affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

21 agosto, 2020

Il ROFid ha pagato l’ultima cambiale


Ieri sera si è chiuso, nello smagrito Teatro Rossini, il 41° ROF, che passerà alla storia come l’edizione pandemica...

Pesaro - all’apparenza almeno - sembrava quella di tante altre chiusure di Festival, a parte qualche individuo... mascherato: biciclette sfreccianti; la fontana con la sfera sventrata di Pomodoro circondata da frotte di selfie-isti; lungomare piacevolmente affollato; fungaia di ombrelloni ancora aperti alle 7:30 di sera; qualcuno che sguazza a godersi l’ultimo bagno della giornata; tavolini dei bar occupati senza troppa attenzione al distanziamento; ristoranti dove si preparano i coperti per la cena... Insomma, almeno da queste parti non pare proprio che ci si stia attrezzando alacremente in vista della tanto paventata apocalisse d’autunno, ecco (o stiamo tutti proverbialmente ballando sul Titanic?)      

Nel teatro le cose cambiano vistosamente rispetto alla normalità: mascherine obbligatorie, disinfettanti per le mani e regole di distanziamento almeno teoricamente rispettate. Fa impressione davvero l’interno della sala: un pavimento posticcio è stato installato ben al di sopra del livello della platea, arrivando a meno di mezzo metro dal piano del primo ordine di palchi; chi - come me - stava proprio lì aveva l’orchestra, che occupava più di metà di quello spazio, proprio davanti al naso. Insomma, qualcosa di troppo insolito, e non tanto per la vista, quanto per l’udito. Poichè nonostante gli sforzi dei cantanti e l’attenzione di Dmitry Korchak (una creatura tenorile del Festival, quest’anno esordiente qui come Direttore) a moderare i decibel dell’orchestra, ciò che arrivava alle orecchie non era precisamente quell’amalgama gradevole di suoni cui si è abituati.

E Marianna Pizzolato, ormai veterana del ROF, ne ha fatto un po’ le spese, aprendo la serata con la versione orchestrata da Sciarrino della Giovanna D’Arco, cantata composta a Parigi nel 1832 (ma ormai è certo che quella data vada incrementata di una ventina d’anni) per voce e pianoforte. Qui la stessa Pizzolato nella recita inaugurale dello scorso 8 agosto, trasmessa in streaming. Dal vivo la sua voce faticava davvero ad attraversare adeguatamente la barriera sonora orchestrale (forse meglio sarebbe stato eseguire la versione originale).

Pubblico forzosamente scarso (c'erano però posti vuoti oltre il necessario) ma assai caloroso nell'accogliere questo antipasto della serata.
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Senza intervallo si procede subito con La Cambiale di Matrimonio, alla sua quarta apparizione al ROF, dopo l’esordio del 1991 e i ritorni del 1995 e 2006. Questa nuova produzione è realizzata in collaborazione con la ROH di Muscat (Oman). Qui la recita dell’apertura.

Oltre al tenore-direttore, abbiamo qui anche il tenore-regista, chè Laurence Dale, il quale ha messo in piedi uno spettacolo piacevole, nel rispetto delle regole di distanziamento, e soprattutto senza stravolgere l’essenza del soggetto originale (cosa peraltro ardua, data la natura leggera dell’opera).

Gary McCann è il responsabile dell’intelligente scenografia (la facciata della residenza di Mill che si apre lasciando apparire gli interni, e pure un parco) e dei brillanti costumi. Ralph Kopp ha curato sapientemente le luci.

Carlo Lepore (la cui prima apparizoone pesarese risale al 1996!) è stato il trascinatore degli altri cinque interpreti e il trionfatore della serata: un Mill di gran presenza scenica, voce sempre robusta e ben impostata, nobiltà di portamento.

Iurii Samoilov fu già un più che discreto Omar nel Siège del 2017 e direi che in questi tre anni sia ulteriormente migliorato, restituendoci un convincente Slook, assai composto rispetto a quanto si vede (e si sente) spesso in giro; e la sua età gli darà certamente modo di migliorare ancora. Anche Martiniana Antonie si è già esibita come Elmira (Ricciardo&Zoraide del 2018) e poi come Azema (Semiramide, 2019): qui ha meritoriamente interpretato il ruolo della servetta Clarina, applaudita nella sua aria.  

Gli altri tre interpreti erano tutti al primo approccio con il cartellone principale del Festival, ma sono altrettanti prodotti dell’Accademia, che in anni recenti si son fatti le ossa rossiniane prevalentemente con quella fucina che è Il viaggio a Reims (che anche quest’anno ha avuto le due recite canoniche).

Su tutti Giuliana Gianfaldoni, che ha impersonato la proto-femminista Fannì con garbo e spigliatezza, ma soprattutto mettendo in luce la sua bella voce, sempre ben controllata e senza smagliature.

Ma più che bene anche l’Edoardo di Davide Giusti, tenorino di belle speranze (ma ha già una discreta carriera alle spalle); e il domestico-intrigante Pablo Gàlvez (Norton) che ha fatto piacevolmente coppia con Clarina.

Korchak ha concertato tutti con diligenza, ben coadiuvato dalla valida Sinfonica Rossini di Pesaro: per il momento lo giudicherei promettente... il futuro ci dirà se sia meglio come direttore che come tenore.
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All’uscita-artisti c’è a salutare tutti un baldo giovane che qui fa un po’ il padrone di casa: Michele Mariotti. Ecco, anche questa edizione nata davvero sotto cattiva stella corona va in archivio, e tutto sommato con pieno merito: non deve essere stato semplice nè facile allestire comunque un programma dignitoso, evitando un lockdown totale che sarebbe stato davvero difficile da digerire. E adesso... largo ai vaccini! Per poter arrivare senza problemi al prossimo appuntamento, con Moïse (Sagripanti-Pizzi),  Bruschino (Spotti-Barbe&Doucet), Elisabetta (Pidò-Livermore) e Stabat (Bignamini).

18 agosto, 2020

Romiti e laVerdi

Forse pochi sanno che Cesare Romiti - oggi ricordato come grande manager e in particolare come N°1 di FIAT negli anni 70-80 e in particolare ancora come ispiratore della famosa marcia dei 40mila del 1980, che pose fine alla rivolta sindacale e alla minacciata occupazione della fabbrica di Mirafiori - fu, fino al 2019, Presidente del Consiglio Generale della Fondazione Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi (laVerdi).   

La quale Fondazione oggi si unisce al cordoglio per la scomparsa.

Amendola > Napolitano > Corbani/Cervetti > Romiti... ecco la filiera migliorista. Che però, almeno in questa occasione - selon moi - ha prodotto qualcosa di buono.

17 agosto, 2020

Epopea del Gruppetto

Cazzeggiando in attesa della seconda ondata (con tutti questi gruppi e gruppazzi in giro le avvisaglie lasciano ben sperare...) di che parliamo? Di Beatles, Rolling Stones, Litfiba, ...?

Beh, sempre di musica si tratta, ma in tutt’altra accezione. Il gruppetto qui considerato è quella figura musicale impiegata originariamente come abbellimento, costituita di norma da una quartina di note (non esplicitamente scritta, ma rappresentata da un segno) che si interpone fra due note della melodia, con un andamento sinusoidale ed occupando una parte del tempo di fatto rubata ad altre note della battuta.

Le due principali forme sono la diritta (o diretta) dove la quartina parte dalla nota superiore a quella che precede il segno (quindi prima scende e poi risale); e la rovesciata, dove la quartina parte dalla nota inferiore a quella che precede (quindi prima sale e poi ridiscende).

Ecco un paio di esempi presi da Beethoven e Wagner.

Gruppetto diritto: Romanza per violino in FA maggiore, Op.40

Gruppetto rovesciato: Rienzi, atto V, Du stärktest mich, du gabst mir hohe Kraft (è anche il tema fondamentale dell’Ouverture)

Ecco però come il gruppetto si evolve nel tempo, abbandonando il semplice segno per assumere i caratteri (e ritagliarsi il tempo!) delle altre note della melodia. Sempre Beethoven e Wagner:

Ex-Gruppetto diritto: Quinto concerto per pianoforte, Op.73

Ex-Gruppetto rovesciato: Götterdämmerung, Prologo, risveglio di Brünnhilde

Ecco un ulteriore, celebre esempio (Weber) di scrittura esplicita in sostituzione di un possibile impiego del gruppetto rovesciato: Der Freischütz, atto II, Süss entzückt entgegen him (è anche il tema fondamentale dell’Ouverture)

Ma è con Mahler che il piccolo segno di abbellimento acquisisce ulteriore articolazione, nell’intima struttura e nell’enfatica nobiltà:

Terza Sinfonia, finale

Come si nota, nel secondo caso la quartina è cresciuta a quintina... Cosa che si ripete più tardi:

Ottava Sinfonia, scena finale del Faust

E, a proposito di quintine, anche Bruckner non vuole esser da meno: ecco come presenta un enfatico Höhepunkt nel terzo tempo della sua monumentale Ottava:

Tornando a Mahler, nel Finale della Nona Sinfonia abbiamo un ulteriore esempio di gruppetto diritto esploso nelle quattro note:

É poi l’estrema perorazione dei quattro corni a suggellare grandiosamente l’epopea del nostro minuscolo segno:

09 agosto, 2020

Il ROF onora la sua cambiale

Ieri sera il glorioso Teatro Rossini, con la platea trasformata in golfo mistico, ha inaugurato la 41a edizione del ROF, fortemente condizionata dalla pandemia che ha colpito l’intero pianeta.

La prima (La cambiale di matrimonio preceduta da Giovanna d’Arco) è stata meritoriamente irradiata in streaming permettendo a tutti gli appassionati di ritrovare quel Festival che dal lontano 1980 non ha mai mancato l’appuntamento agostano.

Anche qui l’ambientazione inconsueta crea qualche iniziale disagio, ma tutto sommato meglio così che il lockdown!

Esecuzione dei due titoli in programma più che apprezzabile; ne riferirò ancora più avanti, dopo visione dal vivo.

06 agosto, 2020

BeethovenSummer: pastorale e ur-Fidelio

Nell’intervallo fra un mare e un lago ho trovato modo di tornare nello smagrito Auditorium di Largo Mahler per ascoltare il sesto dei nove concerti della kermesse che laVerdi ha messo in programma per l’estate post-lockdown.

Sempre Flor sul podio per proporci la più celebre delle pastorali, preceduta però dall’Ouverture che accompagnò la prima esecuzione (1805) dell’opera che diventerà poi famosa (dal 1814) col titolo di Fidelio: la Leonore II. Che in qualche modo fa da battistrada per la più celebre Leonore III (1806); la quale poi - a sua volta rimpiazzata nell'opera dalla definitiva Fidelio - resterà però nel repertorio di tutte le Orchestre come pezzo da concerto (oltre ad essere spesso eseguita durante il cambio-scena del second’atto).

Questa Leonore II, per noi che conosciamo a memoria la successiva, appare come un frutto ancora un po’ acerbo, che però ci permette di apprezzare - con l’immaginazione - ciò che sappiamo arriverà di lì a poco. Un esempio fra tanti: i due interventi della trombetta del tirapiedi di Pizarro annuncianti l’arrivo del Ministro (pur perfettamente eseguiti da dietro le quinte da Antonio Signorile) hanno ben poca drammaticità rispetto a quelli che Beethoven comporrà in seguito per l’opera e incorporerà nella Leonore III.    

 Ma è comunque un bene eseguire questa Ouverture in un Festival...

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Dopo questo insolito antipasto, accolto con calore dallo sparso pubblico dell’Auditorium, ecco la Sesta.

Confesso che fatico ancora ad abituarmi a queste esecuzioni smagrite, causa Covid. Adesso faccio un battuta davvero di basso livello: è un po’ come se, dopo anni e anni di immagini di una Valeria Marini nella sua sfrontata opulenza, la vedessi oggi in versione... anoressica: certo è sempre lei, ma non è facile far finta di nulla, ecco.

Oltre a smagrirla di volume, Flor, contrariamente alle sue abitudini (e forse per rientrare nel limite dei 60 minuti complessivi di durata del concerto, imposti dalle regole di ingaggio col Covid) ignora anche tutti i da-capo della Sinfonia... (Ma forse lo fa anche per risparmiarci troppe visioni della Valeria anoressica, hahaha!)

No, scherzi a parte, esecuzioni come questa ci permettono invece di afferrare tanti particolari che spesso si perdono nel magma sonoro prodotto dai grandi complessi. E per questo è stata salutata da convinti applausi, in particolare per i fiati - strumentini in testa - che vi hanno un ruolo assai impegnativo.  

03 agosto, 2020

Time-out. Muti-Berlioz (2)


La seconda (e ultima) parte del dittico berlioziano interpretato da Riccardo Muti al Ravenna-Festival del 2008 ha come oggetto l’Op.14b, Lélio, ou Le retour à la vie.  

Come per la Fantastique, la cui lezione aveva avuto luogo nel 2007, anche il Lélio fu oggetto di prova d’orchestra al Teatro Alighieri. Come era accaduto a Salzburg l’anno precedente (e come anche a Parigi e Chicago successivamente) la voce recitante è quella di Gérard Depardieu.

Qui il video della prova. Che non era una generale (tenuta il giorno successivo) mancando il coro e il baritono, ma appunto una lezione sulla genesi e sulle caratteristiche salienti della composizione. Tre anni orsono avevo scritto alcune note sul Lélio, in occasione di una sua comparsa nella stagione de laVerdi, e quindi rimando i curiosi a quei commenti, influenzati anche da questa lezione mutiana (dare a Riccardo quel ch’è di Riccardo) colà menzionata.

Muti riconosce che il Lélio manca di unità musicale, essendo il risultato di un’operazione di assemblaggio di sei brani composti in precedenza e qui impiegati per supportare le confessioni - ultra-romantiche per davvero - dell’Autore.  

Per questa lezione non è presente il coro, che è chiamato ad interpretare tre dei sei numeri musicali. Così, mentre i sette interventi del recitante non subiscono alcun taglio, quelli che prevedono il coro vengono o mutilati (La chanson des brigands, di cui si prova solo l’introduzione) oppure eseguiti dalla sola orchestra, senza le voci, surrogate da... mugugni del maeschtre. In particolare Muti si scatena nella Tempesta, il brano di gran lunga più corposo (oltrechè conclusivo) dell’opera, arricchendo l’esecuzione anche con dotte citazioni shakespeariane.      

Depardieu, con la sua stazza da portaerei, è ovviamente al centro dell’attenzione, cosa del resto prevista dall’Autore e resa plasticamente evidente dalle dimensioni king-size della poltrona a lui riservata al proscenio. Muti lo accoglie con... calore, sottolineando impietosamente gli effetti che la temperatura torrida di Ravenna ha prodotto su quella gran massa di carne.

Non manca qualche piccola gag, come in occasione del Chant de bonheur e de La harpe éolienne, souvenirs, con le richieste di Muti di spegnere il condizionamento, il che provoca qualche smorfia di disappunto dell’attore. Il quale per il resto mette in mostra le sue qualità e la sua... imponente presenza scenica.

Muti, alla fine della lezione, mentre Depardieu raccoglie gli applausi del pubblico, pronuncia una frase tutta da interpretare: credevo di aver lasciato qualcosa di più... (!?)

Infine, ecco qui riproposto l’audio dell’esecuzione in concerto al Pala deAndré, inclusi gli 8 minuti di applausi finali per i protagonisti, in particolare per Depardieu, del quale si odono più che altro grugniti e risolini di soddisfazione e ringraziamento.

(2. fine)

28 luglio, 2020

Time-out. Muti-Berlioz (1)


Purtroppo il Covid-19 ha abbastanza scombussolato anche la mia agenda, che di solito a giugno-luglio prevede qualche capatina al Ravenna-Festival: quest’anno, tra cambi di programma della manifestazione e contrattempi vari ho dovuto rinunciare alla trasferta a casa di Muti (però faccio un applauso alla Direzione del Festival, che ha deciso di trasmettere in streaming - diretto e on-demand - tutti gli eventi). E così, tanto per ingannare il tempo, ho rispolverato un paio di incontri che il Maeschtre ebbe con Berlioz al Ravenna-Festival ormai più di due lustri addietro (2007 e 2008).

Incontri che ebbero come oggetto quel particolare - e un po' velleitario, diciamolo pure - dittico berlioziano costituito dalla Fantastica (2007-8) e dal Lélio (2008) che recano lo stesso numero d’opera, 14. Oggi è assai raro che vengano eseguiti insieme, come aveva immaginato e prescritto il compositore (ci ha provato con successo laVerdi con Flor un paio di stagioni orsono) e Muti in quelle occasioni incise su DVD e CD rispettivamente le sessioni di prova (tenutesi al Teatro Alighieri) e l’esecuzione (al Pala DeAndrè).

Insieme ad altre sei (Verdi, Schubert, Cimarosa, Mozart, Paisiello, Dvořák) le due puntate su Berlioz sono state pubblicate nel 2009 (e vendute in edicola) sotto l’egida di Repubblica-L’Espresso e poi dalla RMM nella collana Prove d’Orchestra. Dato che sono già state trasmesse in TV un paio di volte (da RAI5 e RAI1) spero di non incorrere negli strali censori di RMM pubblicandole su questo blog (che non ha certo l’audience di youtube...)

Ecco quindi la prima delle due puntate, dedicata alla Symphonie Fantastique. Muti qui - come anche nel successivo Lélio - assembla ben due orchestre: la sua creatura (Orchestra Giovanile Luigi Cherubini) e quella del compianto (ma nel 2007-8 ancora vivo e vegeto) Piero Farulli (Orchestra Giovanile Italiana di Fiesole). Il che gli dà modo, ad esempio, di schierare quattro arpe per il secondo movimento.

Qui il video della prova. (Purtroppo i tools di conversione e join dei componenti originali del DVD hanno portato qualche scompenso... leggi una certa asincronia fra video e audio. Pazienza.)    

Muti non smentisce la sua fama di persona non proprio raffinata, quasi rimproverando e prendendosi gioco di uno spettatore (o spettatrice) che chiede di alzare il volume del microfono. Poi si produce in un autentico strafalcione musicale, quando sostiene che l’Idée fixe di Berlioz non c’entra per nulla con i Leitmotive di Wagner: perchè è vero esattamente il contrario, e lui stesso lo spiega involontariamente raccontando - anche con gli interventi degli strumentisti - di come quel tema torni più volte sempre variato, modificato, addirittura stravolto... precisamente come succede ai temi nel trattamento di Wagner.

Prima della prova, Muti non perde occasione per ripetere che la musica non si comprende (al massimo si può afferrare la struttura di un brano...) e che quindi ciascuno di noi la può e la deve interpretare secondo la propria sensibilità e il proprio gusto: beh, detto a proposito di musica a programma, ciò equivale a dequalificare assai il programma stesso, indicato dall’Autore! Va detto però che spesso furono proprio gli stessi Autori (dopo Berlioz, Mahler, uno per tutti) a creare confusione, presentando programmi espliciti per le loro sinfonie per poi disconoscerli e ritirarli, invitando l’ascoltatore semplicemente ad... ascoltare, per poi farsi un’idea personale dell’opera.

Emblematica la frecciata che il Maestro riserva (alla fine del primo movimento) a chi dovrebbe aver a cuore la cultura e la musica nel nostro Paese: se uno solo dei ragazzi che suonano qui, dopo anni e anni di studio non dovesse trovare posto in un’orchestra, per lo Stato italiano ciò sarebbe un delitto. (Beh, temo ahinoi che oggi ci siano in giro parecchi serial-killer...)

Muti non si risparmia anche qualche auto-compiaciuta gigioneria, come all’attacco del finale...


(1. continua)

23 luglio, 2020

Da Bayreuth un festival virtuale


Già dallo scorso marzo, a fronte del dilagare del Covid-19, la Direzione del Festival aveva dovuto annunciare al mondo la ferale notizia della cancellazione dell’edizione 2020, rimandata per il momento al 2021 (ma quasi sicuramente senza la nuova produzione del Ring di Inkinen-Schwarz). Il glorioso Festspielhaus resterà quindi mestamente chiuso fino a... nuovo ordine.    

É la prima volta dal dopoguerra - esattamente dal 1951, anno di riapertura del Festival affidato alla guida dei fratelli Wieland (1917) e Wolfgang (1919) nipoti del compositore - che la kermesse wagneriana non si tiene. Come curiosità statistica, dall’inaugurazione del 1876 le annate buche di Bayreuth sono state (compresa quest’ultima) 37 e precisamente:

1877-1881
1885
1887
1890
1893
1895
1898
1900
1903
1905
1907
1910
1913
1915-1923
1926
1929
1932
1935
1945-1950
2020

Naturalmente a Bayreuth si son dati da fare per non apparire... morti ed hanno predisposto una nutritissima serie di appuntamenti culturali, compresa una simbolica inaugurazione del Festival nella data e ora tradizionale (25/7 ore 16) che il padrone di casa musicale Thielemann terrà in villa Wahnfried ed alla quale potranno assistere dal vivo (in giardino) 400 persone, ma che sarà irradiata in diretta dalla Radio bavarese. I proventi saranno destinati ad un fondo di solidarietà con gli artisti del Festival, che quest’anno rimangono senza lavoro.

In collaborazione con la Deutsche Grammophon - e per coprire almeno le spese -  verrà inoltre proposto a pagamento (€ 4,90 a rappresentazione) al vasto pubblico del web un festival virtuale, 16 appuntamenti, 14 dei quali sovrapposti come date ad altrettanti dei 32 mancati causa chiusura. Qui una tabella che mostra la corrispondenza - giorno per giorno - fra il programma originario 2020 (poi saltato) e il festival virtuale:


Interessanti le due produzioni del Ring: la più recente e quella rimasta famosa (anche per le contestazioni) del centenario.  

La Radio Bavarese e 3sat offrono da parte loro un nutrito programma di riproposte di spettacoli e registrazioni storiche del Festival.

Insomma, quest’anno è andata così e non ci restano che questi amarcord...    

22 luglio, 2020

BeethovenSummer tutta eroica


Il programma di questa settimana lascia un turno di riposo alla tastiera per dedicarsi al Beethoven eroico. Programma davvero impegnativo, se si pensa alla ristrettezza di organico strumentale imposta dalle regole di distanziamento sociale. Il che mette un po’ in crisi la nostra attitudine all’ascolto di queste opere, i cui suoni ormai da più di un secolo vengono portati alle nostre orecchie da orchestre di dimensioni normalmente doppie di ciò che oggi passa il convento.

Flor schiera la sua pattuglia ancora con i violini secondi al proscenio e i corni (come prescritto, 4 per l’ouverture ma solo 3 per la sinfonia) in alto a destra, proprio sopra i timpani.  

L’antipasto è costituito appunto dall’Ouverture dell’Egmont, che Flor aveva diretto qui poco più di due anni orsono: allora gli avevo giusto rimproverato un eccesso di volume e di magmatismo di suono e devo dire che - grazie al Covid - l’esecuzione di stasera mi è parsa più pulita e trasparente.  
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Ed eccoci al piatto forte della serata, l’OP.55, autentica pietra miliare non solo del sinfonismo, ma della musica tutta. Mi permetto di segnalare, nell’iniziale Allegro con brio, il mirabile passaggio in pianissimo che porta dallo sviluppo alla ripresa, quando entra a sorpresa il secondo corno; nella Marcia funebre il passaggio in Maggiore di flauto e oboe; nello Scherzo la performance del Trio degli ottoni e nel Finale l’esitante ripresa del tema (Poco Andante) nell’oboe.

Alla fine pubblico entusiasta e Flor che risponde con applausi a quelli provenienti dalla sala, dove si è notata la significativa presenza di Filippo Del Corno, assessore alla cultura del Comune di Milano, un’attestazione di vicinanza delle pubbliche Istituzioni cittadine a chi opera, nonostante tutte le avversità, per tenere aperte le porte della cultura.

16 luglio, 2020

Lupo con Flor alla BeethovenSummer


Dopo due concerti animati da direttori-solisti, si torna alla normalità: Claus Peter Flor sul podio de laVerdi e Benedetto Lupo alla tastiera. Compagine come sempre fra i 30 e i 40 strumentisti. Flor mette tutti i violini al proscenio (cosa frequente) ma (cosa singolare) inverte le sedie di prime parti (Dellingshausen e Viganò) e concertino (Giust e Rosato).

É la Prima Sinfonia ad aprire il programma: Berlioz non ne aveva grande stima, ma bisogna ricordare che Mozart e Haydn avevano alzato assai l’asticella per chiunque provasse ad avventurarsi in quel genere di composizione. Ma partendo da qui, Beethoven porterà quell’asticella ad altezze vertiginose, ponendo un termine di paragone con il quale si dovranno confrontare tutti per almeno un secolo!

Così, grazie all’orchestrina, noi possiamo apprezzare questo lavoro con il quale timidamente e rispettosamente il genio di Bonn si affaccia all’orizzonte del nuovo secolo.
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Ecco infine il Lupo redivivo cimentarsi con quello che si può definire il primo vero concerto ottocentesco di Beethoven: il Terzo. Temi eroici e languidi si alternano nel due movimenti esterni, mentre il centrale e cantabile Largo si stacca per la tonalità remota (MI naturale) rispetto al DO di impianto del concerto, per poi degradare di un semitono per l’attacco del Rondò; uno schema che tornerà quasi identico nell’Imperatore: SI-SIb).

Lupo si conferma interprete di grande sensibilità: a Valentina Trovato, che lo ha intervistato per il programma di sala, si dice ammirato dalla rivoluzionaria cadenza del primo movimento, che lui davvero ci porge in tutta la sua potenza espressiva.

Applausi animati da calore inversamente proporzionale al... numero delle mani, e così Lupo ringrazia ricordando il ventennale del suo esordio in Auditorium (col Quarto beethoveniano diretto da Peter Maag) e dicendosi felice di dare il suo primo concerto post-lockdown con laVerdi. Infine si congeda con il primo degli otto Fantasiestücke op.12 (Des Abends, in REb maggiore) di Robert Schumann (che pare a prima vista... Chopin).