Modernità
e tradizione caratterizzano il Concerto di questa settimana, che vede il
ritorno sul podio del Direttore Residente Andrey Boreyko.
La modernità è
rappresentata da Mysterium času (Il mistero del tempo) Passacaglia
per orchestra di Miloslav Kabeláč, compositore ceco rimasto piuttosto
in ombra a causa di un ostracismo di fatto, impostogli
a suo tempo dal regime instaurato in Cecoslovacchia dall’URSS alla fine della
WWII, che non vedeva di buon occhio artisti non allineati ai dettami del
realismo socialista. Le purghe di Stalin erano acqua
passata, ma anche Brezhnev non andava tanto per il sottile (come dimostrò nel’68
soffocando con i carri armati la Primavera di Praga…) e così il
compositore, forte dell’autorevolezza acquisita fin da prima della guerra, cercò
in qualche modo di barcamenarsi (un po’ come Shostakovich in Russia, per dire) in
un instabile equilibrio tra libertà di espressione artistica e vincoli imposti
dal regime.
È una specie di viaggio dalla notte dei
tempi, con l’inizio in pianissimo. Qualcosa si muove in orchestra,
ancora quasi indistinto (clarinetto basso, pizzicato del contrabbasso, arpa,
clarinetto, rintocchi di timpano, tappeto di archi) poi flauto e violini fanno emergere una
melodia, a lungo reiterata:
…e da qui si snoda il lungo, mirabile e continuo peregrinare nel tempo – con l’ingresso progressivo di tutti gli strumenti, il caricarsi del volume di suono, le numerose modulazioni e il sovrapporsi di ritmi diversi ma sempre sulla base stabile della Passacaglia – caratterizzato da successive ondate sonore, a sfondo ora lirico, ora marziale, ora persino guerresco (le ere geologiche? o l’attitudine dell’Uomo nel tempo?) culminanti in altrettanti climax (l'ultimo dei quali rappresenta forse il nostro presente?) per poi spegnersi lentamente, spostando il nostro sguardo verso il più remoto futuro (chissà, forse l’eternità?) con il ritorno all’iniziale motivo in pianissimo.
Insomma, una narrativa coinvolgente,
che ci guida in un viaggio davvero straordinario… almeno così mi piace
immaginarlo e viverlo. E Boreyko e l’Orchestra ce lo hanno trasmesso in tutta
la sua accattivante ballezza.
Ha chiuso la serata il Secondo
Concerto per pianoforte di Brahms, interpretato dal 38enne
ukraino Vadym Kholodenko.
[Fra meno di un mese saranno trascorsi 8
anni da quel terribile 17 marzo del 2016 quando il trentenne Vadym, a Benbrook
(Fort Worth, Texas) passando da casa della moglie divorziata per prendere le
due figliolette di 1 e 5 anni, le trovò prive di vita, con la madre in stato di
palese shock e ferite da arma da taglio. La madre fu poi formalmente incriminata
per la morte delle piccole (per soffocamento) ma tornò libera in quanto
dichiarata inferma di mente al momento del delitto. Una storia davvero
emblematica dei rapporti fra russi e ukraini: Vadym nasce a Kiev nell’86, fa
gli studi a Mosca dove ottiene i primi successi, sposa una russa (Sofya) e con
lei si sposta in USA, dove vince premi (2013 a Fort Worth, appunto) e diventa
famoso; ha due figlie, ma il matrimonio va a rotoli e finisce in catastrofe;
torna in Europa, sposa un’altra russa (Alena, violinista) e si stabilisce con
lei in Lussemburgo, dove risiede tuttora. Poi l’altra tragedia, l’invasione di
Putin, che non può non aver turbato il rapporto fra i due, legati alla Russia
per nascita (lei) e per… carriera (lui). Ma chissà, forse sono proprio l’arte e
la musica a fornire ai due un rifugio da queste miserie.]
Dunque, Brahms al culmine dell’epopea classico-romantica
e come propulsore del tardo-romanticismo: ne sono testimonianza le primissime
battute del Concerto: l’attacco dei corni (salita tonica-sopratonica-mediante)
che richiama quello del weberiano Oberon; e poi il controsoggetto del primo
tema, che Mahler (vicino anche materialmente a Brahms negli anni di Hamburg)
mutuò nel finale della sua Auferstehung… (Qui una
mia sommaria esegesi dell’opera).
Kholodenko ha ormai questo
Concerto stabilmente in repertorio (lo ha eseguito in passato anche recente con
Currentzis e da pochissimo a Baden-Baden con Ivan
Fischer)
e anche qui ha fatto valere la sua tecnica sopraffina, coniugata col rigore
esecutivo dovuto a questo Brahms, il che non significa pesantezza,
magniloquenza e pura cerebralità, anzi: ne esce un Brahms pienamente cosciente
del suo magistero, nell’arte pianistica come nell’impiego sapiente dell’orchestra,
che Boreyko ha mantenuto sempre in piena sintonia con il solista.
Il pubblico dell’Auditoriium (pur scarseggiante, stante il tempo da lupi calato su Milano) lo ha accolto con grandissimo calore. E lui ci ha così premiato con Beethoven: la terza delle Bagatelle op,33, in FA maggiore.
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