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28 novembre, 2016

Un “Donizettino” gemella Bergamo e Firenze. 3 (con brivido)


Ieri pomeriggio Bergamo ha ospitato la seconda e ultima sua rappresentazione di Rosmonda d’Inghilterra, seguita alle tre fiorentine, date in forma di concerto lo scorso ottobre. Quattro dei cinque protagonisti hanno le stesse facce (e voci, soprattutto) di scena a Firenze; il quinto è il nuovo Enrico di Dario Schmunck, che rimpiazza per l’occasione Michael Spyres. Non muta il concertatore (Sebastiano Rolli) mentre cambiano i complessi strumentali e corali che qui sono autoctoni (Orchestra Donizetti Opera, Coro Donizetti di Fabio Tartari); e si aggiunge di bel nuovo la regìa di Paola Rota, con scene e luci di Nicolas Bovey e costumi di Massimo Cantini Parrini.

Alle ore 15:45 (teatro abbastanza gremito) ancora non si comincia: un indebito quarto d’ora accademico (ci si chiede)? Poi l’annuncio addirittura drammatico: Eva Mei vittima di un grave (sic) incidente poco prima dell’inizio... Però canterà ugualmente, seduta in un angolo del palco, e sostituita in scena (muta) dalla sua vice. Finalmente alle 15:50 Rolli attacca la Sinfonia, e 12 minuti dopo, quando è il turno di Leonora, la sedia viene rimossa e la Mei fa capolino dalle quinte con le sue gambe e canta (quasi) normalmente. Così per l’intero primo atto. Poi, prima dell’inizio del secondo, si annuncia che la cantante è in grado di esibirsi normalmente anche in scena, e così accade fino a fine recita.

Beh, tutto è bene ciò che finisce bene, anzi mi sento quasi di dire che l’incidente abbia persino giovato alla Mei, che ho trovato meglio che a Firenze!

Già che parlo di interpreti, continuo con la Pratt: come sempre sontuosa negli acuti (e sovra-) sciorinati come noccioline, che le garantiscono trionfali ovazioni da stadio; non più che dignitosa nell’ottava bassa. La Lupinacci conferma l’ottima tecnica, a dispetto di una voce piccola che (complice Rolli) un paio di volte viene coperta dall’orchestra.

Schmunck mostra una voce piuttosto logora, poco penetrante e pare anche a corto di fiato, oltre che talvolta un filino calante: il suo non è certo un Enrico memorabile. Ulivieri se la cava con mestiere, dignitoso ed equilibrato, senza forzature o schiamazzi, ecco.

Il Direttore, che nel mese trascorso da Firenze ha mandato a memoria l’intera partitura, ha confermato buone doti di concertatore (a parte un paio di fracassi incontrollati di cui ho detto sopra). Onorevolissima la prestazione di orchestra e coro.
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Quanto al contenuto, si è qui presentata una terza (come minimo) variante della partitura (già a Firenze se ne erano sentite un paio): ripristinato lodevolmente nel 1° atto l’intervento di Arturo (da fuori) sulla cavatina di Rosmonda. Il finale sembra deciso ogni volta tirando i dadi; dunque: a Firenze (prima) si smentisce il libretto originale fiorentino (Trema, Enrico, io regno ancor!) e si chiude con il moncherino del finale di Napoli (Ella spira! Duolo, amor) pubblicato sul programma di sala; poi, sempre a Firenze (terza) si chiude con il finale fiorentino (smentendo il programma di sala!); ieri a Bergamo il programma di sala presenta il finale originale fiorentino e invece l’opera chiude (come alla prima di Firenze) con il moncherino di Napoli! Peccato che sempre sia stata omessa la finale (napoletana) Tu spergiuro, una delle cose migliori dell’opera, insieme a Ti vedrò, donzella audace, cui si preferisce l’originale  mi serba, mi seconda. Insomma: edizione critica o crisi dell’edizione?


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Per chi (come il sottoscritto) aveva già udito (una alla radio) due delle tre prestazioni fiorentine, un interesse particolare era rivolto alla messinscena. Paola Rota opta per uno sparagnino minimalismo spinto: scene spartane (sfondo fisso con parete illuminata e due nudi pannelli che traslano orizzontalmente); suppellettili ridotte ad un tavolino e due sedie; costumi dei protagonisti belli quanto improbabili, mentre il coro è fatto di... pipistrelli, che all’inizio sono pure dotati di parapioggia (mah...) Comunque nulla di trasgressivo e (sperabilmente) di costoso, il che è già qualcosa.

Pubblico, come detto, abbastanza folto e assai caldo, prodigo di applausi a scena aperta a fine di arie, duetti e cori e lungamente plaudente al termine della recita. Quindi: brava Bergamo e viva Donizetti!

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