ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

05 luglio, 2016

laVERDI 2016 – arriva Lélio


Claus Peter Flor si appresta a tornare sul podio dell’Auditorium per dirigervi l’ultimo concerto della stagione principale prima della pausa estiva (si riprenderà il 15 settembre, 4 giorni dopo la consueta visita alla Scala; ma laVERDI, lo sappiamo, non va mai in vacanza, nemmeno in agosto e così chi resta in città ha a disposizione la stagione estiva per non sentirsi solo).

In programma una vera e propria primizia: il dittico berlioz-iano esattamente come lo immaginò (in due tempi...) il compositore: alla ormai inflazionata (e lasciata sempre più sola) Symphonie Fantastique seguirà il melologo-monodramma Lélio, ou Le retour à la vie, che nelle intenzioni dell’autore doveva rimettere un po’ le cose a posto dopo gli incubi esistenziali, freudiani e romanticoidi delle forche e dei sabba.

Si sa che la Fantastique era stata in qualche modo ispirata dall’infatuazione di Berlioz per l’attrice Harriet Smithson (da lui vista recitare Shakespeare in teatro nel 1827): l’oppio, che pare Berlioz non si facesse mancare, aveva fatto il resto, scatenando, accanto alla celebre Idée fixe, le visioni apocalittiche degli ultimi due movimenti della sinfonia, completata nel 1830 ed eseguita domenica 5 dicembre di quell’anno. Ancora il Lélio era ben di là da venire, e con lui l’idea stessa di creare un postludio da appendere all’esecuzione della sinfonia.

Ignorato dall’attrice irlandese e applicando la vecchia regola del chiodo-scaccia-chiodo il nostro si fidanzò con tale Marie-Félicité Denise Moke, pianista belga che però, mentre lui era nella città eterna (1832, avendo finalmente vinto il Prix de Rome) pensò bene di sposare Camille Pleyel (rampollo del famoso Ignace). Preso da raptus omicida, Berlioz ripartì in fretta e furia da Roma verso la Francia, non prima di essersi procurato abiti femminili, due pistole e fiale di stricnina: per farci che? Introdursi con l’inganno in casa Moke e semplicemente farci secchi la ex-fidanzata e i di lei genitori, prima di spararsi o (a scelta) avvelenarsi a sua volta.

Per sua (e nostra?) fortuna, arrivato a Nizza già aveva cambiato idea e fatto una conversione a U, tornando a Roma e componendovi, appunto, il Retour. Ritorno alla vita, tramite la musica (più Goethe e Shakespeare, tanto per gradire...) ma anche ritorno all’inafferrabile Harriet, che domenica 9 dicembre 1832 assisteva alla prima del dittico e meno di un anno dopo (giovedi 3 ottobre 1833) diventava sua moglie (e mal gliene incolse!) Cosa abbia spinto Berlioz alla decisione di fare del Lélio un’appendice, una chiosa della Fantastique, da eseguirsi inderogabilmente in coda alla sinfonia lo saprà solo lui, noi sappiamo che abbastanza presto questa prassi venne abbandonata, e non senza ragione.   

Intanto: la struttura del melologo e le risorse impiegate sono piuttosto velleitarie; allora, ci troviamo: la voce recitante che sta (quasi) sempre al proscenio; grande orchestra, coro e cantanti che stanno dietro un sipario, quindi udibili ma invisibili, fino al pezzo forte (la Tempesta); un tenore (meglio due!) e un baritono solisti; un pianista, che viene raddoppiato per la Tempesta (dove si suona a-quattro-mani). Insomma, un oggetto ibrido e multiforme accompagnato da ampia prodigalità di mezzi, che d’altronde era caratteristica della grandeur parigina dell’epoca (nel 1846 la Symphonie funèbre et triomphale fu suonata all’Hippodrome da non meno di 1800 esecutori!)

L’impianto dell’opera prevede un susseguirsi abbastanza regolare di (7) interventi parlati (del recitante) intercalati ad altrettanti brani musicali di diversa fattura. In sostanza Lèlio(-Hector) introduce argomenti e concetti che poi la musica si incarica di commentare e/o sviscerare. Qui una mia modesta edizione del testo originale con traduzione italiana (del Taverna).

La musica, salvo riempitivi e aggiustamenti, altro non è che una riproposizione di brani (piuttosto eterogenei, va detto) presi da opere composte da Berlioz nei 5 anni precedenti, come si desume dal sottostante specchietto:

Lélio
derivazione
1. Le pêcheur (da Goethe)
    (+ Idée fixe)
Le pêcheur (da Goethe, 1827)
(dalla Symphonie Fantastique, 1830)
2. Chœur des ombres

Cléopâtre (1829)
   5. Grands Pharaons, nobles lagides
3. Chanson de brigands
Chanson des pirates (? 1829)
4. Chant de bonheur
La mort d’Orphée (1827)
   Ô seul bien qui me reste
5. La harpe éolienne, souvenirs
  
La mort d’Orphée (1827)
   Finale 
6. Fantaisie sur la Tempête de Shakespeare
Ouverture de la Tempête (1830)
(7. Idée fixe)
(dalla Symphonie Fantastique, 1830)

In pratica il concetto che si vuol esprimere è che il ritorno alla vita si giustifica con la volontà di non disperdere un patrimonio già acquisito ed anzi di arricchirlo in futuro con opere ancor più impegnative: è proprio ciò che Lélio prefigura nel suo secondo intervento, e infine nel settimo, commentando l’esecuzione della Tempesta.

Per carità, i brani che Berlioz copia-e-incolla nel Lélio sono musica apprezzabile, ma tutt’altro che capolavori: e averli impacchettati insieme a sproloqui di carattere filosofico-esistenziale non ne innalza di certo il livello artistico-estetico. E i due sporadici ritorni dell’Idée fixe (all’inizio e alla fine del melologo) non bastano di certo a creare una qualsivoglia continuità con la Sinfonia, anzi finiscono per cambiarle (a posteriori!) i connotati, trasformandola in un lungo prologo ad un epilogo autobiografico, propriamente extramusicale, roba da chiodi! Ecco perchè – giustamente, a mio modesto avviso – il tempo ha reso giustizia alla Sinfonia (grande musica!) e messo in soffitta il Lélio (mediocre patchwork).  
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Fra i Direttori che più si sono interessati al dittico è Riccardo Muti, che ha eseguito numerose volte e con diverse formazioni il Lélio, sempre però con Gerard Depardieu. Sfidando i fulmini della RMMusic ripropongo qui la registrazione del 2008 a Ravenna con l’Orchestra Cherubini (rinforzata dall’Orchestra Giovanile Italiana) il coro dell’Opera di Vienna, il tenore Mario Zeffiri, il baritono Franck Ferrari, i pianisti Polo Restani, Laura Pasqualetti e Gioia Giusti, pubblicata a suo tempo da Repubblica all’interno di una collana di otto lezioni del maeschtro, trasmessa da RAI5 pochi mesi fa.

Il monologo introduttivo ci presenta un Lélio che si stupisce di essere ancora vivo, dopo le sbornie di oppio e le tentazioni suicide che hanno accompagnato le vicende più recenti della sua esistenza. Il primo ricordo è per una ballata (Il Pescatore) che il suo amico Horatio aveva mutuato da Goethe e che lui aveva musicato 5 anni addietro per pianoforte. E così Horatio la canta, accompagnato da quel solo strumento e Lélio commenta ciascuna delle quattro strofe della ballata; al termine della seconda, ecco che nei primi violini fa capolino, fugacemente, l’Idée fixe, questa specie di sirena che continuamente lo perseguita, ma che forse (siamo al secondo intervento della voce) lo sta invitando a vivere, per la musica e l’amicizia...

E altri agenti lo spingono a vivere: Shakespeare, che con l’Hamlet lo ha soggiogato; e Thomas Moore, che ha completato con le sue musiche l’opera del genio di Stratford. E così nella mente di Lélio riaffiora un’altra musica, con un lugubre e minaccioso coro di morte: è la ripresa dell’invocazione di Cleopatra ai Faraoni, così come musicata da Berlioz nel 1829.     

Qui abbiamo il terzo intervento di Lélio che, prendendo spunto dalle critiche e denigrazioni cui era stato fatto oggetto Shakespeare, se la prende con l’establishment musicale del suo tempo (pare... Wagner ante-litteram!) e con i pedanti parrucconi che ignorano l’innovazione o che addirittura si permettono di correggere grandi capolavori in nome di un sedicente gusto estetico. (Qui è abbastanza scoperto il riferimento a tale François-Joseph Fétis, il musicista e critico belga che pure aveva sostenuto il giovane Berlioz, ma che si era anche permesso – anatema! – di ritoccare partiture di Beethoven.) Così Lélio vorrebbe lasciare questo ambiente di furfanti mascherati per aggiungersi ai briganti veri e autentici del napoletano o della Calabria! E qui Lélio esce momentaneamente di scena e vi ritorna subito con cappello da brigante, carabina, pistole e cartuccera... mentre l’orchestra, il baritono e il coro intonano la Chanson des brigands, presa da un’analoga e perduta Chanson des pirates del 1829. Truce e orripilante, il testo parla di gentaglia che brinderà – con le donne conquistate - nei teschi dei loro uomini ammazzati!

A questo punto sopraggiunge in Lélio un senso di serenità e di speranza: getta le armi e si abbandona ad ascoltare... se stesso (il tenore) che canta un inno di felicità, mutuato da La mort d’Orphée del 1827. Cui segue però l’immagine di lui che vaga in cerca dell’amata e sogna di addormentarsi fra le sue braccia, cullato dal suono dell’arpa, e così di morire. E segue quindi un brano breve ma straordinario (sempre da La mort d’Orphée, là in LAb, qui in LA naturale) protagonisti arpa e clarinetto, sul rabbrividente tremolo degli archi.

Ma no, bisogna vivere! E allora Lélio ripensa alla musica, e ad un soggetto che da sempre lo ha affascinato: la Tempesta. Esce di scena e il sipario si alza su orchestra (con pianoforte a 4 mani) e coro. Lélio rientra e dà gli ultimi consigli a orchestrali e coro, che quindi attaccano il lungo brano preso di peso dalla composizione del 1830. Al termine Lélio si complimenta con i suoi musicisti: ora potranno anche suonare cose più serie di questa bazzecola!

L’orchestra e il coro cominciano ad andarsene, il sipario si abbassa e Lélio resta solo al proscenio. Si ode da dietro un violino che accenna ancora all’Idée fixe. Lélio, come colpito al cuore, mormora: Ancora, ancora... e per sempre.
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Berlioz operò una revisione dell’opera nel 1855, allorquando essa venne diretta a Weimar da Liszt e pubblicata da Breitkopf: oltre al titolo (Lélio, nome abbastanza desueto, probabilmente mutuato dal teatro settecentesco: Lélio était petit et grêle; sa beauté ne consistait pas dans les traits, mais dans la noblesse du front, dans la grâce irrésistible des attitudes, dans l'abandon de la démarche, dans l'expression fière et mélancolique de la physionomie - George Sand, La Marquise) e all’attibuto monodramma (invece di melologo) vi aggiunse anche una dedica al figlio avuto da Harriet. Con l’occasione ritarò anche i risvolti autobiografici delle due componenti dell’opera (Idée fixe inclusa) concentrandoli esclusivamente e gratuitamente sulla medesima Harriet, ormai defunta e quindi impossibilitata a smentirlo: anche questo è un segnale di estrema debolezza di tutta l’idea portante del dittico.
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Vedremo come laVERDI, Flor e compagnia sapranno farci digerire la pillola.

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