Il Direttore-violinista Kolja Blacher torna in Auditorium (poco affollato ier sera, forse a causa della fastidiosa pioggia che - finalmente, peraltro! - ha cominciato a cadere su Milano) a poca distanza dalla sua precedente comparsa, ma questa volta senza… violino: il solista della serata è infatti Edgar Moreau, trentenne (fra poche settimane) parigino, cresciuto in una famiglia di musicisti, fra pianoforte e violoncello, strumento quest’ultimo che poi ha deciso di privilegiare per la sua attività artistica.
Ci
ha presentato il Secondo Concerto di Haydn. La cui
paternità fu messa in dubbio per molto tempo nell’800, finchè non si ritrovò il
manoscritto originale che ridiede ad Haydn ciò che gli spettava.
Concerto, questo in RE maggiore, del 1783 (posteriore di 18 anni rispetto al Primo, in DO maggiore e ancora legato alla struttura barocca) ricco di interessanti innovazioni che possiamo seguire (vedi Appendice) in una registrazione del grande Giovanni Sollima al Concertgebouw con Antonini.
Con
Blacher che schiera un’orchestra opportunamente ridotta all’osso, Moreau ce lo
porge con mirabile tecnica e sfoggio di virtuosismi, compresa la lunga e
difficile cadenza del primo movimento (…poi però ci nega quella del terzo,
evabbè).
È quella di mezzo, delle tre sinfonie
del destino, come si potrebbero chiamare la 4, 5 e 6. Ciajkovski stesso
pare che non ne fosse contento e l’avesse definita addirittura insincera…
E forse aveva ragione, ma allora che dire della Quarta? (Il
cui programma, comunicato per lettera alla sua mecenate vonMeck, sa molto
di affettazione e, appunto, se ne può mettere in discussione la sincerità.) Insomma, la vera
sinfonia del destino è forse solo l’ultima, perché composta proprio in vista della fine
che Ciajkovski sentiva approssimarsi giorno dopo giorno. E contro la quale a
nulla sarebbero valse le disperate perorazioni che chiudono, in uno
sforzatissimo, martellante (e insincero?) maggiore, le due sinfonie precedenti.
Ascoltate e guardate come il venerabile Vladimir
Delman (un assoluto specialista di Ciajkovski) descrive l’ultimo movimento
della Quinta e in particolare poi la
tremenda coda finale (!?) Viene alla mente un giudizio attribuito (in
privato…) a Shostakovich a proposito dell’esageratamente trionfalistica
conclusione della sua Quinta (la giusta risposta… etc): Il giubilo è
forzato, è frutto di costrizione: è come se qualcuno ti picchiasse con un
bastone e intanto ti ripetesse: "II tuo dovere è di giubilare, il tuo
dovere è di giubilare" e tu ti rialzi con le ossa rotte, tremando, e
riprendi a marciare, bofonchiando: "II nostro dovere è di giubilare".
Tuttavia i nostri gusti un filino imbarbariti (di contro, pensiamo che a Boston, dopo la prima esecuzione USA della Quinta, un critico la stroncò parlando di orde di Cosacchi!) ci fanno esaltare questa sinfonia, come la Quarta, anche per i due retorici finali; e ascoltando la Patetica spesso c’è qualche sprovveduto che applaude alla fine dell’Allegro molto vivace, immaginando che sia finita lì, in gloria…
Blacher l’ha diretta con il low-profile
che lo contraddistingue, il che non è detto sia un limite, e insomma ne è
sortita un’esecuzione più che dignitosa (sorvoliamo su alcune piccole
défaillances qua e là…)
È aperto (50”) da un Allegro moderato, in forma sonata.
L’iniziale esposizione, di 28 battute, è condotta dai soli archi, che presentano i due temi principali, assai poco contrastanti per la verità: dapprima il Tema-A in RE, poi ripetuto (1’15”) con l’intervento – per terze - dei fiati, che in questo concerto sono limitati ai soli oboi e corni (Antonini ha aggiunto di suo un fagotto con compiti di puro riempitivo). Dopo un breve ponte (1’28”) ecco arrivare (1’38”) il Tema-B nella dominante LA maggiore, che torna rapidamente al RE di impianto, dove riascoltiamo (2’00”) il breve ponte e poi (2’27”) un’ulteriore reiterazione dell’incipit del Tema-A.
Ecco quindi arrivato il momento del solista (2’38”) per la ri-esposizione del Tema-A con qualche abbellimento, tema ripreso (3’02”) dall’orchestra e poi sviluppato a lungo dal violoncello con brillanti virtuosismi. L’orchestra (3’47”) si assesta sul LA maggiore per l’intervento del solista (3’58”) che ri-espone il Tema-B.
Inizia ora (4’37”) uno sviluppo di notevoli proporzioni e di articolazione assai complessa e innovativa. È il solista che lo introduce, sempre in LA maggiore, con una specie di cadenza che sfocia (5’23”) nell’esposizione di un nuovo Motivo-C. Altra sorpresa (5’47”) con il Tema-A portato arditamente in LA maggiore dall’orchestra, che poi ripete (6’17”) il Motivo-C. Il Tema-A viene ancora reiterato (6’44”) dal solista, sempre in LA maggiore.
Ora ecco un improvviso abbrunamento dell’atmosfera, che vira (7’07”) al MI minore. Il solista (7’34”) inizia un lungo passaggio, sommessamente supportato dall’orchestra, dapprima transitando fugacemente dal DO maggiore per poi scendere al SI minore, relativa del RE maggiore con il quale intercala i suoi virtuosismi.
Finalmente (9’07”) il SI minore lascia il posto al RE maggiore sul quale l’orchestra introduce (9’37”) la ripresa, aperta con il solista che espone il Tema-A, subito reiterato (10’01”) dall’orchestra.
Torna poi (10’42”) il solista con il Tema-B, ora trasferitosi - come da sacri canoni - al RE maggiore di impianto. Solista e orchestra dialogano a lungo, poi insieme preparano (11’52”) il terreno per l’immancabile cadenza solistica (12’50”) assai ricca di virtuosismi. Chiude il movimento (14’14”) una coda basata sul Tema-A.
Il movimento centrale è un breve Adagio, in LA maggiore, monotematico.
L’attacco del tema (15’16”, classiche 8 battute in 2/4) è direttamente mutuato dalle tre note che chiudono la frase iniziale del Tema-A del primo movimento. Dopo la prima esposizione del solista, il tema viene chiuso e subito ribadito (15’52”) dalla sola orchestra. Il violoncello propone poi (16’26”) un primo intermezzo di 15 battute, dove la melodia vira verso la dominante MI maggiore.
Ora (17’34”) è ancora il solista a riproporre il tema principale in LA maggiore, impreziosito da delicati abbellimenti e chiuso inopinatamente dall’orchestra con un brusco passaggio a LA minore e successiva fermata sulla dominante MI. Che diviene mediante di DO maggiore, la tonalità sulla quale il violoncello propone ora (18’25”) il secondo intermezzo, una delicata melodia di 10 battute, chiusa ancora sul MI.
Che torna dominante del LA maggiore per l’arrivo (19’16”) della terza ed ultima esposizione del tema principale, chiuso dall’orchestra con la classica preparazione della finale cadenza solistica (20’05”). Tre battute degli archi (20’53) chiudono sommessamente il movimento.
Si torna al RE maggiore (Allegro in 6/8) per il conclusivo Rondo.
Il ritornello del Rondo è un tema di gioiosa danza campestre, intonato subito (21’14”) dal solista accompagnato dagli archi e poi ripreso (21’26) con l’intervento dei fiati. Ecco ora (21’35”) il primo episodio, assai breve, che dal RE modula alla dominante LA maggiore e vede il solista impegnato in veloci sestine di semicrome, per poi preparare il RE del ritornello (21’58”) che viene riproposto praticamente come alla prima comparsa.
Il secondo episodio (22’19”) è ancora in LA maggiore, assai più corposo, con il solista impegnato ancora in veloci sestine, poi (22’29”) su un motivo in corda doppia, ancora (22’34”) su un lungo passaggio in terzine che culmina (23’32”) con il ritorno a RE maggiore e al ritornello.
Il quale, dopo l’esposizione del solista, viene ripreso (23’41”) dall’orchestra sorprendentemente in RE minore, e poi (24’04”) ulteriormente sviluppato in una melodia in corda doppia del solista nella relativa FA maggiore. Altro passaggio virtuosistico (24’17”) del violoncello con ripresa (24’30”) della precedente melodia, che porta (25’00”) alla cadenza.
Cadenza che si incarica di riportare la tonalità (25’45”) al RE maggiore per l’ultima esposizione completa del ritornello. La coda del Concerto (26’06”) vede ancora il tema principale apparire due volte nei fiati, prima del brillante epilogo.
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