Simon Boccanegra: opera di vecchi, per vecchi? Certo persino un adulto (non
dico poi un adolescente) può faticare ad emozionarsi per le vicissitudini di un
padre e di un nonno! Roba giurassica. E per di più quando i due sono
genero e suocero!
Ah, Verdi aveva 44 anni quando compose la prima versione del Simone, e sulle spalle portava già da tempo i pesanti segni delle sventure che la vita (magari più prima che poi, come nel suo caso) immancabilmente riserva a tutti.
E quindi la tinta (Verdi’s copyright) dell’opera è ammantata di cupezza e pessimismo, se ai problemi personali e privati dei protagonisti si aggiungono anche gli intrighi di palazzo e le smanie di potere in un ambiente ancora medievale e oscurantista.
Certo, i suoni poi li devono materialmente emettere gli strumenti cui danno anima gli strumentisti… e l’Orchestra scaligera ha magnificamente assolto il suo compito con una prestazione impeccabile. Faccio un unico esempio per tutti: la grande cavata in FA maggiore dei violini che accompagna l’epilogo del duetto Simone-Amelia del primo atto. Una cosa a dir poco sbudellante… [A proposito, Meyer in apertura ha voluto ringraziare gli strumentisti in buca e pure quelli non presenti ieri per il premio ricevuto nei giorni scorsi: la miglior orchestra d’opera oggi sul pianeta!]
Dato poi a Malazzi ciò che è… suo (il Coro in grande quanto solito spolvero) vengo alle voci.
Luca Salsi è ormai quasi stabilmente il baritono di riferimento per la Scala: qui vi ha portato il ruolo di Simone, non nuovo per lui, nel quale si è destreggiato con la consueta maestria. Nella tragicità del suo animo tormentato, come negli slanci di amor paterno e nelle colossali perorazioni pubbliche: insomma, un Simone più che positivo… ma forse non il Simone di riferimento.
Ain Anger è stato un (non aspirante, nel libretto, ma alla fine convinto) suocero per me non disprezzabile (salvo qualche acuto vociferante). Però ha preso esclusivamente su di sé le rimostranze di qualche purista che lo ha sonoramente buato alla fine.
L’Amelia-Maria
di Eleonora Buratto ha ben meritato, calandosi alla perfezione nella
parte di questa bistrattata orfanella: brava nel passare dall’ingenuità e
timorosità della ragazza cresciuta senza una famiglia, al coraggio di
rivendicare il suo amore fino a diventare il catalizzatore della finale e
generale riconciliazione. Il tutto supportato dalla sua voce pura sì come angelo, si potrebbe dire...
Adorno è Charles
Castronovo, figlio di emigrati italiani in USA, già interprete del ruolo a
Salzbug (2018) insieme a Salsi e sotto la bacchetta di Gergiev: definirei la
sua un’interpretazione più che dignitosa, ecco, ma… non molto di più,
almeno sul piano strettamente vocale (la voce è squillante, ma negli acuti si
ingola pericolosamente). Bene invece ha fatto come attore, interprete di questo
ruolo per nulla semplice, perchè caratterizzato da slanci amorosi e da furenti
rancori.
Buone notizie
da Roberto De Candia, che ci restituisce efficacemente lo sbifido Paolo
Albiani, assatanato per il potere e per il possesso (della… gnocca!) Da
ricordare i suoi ripetuti sfoghi contro Simone.
Ma anche piccoli dettagli, fra i quali ne segnalo uno: l’avvelenamento. Come in Strehler, anche qui Paolo versa il veleno nella tazza di Simone facendosi… aiutare da un inserviente (là femmina, qui maschio) che gliela reca su un vassoio…
Efficace mi è parsa la recitazione suggerita ai personaggi. Complessivamente una regìa onesta e corretta, senza invenzioni ardite o discutibili ri-ambientazioni. Alla fine lui e il suo team (Angelo Linzalata per le scene, Nanà Cecci ai costumi, Alessandro Carletti alle luci e Simona Bucci per la coreografia delle sommosse) sono stati accolti da moderati consensi.
A parte il malcapitato Anger, per tutti applausi calorosi (ma non proprio un tifo da stadio, ecco). Personalmente la definirei nel complesso una proposta seria e onesta, meritevole di ampia sufficienza.
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