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Venerdi 21 e sabato 22 i Proms hanno ospitato la West-Eastern Divan Orchestra, diretta dal suo co-fondatore Daniel Barenboim.
Questa orchestra è una vera e propria scommessa perenne, come può esserlo il tentativo di far convivere pacificamente e proficuamente nello stesso recinto cani e gatti, guelfi e ghibellini… israeliani e palestinesi! Provate a mettervi nei panni di un violoncellista palestinese, nativo di Gaza, il giorno dopo che un raid della IDF ha provocato la morte di decine di suoi concittadini, incluso magari qualche suo parente. O anche, nei panni di una flautista israeliana che ha perso amici e conoscenti grazie ad un attentato di kamikaze palestinesi a Jaffa. E tutti a continuare a suonare insieme. Insomma, roba da chiodi!
Bene, questo complesso di separati-che-più-non-si-può riesce a suonare decentemente – non dirò meravigliosamente, chè il senso delle proporzioni va sempre mantenuto – il Preludio e il Liebestod del Tristan e poi, più che decentemente in verità, la Fantastica di Berlioz! Alcuni strumentisti, un’ora dopo, ci fanno ascoltare il delizioso Ottetto di Mendelssohn, e un tirato Concerto da camera di Berg. Grazie davvero, di questi tempi!
Ma il grande appuntamento è il Fidelio del 22. Un Fidelio perfettamente nello spirito dei Proms, a metà fra la scampagnata e l’occasione di acculturamento delle masse.
Barenboim deve accattivarsi subito il pubblico della Royal Albert Hall (chissà perché il commentatore di Radio3 si è ostinato per tutta la sera a trasferire lo spettacolo nella Royal Festival Hall) e così - invece della canonica, ma troppo cerebrale, Overture in MI maggiore – apre con la Leonore III, tutt’altro cipiglio e presa sul pubblico. Dopodichè – e chissà perché… forse per non passare bruscamente dal fracasso del DO maggiore della Leonore al LA maggiore del N°1 ? - parte col N°2, che è in DO (minore, poi maggiore) e chiude però in piano. E così stempera un pochino il successivo passaggio al N°1. Tanto il pubblico – si pensa – non farà caso all’inversione innaturale del nesso logico della trama.
Intanto era successa però una cosa importante, anche questa tipica dello spirito maieutico dei Proms: Waltraud Meier aveva premesso all’Overture il racconto (in lingua inglese, come tutti i successivi suoi interventi durante l’Opera) del significato del Fidelio. Testi tutti scritti da Edward Said, il compianto co-fondatore (di origine palestinese) della Divan con Barenboim: si tratta appunto non già dei recitativi del Singspiel (sono stati tutti eliminati in questa esecuzione) ma di brevi riassunti della vicenda, via via che procede. Un modo come un altro – ma direi abbastanza efficace - per spiegare al pubblico il contenuto di ciò che sta ascoltando.
Appunto, la Meier. Qualcuno potrà storcere il naso sul suo essere un soprano di contrabbando, oltretutto appesantita dal fardello delle innumerevoli Isolde e Kundry che si porta sulle spalle, ma personalmente mi è piaciuta assai e in particolare nell’Adagio del N°9 – quella specie di straordinario concertato in SI maggiore con i corni, Komm, Hoffnung – davvero esposto mirabilmente, inclusa la salita al SI acuto e successiva discesa di due ottave piene, sull’erreichen. Poi ha un pochino pagato dazio, sui lunghi SOL della fine dell’aria, ma insomma… avercene!
Sir John Tomlinson è stato per me un Rocco efficacissimo. Gli rimprovero soltanto un eccesso – tutto da Proms – di gigionerìa ed enfasi retorica. Ma la voce è splendida e perfettamente attagliata al ruolo.
Onesti e dignitosi, la Marzelline di Adriana Kucerova e il Jaquino di Stephen Rügamer. Però bravi, con Tomlinson e Meier, nel difficile Mir ist so wunderbar.
Simon O’Neill era Florestan: mi è parso incerto – calante – nei primi passi della sua difficile aria di apertura, ma poi si è ben ripreso ed ha finito in crescendo. In particolare ottimo, con la Meier, nel famoso O namenlose Freude.
Il Pizarro di Gerd Grochowsky (sostituiva Peter Mattei, originariamente in locandina) ha fatto onestamente la sua parte, ma un poco di grinta in più non avrebbe guastato.
Deludente, perché a mio parere di voce troppo leggera, il Don Fernando di Viktor Rud, a sentirlo pareva che il Ministro si fosse fatto rappresentare per l’occasione da un suo giovane portaborse.
Efficaci i cori, sia nel sempre commovente O welche Lust, che nel finale.
Barenboim ha guidato i ragazzi della Divan da par suo: anche lui, come la Meier, magari fatica a de-wagnerizzarsi del tutto al momento di affrontare Beethoven, ma insomma l’esperienza e il mestiere gli consentono di portare a casa una prestazione di tutto rilevo.
Venerdi 21 e sabato 22 i Proms hanno ospitato la West-Eastern Divan Orchestra, diretta dal suo co-fondatore Daniel Barenboim.
Questa orchestra è una vera e propria scommessa perenne, come può esserlo il tentativo di far convivere pacificamente e proficuamente nello stesso recinto cani e gatti, guelfi e ghibellini… israeliani e palestinesi! Provate a mettervi nei panni di un violoncellista palestinese, nativo di Gaza, il giorno dopo che un raid della IDF ha provocato la morte di decine di suoi concittadini, incluso magari qualche suo parente. O anche, nei panni di una flautista israeliana che ha perso amici e conoscenti grazie ad un attentato di kamikaze palestinesi a Jaffa. E tutti a continuare a suonare insieme. Insomma, roba da chiodi!
Bene, questo complesso di separati-che-più-non-si-può riesce a suonare decentemente – non dirò meravigliosamente, chè il senso delle proporzioni va sempre mantenuto – il Preludio e il Liebestod del Tristan e poi, più che decentemente in verità, la Fantastica di Berlioz! Alcuni strumentisti, un’ora dopo, ci fanno ascoltare il delizioso Ottetto di Mendelssohn, e un tirato Concerto da camera di Berg. Grazie davvero, di questi tempi!
Ma il grande appuntamento è il Fidelio del 22. Un Fidelio perfettamente nello spirito dei Proms, a metà fra la scampagnata e l’occasione di acculturamento delle masse.
Barenboim deve accattivarsi subito il pubblico della Royal Albert Hall (chissà perché il commentatore di Radio3 si è ostinato per tutta la sera a trasferire lo spettacolo nella Royal Festival Hall) e così - invece della canonica, ma troppo cerebrale, Overture in MI maggiore – apre con la Leonore III, tutt’altro cipiglio e presa sul pubblico. Dopodichè – e chissà perché… forse per non passare bruscamente dal fracasso del DO maggiore della Leonore al LA maggiore del N°1 ? - parte col N°2, che è in DO (minore, poi maggiore) e chiude però in piano. E così stempera un pochino il successivo passaggio al N°1. Tanto il pubblico – si pensa – non farà caso all’inversione innaturale del nesso logico della trama.
Intanto era successa però una cosa importante, anche questa tipica dello spirito maieutico dei Proms: Waltraud Meier aveva premesso all’Overture il racconto (in lingua inglese, come tutti i successivi suoi interventi durante l’Opera) del significato del Fidelio. Testi tutti scritti da Edward Said, il compianto co-fondatore (di origine palestinese) della Divan con Barenboim: si tratta appunto non già dei recitativi del Singspiel (sono stati tutti eliminati in questa esecuzione) ma di brevi riassunti della vicenda, via via che procede. Un modo come un altro – ma direi abbastanza efficace - per spiegare al pubblico il contenuto di ciò che sta ascoltando.
Appunto, la Meier. Qualcuno potrà storcere il naso sul suo essere un soprano di contrabbando, oltretutto appesantita dal fardello delle innumerevoli Isolde e Kundry che si porta sulle spalle, ma personalmente mi è piaciuta assai e in particolare nell’Adagio del N°9 – quella specie di straordinario concertato in SI maggiore con i corni, Komm, Hoffnung – davvero esposto mirabilmente, inclusa la salita al SI acuto e successiva discesa di due ottave piene, sull’erreichen. Poi ha un pochino pagato dazio, sui lunghi SOL della fine dell’aria, ma insomma… avercene!
Sir John Tomlinson è stato per me un Rocco efficacissimo. Gli rimprovero soltanto un eccesso – tutto da Proms – di gigionerìa ed enfasi retorica. Ma la voce è splendida e perfettamente attagliata al ruolo.
Onesti e dignitosi, la Marzelline di Adriana Kucerova e il Jaquino di Stephen Rügamer. Però bravi, con Tomlinson e Meier, nel difficile Mir ist so wunderbar.
Simon O’Neill era Florestan: mi è parso incerto – calante – nei primi passi della sua difficile aria di apertura, ma poi si è ben ripreso ed ha finito in crescendo. In particolare ottimo, con la Meier, nel famoso O namenlose Freude.
Il Pizarro di Gerd Grochowsky (sostituiva Peter Mattei, originariamente in locandina) ha fatto onestamente la sua parte, ma un poco di grinta in più non avrebbe guastato.
Deludente, perché a mio parere di voce troppo leggera, il Don Fernando di Viktor Rud, a sentirlo pareva che il Ministro si fosse fatto rappresentare per l’occasione da un suo giovane portaborse.
Efficaci i cori, sia nel sempre commovente O welche Lust, che nel finale.
Barenboim ha guidato i ragazzi della Divan da par suo: anche lui, come la Meier, magari fatica a de-wagnerizzarsi del tutto al momento di affrontare Beethoven, ma insomma l’esperienza e il mestiere gli consentono di portare a casa una prestazione di tutto rilevo.
Un’ultima nota sui Proms. Saranno pure una kermesse vacanziera, ma a confronto di certi desolanti panorami nostrani sono davvero su di un altro pianeta. Meno male che c’è la tecnologia radio-webbica che ci permette di goderceli, sia pure a distanza.
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