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Nella regìa, senza dubbio. Giorgio Barberio Corsetti applica (ma sarebbe meglio dire: scimmiotta) canoni, metodi e procedimenti da Regietheater: roba che non desta più né scandalo, né sorpresa, avendo fatto ormai il suo tempo.
Siccome a noi, gente scafata del terzo millennio, una storia improbabile ambientata in tempi mitologici (e su un libretto che definire farraginoso è fargli un complimento) farebbe solo ridere (a proposito, si potrebbero ricavarci delle farse, tipo I due caporali di Lesbo o anche Totò, Saffo e i Polli d’oro) allora si porta il tutto ai giorni nostri, così che, invece di ridere, potremo piangere, coerentemente col genere di opera che Zelmira è, un dramma per musica. Guerrieri greci bardati con corazze ed elmi colla cresta? Ancelle agghindate con peplo e calzari allacciati sul polpaccio? Dico, scherziamo? No no, qui abbiamo il generalissimo Antenore e il suo feldmaresciallo Leucippo che guidano un commando di teste di cuoio armate di mitra e granate per impossessarsi dell’isola. I locali lesbici, fedeli di Ilo, sembrano degli incondicionales castristi, che alla fine abbatteranno il dittatore Batista (peccato che a Florez non mettano una bella barbona posticcia…) Quanto alle ancelle, oggi si chiamano badanti. Devono essere arrivate ieri sera in pullmann direttamente dall’Ukraina e dalla Moldova, ancora infagottate nei loro soprabitoni e copricapo da comunismo reale. Evvai! Così sì che ci sentiamo a casa nostra!
Poi: il ROF, causa tagli al FUS, ha dovuto fare il PAC (Piano Abbattimento Costi). Ha quindi acquistato un enorme specchio flessibile i cui costi si devono spalmare su tutte tre le opere in cartellone. Qui in Zelmira sale e scende per… chiedere a Barberio Corsetti, che dicono abbia una spiegazione pausibile, ma che si ostina a non rivelarla ad alcuno.
Per il resto, scene spoglie, con statuone di finte Venere di Milo che salgono e scendono, un drappo dorato con la scritta ψεῦδος (pseudòs, menzogna) che rovina a terra (la scritta) all’approssimarsi della fine della dittatura basata, appunto, sull’inganno, e immagini, riflesse dallo specchione, che ci dovrebbero dir qualcosa, ma in realtà servono solo a sviare l’attenzione dello spettatore (che si lambicca il cervello) dalla straordinaria musica del nostro Gioachino.
Sì, quanto a regìa si potrebbe fare – facilmente e ancor più a buon mercato - assai meglio.
Ma veniamo adesso al sodo.
JDF for president! Non avendo avuto il piacere di sentire un tale David (ero troppo piccolo ai tempi…) mi basta ed avanza ciò che mi regala il peruviano. Scarso nel recitare? Maybe, ma fra un Laurence Olivier che stonacchia e un manico di scopa che canta come JDF, non ho dubbio alcuno su chi scegliere! La sua è una vocina leggera? Appunto, perfetta per Ilo che, a dispetto del mestiere che fa (basta leggere attentamente i versi che gli sono riservati) è poco più che un ragazzo, ingenuo, innocente e dall’animo nobile e gentile. Sulla (in)fedeltà di JDF alla lettera della partitura rossiniana si può dir tutto, ma una cosa è certa: vivesse oggi, Rossini rifarebbe ciò che fece millanta volte quasi 200 anni fa: rimaneggiare la parte di un personaggio per adattarla alle qualità (evitandone accuratamente i limiti) dell’interprete di turno. Ergo, tutto a posto e… avercene! Al termine della sua aria-madre (Terra amica) il nostro viene gratificato da tre minuti netti di ovazioni e applausi, peraltro contrappuntate da una serie di stentorei buuh gridati da un unico spettatore, evidentemente il solo, fra i 1200 presenti, ad aver avuto la fortuna di ascoltare dal vivo il Rubini, o forse persino il David!
Gregory Kunde mi è parso addirittura migliore rispetto alla prima (udita per radio). È stato un Antenore di grandissima efficacia, nel portamento e soprattutto nel canto. Anche qui, si faccia avanti chi è sicuro di saper far di meglio. Alla fine della Scena VII, un’ovazione anche per lui, diciamo di un minuto, e qui il buatore solitario di poco prima è rimasto in silenzio (chissà, forse si era perso il Nozzari, ai tempi).
Kate Aldrich era stata oggetto, prima e dopo la prima, di critiche molto severe, che ne hanno contestato addirittura la scelta da parte della direzione del ROF. A me non era del tutto dispiaciuta neanche domenica, a dir la verità. Bene, ieri è stata però un’autentica sorpresa e confermo quindi il mio giudizio positivo, anche se non le canterò un peana. La parte non è tecnicamente impossibile, vero, ma la Aldrich è stata efficace – anche scenicamente – e mai in difficoltà. Dopo l’aria della Pasta anche per lei ovazioni a scena aperta, direi meritate. Sul perché sia stata preferita ad altre, non entro nel merito. Rilevo solo come sia facile sostenere che – là fuori – ci sono sempre dozzine di cantanti migliori: una considerazione di quelle che non costano nulla e vanno bene per qualunque circostanza.
Conferma ultra-positiva per Marianna Pizzolato, applauditissima alla fine. Che la sua voce sia adatta anche a interpretare il ruolo di Zelmira, è probabilmente vero, data la sostanziale somiglianza di tessitura dei due ruoli (non è difficile immaginare perché Rossini, in origine, avesse lasciato Emma in ombra, ampliandone solo successivamente il ruolo musicale, evidentemente per non disturbare la Colbran). Il duettino con Zelmira – più arpa e cor anglais - è stato la perla in un’interpretazione degnissima.
Eccellente il Leucippo di Mirco Palazzi: voce potente (l’unica a non perdersi sotto le bordate del poderoso coro nel finale primo) dizione precisa e portamento sicuro.
Alex Esposito è stato per me un ottimo Polidoro, nella sua cavatina come nei concertati, dove la sua voce è sempre passata alla grande.
Dignitosi gli altri due interpreti: Francisco Brito e Sàvio Sperandio.
Bravissimi, compatti e sicuri i coristi di Paolo Vero, a volte fin troppo invadenti nei confronti dei solisti.
Veniamo ora al Kapellmeister. Roberto Abbado ha diretto con apparente distacco, forse con tempi a volte blandi (adeguandosi involontariamente alla debolezza del dramma?) ma complessivamente la sua mi è parsa una direzione efficace, rispettosa dei cantanti, mai coperti dall’ottima orchestra del teatro bolognese. Non ho ieri notato neanche quelle piccole sfasature percepite domenica fra buca a banda in scena. Quindi: voto ampiamente positivo.
Alla fine gran trionfo per tutti, una decina di minuti di applausi e ovazioni.
Per finire, torniamo alla domanda: si potrebbe chiedere e fare di meglio? Se sì, allora perché mai non si trova nessuno – al di fuori del ROF – che ci si provi? Non vorrei proprio (parliamoci chiaro) che l’unica seria alternativa sia prendere Zelmira, seppellirla in una cripta, a futura memoria, assieme ad altri cimeli e reliquie della storia delle umane arti, metterci una grossa pietra sopra, e non pensarci più…
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PS: due parole – per ciò che possono contare – sulle altre opere in cartellone al ROF-09 (La Scala di Seta e Le Comte Ory) udite via etere. Francamente due delusioni. Forse scarsa cura nella preparazione? E/o interpreti mandati troppo precocemente allo sbaraglio?
Siccome a noi, gente scafata del terzo millennio, una storia improbabile ambientata in tempi mitologici (e su un libretto che definire farraginoso è fargli un complimento) farebbe solo ridere (a proposito, si potrebbero ricavarci delle farse, tipo I due caporali di Lesbo o anche Totò, Saffo e i Polli d’oro) allora si porta il tutto ai giorni nostri, così che, invece di ridere, potremo piangere, coerentemente col genere di opera che Zelmira è, un dramma per musica. Guerrieri greci bardati con corazze ed elmi colla cresta? Ancelle agghindate con peplo e calzari allacciati sul polpaccio? Dico, scherziamo? No no, qui abbiamo il generalissimo Antenore e il suo feldmaresciallo Leucippo che guidano un commando di teste di cuoio armate di mitra e granate per impossessarsi dell’isola. I locali lesbici, fedeli di Ilo, sembrano degli incondicionales castristi, che alla fine abbatteranno il dittatore Batista (peccato che a Florez non mettano una bella barbona posticcia…) Quanto alle ancelle, oggi si chiamano badanti. Devono essere arrivate ieri sera in pullmann direttamente dall’Ukraina e dalla Moldova, ancora infagottate nei loro soprabitoni e copricapo da comunismo reale. Evvai! Così sì che ci sentiamo a casa nostra!
Poi: il ROF, causa tagli al FUS, ha dovuto fare il PAC (Piano Abbattimento Costi). Ha quindi acquistato un enorme specchio flessibile i cui costi si devono spalmare su tutte tre le opere in cartellone. Qui in Zelmira sale e scende per… chiedere a Barberio Corsetti, che dicono abbia una spiegazione pausibile, ma che si ostina a non rivelarla ad alcuno.
Per il resto, scene spoglie, con statuone di finte Venere di Milo che salgono e scendono, un drappo dorato con la scritta ψεῦδος (pseudòs, menzogna) che rovina a terra (la scritta) all’approssimarsi della fine della dittatura basata, appunto, sull’inganno, e immagini, riflesse dallo specchione, che ci dovrebbero dir qualcosa, ma in realtà servono solo a sviare l’attenzione dello spettatore (che si lambicca il cervello) dalla straordinaria musica del nostro Gioachino.
Sì, quanto a regìa si potrebbe fare – facilmente e ancor più a buon mercato - assai meglio.
Ma veniamo adesso al sodo.
JDF for president! Non avendo avuto il piacere di sentire un tale David (ero troppo piccolo ai tempi…) mi basta ed avanza ciò che mi regala il peruviano. Scarso nel recitare? Maybe, ma fra un Laurence Olivier che stonacchia e un manico di scopa che canta come JDF, non ho dubbio alcuno su chi scegliere! La sua è una vocina leggera? Appunto, perfetta per Ilo che, a dispetto del mestiere che fa (basta leggere attentamente i versi che gli sono riservati) è poco più che un ragazzo, ingenuo, innocente e dall’animo nobile e gentile. Sulla (in)fedeltà di JDF alla lettera della partitura rossiniana si può dir tutto, ma una cosa è certa: vivesse oggi, Rossini rifarebbe ciò che fece millanta volte quasi 200 anni fa: rimaneggiare la parte di un personaggio per adattarla alle qualità (evitandone accuratamente i limiti) dell’interprete di turno. Ergo, tutto a posto e… avercene! Al termine della sua aria-madre (Terra amica) il nostro viene gratificato da tre minuti netti di ovazioni e applausi, peraltro contrappuntate da una serie di stentorei buuh gridati da un unico spettatore, evidentemente il solo, fra i 1200 presenti, ad aver avuto la fortuna di ascoltare dal vivo il Rubini, o forse persino il David!
Gregory Kunde mi è parso addirittura migliore rispetto alla prima (udita per radio). È stato un Antenore di grandissima efficacia, nel portamento e soprattutto nel canto. Anche qui, si faccia avanti chi è sicuro di saper far di meglio. Alla fine della Scena VII, un’ovazione anche per lui, diciamo di un minuto, e qui il buatore solitario di poco prima è rimasto in silenzio (chissà, forse si era perso il Nozzari, ai tempi).
Kate Aldrich era stata oggetto, prima e dopo la prima, di critiche molto severe, che ne hanno contestato addirittura la scelta da parte della direzione del ROF. A me non era del tutto dispiaciuta neanche domenica, a dir la verità. Bene, ieri è stata però un’autentica sorpresa e confermo quindi il mio giudizio positivo, anche se non le canterò un peana. La parte non è tecnicamente impossibile, vero, ma la Aldrich è stata efficace – anche scenicamente – e mai in difficoltà. Dopo l’aria della Pasta anche per lei ovazioni a scena aperta, direi meritate. Sul perché sia stata preferita ad altre, non entro nel merito. Rilevo solo come sia facile sostenere che – là fuori – ci sono sempre dozzine di cantanti migliori: una considerazione di quelle che non costano nulla e vanno bene per qualunque circostanza.
Conferma ultra-positiva per Marianna Pizzolato, applauditissima alla fine. Che la sua voce sia adatta anche a interpretare il ruolo di Zelmira, è probabilmente vero, data la sostanziale somiglianza di tessitura dei due ruoli (non è difficile immaginare perché Rossini, in origine, avesse lasciato Emma in ombra, ampliandone solo successivamente il ruolo musicale, evidentemente per non disturbare la Colbran). Il duettino con Zelmira – più arpa e cor anglais - è stato la perla in un’interpretazione degnissima.
Eccellente il Leucippo di Mirco Palazzi: voce potente (l’unica a non perdersi sotto le bordate del poderoso coro nel finale primo) dizione precisa e portamento sicuro.
Alex Esposito è stato per me un ottimo Polidoro, nella sua cavatina come nei concertati, dove la sua voce è sempre passata alla grande.
Dignitosi gli altri due interpreti: Francisco Brito e Sàvio Sperandio.
Bravissimi, compatti e sicuri i coristi di Paolo Vero, a volte fin troppo invadenti nei confronti dei solisti.
Veniamo ora al Kapellmeister. Roberto Abbado ha diretto con apparente distacco, forse con tempi a volte blandi (adeguandosi involontariamente alla debolezza del dramma?) ma complessivamente la sua mi è parsa una direzione efficace, rispettosa dei cantanti, mai coperti dall’ottima orchestra del teatro bolognese. Non ho ieri notato neanche quelle piccole sfasature percepite domenica fra buca a banda in scena. Quindi: voto ampiamente positivo.
Alla fine gran trionfo per tutti, una decina di minuti di applausi e ovazioni.
Per finire, torniamo alla domanda: si potrebbe chiedere e fare di meglio? Se sì, allora perché mai non si trova nessuno – al di fuori del ROF – che ci si provi? Non vorrei proprio (parliamoci chiaro) che l’unica seria alternativa sia prendere Zelmira, seppellirla in una cripta, a futura memoria, assieme ad altri cimeli e reliquie della storia delle umane arti, metterci una grossa pietra sopra, e non pensarci più…
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PS: due parole – per ciò che possono contare – sulle altre opere in cartellone al ROF-09 (La Scala di Seta e Le Comte Ory) udite via etere. Francamente due delusioni. Forse scarsa cura nella preparazione? E/o interpreti mandati troppo precocemente allo sbaraglio?
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2 commenti:
Per quanto si puó giudicare all´ascolto radiofonico, sono d´accordo con te.Decisamente un´esecuzione di livello superiore, per eaempio, all´Ermione dell´anno passato.Sulla tua frase conclusiva:la seconda che hai detto!
Ciao e buon Ferragosto.Qui piove che Dio la manda, accidenti...
@mozart2006
Contraccambio auguri di buone ferie. Qui (Romagna) non la manda dio, ma il governo, sta di fatto che è un’estate piuttosto umida… per ora almeno.
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