affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

02 novembre, 2022

Uno Shakespeare moderno in arrivo alla Scala

Dopo 18 anni dalla sua prima londinese arriva al Piermarini The Tempest, seconda delle tre (per ora) opere teatrali di Thomas Adès, questo albionico (ex-)enfant-prodige che cumula attività di composizione, direzione d’orchestra e solista al pianoforte.

La produzione che viene presentata qui è quella del 2012 al MET (della quale sopravvivono 4 degli 11 interpreti) diretta da Robert Lepage, che chiunque può godersi (con settaggio dei sottotitoli in italiano!) su youtube. Coerentemente con la provenienza milanese del protagonista (Prospero) l’ambientazione (primo e terzo atto) è precisamente dentro il Piermarini!   

Il libretto dell’australiana Meredith Oakes si mantiene sufficientemente fedele all’originale shakespeariano, peraltro con comprensibili deviazioni, sia sul piano del plot che su quello della caratterizzazione dei personaggi. 

Adès da parte sua esibisce un opportuno (o opportunistico?) sincretismo musicale che accontenta un po’ tutti i palati. Ecco gli ingredienti di un lavoro che sta ottenendo successi di pubblico e critica in giro per il mondo. In una pregevole esegesi musicale dell’opera, comparsa sul n°222 della rivista L’Avant-Scène Opéra (settembre 2004) Hélène Cao individua una cellula musicale di base, con relative varianti, che funge da faro nell’intera opera, garantendole una solida coerenza formale.
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Non ci resta che prepararci a vivere di persona lo spettacolo esplorando la citata registrazione del MET.

Atto I

2’50” Scena 1.  Il Preludio orchestrale (con Ariel svolazzante) evoca, attraverso folate ascendenti e discendenti, quali poderose ondate che sballottano il vascello dei napoletani, la tempesta scatenata da Prospero e si chiude con l’ingresso del Coro dei naufraghi (la Corte di Napoli più Antonio) terrorizzati e destinati a morte certa.

Da qui fino alla fine dell’atto la scena sarà occupata da Prospero, che incontra oppure si limita ad osservare altri personaggi.

6’10” Scena 2. Miranda ha assistito al naufragio (si odono ancora le imprecazioni dei naufraghi); sospetta che sia opera del padre e non si capacita delle ragioni che lo hanno spinto ad un simile atto. Prospero allora (8’17”) le racconta il suo passato di Duca di Milano, spodestato dal fratello usurpatore Antonio alleatosi con il Regno di Napoli (sullo sfondo compaiono Antonio, il Re di Napoli e il fratello Sebastian). Dopo una maledizione sulla corrotta Napoli (10’13”) Prospero si abbandona (10’28”) ad uno straziante ricordo di Milano e aggiunge che solo un amico, il Consigliere Gonzalo (che appare a sua volta sullo sfondo) lo aiutò a fuggire su una zattera e a rifugiarsi con lei su quell’isola deserta. Ancora non si capacita (13’30”) di come il fratello abbia potuto fargli quell’intollerabile torto. Miranda rimane turbata, e con un’aria in 5 strofe (15’04”) ricorda i bei giorni passati in quel posto idilliaco, ma non comprende ancora le ragioni del gesto del padre. Il quale (16’17”) la addormenta, cantandole una specie di dolce ninna-nanna. Poi, staccando un SOL acuto, chiama Ariel.

17’14” Scena 3.  Ariel arriva tosto e, con un canto spiritato (un’aria di 6 quartine e mezza, che sfocia in un duetto con Prospero) ragguaglia il padrone sulle condizioni dei naufraghi: hanno avuto il meritato castigo. Ma Prospero (18’32”) gli ordina di salvare tutti e rimetterli in sesto come nulla fosse accaduto. Lui si ripromette poi di osservarli, senza esser visto. Ariel corre subito ad eseguire.

20’42” Scena 4. Ora è il turno dell’aborigeno Caliban ad occupare la scena – augurando la morte a Prospero - dopo aver assistito al prodigio compiuto dal padrone, del quale vorrebbe conoscere i segreti e a cui poi rinfaccia ingratitudine e odio: con un canto dal cromatismo esasperato (21’30”) lui, Caliban, figlio della Regina Sycorax, dichiara di essere stato il signore dell’isola, ma di essere ora ridotto praticamente in schiavitù, dopo aver aiutato Prospero al suo arrivo. Ha allevato anche lui la piccola Miranda, dalla quale sognava di avere tanti… calibanini. Prospero (23’35”) perde la pazienza e lo liquida minacciandogli pene ancor peggiori, se continuasse a molestare la figlia.

24’50” Scena 5. Ariel ritorna e assicura Prospero che tutti i napoletani sono sani e salvi a terra, addormentati. Prospero chiede che Ferdinand (figlio del Re di Napoli) sia portato al suo cospetto, per far in modo che i napoletani lo considerino morto (e godere del loro dolore…) Ariel cerca di approfittare dell’occasione per chiedere di essere finalmente liberato dalla schiavitù in cui Prospero l’aveva un tempo ridotto; ma Prospero – ingaggiando con lui un concitato duetto - è inflessibile e ordina allo spirito di cantare all’orecchio di Ferdinand per risvegliarlo e portarglielo lì. Ariel (28’03”) intona un’aria su una mesta melodia, annunciando al giovane la morte del padre, il cui corpo ora giace su un fondale, trasformato in corallo. Ferdinand si sveglia e compare lì, vicino a Miranda tuttora addormentata, mentre Prospero e Ariel osservano non visti.

30’48 Scena 6. Ferdinand ricorda il sogno che lo ha risvegliato (la morte del padre) ma è subito attirato (ed esaltato, arrivando al DO sovracuto) dalla visione di Miranda dormiente. Lei a sua volta (32’32”) si risveglia e subito nasce fra i due giovani una reciproca curiosità che sfocia in appassionata attrazione. Prospero (33’23”) comincia a pensare che la figlia sia perduta per lui e, quando Ferdinand promette a Miranda il Regno di Napoli, irrompe fra i due (34’03”) e rivela al giovane l’oltraggio subito da parte (anche) di suo padre. Ferdinand dice di non saperne nulla e Miranda (in un concitato terzetto) supplica il padre, che lo ha disarmato e quasi paralizzato, di non rivalersi su di lui. Ferdinand si dice disposto ad accettare qualunque privazione pur di poter avere al suo fianco Miranda. Prospero (37’09”) non sente ragioni, lo tiene comunque prigioniero; poi si fa accompagnare da Ariel presso i naufraghi. Ariel sfoga - con il suo caratteristico squittire - il suo rancore contro tutti gli umani.

Atto II

38’05” Scena 1. Preludio dal sapore marino (à-la-Britten, sappiamo quanto Adès sia di casa ad Aldeburgh). I naufraghi si sono risvegliati intatti, come nulla fosse accaduto: pensano ad un miracolo. Stefano e Trinculo (40’50”) servo e buffone di corte, perennemente brilli, raccontano come si sono salvati, a dispetto delle bevute e conseguenti ubriacature. Prospero e Ariel (42’17”) osservano nascosti e Ariel è incaricato di gettare zizzania fra i cortigiani. Antonio (43’03”) constata che son tutti salvi, ma Sebastian osserva che manca Ferdinand! Il Re è disperato, e Gonzalo cerca di confortarlo, fiducioso che il principe potrà essere rintracciato. Antonio a sua volta infonde ottimismo, ma Ariel (44’37”) facendo la voce di Sebastian, gli dà del bugiardo, così aizzandogli contro il Re, lo stesso Sebastian e la Corte. Lui invano cerca di difendersi, ricordando che è grazie a lui se loro vivono nell’agio. Il Re (46’29”) lamenta ancora la perdita del figlio e Antonio ancora lo rassicura, ma Ariel gli dà del pazzo, poi offende in sua voce i cortigiani, così Antonio rischia addirittura il linciaggio. Ma (49’09”) arriva Caliban.

49’13” Scena 2. Il selvaggio apprezza l’eleganza dei cortigiani e soprattutto l’alcool che Stefano e Trinculo gli offrono in abbondanza, prendendosi gioco di lui. Che si offre di guidare i cortigiani alla scoperta dell’isola. Ariel spaventa tutti con grida altissime. Caliban avverte con un’aria (53’23”) che ci sono fantasmi e voci in giro per l’isola. Gonzalo (55’36”) gli chiede della tempesta e come poter ritrovare il principe. Caliban svela che sua madre aveva poteri stregoneschi, ma mai quanti il suo padrone, che ha ucciso il loro Principe e il cui nome Prospero (58’24”) gli impedisce di rivelare. Gonzalo (59’19”) seda un ennesimo scontro fra Antonio e Sebastian e ancora si proclama ottimista sulla possibilità di ritrovare Ferdinand vivo, mentre il Re ha ormai perso ogni speranza. Mentre Gonzalo invita tutti a proseguire le ricerche, Prospero (1h03’07”) augura loro – raggiungendo il SOL acuto - di girare a vuoto fino ad impazzire: allora finalmente conosceranno il suo nome.

1h03’58” Scena 3. Stefano e Trinculo vagano soli sull’isola, ubriachi. Incontrano Caliban (1h05’01”) che propone un’alleanza fra loro per spodestare il suo padrone. Poi potranno regnare e avere in sposa la bella figlia del tiranno (ma questo è un bel tranello per i due ingenui…).

1h06’50” Scena 4. Siamo ad un fine atto tradizionale: un duetto fra due amanti! Ferdinand lamenta la sua condizione di prigionia: solo la giovane donna incontrata su un’isola remota gli porta un po’ di conforto. Miranda (1h09’31”) si avvicina, gli rivela il suo nome, poi lo libera dalle catene: i due ora cantano insieme! Prospero (1h14’34”) si rassegna: ha perso sua figlia, non ha più alcun potere sui di lei.

Atto III

1h16’40” Scena 1. Preludio orchestrale cupo e mesto, culminante in accordi dissonanti. Ecco arrivare i tre ubriaconi: è Caliban (1h18’35”) che conduce Stefano e Trinculo verso Prospero, spingendoli ad uccidere il suo padrone, illudendo entrambi di impalmare Miranda per poi – questo ha architettato la sua mente - liberarsi anche di loro e tornare così signore dell’isola. Un terzetto davvero grottesco, quello cui assistiamo. 

1h20’44” Scena 2. E a cui assistono anche Ariel e Prospero, il quale - perduta Miranda - si informa dallo spiritello sulla sorte della Corte di Napoli. Ariel, che invano pretende la libertà, narra con il suo canto spiritato di come siano distrutti dal lungo e accidentato cammino che lui gli ha imposto. Essi arrivano (1h22’25”) stremati, temono di aver perduto Ferdinand; Sebastian se la prende con Gonzalo (che ha le ossa rotte) accusandolo di averli fatti camminare in quel modo, e per di piu invano. Il Re (1h23’59”) non si dà pace per la perdita del figlio; quindi, deludendo il fratello, nomina reggente Gonzalo, il quale invita tutti a riposarsi nel sonno. Cosa che fanno, col che Antonio (1h25’25”) aizza contro il sovrano il fratello Sebastian, suggerendogli di uccidere il Re mentre tutti stanno dormendo. Il proposito, cantato a due voci dai traditori, è però scoperto da Ariel (1h26’59”) che sveglia Gonzalo e così il golpe è sventato. Prospero (1h27’30”) constata che i suoi nemici non sono cambiati ed ordina ad Ariel di punirli ulteriormente. Ariel (1h28’08”) in un’atmosfera irreale e davvero magica fa comparire un gran banchetto, che dà modo a Gonzalo (1h30’46”) di fare – con un solenne declamato - l’elogio di quella specie di terra di Bengodi, dove regnano felicità e armonia. Ma appena i commensali si siedono per mangiare (1h33’02”) ecco Ariel prendere la forma di una spaventosa arpia e far sparire tutto, rinfacciando poi ai napoletani e ad Antonio il trattamento da loro riservato in passato a Prospero; trattamento che ora toccherà a loro di subire. Spaventati, i napoletani (1h34’30”) sentono vicino il castigo (che Gonzalo ammette essere meritato) e fuggono. Prospero (1h35’49”) constata mestamente che tutta la sua magia, tutto il suo potere sulla natura non sono serviti a nulla: per lui e per tutti c’è solo l’inferno.

1h37’43” Scena 3. Miranda e Ferdinand annunciano a Prospero la loro unione. Ma Prospero non ne è felice, chiede perdono e lascia ad Ariel – nel classico quanto striminzito intermezzo masque (1h39’04”) - il compito di mostrare ai due giovani il loro radioso futuro, poi lo fa scomparire. Ferdinand comprende che suo padre è vivo e potrà rivederlo. Arriva Caliban (1h41’54”) con Trinculo e Stefano, ai quali ordina di uccidere Prospero: lui avrà da Miranda tanti figli calibani. Lei non sembra d’accordo (1h42’56”) e Prospero (1h43’38”) lo disprezza e lo fa scomparire, insieme ai due ubriachi. Poi richiama Ariel e gli chiede del Re: lo spirito (1h44’25”) descrive il dolore del sovrano e anche di Antonio, che forse meritano ora il perdono. Prospero si prepara a concederlo e poi a liberare definitivamente Ariel.  

1h46’45” Scena 4. Arrivano i reali di Napoli, trascinandosi penosamente. Qui attacca una lunga passacaglia che accompagna dapprima l’accoglienza che Prospero riserva agli ex-nemici, annunciando la fine delle loro sofferenze; e poi (1h47’18”) rivela il suo nome, destando grande sorpresa in tutti, Antonio in particolare. Il Re (1h47’32”) manifesta il suo pentimento, riconosce di aver meritato come castigo la morte del figlio e chiede almeno di vederne il cadavere. Prospero (1h48’25”) gli annuncia che suo figlio è vivo! E Ferdinand, insieme a Miranda, compare e riabbraccia il padre. Nasce un concertato dove si celebra la riconciliazione generale, mentre arriva tutta la Corte che si aggiunge al giubilo, scorgendo il vascello come nuovo che li riporterà in patria. Prospero (1h53’21”) chiede ad Ariel un ultimo sforzo: riportare lì anche Stefano e Trinculo. Tocca a Gonzalo (1h54’01”) guidare la Corte nel ringraziamento agli dei per il lieto fine di quella terribile storia. Prospero annuncia (1h54’43”) che li accompagnerà a Napoli, per celebrare degnamente il matrimonio di Miranda e Ferdinand, che sancirà l’inizio di un nuovo mondo. Antonio (1h55’09”) che pensava di aver eliminato Prospero, ammette ora la sua inferiorità. Prospero rompe la sua bacchetta magica e dichiara il compimento della sua missione: vorrebbe trattenere Ariel, ma questi se ne va, finalmente libero.

1h58’45” Scena 5. Caliban ricompare: ormai solo, sulla scena vuota, si domanda se non sia stato tutto un sogno. Si ode in lontananza la voce di Ariel.
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Giusto per curiosità, ecco come – 170 anni prima di Adès – un tale Berlioz evocava queste atmosfere shakespeariane… Sabato 5 la prima, poi i commenti.

28 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. 5

Eccoci ad uno degli appuntamenti fissi delle stagioni dell’Orchestra Sinfonica di Milano: il Requiem verdiano. Sul podio il Direttore Emerito Claus Peter Flor, affiancato dal Maestro del Coro Massimo Fiocchi Malaspina. Auditorium affollatissimo e soprattutto popolato di gioventù. Gli orchestrali sfoggiano per l’occasione le nuove livree (puro Made-in-Italy) che indosseranno anche nell’imminente tournée in Olanda e Spagna, dove proporranno proprio il Requiem.

Grande prestazione di tutti, a partire dal Coro, invero perfetto, ma anche dei quattro solisti, veramente all’altezza dell’impegnativo compito: alle due super-collaudate voci femminili (Carmela Remigio e Anna Bonitatibus) si sono affiancati due giovani ormai più che promesse: il tenore Valentino Buzza (voce mozartiana/vivaldiana, chiara e squillante) e il basso Fabrizio Beggi, che ha sfoggiato potenza e varietà di accenti.

Quanto all’Orchestra, possiamo soltanto ringraziarla per la maiuscola prestazione, autorevolmente guidata dal redivivo Flor.

Esalato l'ultimo Libera me... applausi ritmati e ovazioni per tutti!
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Come detto, ora laVerdi (il nome resta sempre nella… tastiera) fa un giro in Europa e tornerà in Largo Mahler il 17 novembre.
 

23 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. Ristretti.1

Una delle novità della programmazione 22-23 dell’Orchestra Sinfonica di Milano è rappresentata da tre concerti, cosiddetti ristretti perché impegnano un organico cameristico della formazione strumentale e hanno durata contenuta; sono affidati a Kolja Blacher, già prestigiosa spalla dei Berliner e da tempo dedicatosi anche alla direzione d’orchestra (è già stato ospite più volte qui all’Auditorium).

I tre concerti si danno di domenica: dopo quello di oggi pomeriggio ne seguirà uno il 12 febbraio e uno il 21 maggio prossimi. Oggi Blacher ci ha proposto un interessante testa-coda: l’ultimo (o quasi, 1945) Strauss a confronto con il primo (o quasi, 1773) Mozart!

Invertendo l’ordine previsto in locandina (lo si era capito subito dalla presenza sul palco dei fiati e dall’assenza di un violoncello e un contrabbasso…) ad aprire il pomeriggio è appunto un 17enne Mozart, reduce dai viaggi in Italia, che compone a Salzburg la sua 25ma Sinfonia, la K183, che ho succintamente esplorato in occasione dell’ultima esecuzione udita qui anni fa, diretta dalla Xian.

Come ulteriore esercizio facciamoci guidare dal venerabile Karl Böhm con i suoi amati Wiener.

I. Allegro con brio (4/4) – Forma-sonata.
34” Esposizione. Dopo le severe 4 battute introduttive, ecco il primo tema in SOL minore.
54” L’introduzione viene qui variata, come ponte verso il secondo tema.
1’22” Secondo tema (prima sezione) in SIb maggiore.
2’10” Secondo tema (seconda sezione) in SIb maggiore.
2’49” Da-capo dell’intera Esposizione.
5’03” Sviluppo.
6’00” Ricapitolazione. Introduzione e primo tema in SOL minore.
6’20” Ponte verso il secondo tema.
6’48” Secondo tema (prima sezione) in SOL minore.
7’40” Secondo tema (seconda sezione) in SOL minore. (Soppresso il da-capo di Sviluppo e Ricapitolazione.)
8’19” Coda, basata sul motivo variato dell’introduzione, più cadenza conclusiva.

II. Andante (2/4) – Struttura A-B con da-capo per entrambe.
8’45” Sezione A. Tema-1 in MIb maggiore.
9’08” Controsoggetto in SIb (minore > maggiore).
9’28” Tema-2 in SIb maggiore.
9’39” Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione A.)
9’52” Sezione B. Variante del Tema-1 (SIb > MIb) in funzione di transizione.   
10’36” Tema-1 in MIb maggiore.
10’58” Controsoggetto in Sib minore > Mib maggiore.
11’39” Tema-2 in MIb maggiore.
11'50" Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione B.)

III. Menuetto (3/4) – Struttura Menuetto-Trio-Menuetto.
12’09” Tema Menuetto (SOL minore).
12’26” Tema Menuetto (da-capo).
12’43” Controsoggetto.
12’55” Tema Menuetto.
13’18” Da-capo (12’43”).
13’53” Trio (SOL maggiore). Sezione A, ripetuta.
14’19” Trio. Sezione B, ripatuta.
15’01” Tema Menuetto (SOL minore).
15’19” Controsoggetto.
15’32” Tema Menuetto.

IV. Allegro (4/4) – Struttura A-B con da-capo per entrambe.
16’00” Sezione A. Primo tema in SOL minore, esposto dagli archi e subito ripetuto a piena orchestra.
16’23” Secondo tema (prima sezione) in SIb maggiore.
16’38” Transizione.
16’59” Secondo tema (seconda sezione) in SIb maggiore.
17’11” Transizione (Primo tema in maggiore).
17’51” Da-capo della Sezione A.
19’40” Sezione B. Fugato sul frammenti del Primo tema.
19’54” Transizione.
20’24” Primo tema (SOL minore) subito ripetuto.
20’46” Secondo tema (prima sezione) in SOL minore.
21’00” Transizione.
21’26” Secondo tema (seconda sezione) in SOL minore.
21’39” Primo tema.
22’18” Coda. (Soppresso il da-capo della Sezione B.)
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Blacher non ci risparmia una sola nota del Teofilo, rispettando meticolosamente tutti i ritornelli previsti in partitura, e di ciò gli dobbiamo essere grati, poiché è musica che non ci si stanca mai di ascoltare e riascoltare. Poi ci mette una gran verve, eseguendo il Menuetto con il piglio riservato solitamente agli Scherzi ottocenteschi!

Ne esce un Mozart invero spumeggiante, che trascina il pubblico (che ha riempito la platea dell’Auditorium) a convintissimi applausi. Da osannare i corni guidati da Ceccarelli.
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La WWII sta per finire (il simpatico terzetto Churchill, Roosevelt e Stalin si è appena riunito a Yalta per spartirsi salomonicamente il mondo) e il quasi ottantunenne Strauss vive ritirato nella splendida villa di Garmisch (meritato frutto dei proventi della sua Salome) a meditare sull'ormai imminente disfatta della Germania, e con essa anche del suo ideale guglielmino, la cui realizzazione aveva (abbastanza opportunisticamente) appaltato a tale Adolf Hitler. Il 13 marzo del 1945 – precisamente all'indomani del bombardamento dell'Opera di Vienna - verga le prime note di Metamorphosen, che sta rimuginando da qualche tempo, nach Goethe. Le ultime le scrive in partitura esattamente un mese dopo, giovedi 12 aprile (proprio mentre gli occupanti sovietici entrano in Berlino e Roosevelt trasloca presso il creatore); ci infila, nei righi dei violoncelli 3-4-5 e dei tre contrabbassi, una citazione letterale della marcia funebre dell'Eroica, aggiungendovi sotto il motto In memoriam!


Non l'avesse mai fatto! Un azzeccagarbugli olandese - stando a Bruno Walter, che ne raccolse l'indignazione – ci troverà un'analogia con Napoleone, dedicatario originale della terza, e dichiarerà quindi trattarsi di un anticipato epitaffio a Hitler (a quel tempo ormai asserragliato nel suo bunker, dove si preparava a festeggiare con qualche piccolo grattacapo il 56° compleanno) e quindi da bandirsi come apologia del nazismo (?!)

Pochi giorni dopo, precisamente nelle stesse ore del 30 aprile in cui il Führer si decide a togliere il disturbo, a Garmisch arrivano gli occupanti americani per requisirgli la villa: salvata questa per puro miracolo (vuole il caso che l'ufficiale esecutore, un altro olandese, sia un ammiratore delle sue opere!) Strauss si concede un (tardivo?) sfogo contro guerre e guerrafondai, convinto che quel 1° maggio sia l’inizio di un nuovo mondo. Che per lui però diventa un mondo di miseria! Poiché il vegliardo non può sfuggire agli oneri (umiliazioni incluse) della de-nazificazione e così – quattro mesi dopo aver compiuto le 81 primavere – parte (con Pauline e un paio di valigie, null’altro) per il suo esilio in Svizzera (si direbbe… sulle orme di Wagner) dove chiuderà la sua interminabile stagione continuando a scrivere musica - e che grande musica! - come il Concerto per oboe e gli ultimi Lieder, prima di tornare – nel 1949, ma ormai solo per morirvi - nella sua casetta di Garmisch.

In Svizzera, Strauss dovette inizialmente mendicare un po' di compassione, e ne trovò parecchia in tale Paul Sacher (niente a che vedere con le torte viennesi) un musicista diventato anche, per tramite di un matrimonio farmaceutico, uno degli uomini più ricchi del globo, e musicalmente assai attivo sulla direttrice Basilea-Zurigo. E proprio Sacher - lui accanito sostenitore della musica moderna e senza alcuna affinità elettiva con quella di Strauss - venne generosamente incontro al vecchio marpione, allora caduto in disgrazia (ma se l'era ampiamente voluta, cercata e meritata, o no?) patrocinando prima la composizione e dirigendo poi, a fine gennaio 1946, la prima esecuzione di Metamorphosen, da parte del Collegium Musicum Zürich, da lui fondato pochi anni addietro. Insomma, un poco più in piccolo, interpretò il ruolo che Otto Wesendonck aveva ricoperto quasi un secolo prima nel caso-Wagner. Ecco perché nell'edizione a stampa il lavoro è doverosamente dedicato a Sacher e al CMZ.

Un lavoro in cui Strauss sembra aver voluto dolorosamente incapsulare tutto un passato: massimamente – proprio nel momento della catastrofe del Terzo Reich - il glorioso sette-ottocento tedesco, da Bach a Beethoven a Bruckner, da Wagner a Mahler…

A parte Beethoven, Franco Serpa individua un frammento (riquadri rossi) del lamento di Marke alle battute 18-19:

Questa non è una citazione testuale, ma una vaga reminiscenza, peraltro pertinente al soggetto straussiano, il tradimento di Tristan che evoca il tradimento perpetrato ai danni della cultura tedesca. 

Invece le quattro note riquadrate in blu vengono solitamente associate a diverse fonti: la Quinta beethoveniana (terzo movimento); il finale della Jupiter (seconda sezione del tema principale); e la bachiana Fuga dalla BWV1001.

E adesso però faccio anch'io il pierino, aprendo una parente: nel tema iniziale - e colonna portante dell'intera opera - che scende da dominante a sensibile di DO minore, non si può non riconoscere, oltre alla seconda sezione del primo tema della marcia funebre dell’Eroica, anche (diciamo pure… beethovenizzato) quel motivo che è universalmente noto come Adagio di Albinoni.

Che sappiamo essere in realtà una ricostruzione assai personale e controversa, fatta nel 1958 (9 anni dopo la scomparsa di Strauss) da Remo Giazotto su pochi schizzi di Albinoni recuperati a Dresda sotto le macerie dei bombardamenti alleati. Ma proprio l’ubicazione di quegli schizzi (Strauss pur non avendo mai abitato a Dresda vi soggiornò a lungo – e ovviamente ben prima dei bombardamenti! - per presentarvi parecchie delle sue opere) potrebbe far supporre che lui abbia magari potuto incapparvici. Ma perché allora non immaginare anche che sia stato direttamente Beethoven (che pure visitò Dresda a fine ‘700 per le sue tournée concertistiche) ad incontrare quegli schizzi, ricordandosene anni dopo per l’Eroica? Più plausibilmente la parentesi si può chiudere anche sostenendo che fu il furbacchione Giazotto a mettere in… bocca ad Albinoni (e nelle tasche sue!) il tema di Beethoven-Strauss!

Invece, a dispetto dell'assenza di armatura di chiave e della presenza di innumerevoli modulazioni, anche nelle Metamorphosen non si trova alcun ammiccamento alla nuova musica, che a Strauss rimase totalmente estranea, sino alla fine. La forma è vagamente tripartita (A-B-A) con le sezioni esterne in tempi lenti (Adagio ma non troppo, Adagio, 4/4) e quella centrale più mossa (Più Allegro, 4/4 alla breve). C’è chi sostiene che l’impianto formale e tonale intenda rappresentare – in termini schiettamente musicali, attraverso la deformazione della forma-sonata e la finale prevalenza del DO minore sul DO maggiore – la corruzione e la definitiva distruzione di un mondo di valori da parte di barbariche forze eversive. Così lo interpreta il giovane Direttore italo-australiano Carlo Antonioli in questo studio dove, partendo da un’asettica analisi musicale, arriva a concludere che Metamorphosen si può intrepretare come una dolorosa presa d’atto non solo della fine – con la Germania ridotta in macerie – di un ideale politico, ma anche di una secolare, gloriosa tradizione culturale e musicale, che lo stesso Strauss immodestamente faceva iniziare da Bach e - passando per Mozart, Beethoven, Berlioz, Liszt e Wagner – finire con… sè medesimo!
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Dire che è stata un’esecuzione letteralmente strepitosa è ancora poco: i 23 archi dell’Orchestra (guidati da Dellingshausen) si sono davvero superati e Blacher da parte sua ha dato di questo enigmatico brano un’interpretazione di una essenzialità estrema. Ne è testimone il pathos creato nella sezione centrale Più Allegro, portata davvero al parossismo, per poi precipitare nell’abisso dell’Adagio conclusivo, dove la pietas beethoveniana ha strappato le lacrime: insomma, una cosa che posso solo definire sbudellante!

Peccato solo che non ci siano repliche. 

21 ottobre, 2022

laVerdi 22-23. 4

Ukraina&Russia! Mamma mia, l’attualità più cruda (e orribile, come testimonia la criminale esecuzione del Maestro Kerpatenko) irrompe nella stagione dell’Orchestra Sinfonica di Milano: il quarto concerto ha infatti come protagonisti tre musicisti strettamente legati ai due Paesi che oggi stanno combattendo una guerra (praticamente) fratricida.

In un Auditorium per pochi intimi torna sul podio il 44enne Maxim Rysanov, ukraino di Kramatorsk (città del Donbass oggi martoriata dalla guerra) trapiantato in Gran Bretagna; oltre a dirigere, lui interpreta come solista alla viola il Concerto del 47enne Gabriel Prokofiev, cittadino londinese nipote del grande Sergei (russo all’anagrafe ma nato a Donetsk); il secondo brano in programma è del sanpietroburghese purosangue Igor Stravinski, esule russo diventato cittadino francese e statunitense.

Ecco, non ci resta che sperare che questa combinazione astrale sia un segnale, sia pur minuscolo, che in fondo al tunnel si cominci ad intravedere un lumicino…

Dunque, Gabriel Prokofiev: un artista eclettico che spazia in tutti i campi della musica, dalla composizione di stampo classico alla modernità più varia, fino alla produzione di eventi e alla creazione di una casa discografica di divulgazione musicale per i giovani.

Orchestra disposta in modo eterodosso, con sezioni di fiati (legni a sinistra, trombe a destra) portate al proscenio, dietro gli archi. Due leggii: quello normale per dirigere l’orchestra e uno rivolto al pubblico per la parte solistica. Rysanov, imbracciando un Guadagnini-1780, ci propone questo Concerto per viola e orchestra, commissionato dallo stesso Direttore e anche dalla Fondazione milanese (qui frammenti dei tre tempi in cui è classicamente strutturato, ripresi alla prima di Bonn lo scorso gennaio):

1. Minaccioso
2. Largo
3. Allegro sinistro

A dispetto della differenza delle indicazioni agogiche di impianto, i tre movimenti alternano sezioni lente ad altre più mosse, con frequenti cambi di scansione (a 4, a 3…) Quelle più veloci presentano ritmi di stampo moderno, spesso sincopati. La parte solistica contiene virtuosismi che in realtà sono delle acrobazie, dove la viola diventa a volte uno strumento a percussione (forse non è un caso che un crine dell’archetto di Rysanov si sia strappato abbastanza presto). La narrativa è supportata da un linguaggio che alterna atonalità e rumorismo a squarci più lirici.

Un’opera a primo ascolto abbastanza godibile, che stempera ammiccamenti orecchiabili nelle ruvidezze e cacofonie che la caratterizzano. Accoglienza tutto sommato calorosa. 
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Ecco infine lo stravinskiano Petruška. La storia di un uomo/marionetta al centro del classico triangolo amoroso. Quattro parti che evocano una vicenda a sfondo tragico che si compie in una giornata di festa a SanPietroburgo, in occasione dell’annuale fiera di Shrovetide, parente del nostro martedi grasso. (Qui una mia nota scritta in occasione dell’ultima esecuzione dell’opera in Auditorium, che riassume la trama del balletto. Per chi voglia più approfonditamente documentarsi, ripropongo il link ad un’apprezzabile iniziativa tedesca.) 

È uno dei brani che l’Orchestra conosce a menadito, avendolo suonato innumerevoli volte, e anche ieri non si è smentita, con un’esecuzione impeccabile e trascinante. Così i pochi-ma-buoni fedelissimi non hanno mancato di far sentire la loro convinta approvazione.  

16 ottobre, 2022

Fedora alla Scala: discreta la prima

Eccomi quindi a riferire della prima della Fedora di Umberto Giordano, affidata alla premiata coppia Armiliato-Martone. Piermarini discretamente affollato e pubblico assai caloroso, che ha decretato un chiaro successo per tutti gli artefici dello spettacolo.

Sonya Yoncheva è stata – meritatamente – la trionfatrice della serata. Alla potenza del suo strumento ha saputo abbinare anche una presenza scenica apprezzabile, e in questo direi che sia assai migliorata negli ultimi anni.   

Con lei Roberto Alagna, che quasi 16 anni dopo quella fuga dall’Egitto (!) è tornato ad essere beniamino del loggione scaligero, pur se la voce mostra qualche inevitabile segno di stanchezza, compensato da grande sapienza nel gestirla oculatamente.

Serena Gamberoni si è confermata interprete ideale di queste parti leggere e un po’ svampite, quale è la Olga di Giordano.

George Petean è stato un dignitoso De Siriex, che ha portato onorevolmente a termine il suo compito, per la verità non proibitivo, incentrato sull’elogio della donna russa.

Degli altri, tutti meritevoli di encomio; citerò il cocchiere (no, qui autista) Cirillo, cui ha dato voce Andrea Pellegrini.

Sui suoi standard il Coro di Francesco Malazzi, che qui ha un impegno tutt’altro che proibitivo.

Marco Armiliato mi è parso padroneggiare bene questa partitura che forse, ma solo in apparenza, può sembrare facile. L’Orchestra scaligera lo ha ben assecondato: tempi appropriati, dinamiche mai sbracate ed efficace supporto alle voci, mai coperte.

Quindi, la parte musicale è da promuovere a quasi-pieni voti.

Martone? Beh, ogni tanto tira fuori il genio che è in lui, lasciando perdere la sregolatezza! Quindi ambientazione ai giorni nostri (smartTV da 50 pollici che trasmette una partita a beneficio del piccolo Dimitri, per dire) ma vivaddio lontano da mafie, camorre e ndranghete! E persino i servizi segreti, che pure hanno parte importante nel libretto, non invadono più di tanto la scena.

Insomma, il Martone serio di Chénier, per dire, non quello strampalato delle Beffe o di Oberto e pure di Rigoletto! Il che forse gli varrà l’accusa (non certo da me) di gretto tradizionalismo. Dato che il plot dell’opera è piuttosto contorto, lui ha provato anche ad essere didascalico, ad esempio mostrandoci – durante la confessione di Loris a Fedora – anche gli altri tre  protagonisti (silenziosi) della tresca: Wanda, la governante, e soprattutto Vladimir, cui lascia il compito di gettare a Fedora le sue lettere d’amore indirizzate a Wanda… Mah, forse a qualcuno ciò può aver ulteriormente confuso le idee.

In ogni caso il pubblico ha apprezzato assai e per tutti ci sono stati solo applausi e ovazioni.