affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

21 marzo, 2024

Guillaume Tell è approdato alla Scala - C.Muti in galera!

Scongiurato (per ora) lo sciopero delle maestranze del teatro, ecco approdato al Piermarini il Tell originale.

Rispetto all’edizione critica della Fondazione Rossini (Bartlet, 1992) Mariotti ha omesso le due più consistenti riaperture di tagli: il Pas de deux del primo atto e l’aria di Jemmy del terzo. Due brani che furono eseguiti nella prima al ROF del 1995, mentre nella ripresa pesarese del 2013 lo stesso Mariotti aveva omesso il primo ma eseguito il secondo. Altri piccoli tagli riguardano ad esempio i due interventi di Melcthal e quello di Tell nella Scena VI del primo atto, l’intervento di un cacciatore all’inizio del second’atto, il recitativo Arnold-Mathilde successivo al loro duetto (Atto II), una parte del Pas de Soldats (atto terzo) e l’invocazione degli austriaci a Tell, nella scena della tempesta (VII dell’atto finale, peraltro riportata sul libretto pubblicato come non tagliata…). 

Esecuzione musicale di livello assoluto. Grazie al Kapellmeister Mariotti, che il pubblico ha accolto come vero trionfatore della serata. Un vero peccato i tagli: valeva la pena iniziare alle 18:00 per ascoltare anche quest’altra musica sublime, così magistralmente interpretata. Al prossimo ROF il profeta-in-patria dirigerà Ermione, un appuntamento da mettere già in agenda…

Delle voci è da incorniciare quella di Dmitry Korchak: non solo, ma ovviamente anche per la scorpacciata di DO acuti (l’ultimo aux armes, scritto da Rossini un’ottava sotto, è proprio da Manrico!) che il tenore russo ci ha propinato con irrisoria facilità. Consensi unanimi e calorosi (vale sempre per lui il consiglio di non farsi distrarre dalle ambizioni da podio…)

Michele Pertusi cantò nel 1995 (quasi 30 anni fa!) questa edizione dell’opera al ROF: beh, l’età ha portato esperienza, imponenza e autorevolezza, che ampiamente compensano l’inevitabile logorio del mezzo vocale. Anche per lui un meritato trionfo.

Salomè Jicia ha una bella voce, che negli acuti spinti va al limite dell’urlo, ma in complesso è stata una Mathilde più che positiva, anche sul piano scenico.

Catherine Trottmann mi ha felicemente sorpreso: un vero peccato, a maggior ragione, averla (e averci) privata della bellissima (e lunga!) aria di Jemmy prima del tiro-alla-mela.

Tutti gli altri interpreti (alcuni sono navigati rossiniani) si sono bene (o benissimo) comportati, a partire da Dave Monaco (il pescatore che deve rompere il ghiaccio con qualche DO acuto non disprezzabile). E poi l’efficace Edwige di Géraldine Chauvet, il duro e sprezzante Gesler di Luca Tittoto, già veterano delle recite del 2013 al ROF e poi a Bologna. Evgeny Stavinsky ha dato voce ad un apprezzabile Melcthal, così come Nahuel Di Pierro è stato un più che discreto Walter. Dei restanti tre, Brayan Ávila Martinez (Rodolphe) mi è parso di voce poco penetrante, Paul Grant è stato un onesto Leuthold e l‘accademico Huanhong Li ha svolto diligentemente il suo compitino come Cacciatore.
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Che dire della regìa della figlia del Maeschtre? Peste-e-corna è ancora poco!

Intanto: butta nel cesso tutto il lancinante contrasto fra la vita di un popolo in pace con se stesso e in piena armonia con la natura, ignaro di essere schiavo di una potenza straniera… e la realtà dello stato di illibertà nel quale, appunto, non si accorge di vivere, a differenza dei pochi (Tell, Melcthal) che soffrono per tale stato di illibertà.

Invece la Muti, mandando in vacca tutta l’evocazione panica della Natura, cosa ci mostra (scene di Alessandro Camera, costumi di Ursula Patzak e luci di Vincent Longuemare)? Nibelheim (!!!)

Ispirandosi esplicitamente a Metropolis di Fritz Lang (1927) la Muti cucina un minestrone in cui il tema (unico e perfettamente delineato nel soggetto schilleriano tradotto in libretto da de Jouy e Bis) della lotta di liberazione nazionale contro l’occupante straniero (tema tipicamente romantico e pre-risorgimentale) viene indebitamente mescolato con quello (moderno e tuttora attuale) dello sfruttamento capitalistico di masse proletarie. Due temi che non possono stare insieme, come ci insegna la Storia, che ci dice che le lotte dell’800 di liberazione nazionale da gioghi stranieri (di cui la medievale vicenda del Tell è una remota ascendenza) non ebbero per protagonista le classi proletarie, ma la borghesia capitalistica alleata con sovrani costituzionali! (In Italia, il quartetto Vittorio Emanuele II, Camillo Cavour, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi. Operai, proletari?)  

Nel 2013 a Pesaro Graham Vick aveva scelto di proporci il Tell proprio nello scenario della lotta di classe: un’idea che personalmente ho stigmatizzato, ma almeno aveva il pregio di essere presentata con grande coerenza e non faceva a pugni con la presenza immanente della Natura, tanto cara – per restare a questa produzione – al Concertatore, e che qui invece si perde irrimediabilmente.

Basterebbe tutto ciò a liquidare questa proposta come fallimentare. Ma poi ci sono, a dimostrazione della desolante mancanza di idee precise della regista, le mille stupide trovate, disseminate a piene mani lungo le 4 ore (nette) dello spettacolo: gli incappucciati del KKK, le tre spose felici quasi stuprate dai mariti nella prima notte di nozze e poi (passo a sei) bistrattate dagli occupanti; il povero Melcthal che nel second’atto viene ripresentato appeso ad una croce e attorniato dalle tre spose ormai usucapite dagli occupanti; un enorme scheletro d’albero (dal quale Gesler dovrebbe cogliere la mela!); le coreografie (Silvia Giordano) che avrebbero indotto gli amiconi del Jockey Club parigino a far dimettere il soprintendente dell’Académie Royale de Musique! Il tutto culminato nella scena finale con generale smutandamento delle masse proletarie!   

Insomma, raramente si è assistito ad una simile, schizofrenica dissociazione fra musica e immagini. Quindi, molto categoricamente: pollice verso!!!

16 marzo, 2024

Il Tell parigino approda finalmente alla Scala

Per la prima volta nella storia (!) la Scala ospiterà il rossiniano Guillaume Tell nella versione originale parigina, quella in lingua francese. A partire dal 20 marzo, visto che è rientrata la minaccia di sciopero delle maestranze, indetto proprio per la prima… minaccia che – ubi maior minor cessat - ora si è trasferita su La Rondine del 4 aprile!     

Quanto ai contenuti la Scala impiega la più recente edizione critica dell’opera, quella che M.Elizabeth C. Bartlet approntò nel 1992 per la Fondazione Rossini, mettendo ordine in quel mare-magnum di musica prodotta dal Gioachino per il Tell e nel ginepraio di informazioni relative al tormentatissimo iter della prima messinscena dell’opera in quel lunedi 3 agosto 1829. Fra i mille dettagli che magari interessano solo i musicologi, ci sono per lo meno due importanti aspetti che toccano contenuti riconoscibili anche al semplice melomane.

Si tratta di due importanti riaperture di tagli operati da Rossini già prima dell’esordio parigino (brani quindi esclusi dalle edizioni a stampa circolate da allora) giustificati principalmente dalla necessità di ridurre l’eccessiva durata dello spettacolo, che avrebbe impedito ai molti spettatori arrivati da fuori Parigi di prendere i treni che li riportavano alle loro case (?!) Così Rossini espunse il Pas de deux del primo atto (fra il Pas de six e il Pas d’archers) e l’aria di Jemmy del terz’atto (Ah que ton âme se rassure) subito prima della scena-madre del tiro-alla-mela.

Orbene, l’edizione critica della Bartlet fu impiegata per la prima volta al Rossini Opera Festival nel 1995, dove furono eseguiti sia il Pas de deux che l’aria di Jemmy; mentre nella successiva riproposta del 2013 il Pas de deux fu nuovamente ri-tagliato (!) Quindi vedremo cosa succederà qui.
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Lo spettacolo sarà allestito da Chiara Muti, che riceve così il testimone di un’ideale staffetta da papà Maeschtre, che diresse qui al Piermarini l’ultima apparizione del Tell (in versione italiana, peraltro) nell’ormai lontano SantAmbrogio del 1988, quando lei era ancora quindicenne.

Sul podio salirà Michele Mariotti, pesarese cresciuto (prima di inoltrarsi in… mare aperto) a pane-e-rossini, che diresse per la (sua) prima volta l’opera proprio nel 2013 al ROF (regìa, allora abbastanza contestata, del compianto Graham Vick). 

Oltre al Direttore, dei 12 interpreti ben 7 sono voci apparse negli anni al ROF, come qui sotto sintetizzato:

Michele Pertusi (Tell)

1992 Semiramide (Assur)
1993 Maometto II (Maometto)
1994 Semiramide (Assur)
1995 Guillaume Tell (Tell)
1997 Moïse et Pharaon (Mosè) - Petite Messe Solennelle
1999 Il viaggio a Reims (Lord Sidney) - Petite Messe Solennelle
2000 Le siège de Corinthe (Mahomet)
2006 Torvaldo e Dorliska (Duca d’Ordow)
2007 La gazza ladra (Gottardo) - Petite Messe Solennelle
2008 Maometto II (Maometto)
2018 Il barbiere di Siviglia (Basilio)

Dmitry Korchak (Arnold)
2006 Stabat Mater
2007 La gazza ladra (Giannetto)
2008 L’equivoco stravagante (Ermanno)
2011 Mosè in Egitto (Osiride)
2013 La donna del lago (Giacomo V)
2014 Armida (Gernando, Carlo) – Petite Messe Solennelle
2017 Torvaldo e Dorliska (Torvaldo) – Stabat Mater
2020 La cambiale di matrimonio (Direzione e concertazione)
2022 Otello (Rodrigo)
2023 Petite messe solennelle

Salome Jicia (Mathilde)

2015 Il viaggio a Reims – Accademia Rossiniana (Contessa di Folleville, Modestina)

2016 La donna del lago (Elena)

2017 Torvaldo e Dorliska (Dorliska) - Stabat Mater

2019 Semiramide (Semiramide)

2021 Elisabetta regina d’Inghilterra (Matilde)


Nahuel Di Pierro (Walther)

2013 Semiramide (Assur)

2022 Le Comte Ory (Le Gouverneur)


Luca Tittoto (Gesler)

2013 Guillaume Tell (Gesler)


Evgeny Stavinsky (Melchtal)

2022 Otello (Elmiro)

Dave Monaco (Ruodi)
2022 Il viaggio a Reims – Accademia Rossiniana (Conte di Libenskof, Zefirino/Gelsomino)
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Insomma, un Kapellmeister e un cast che con Rossini hanno una certa dimestichezza, il che fa ben sperare.  

09 marzo, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.15

Tutta America nel Concerto di questa settimana, e giustamente è un’americana di nascita (non di origine) Alondra de la Parra, a dirigerlo, tornando qui dopo la sua ultima apparizione risalente ad una data davvero disgraziata per l’Umanità: lo scorso 7 ottobre!

La serata è aperta da Aaron Copland con la sua Appalachian Spring Suite, precisamente il brano con cui la Direttora aveva esordito qui in Auditorium nel 2021, alla ripresa post-Covid (rimando quindi ad alcune note scritte in quella circostanza).
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Ecco poi Leonard Bernstein e le sue Danze Sinfoniche da West Side Story.

Il famoso musical è una moderna ambientazione (a NewYork) di Romeo&Juliet, con Jets e Sharks ad impersonare Montecchi e Capuleti e Tony e Maria nei ruoli dei protagonisti. La suite, intitolata Symphonic dances, presenta i principali motivi del musical raccolti in nove numeri. (Qui l’Autore in una sua esecuzione del 1985, che possiamo seguire nei dettagli in Appendice.)

Bernstein rappresentò musicalmente l'incompatibilità fra le due gang facendo ampio uso dello sbifido tritono, anche nei momenti più lirici, come il celeberrimo Maria (ne sentiamo il motivo nel 5° e 6° numero, ma con sfumature diverse anche al 2° e 7°) che sale da tonica a dominante passando appunto per la quarta aumentata. Ma nell'Adagio finale (che chiude sia l'Opera che la Suite) troviamo nientemeno che una reminiscenza (nello stesso REb!) del wagneriano tema della Redenzione!

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La serata si è chiusa con George Gershwin e il suo An American in Paris.

Scritto nel 1928 dopo un viaggio nella capitale francese, questo balletto rapsodico subito si presenta con baldanza mista a spensieratezza: è il turista che se ne va a spasso per la città, col naso all'insù e le orecchie tese.

Parigi è una città dal traffico già caotico, e non mancano quindi automobili e taxi che strombazzano allegramente. In mezzo al trambusto arrivano anche le note di una filastrocca (Che cosa importa a me, se non son bella) forse nota altrettanto bene in Italia che a Parigi.

Ora, stanco per la lunga camminata, l'americano si riposa un poco e inevitabilmente sogna il suo paese, e il blues in primo luogo, su un motivo che rimane poi al centro del brano, e che pure lo concluderà. Accanto ad esso però arriva anche un ricordo allegro, il charleston della Louisiana.

Un'ultima veloce scorribanda per le strade della Ville lumière culmina nel Grandioso dove corno inglese, clarinetti e sax contralto ribadiscono per l'ultima volta il tema americano, prima del poderoso accordo di FA maggiore che chiude il brano.
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La simpatica Alondra – ieri il suo fisico da modella abbigliato da moderna sacerdotessa maya - ha saputo cogliere e restituirci il meglio delle tre composizioni: la sognante e arcadica atmosfera dei pionieri di Copland; i ritmi indiavolati della leggendaria Broadway di Bernstein e il multicolore affresco parigino (con ricordi yankee) di Gershwin.

Il suo è stato quindi un gran trionfo con ovazioni e urletti proprio americani di un pubblico entusiasta. Lei ha voluto simpaticamente elogiare e ringraziare l’Orchestra, alla quale (oltre che al pubblico!) ha concesso un meritato bis con il numero di Mambo da WSS.

Dal pubblico le sono stati recapitati mazzi di fiori e mimosa e pure una bandiera tricolore del suo Mexixo, con il quale si è decorata il petto. Insomma, un’autentica fiesta de la Parra
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Appendice. Danze da West Side Story.

1. (10”) Prologue (Allegro moderato). Crescente rivalità fra le due bande (Jets e Sharks).

2. (4’12”) Somewhere (Adagio). Visione onirica della fratellanza fra le due bande. (7’13”) Prima vaga apparizione del tema wagneriano della Redenzione.

3. (8’32”) Scherzo (Vivace e leggiero). Il sogno continua fuori dall’oppressiva città, all’aria aperta e al sole.

4. (10’18”) Mambo (Meno Presto). Si torna al mondo reale e le due gang tornano a fronteggiarsi.

5. (12’37”) Cha-cha (Andantino con grazia). Primo incontro danzante fra i futuri amanti, Tony e Maria (della quale si affaccia, danzante, il tema).

6. (13’37”) Meeting Scene (Meno mosso). Primo scambio di parole fra i due, sul tema di Maria.

7. (14’18”) Cool Fugue (Allegretto). Sempre sul tema di Maria, danza dei Jets per caricarsi alla battaglia contro gli Sharks.

8. (18’02”) Rumble (Molto allegro). Battaglia, in cui restano uccisi i due capi, Riff e Bernard. (19’33”) Cadenza del flauto.

9. (20’10”) Finale (Adagio). Maria introduce una processione che sembra rifarsi al sogno di Somewhere. Tema wagneriano della Redenzione (Götterdämmerung).

02 marzo, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.14

Per il Concerto di questa settimana tornano i due simpatici fratelli Jussen, attualmente in residenza qui, diretti da uno dei Direttori Principali Ospiti: Jaume Santonja.

È Béla Bartók ad occupare la prima parte della serata. Ecco dapprima i 15 Canti contadini ungheresi, raccolti dall’Autore fin dal 1907 durante le sue escursioni (con tanto di fonografo) nelle campagne magiare e slovacche in cerca del folklore locale. Originariamente scritti per il pianoforte solo e pubblicati nel 1918, l'Autore ne realizzò una parziale versione orchestrata nel 1933. 

Ecco l’elenco completo dei canti (qui il sommo Richter) con le date della relativa scoperta da parte dell’Autore:

Quattro antiche canzoni
    I. Rubato (1918)
   II. Andante (1914)
   III. Poco rubato (1914)
   IV. Andante (raccolto da Béla Vikár)
V. Scherzo (1918). Allegro
VI. Ballata (Tema con Variazioni). Andante (1918)
Antiche melodie di danza
   VII. Allegro (1910)
   VIII. Allegretto (1910)
   IX. Allegretto (1912)
   X. L'istesso tempo (1912)
   XI. Assai moderato (1910)
   XII. Allegretto (1907)
   XIII. Poco più vivo (1910)
   XIV. Allegro (1910)
   XV. Allegro (senza parole, per cornamusa) (1910)

La versione orchestrale comprende i numeri VI-XV (con modifiche al XII) ed esclude il XIII. Forse l’orchestrazione appesantisce un tantino la freschezza dei brani eseguiti alla tastiera, comunque sono meno di 10 minuti di sano folklore, proprio adatti ad aprire la serata.
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Ecco poi il Concerto per due pianoforti, percussioni e orchestra, dove ai due solisti alle tastiere se ne aggiungono altri due alle percussioni: Viviana Mologni e Simone Benvenuti.

Il brano è nato nel 1938 come una Sonata, quindi senza l’orchestra, aggiunta 4 anni dopo; il che ha comportato lievi modifiche rispetto all’originale nelle parti pianistiche.

Contrariamente alla tradizione di questo tipo di composizione, dove i due pianoforti sono collocati in orizzontale rispetto al proscenio e uno di fronte all’altro, con coperchi rimossi, qui le due tastiere dovrebbero essere messe in diagonale e i pianisti voltare le spalle al pubblico, come si desume dal layout previsto in partitura:

 

La macro-struttura formale è tutto sommato rispettosa della tradizione, ma con importanti e interessanti innovazioni: esaminandola nei dettagli (in Appendice riporto una sintetica guida all’ascolto del brano) si scopre che è una costruzione di autentica ingegneria musicale, nel trattamento dei temi, delle sonorità e delle tonalità, nel mirabile equilibrio dei rapporti tra le varie micro-strutture interne. 

Davvero travolgente l’esecuzione dei due simpatici fratelli, in grande sintonia con i due percussionisti della casa e con l’ex-percussionista sul podio! I due pianoforti erano disposti come di norma, affiancati e paralleli al proscenio: forse (ma è una mia ipotesi) questa disposizione  consente ai due fratelli di guardarsi negli occhi senza girare la testa… Si sono anche tenuti gli spartiti nella cassa degli strumenti, magari perché stanno per riprendere contatto con questo concerto, da loro eseguito già anni fa, e che dovranno rieseguire il 15 marzo a Colonia.

Successo clamoroso per tutti e così i due tulipani ci hanno offerto uno dei loro bis prediletti.
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Si torna, per così dire, alla campagna, con la pastorale Seconda Sinfonia di Brahms. Santonja ha tenuto, nell’iniziale Allegro non troppo, un tempo eccessivamente sostenuto (ma parlo ovviamente dei miei gusti personali). Così, arrivato alla fine dell’esposizione (questa è proprio una battuta velenosa, ha ha…) ha riguadagnato il tempo perduto… tirando diritto!

Assai bene invece il resto, con le deliziose melodie dell’Adagio non troppo e dell’Allegretto grazioso. Trascinante il conclusivo Allegro con spirito, chiuso trionfalmente dall’abbagliante carica degli ottoni!

Ormai in Auditorium gli applausi ritmati sono una consuetudine, che si è puntualmente ripetuta anche ieri.
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Appendice. Il Concerto di Bartók.

Seguiamo il Concerto in questa registrazione mexicana.

Primo movimento. Forma sonata. Tema introduttivo + 3 temi principali, il secondo ripreso in chiusura dell’Esposizione. Sviluppo in tre sezioni. Ricapitolazione dei tre temi e Coda.  
   
1’20” Introduzione (Assai lento). Rullo di timpani e poi entrano i due pianoforti a canone a distanza di tritono (Tema introduttivo).
2’09” Primo schianto.
2’43” Secondo schianto. Cadenza dei due solisti.
3’45” Terzo schianto a piena orchestra. (Un poco più mosso). Transizione (Poco a poco accelerando e sempre più agitato).
4’28” Otto colpi di timpano introducono l’Allegro molto, con l’esposizione del Primo tema. Dialogo pianoforti-orchestra con scambio di ruoli (fra tema e accompagnamento).
4’42” Transizione sul Tema introduttivo.
5’11” Primo Tema ripreso da archi e fiati.
5’24” Transizione.
5’46” Secondo tema (Un poco più tranquillo).
6’19” Transizione.
6’33” Terzo tema (Più tranquillo, poco a poco stringendo).
6’46” (Più mosso).
7’33” Ripresa del Secondo tema. (Meno mosso, tranquillo).
8’05” Transizione e chiusura dell’esposizione.

8’30” Inizio della prima delle tre sezioni dello sviluppo (Tempo I non troppo vivo).
9’02” Seconda sezione dello sviluppo (poco più lento).
9’25” Terza sezione dello sviluppo.
10’07” Transizione (Un poco tranquillo).

10’30” Inizio della ricapitolazione (Un poco maestoso). Primo Tema.
11’08” (Tranquillo). Secondo Tema. (Rallentando).
12’34” (Vivo). Terzo Tema.

14’15” Coda.

Secondo movimento. (Musica notturna). Macro-struttura A-B-A’ con diverse sottosezioni.

14’57” Sezione A. (Lento, ma non troppo). Introduzione con piatti e due tamburini.
15’21” Languido tema (notturno) nei pianoforti, sempre accompagnati dalle percussioni e con brevi interventi dei fiati.

17’13” Sezione B-1. (Un poco più andante). Piano-2 con note lunghe (minime) accompagnato da Piano-1 con quintine di semicrome. Il tempo accelera.
18’09” (Agitato). Climax (xilofono). Calmandosi.
18’20” Sezione B-2. (A tempo). Clustars nei pianoforti a canone, con pedale di controfagotto, corni e archi.
18’51” Sezione B-3. (Poco rubato). Veloci scale cromatiche nei pianoforti, progressivamente diradantesi.

19’25” Sezione A’. (Tempo I). Piano-2 riprende il tema notturno dalla Sezione-A. Piano-1 accompagna con svolazzi di biscrome (dalla Sezione B-3) poi con glissando ascendenti-discendenti.
20’12” (Un poco mosso). Il tema notturno è riproposto in forma inversa, poi (20’36”) condensato in due battute di accordi.

20'54" Coda. (Più andante). Tornano le quintine dalla Sezione B-1. 
21'03" (Tempo I). Su un tappeto dei fiati e i rintocchi dello xilofono, i pianoforti si congedano con quattro accordi che sfumano dal forte al piano.

Terzo movimento. Forma ibrida di Rondo-Sonata.

21’43” (Allegro non troppo). Dopo poche battute introduttive di pianoforti, legni e archi è lo xilofono ad esporre il Primo tema. Ripreso poi (21’57”) dai pianoforti.
22’08” Transizione.
22’21” Secondo tema, poi variato (22’32”) con un’accelerazione (Più mosso) e un improvviso schianto.  
23’01” Transizione.
23’12” (Tempo I). Terzo tema nei pianoforti, poi progressivamente Stringendo… Più mosso.

23’39” (Tempo I). Qu si può posizionare lo Sviluppo (in termini di forma-sonata) con la ripresa del Primo tema in tromba e tromboni, interrotto da improvvisa fermata. Questo lungo sviluppo – con lo xilofono assai in evidenza - si basa su una sapiente rielaborazione di spezzoni del Primo tema, che viene riproposto quasi integralmente (25’10”) prima di passare alla Ricapitolazione.  

25’25” (Più mosso). Ricapitolazione innescata sul Primo tema dagli archi accompagnati dall’impertinente xilofono. Si arriva ad un climax (Tempo I, 25’36”) che prelude al ritorno del Secondo tema (25’44”) in una variante che ricorda (ciclicamente) l’Introduzione del Concerto. Il tema è poi ripetuto (25’53”) nella sua forma originale.
26’02” Transizione.
26’17” Ritorno del Terzo tema, assai variato. Accelerazione dei pianoforti (Sempre strigendo).
26’59” (Tempo I). Riecco il Primo tema, pure variato, poi ripreso (27’13”) con ennesima variante.

27’26” Coda. Il suono va progressivamente sfumando, fino agli ultimi sommessi tocchi di piatti e tamburini. Silenzio.

26 febbraio, 2024

La Scala riesuma – e fa rivivere - il Mozart di Strehler

Dopo le riprese nelle stagioni ’78, ’94 e 2017, la Scala ripropone la mozartiana Die Entführung aus dem Serail come allestita da Giorgio Strehler (e Luciano Damiani per le scene e i costumi) nel lontanissimo ’65 a Salzburg, poi nel ’69 a Firenze e finalmente qui nel ’72.

Oggi la ripresa è affidata a Laura Galmarini (con le luci di Marco Filibeck). Sul podio il rampante Thomas Guggeis, già ben noto a Milano per le presenze al Piermarini e all’Auditorium (oltre che per i suoi trascorsi al Conservatorio). 

Teatro affollato, ma non… issimo, ecco; pubblico però ben disposto, con applausi a scena aperta a tutti i numeri (escluso l’esordio di Pedrillo…) e accoglienza calorosa per tutti alla fine.

Dello spettacolo inutile ripetere la bellezza, incontaminata dopo 55 anni! E a proposito, cito subito l’inossidabile Marco Merlini, sempre strepitoso nella sua gag dell’inizio atto terzo (e anche come coreografo dei Giannizzeri.)

Sven-Eric Bechtolf nella parte di Bassa Selim poi è davvero un lusso…
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Thomas Guggeis überalles! Cosa non ha cavato da un’orchestrina proprio… settecentesca. Magari col tempo sfronderà la sua direzione dalla (esteriore e scusabile, perché giovanile) …motorietà, ma la sostanza c’è e come, e ora ne abbiamo la conferma anche nel teatro, dopo le eccellenti prestazioni nel sinfonico. Per lui un meritato trionfo. Coretto di Giorgio Martano (con i quattro solisti) impeccabile.

Come si poteva prevedere, Jessica Pratt è stata l’altra trionfatrice della serata: una Konstanze musicalmente quasi perfetta, e non solo negli acuti e nelle colorature, che sono la sua specialità: dopo il massacrante passaggio delle due arie consecutive (Traurigkeit e Martern) l’applauso è scrosciato lungo e intenso.

Benissimo anche la Blonde di Jasmin Delfs: voce pulitissima e ottima presenza scenica (vedi il duetto-scontro con Osmin).

Daniel Behle è stato un Belmonte più che discreto. Gli è stata ancora inspiegabilmente risparmiata la commovente aria N°15 del second’atto, Wenn der Freude Tränen fliessen (manco a dirlo, aria giustamente citata fra le più importanti nella presentazione di Elisabetta Fava sul programma di sala…) Ma si è ben rifatto nella più impegnativa Ich baue ganz auf deine Stärke, che apre l’atto conclusivo.

Michael Laurenz è invece emerso assai bene come Pedrillo, voce squillante e gran presenza scenica.

L’Osmin di Peter Rose fa sempre un figurone grazie a… Damiani e Strehler; vocalmente dignitoso, ma non straordinario (e poco… cattivo, ecco).

Come detto, accoglienza calorosa con picchi per Pratt e Guggeis. In conclusione: una bella serata di musica e di spettacolo! 

23 febbraio, 2024

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.13

Modernità e tradizione caratterizzano il Concerto di questa settimana, che vede il ritorno sul podio del Direttore Residente Andrey Boreyko.  

La modernità è rappresentata da Mysterium času (Il mistero del tempo) Passacaglia per orchestra di Miloslav Kabeláč, compositore ceco rimasto piuttosto in ombra a causa di un ostracismo di fatto, impostogli a suo tempo dal regime instaurato in Cecoslovacchia dall’URSS alla fine della WWII, che non vedeva di buon occhio artisti non allineati ai dettami del realismo socialista. Le purghe di Stalin erano acqua passata, ma anche Brezhnev non andava tanto per il sottile (come dimostrò nel’68 soffocando con i carri armati la Primavera di Praga…) e così il compositore, forte dell’autorevolezza acquisita fin da prima della guerra, cercò in qualche modo di barcamenarsi (un po’ come Shostakovich in Russia, per dire) in un instabile equilibrio tra libertà di espressione artistica e vincoli imposti dal regime.
In questo video uno dei principali artefici della recente divulgazione delle opere di Kabeláč, Marko Ivanović, presenta – prima di dirigerlo - i tratti salienti del lavoro (inquadrandoli anche nel difficile periodo storico della composizione, 1957) che mutua dalla classica forma di Passacaglia soprattutto il ritmo incalzante e inesorabile (il Tempo, appunto).

È una specie di viaggio dalla notte dei tempi, con l’inizio in pianissimo. Qualcosa si muove in orchestra, ancora quasi indistinto (clarinetto basso, pizzicato del contrabbasso, arpa, clarinetto, rintocchi di timpano, tappeto di archi) poi flauto e violini fanno emergere una melodia, a lungo reiterata:

…e da qui si snoda il lungo, mirabile e continuo peregrinare nel tempo – con l’ingresso progressivo di tutti gli strumenti, il caricarsi del volume di suono, le numerose modulazioni e il sovrapporsi di ritmi diversi ma sempre sulla base stabile della Passacaglia – caratterizzato da successive ondate sonore, a sfondo ora lirico, ora marziale, ora persino guerresco (le ere geologiche? o l’attitudine dell’Uomo nel tempo?) culminanti in altrettanti climax (l'ultimo dei quali rappresenta forse il nostro presente?) per poi spegnersi lentamente, spostando il nostro sguardo verso il più remoto futuro (chissà, forse l’eternità?) con il ritorno all’iniziale motivo in pianissimo

Insomma, una narrativa coinvolgente, che ci guida in un viaggio davvero straordinario… almeno così mi piace immaginarlo e viverlo. E Boreyko e l’Orchestra ce lo hanno trasmesso in tutta la sua accattivante ballezza.

Poi il Direttore, per salutare e ringraziare l’Orchestra al termine della sua residenza qui (ma speriamo sia un arrivederci e non un addio) ci ha proposto un’autentica primizia: la trascrizione per orchestra di una paginetta di poche battute che Wagner scrisse a Palermo come dedica del Parsifal alla sua Cosima: L’Ultima Composizione.
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Ha chiuso la serata il Secondo Concerto per pianoforte di Brahms, interpretato dal 38enne ukraino Vadym Kholodenko.

[Fra meno di un mese saranno trascorsi 8 anni da quel terribile 17 marzo del 2016 quando il trentenne Vadym, a Benbrook (Fort Worth, Texas) passando da casa della moglie divorziata per prendere le due figliolette di 1 e 5 anni, le trovò prive di vita, con la madre in stato di palese shock e ferite da arma da taglio. La madre fu poi formalmente incriminata per la morte delle piccole (per soffocamento) ma tornò libera in quanto dichiarata inferma di mente al momento del delitto. Una storia davvero emblematica dei rapporti fra russi e ukraini: Vadym nasce a Kiev nell’86, fa gli studi a Mosca dove ottiene i primi successi, sposa una russa (Sofya) e con lei si sposta in USA, dove vince premi (2013 a Fort Worth, appunto) e diventa famoso; ha due figlie, ma il matrimonio va a rotoli e finisce in catastrofe; torna in Europa, sposa un’altra russa (Alena, violinista) e si stabilisce con lei in Lussemburgo, dove risiede tuttora. Poi l’altra tragedia, l’invasione di Putin, che non può non aver turbato il rapporto fra i due, legati alla Russia per nascita (lei) e per… carriera (lui). Ma chissà, forse sono proprio l’arte e la musica a fornire ai due un rifugio da queste miserie.]

Dunque, Brahms al culmine dell’epopea classico-romantica e come propulsore del tardo-romanticismo: ne sono testimonianza le primissime battute del Concerto: l’attacco dei corni (salita tonica-sopratonica-mediante) che richiama quello del weberiano Oberon; e poi il controsoggetto del primo tema, che Mahler (vicino anche materialmente a Brahms negli anni di Hamburg) mutuò nel finale della sua Auferstehung… (Qui una mia sommaria esegesi dell’opera).

Kholodenko ha ormai questo Concerto stabilmente in repertorio (lo ha eseguito in passato anche recente con Currentzis e da pochissimo a Baden-Baden con Ivan Fischer) e anche qui ha fatto valere la sua tecnica sopraffina, coniugata col rigore esecutivo dovuto a questo Brahms, il che non significa pesantezza, magniloquenza e pura cerebralità, anzi: ne esce un Brahms pienamente cosciente del suo magistero, nell’arte pianistica come nell’impiego sapiente dell’orchestra, che Boreyko ha mantenuto sempre in piena sintonia con il solista.

Il pubblico dell’Auditoriium (pur scarseggiante, stante il tempo da lupi calato su Milano) lo ha accolto con grandissimo calore. E lui ci ha così premiato con Beethoven: la terza delle Bagatelle op,33, in FA maggiore.

17 febbraio, 2024

L’Orchestra Sinfonica Giovanile di Milano con Tjeknavorian

Nel giorno libero fra le due esecuzioni del concerto della stagione principale, Emmanuel Tjeknavorian ha pensato bene di dare una mano anche alla crescita della Sinfonica Giovanile (già passata al vaglio lo scorso dicembre da Treviño) dirigendo un bel concerto di musiche boeme.

Abbiamo così ascoltato la famosissima Moldava, che Smetana incluse come secondo poema sinfonico nel ciclo dei sei che costituiscono La mia Patria. La Moldava è in effetti il fiume simbolo della Boemia, che attraversa da sud a nord, sfociando nella più piccola Elbe (poco sopra Praga) alla quale lascia però cavallerescamente il nome per i restanti 600 Km che ancora separano il fiume dalla foce presso Amburgo, dopo aver attraversato mezza Germania. In poco più di 150 Km in linea d’aria (fra sorgente e foce) la Moldava compie un percorso di ben 430 Km, il che rende bene l’idea della sua importanza per quei territori.

Dopo che flauti e clarinetti (Allegro commodo non agitato, 6/8) hanno evocato le due sorgenti del fiume, ecco negli archi il famoso tema principale in MI minore (che viene dall’Italia e compare anche nell’inno nazionale d’Israele) che poi ci porta in DO e FA maggiore attraverso una caccia nei boschi, poi (L’istesso tempo, ma moderato, 2/4, SOL maggiore) ad una festa di nozze di contadini; quindi, modulando a LAb maggiore ad una danza notturna di ninfe, in 4/4; dopo un passaggio in MI maggiore, ritorna in MI minore, 6/8, il tema principale del fiume, che poi si getta - con diverse modulazioni di tonalità - nei gorghi e nelle rapide di SanGiovanni; riecco (Più moto) la Moldava nel poderoso procedere delle acque (ritorno del tema principale in MI maggiore) e poi si sale su a nord fino a passare ai piedi del mitico castello di Vyšehrad, che riconosciamo musicalmente dalla comparsa del suo tema, protagonista dell’omonimo primo poema del ciclo, che ci accompagna... alla foce.

A proposito ribadisco un mio auspicio: che laVerdi metta in cantiere l’esecuzione integrale del ciclo, che merita un concerto tutto per sé… magari diretto da Tjeknavorian, visto come ha saputo interpretare questa partitura, che mescola visioni paesaggistiche e di bellezze naturali a nobili contenuti storici e patriottici.

L’Orchestra, grazie anche alla presenza di alcuni tutor che militano in quella principale (la spalla Dellingshausen in testa) ha risposto benissimo al gesto essenziale ma efficace del Direttore. Bravissime in particolare le quattro flautiste/clarinettiste ad evocare ora i gorgoglii, ora le rapide del grande fiume. Applausi per tutti.
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Ha poi chiuso il pomeriggio la penultima sinfonia di Dvořák, l’Ottava, che ha poco da invidiare alla celeberrima che venne dal nuovo mondo… (Qui alcune mie note scritte in occasione di una precedente esecuzione di Xian, e basate su una registrazione del venerabile Kubelik).

Pubblico assai folto (non proprio come ieri, ma fuori impazzava il carnevale…) che ha subito applaudito l’Allegro con brio, e poi ha premiato tutti alla fine con lunghi applausi e l’ormai consueto rituale dei battimani ritmati in onore del Direttore, che evidentemente sta entrando in piena sintonia con i musicisti (senior e junior) ma anche con il pubblico. E che, a questo punto, siamo ansiosi di rivedere e riascoltare (salvo sorprese estive…) a settembre!