancia!" Ma anche la corrida ambientata in un posto tipo Ghardaia sarebbe difficile da giustificare, non meno di quella ambientata a Cinisello Balsamo. Insomma, da Siviglia si potrebbe anche traslocare, ma per ragioni che andrebbero ben dimostrate, e non per il solo gusto - preteso innovatore - di ambientare la vicenda da qualche altra parte, o in nessun luogo preciso. E poi comunque Carmen canta "Près des remparts de Séville"… o cambiamo anche il testo in "Près des remparts de Ciniselle"?
Veniamo ai personaggi. Le sigaraie entrano in scena facendo le civettuole con i ragazzi e cantando in uno spensierato MI maggiore, leggero come il fumo che espirano! Se hanno dei problemi, come si vedrà nella scena della lite, questi non sono certo di tipo sindacale né politico, ma trattasi solo di stupidi screzi basati su altrettanto futili sottintesi e doppisensi. Finchè sono in scena non fanno che mostrare allegria e gioia di vivere, nessuna si lamenta più di tanto per via del lavoro faticoso e alienante. Insomma, qui non c'è nemmeno l'ombra di problematiche socio-politico-rivendicative, non c'è ombra di femminismo; c'è solo femminilità - magari vuota e stupidella – ma null'altro! Infilarci dell'altro sarebbe operazione arbitraria, ingiustificata e, in fin dei conti, falsificatoria.
Carmen – basta leggere il libretto e ascoltare la musica – è un personaggio che non cambia mai. Lei è sempre la stessa: da quando la si vede entrare in scena – anzi da prima ancora, quando solo se ne avverte la presenza – a quando finisce ammazzata all'ultimo. Assolutamente nessun mutamento nel suo approccio esistenziale, nelle sue idee, nei suoi convincimenti. E nelle sue superstizioni. Lei è già – è stata da sempre – una donna libera ("Libera è nata, e libera morrà") ed è matura alla sua maniera, compresi gli aspetti patologici di questa sua maturità; dalla vita non ha nulla da imparare, nulla vuol imparare e nulla infatti impara. Anzi, è pervasa da un fatalismo che le impedisce di fermarsi un solo secondo a ragionare. Ecco: se ci venisse propinata una Carmen che, in qualche modo, fa tesoro di esperienze, matura convinzioni, insomma si emancipa, questo sarebbe un autentico tradimento del capolavoro di Bizet (e nemmeno sarebbe fedele a Mérimée, per la verità).
Qualcuno ha voluto fare paralleli fra Carmen e Violetta: forse epidermicamente ve ne possono essere, ma nella vera sostanza le due donne sono agli antipodi. Perché, a differenza di Carmen, Violetta cambia, matura, scopre che la vita le può offrire un'altra, insperata e meravigliosa alternativa. Carmen, di amore – vuoto, effimero? forse, ma certamente suo - ne ha quanto ne vuole, decide lei come prenderselo. Violetta l'amore non lo conosce, ma quando lo scopre quasi se ne stupisce e decide di mutare radicalmente la sua vita. Carmen non segue i contrabbandieri per amore della vita clandestina e della libertà (la sua libertà lei la vive da sempre) e menchemeno per amore di José, ma solo perché la gratifica il ruolo che lei sostiene nell'organizzazione della banda del Dancaïre, dove le viene affidato un compito che è pienamente affine alla sua natura: circuire con le sue moine qualche doganiere per distoglierne l'attenzione dal Dancaïre medesimo e dai suoi soci. Vissuta l'esperienza, torna subito in città, dove la aspetta la nuova, ennesima avventura, con Escamillo stavolta. Il trasferimento di Violetta in campagna, con Alfredo, è invece una decisione definitiva, esistenziale, duratura, che verrà vanificata solo dall'intervento prevaricatore del vecchio Germont. Carmen non esita a dire in faccia a Josè una verità nuda e cruda: lei non lo ama più (perchè il suo nuovo amore è il torero). Violetta invece, dopo il ritorno nella vita parigina, addirittura simula il suo comportamento leggero per indurre Alfredo a disprezzarla e quindi dimenticarla, e lo fa al solo scopo di compiacere il padre di quello stesso uomo che lei continua ancora e sempre ad amare.
Ora, ci venisse proposta una Carmen Violetta-like, ci sarebbe da sporgere denuncia…
Anche José, al contrario di Carmen, è uno che cambia, e parecchio! Ma come e perché cambia? Cambia perché è immaturo, debole e psicologicamente indifeso. Cambia perché si fa trascinare dalla pura e semplice (e per di più devastante) passione. E, attenzione, lui cambia, ma non matura! Se c'è qualcosa che manca totalmente nei suoi comportamenti, è la coscienza della sua situazione. Lui resterà fino alla fine un povero bamboccio ingenuo, in balìa di tempeste psichiche, col cervello atrofizzato. Quando decide di seguire i contrabbandieri, non lo fa certo per aver maturato convinzioni politiche rivoluzionarie, ma solo per sfuggire ad una punizione e – soprattutto – perché attirato dall'idea di poter stare – per tutta la vita, povero illuso! – con la bella gitana. Lui è vittima inconsapevole e beota del tranello (la libertà!) tesogli da Carmen, che sarà pure invaghita di lui – temporaneamente – ma che sta di fatto eseguendo gli ordini del Dancaïre, che ha bisogno di reclutare forza fresca per le sue criminose imprese. Ecco: se ci venisse proposto un Josè che matura, che scopre le ingiustizie e i mali del sistema, a cui decide di ribellarsi, questo sarebbe un disastro, una totale adulterazione dell'essenza del personaggio.
Escamillo è l'altra metà di Carmen. Anche lui si innamora della bella gitana, come Josè, ma lui, come Carmen, è maturo, è un uomo di mondo, abituato a giudicare ogni situazione con grande freddezza (come potrebbe altrimenti affrontare il toro nell'arena?) E sa infatti aspettare pazientemente il suo turno, fin dal primo approccio presso Pastia e anche dopo l'infruttuoso sopralluogo in montagna (dove del resto arriva quasi per caso) e dove canta sì (di Carmen) "io l'amo alla follia", ma senza alcun particolare pathos, con calma e sicurezza, in un tranquillo e per nulla passionale REb maggiore. Tant'è vero che subito se ne torna a Siviglia, dando appuntamento "a chi mi ama" per festeggiare, dopo la corrida. Insomma, è un Dominguin (che molti di noi ricorderanno, e di cui ancora vediamo i figli Bosè in giro): gloria e belle donne; un tipo che molti invidiano e altrettanti compatiscono, fine. È però dotato pure lui di cuore e di sentimenti, è un buono (altrimenti farebbe secco Josè come nulla, nel duello, mentre invece "Io ammazzo tori, non certo esseri umani" gli dice). Il suo tema suonato e cantato sguaiatamente nel secondo atto non tragga in inganno; basterà ascoltare come viene esposto – da violoncelli e clarinetti - nell'atto terzo. Ora, se Escamillo ci venisse invece presentato come un truce, un tipo volgare, becero, prepotente e assetato di sangue, significherebbe non aver capito proprio nulla di lui.
Infine, Micaëla. Lo stereotipo della donnicciola bigotta, tutta casa-e-chiesa, inesperta di mondo e con la mente obnubilata dall'ossessione di accasarsi con Josè, è quanto di più falso e bugiardo si potrebbe costruire attorno al personaggio. Anche qui, basta leggere il libretto e studiare la musica per convincersi che lei sarà sì poco più di una ragazzina, ma sa cavarsela benissimo nella vita (sulle montagne, è più coraggiosa lei della sua guida, e il fatto che il coraggio le venga dalla fede non ne intacca il valore); è insomma una persona matura, pur se con princìpi assai conservatori, ma assolutamente da rispettare. Che poi sia innamorata di Josè sarà pur vero, ma mai lei glielo fa pesare, nemmeno con una parola, perché sempre mette al centro delle sue azioni le cure per la vecchia madre dell'ex-brigadiere, cui deve perenne riconoscenza per essere stata allevata – lei orfanella - come una figlia.
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Ecco, ciò che uno spettatore normale – ma che ne conosce testo e musica - si attende è di godersi l'opera per quello che è, con pregi e difetti, ma con le sue peculiari caratteristiche. Non certo una cervellotica e intellettualoide interpretazione in chiave psico-socio-politico-tragico-esistenzial-verista, con dosatura di ingredienti selon Mérimée. Dateci semplicemente – e sarà già molto, moltissimo - la Carmen di Bizet.
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Visto che siamo in piena vigilia carmenense, mi fa piacere segnalare due blog che trattano dell'argomento in modo simpatico e distensivo: Amfortas, che ci guida nel mondo delle altre Carmen (in attesa di quella che interessa ai melomani) e Milady de Winter, che ha iniziato a proporci una travolgente sinossi dell'opera (c'è da stare davvero in ansia per il finale!)
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