Dopo l’anteprima di domenica 6 alla Scala, laVerdi è tornata nella sua casa dell’Auditorium di Largo Mahler con un
programma di tutto rilievo e di pura tradizione, come spiega
qui Xian Zhang, nuova guida musicale dell’Orchestra.
Auditorium quasi al completo per questa apertura di stagione; c’è anche una nuova gestione del bar, che offre un calicetto a fine concerto. Un volantino annuncia poi che da giovedi prossimo l’ATM metterà a disposizione un
jumbo-tram straordinario, dopo il concerto, per tornare a Piazza Duomo. (Domande: come fa il tramviere a conoscere al minuto l’ora della fine del concerto? che fa, si ferma lì davanti in via Meda, a bloccare il traffico, finchè almeno 200 persone non escono dall’Auditorium? oppure si tratta semplicemente di una corsa aggiuntiva del 3, programmata più o meno verso l’ora di fine presunta del concerto, e chi c’è c’è? Tanto per cominciare, ieri sera la corsa del 3 delle 22:18 è saltata bellamente e la gente – ma eravamo sì e no in 30 - ha dovuto aspettare quella delle 22:34!)
Altra nota di cronaca: oggi è l’anniversario della tragedia delle
Twin Towers: proprio l’11 settembre del 2003,
laVerdi tenne un concerto straordinario in memoria delle vittime, suonando
Ein Deutsches Requiem, sotto la guida di Claus Peter Flor.
E torniamo quindi alla musica.
Si comincia con i
Vier letzte Lieder di Strauss, cantati da
Orla Boylan, che era alla terza esperienza con questi lieder, da lei già interpretati con le orchestre di St.Gillen (Jiri Kout) e Hallé (Sir Mark Elder).
I VlL sono una specie spuria (chè Strauss non li pensò come ciclo) ma sublime di
quattro stagioni: dalla primavera in tutta la sua magnificenza,
come un prodigio; all’estate che in settembre trascolora, ma ancora
sorride stupenda e languida; all’autunno dei sensi che si assopiscono, mentre l’anima
in liberi voli si librerà; e infine all’inverno della
vasta e silenziosa pace.
Poco c’è da dire sul contenuto musicale, che già non sia stato scritto. Mi limito a citare come curiosità un paio di dettagli (un poco bizantini, o maniacali, lo ammetto, ma sono legati a ciò che Strauss ha scritto sul pentagramma): due passi che pongono problemi di esecuzione alla cantante, e che perciò sono spesso interpretati in modo difforme dalla partitura originale.
In
Frühling l’ultima parola è
Gegenwart. Strauss estende la prima sillaba (
Ge) su quasi 4 misure, per la precisione su 33 crome (siamo in 9/8, tempo
allegretto, ma
un poco più tranquillo) tutte in un unico
legato: ciò richiede alla cantante di
tenere per un tempo che va dai 12 ai 15 secondi, su una melodia peraltro relativamente pianeggiante (FA#-MI-SOL#-FA#-MI-RE). Non tutte le
soprano rispettano Strauss alla lettera; due esempi:
Edda Moser, che è quasi perfetta; e invece la nostra
Orla Boylan, che prende il respiro dopo due misure, circa a metà della frase (e non è la sola); altre soprano (compresa la grande Gundula Janowitz, che peraltro tiene con Celibidache un tempo lentissimo) respirano dopo tre misure.
In
Beim Schlafengehen c’è il famoso
tausendfach, la cui prima sillaba (
tau) copre quasi 4 misure (estendendosi dal LAb al SIb acuto, per poi scendere al MIb) e che Strauss ha notato in totale
legato (15 crome, siamo in tempo di 4/8,
andante, ma qui
molto tranquillo). Bene, a partire dalla
Flagstad, che eseguì per prima i 4lL con Furtwängler nel 1950, tutte le soprano - solo su
youtube ne trovate un paio di dozzine! - prendono il respiro dopo la seconda misura (8 crome) ed anzi molte di loro ripetono due volte la radice
tausend della parola. Tutte, meno due. La prima è
Teresa Stich-Randall, che esegue il
legato – oltretutto a tempo davvero
sehr ruhig, come prescrive Strauss - in modo impeccabile, per circa 20 secondi (a meno che non sia tutta una
montatura in studio dei tecnici del suono?) L’altra è proprio la nostra
Orla Boylan, che per la verità, dopo 14 secondi, arriva fino alla croma 13 e poi incespica, scorda addirittura il testo e raffazzona ciò che segue in modo invero penoso… ma almeno ci ha provato.
Per la cronaca, ieri la Boylan ha “respirato” a metà in entrambi i passi, evitando così il peggio. La sua è stata nel complesso una onesta prestazione: la voce nei passaggi alti ha inflessione tendente al metallico, quindi non proprio gradevole e in basso (RE, REb, DO)
passa pochissimo. L’Orchestra l’ha peraltro supportata bene, suonando forse ancor più cameristicamente di quanto già la partitura non contempli (note di merito qui per violino e corno solisti, giustamente chiamati per applausi personali). Si apprende dal programma di sala che la Boylan canterà prossimamente i 4lL anche a casa sua, con la
RTE di Dublino: non potrà che migliorare ancora, c’è da starne certi. Una nota di colore: la nostra è una ragazzona molto in carne (come si deduce da ciò che
lei stessa dice di sé, a proposito di debolezze per la buona cucina…) e quando è entrata sul palcoscenico, seguita dalla piccola Xian (che è
veramente piccola) pareva una tata che si porta dietro il bambino da accompagnare a scuola!
Ancora un paio di considerazioni sui 4lL.
Nell’epilogo di
Im Abendrot, dopo la parola
Tod (morte) Strauss cita un frammento del tema dell’
ideale, da
Tod und Verklärung, scritto
"solo" sessant’anni prima: là concludeva – la trasfigurazione! – in un affermativo DO maggiore… qui c’è ancora grande serenità, ma dal 1889 i tempi sono cambiati, ciò che là si era descritto dal di fuori adesso lo si vive dal di dentro, ma soprattutto tante illusioni e tanti
ideali sono annegati in un mare di sangue, quindi…
bisogna abbassare i toni; precisamente di un semitono, a DO bemolle. Per poi chiudere citando l’
adagio della
settima bruckneriana – già di per sé carico di simboli - anche qui abbassato di un semitono, a MIb. Ecco: rimandi, significati, segnali, allusioni, ammiccamenti e ripensamenti che soltanto
la musica consente di esprimere in modo così stupefacente!
Qualcuno sostiene che il
Lied sia un genere minore, insomma:
canzonette d’arte, nulla più. Evidentemente si è fermato a Tosti. Questi ultimi lieder di Strauss non sono che l’ennesimo tributo ad una tradizione (non solo tedesca per la verità) di grande, grandissima arte, i cui frutti meritano giustamente di stare a fianco e alla pari di altre forme (concerti, sinfonie) nei programmi delle istituzioni musicali.
E appunto parlando di sinfonie, con le orecchie ancora rimbombanti dei suoni della
Santa Cecilia di due giorni addietro, riascoltiamo per un’altra volta la
Quinta di Ciajkovski.
Va premesso che l’Orchestra – ci saranno stati ricambi da quei tempi, ma l’ossatura è rimasta – è nata con tale
Vladimir Delman, che di Ciajkovski un pochettino se ne intendeva. Ed ha evidentemente lasciato il suo DNA, che ancora si sente (qui nella
Quinta peraltro – vado a ricordi di quasi 20 anni fa ai tempi dell’Orchestra RAI, con cui il maestro russo registrò in TV le sinfonie, e altro, di Ciajkovski, con annesse lezioni – Delman mi pareva smussare maggiormente certe spigolosità e tenere di più a freno le non poche enfasi retoriche).
Il confronto con i
ceciliani è arduo, anche per mere ragioni materiali: quelli sono di più, nella sezione archi; poi si dispongono alla tedesca, portando avanti tutti i violini e mettendo in retroguardia i violoncelli e a sinistra i bassi; poi martedi suonavano al Conservatorio, sala dalla topografìa opposta a quella dell’Auditorium (il quale è stato ricavato da una sala cinematografica, va ricordato…) Insomma, troppe variabili al contorno che rendono difficilmente confrontabili – dal punto di vista della pura resa sonora – le due esecuzioni. E l’ambiente materiale influenza anche l’attitudine dell’ascoltatore, e le sue sensazioni: là di grandiosità e uniformità di colore, qui di spigolosità e forti contrasti (ad esempio, nel raccolto ambiente dell’Auditorium gli schianti di timpani e ottoni – a parità di esecuzione materiale - risaltano assai più che nel grande spazio del Conservatorio). In comune fra le due compagini ho notato
il piacere di far musica, che mi sembra la cosa più importante (sarebbe interessante stabilire se questa attitudine sia tipica di orchestre puramente dedite al concerto, rispetto a quelle dei teatri d’Opera…)
Dal punto di vista interpretativo, ho trovato personalmente più similitudini che distanze fra Matheuz e Zhang (o i rispettivi mèntori, sarebbe da dire). Persino nei particolari, ultimo dei quali il sigillo finale, il
ta-ta-ta/tà, eseguito da entrambe le formazioni con estrema pesantezza e con enfasi (per me) eccessiva, anche se di grande effetto (ma l’effetto a volte scade nella gigionerìa).
La
cinesina mi pare un tipo mica male – a dispetto della statura fisica (ma hanno forse alzato di una spanna il podio, per lei?) - capace di guidare con sicurezza una macchina che ha tanti cavalli da poter finire fuori strada, se non la si ha in mano più che saldamente: senza troppi fronzoli, gesti semplici ma perentori e attacchi sempre puliti. Grazie anche al grande affiatamento dei professori – non c’è dubbio – ma comunque è un rapporto che pare ben avviato. Già il prossimo 17 avremo un altro
test interessante.