Ancora Mahler a riempire di suoni lo splendido
ambiente dell’Auditorium. Dopo la trionfale Seconda
di Axelrod, ecco la cosiddetta Tragica.
A proporre la quale si aspettava con grande interesse e simpatia il ritorno di Vladimir Jurovsky, che con laVerdi
anni fa compì importanti passi verso la notorietà, ma purtroppo un acciacco di stagione
gli ha rovinato la rimpatriata. A sostituirlo, comunque degnamente, è arrivato un
sollevantino itinerante, il 57enne Eiji
Oue (di cui dovrò purtroppo… sparlare).
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La sesta è
una sinfonia su cui ancora gravano incrostazioni di varia
natura, sia di carattere estetico (create a suo tempo, queste, dai ripensamenti dell’Autore su aspetti peculiari della partitura) che
extra-musicale, alimentate da Alma
più per tornaconto proprio che per illustrare la memoria del marito. Lo stesso nick affibbiato al lavoro è assai
discutibile, benché abbia radici in espressioni usate dall’Autore in persona:
se bastasse la conclusione in minore
a spiegarlo, allora bisognerebbe chiamare tragica
anche la K550 di Mozart e la Abschied di Haydn.
Come io personalmente la vedo, l’ho scritto già anni fa, in occasione di una memorabile performance della LSO con Harding alla Scala. Ma assai meglio e più autorevolmente ne parla Ugo Duse, in questo passo del suo fondamentale testo su Mahler:
Ad ulteriore integrazione informativo-culturale, ecco qui un interessante
lavoro di Paolo Petazzi su Mahler, comparso a settembre 1989 su Musica&Dossier.
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In questa esecuzione si torna, quanto a successione
dei tempi, all’ultima metà del secolo scorso (la contestata Edizione critica di Erwin Ratz, basata sulle inaffidabili dicerie di Alma, che Mengelberg si era bevuto): lo Scherzo
è infatti eseguito in seconda posizione e l’Andante
in terza (questa fu la primissima decisione di Mahler, peraltro revocata già prima della prima, poi forse, ma non è affatto
certo e comunque mai fu dall’Autore ufficializzato, ripensata ancora…) In questa
configurazione la struttura della sinfonia si avvicina abbastanza a quella
della precedente Quinta, con due
poderose sezioni esterne (35-40 minuti la prima, 30 la seconda) separate da
quella centrale più leggera e
(relativamente alle usuali dimensioni mahleriane) più breve, circa 15 minuti.
Ad un ascoltatore medio, poco addentro a questioni di filologia e di
estetica musicale, che effetto fanno queste diverse scelte? Per dire, se un
pazzo rappresentasse la Bohème
invertendo l’ordine fra secondo e terzo quadro, anche un neofita della lirica
darebbe in escandescenze e chiederebbe il rimborso del biglietto, e pure i
danni… ma qui? Cosa cambia nel profondo significato della narrativa, se si invertono i due movimenti interni della sinfonia? E
chissà quale profonda riflessione filosofica ci sta dietro? Visto che l’Autore non
ce l’ha esplicitamente chiarito, dobbiamo allora concludere che anche i
filosofi in circolazione si dividono (come sempre) in opposte correnti di
pensiero…
Quanto alla supposta e sbandierata tragicità,
nel Finale Mahler arriva alla battuta
772 (sulle 822 totali) con una scala di LA maggiore che potrebbe benissimo
chiudere la Sinfonia in gloria, invece che in tragedia. In fin dei conti lo
stesso Mahler conclude la sua Seconda in
MIb maggiore al posto dell’iniziale e funerario DO minore… Ah già, lì c’è il testo di Klopstock che spiega tutto, parlando di resurrezione e non di
morte, ma che dire della Quinta e
della successiva Settima, aperte in
minore (DO# e SI) e chiuse in maggiore (RE e DO)? Per non parlare della
tradizione, della Quinta di
Beethoven, che parte in DO minore e chiude in maggiore, precisamente come la Quarta di Schubert e la Prima di Brahms. E la Nona beethoveniana, la Terza di Bruckner, la Quarta di Schumann e l’unica di Franck: non partono forse in RE
minore per chiudere in maggiore? E la mendelssohniana Scozzese principia in LA minore e finisce in maggiore, giusto? Così
come la Nona di Dvorak si apre in MI
minore per chiudere in maggiore.
In analogia alla Sesta mahleriana troviamo invece, oltre alle due
sinfonie citate all’inizio, anche la Quarta
di Brahms, che nasce e muore in MI minore (senza che a nessuno venga in mente
di chiamarla tragica); così come la Patetica ciajkovskiana, con il SI
minore. Ma qualcuno si sarebbe sentito imbrogliato se fossero state chiuse da
due code rispettivamente in MI (o SOL) e SI (o RE) maggiore?
Ora, sarà un caso che la Sesta sia l’unica
delle dieci sinfonie di Mahler a chiudere in minore? O c’era semplicemente il
bisogno di togliere lo zero da una
casellina del proprio catalogo? Mah…
Tornando alla scelta della versione, quella odierna per fortuna non si è
tirata dietro anche il ripristino della terza martellata (a battuta 783 del Finale). Essa (eseguita anche alla prima di Essen) era poi stata espunta da Mahler, chi dice per
ragioni estetiche (eccerto, come no!) chi per ragioni… scaramantiche (ecco,
probabile). Fatto sta che nel manoscritto originale di colpi di martello pare se
ne trovino addirittura cinque (ma sì,
abbondiamo, con tutta la fatica che ci vuole per fabbricare l’arnese e il
cassone su cui abbatterlo!) In realtà, a voler fare i pignoli e un po’ anche gli impertinenti, se
le martellate rappresentassero le future disgrazie capitate a Mahler, allora
dovrebbero essere quattro: alle tre elencate post-mortem da Alma (la scomparsa di Putzi, l’allontanamento dalla Hofoper
e la diagnosi della disfunzione
cardiaca) ne andrebbe aggiunta una quarta, e di quale importanza: la crisi del rapporto coniugale (ma certo
su questa la disinvolta Alma preferiva sorvolare…)
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Invece peccato per i
ragazzi, che ce l’hanno messa tutta e non meritavano che la loro abnegazione
venisse oltraggiata in questo modo.
Dato il dovuto spazio all’accertamento dell’identità dell’opera
presentata, adesso devo ahimè sporgere denuncia contro un falsificatore di…
sinfonie, che risponde al nome di Eiji
Oue. Dico, non ha lasciato intatta una sola misura delle 1954 che
compongono la partitura: infilandoci ad ogni piè sospinto arbitrari quanto
penosi o ridicoli salti di tempo (in volgare: gigionerìe da quattro soldi)
quando non addirittura modificando la lunghezza delle note, come nel caso della
prima delle quattro semicrome con cui
oboi e clarinetti aprono il secondo Trio
dello Scherzo, da lui trasformata in
una… semiminima, ottenendo così un mirabile
effetto batteria-scarica (rob de
matt!) E mi rifiuto di pensare che questo approccio sia stato imposto dal
titolare del concerto, Jurovsky.
Insomma, già la Sinfonia si presta a facili battute e sarcasmi:
figuriamoci cosa diventa se arriva uno che ne fa la parodia! Poi, magari a qualcuno piace di più il sushi che non la wiener-schnitzel,
almeno a giudicare da un paio di bravo!
che il mandorlocchiuto si è portato inopinatamente a casa, e vabbè…
1 commento:
Perfettamente d'accordo.
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