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10 agosto, 2009

Zelmira al ROF (in radio)

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In attesa di sentire e vedere dal vivo, qualche impressione sulla prima del ROF, ascoltata ieri sera su Radio3 (presentazione, cronaca e interviste di Giovanni Vitali).

Prima però bisogna inquadrare quest’opera all’interno della produzione rossiniana. A differenza delle (precedenti e successive) opere buffe, la Zelmira è – lo dice il sottotitolo – un dramma per musica, genere che trova le sue remote origini nel ‘500 e che avrà il suo più grandioso e definitivo sviluppo nei drammi di Wagner. E se le definizioni hanno un senso, bisogna pur riconoscere che non dovremmo essere qui di fronte ad un libretto che è puro e magari insulso supporto per i gorgheggi dei cantanti, ma ad un impianto drammatico che dovrebbe avere un suo autonomo spessore, per supportare il recitar cantando, che è alla base di questo genere di teatro musicale. Certo, i tempi del Rossini napoletano non erano più quelli di Monteverdi - meno ancora di Cavalli - e la supremazia dei cantanti (per le specifiche caratteristiche dei quali venivano scritte le opere, Zelmira inclusa) si faceva sentire comunque, comportando – anche per l’opera seria – abbondanza di parti virtuosistiche o di altissimo impegno (più di due ottave di forchetta dell’estensione) e corredo di abbellimenti, ghirigori, trilli, gruppetti e quant’altro.

Ma in Zelmira, ahinoi, l’impianto del dramma è assai contorto, sconnesso e… poco drammatico! E per di più dà per scontata la conoscenza di retroscena e fatti accaduti prima di ciò che si vede in teatro. Ecco, appunto, se Zelmira fosse stata oggetto di attenzione da parte di Wagner, come minimo avrebbe avuto, in testa, un Prologo con qualche norna/parca/sibilla a raccontarci l’antefatto – l’assalto di Azorre, il tranello di Zelmira, l’uccisione dell’invasore, la presa del potere di Antenore in combutta con Leucippo, et cetera, in modo da rendere più chiari a tutti noi i retroscena che spiegano ciò che si vede e sente nel primo atto. In carenza di ciò tutto il peso dell’opera grava esclusivamente sulla musica (e quindi sulle spalle di Rossini) e lo spettatore è fatalmente portato a disinteressarsi del (peraltro debole) dramma per concentrarsi sulle arie e sulle imprese di tecnica canora da guinnes dei primati dei vari interpreti.

Va però sottolineato come Rossini abbia da parte sua fatto il meglio per conferire a Zelmira i tratti di opera seria: introduzione quasi wagneriana, niente recitativi secchi ma sempre musica e declamato, un continuo musicale in cui sono incastonate le arie assegnate ai vari personaggi.

Ebbene, ieri sera gli interpreti – pare a me, ma i numerosi applausi a scena aperta del pubblico lo confermano – hanno risposto alla grande.

Juan Diego Florez ha superato di slancio tutte le difficoltà della parte improba, a partire dai RE e DO acuti, eseguiti con grande naturalezza e chiarezza. Ma anche Gregory Kunde non è stato da meno, pur con qualche difficoltà negli acuti. I due tenori – nella diversità della tessitura e del timbro - hanno assai bene interpretato la natura dei rispettivi personaggi (Ilo e Antenore).

Bene la Kate Aldrich, nella parte di Zelmira, effettivamente più da mezzo che da soprano. E con lei benissimo Marianna Pizzolato, una Emma assai efficace.

Più che dignitosi tutti gli altri, a partire da Alex Esposito (Polidoro).

Roberto Abbado ha condotto i bravi bolognesi col giusto piglio. Impeccabile il coro di Paolo Vero (in particolare i Sacerdoti!)

Buuh a josa per la regìa: prevedibili, da quanto descrittoci sul konzept dallo stesso Giorgio Barberio Corsetti (ma sarà meglio giudicare dopo aver visto di persona…)
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1 commento:

Amfortas ha detto...

A questo punto sono curioso di leggere le tue impressioni dopo l'ascolto in sala.
Io sono stato, nella mia recensione, un po' più severo, proprio perché è opera in cui i cantanti hanno un ruolo, se possibile, più fondamentale del solito.
Ciao!