affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

05 aprile, 2020

Infusi contro il virus


Mia nonna Maria, classe 1888 (Mahler sfornava la prima delle sue sinfonie e Strauss era alle prese con Tod-und-Verklärung... due musicisti dei quali lei nemmeno conobbe l’esistenza) veniva da una famiglia di contadini della media Valtrompia. A soli 28 anni rimase vedova (nonno Gherardo era partito soldato nella WWI, e non tornò più a casa nè vivo, nè morto, le sue ossa saranno a marcire da qualche parte laggiù, sul Carso, chissà dove). Così la sua giovinezza fu sacrificata a dare all’unica figlia (mia madre, che potè godersi suo padre per pochi mesi, e quando ancora era in fasce...) una buona educazione e un diploma di maestra elementare. Poi l’accompagnò all’altare, a sposare un compaesano, baldo tenente pilota della Regia Aeronautica (mio padre, che si fece tre anni di WWII per poi rifugiarsi, dopo Cassibile, fra i partigiani, e campato fino a 103 anni suonati!) Per comprensibili ragioni, la nonna abitò - fino alla sua morte, a 90 anni - in famiglia con noi, ad occuparsi stoicamente di tutte le faccende domestiche, compresa quella di tenere a bada i nipotini piccoli, sottoscritto e sorellina, mentre la figlia era a tener lezioni a scuola e il genero si occupava di garantire l’erogazione di corrente elettrica ai paesi di quelle valli. Io, nipote primogenito di ava vedova, come recitava la Legge sulla coscrizione obbligatoria ancora in vigore nei primi anni ’60, grazie a lei mi risparmiai pure la seccatura il privilegio della... naja! 

Orbene, la nonna, depositaria delle sane tradizioni contadine, non mancava mai di coltivare, nell’orticello di casa, fra pomodori, fagiolini e cetrioli, anche diverse erbe aromatiche o para-medicamentose. Una di queste ultime, dalle quali lei ricavava infusi quanto mai preziosi per combattere i classici malanni di stagione, era la malva.


Ecco, questa storiella vagamente strappalacrime introduce l’argomento antivirus del giorno: l’ultimo Lied (e ultima composizione completata) di Richard Strauss: Malven.

Questo Lied per soprano e pianoforte fu messo in bella copia da Strauss a Montreux nel novembre del 1948 (il manoscritto reca la data del 23, un martedi) e fu composto a ridosso dei quattro postumamente pubblicati come Vier letzte Lieder, venuti alla luce fra il 6 maggio e il 20 settembre di quell’anno, in una specie di staffetta compiuta da Strauss fra Montreux e Pontresina. Gli addetti ai lavori ci informano che Strauss scovò quasi per caso il testo da musicare sul settimanale Die Weltwoche (o sul quotidiano Zürcher Zeitung, non è ben chiaro) che aveva pubblicato questa poesia, parte della collana Neue Gedichte, della letterata-giornalista-scrittrice svizzera Bettina (Betty) Wehrli-Knobel, divenuta abbastanza famosa per le sue posizioni femministe.

Strauss compose il Lied pensando ad una ben precisa persona, alla quale era da una vita legato per motivi artistico-professionali (ma forse anche qualcosa di più...): la famosa cantante boema, poi trapiantata in USA, Maria Jeritza, che aveva nel corso degli anni interpretato alcuni ruoli straussiani di assoluto primo piano. Sulla seconda e ultima facciata scritta (delle 4 totali) del manoscritto del Lied Strauss vergò la dedica: Der geliebten Maria dieser letzte Rose! (Quest’ultima rosa all’amata Maria!) Alla quale inviò il manoscritto, che l’amata Maria si tenne gelosamente, rifiutando di mostrarlo a chicchessia (disse a Zubin Mehta, ai tempi in cui il maestro indiano era Direttore della NYPO che, lei viva, nessuno avrebbe avuto accesso a quei fogli...) In compenso però cercò reiteratamente di trovare un compratore al quale rifilarlo in cambio di somme evidentemente esorbitanti, se è vero come è vero che nessuno si mostrò interessato all’acquisto.

Acquisto che si materializzò dopo la dipartita dell’amata Maria, che ci lasciò nel 1982 (il giorno prima che Zoff alzasse al cielo la terza Coppa del Mondo azzurra) e che rese possibile la diffusione (sia pur controllata...) dell’opera nel vasto mondo. La prima esecuzione del Lied ebbe per protagonista Kiri Te Kanawa (accompagnata da Martin Katz al pianoforte) ed ebbe luogo a New York - incastonata all’interno del programma di un concerto della NYPO diretto da Mehta - giovedi 10 gennaio 1985. Possiamo ascoltare la registrazione di quella prima su youtube: all’inizio si può distintamente udire la voce di Mehta che presenta al pubblico l’eccezionale evento, raccontando della gran fretta con la quale esso venne organizzato e chiedendo ai presenti di applaudire Frederick R. Koch (la cui fondazione filantropica aveva appena da un mese acquistato il manoscritto originale ad un’asta di Sotheby, esecutore testamentario della Jeritza) e Christian Strauss (nipote del compositore) che avevano, con le rispettive formali autorizzazioni, reso possibile quella performance ed erano lì ad assistervi.   
___
Riassunta la cronaca della nascita e... resurrezione di Malven, vediamo di osservarlo (ed ascoltarlo, ovviamente) più da vicino. Cominciando dal testo, che Strauss modificò non sostanzialmente, come si può osservare dalla seguente tabella (in giallo due versi omessi da Strauss):

testo originale di Knobel
testo di Strauss
testo di Strauss (italiano)
Aus Rosen, Phlox und
Zinienflor,
Ragen im Garten
Malven empor,
duftlos und ohne
des Purpurs Glut,
wie eine Hand,
die müde ruht,
wie ein verweintes,
blasses Gesicht
unter dem gold’nen
himmlischen Licht.
Und dann verwehen
leis sie im Wind,
zärtliche Blüten,
Sommers Gesind.
Aus Rosen, Phlox
Zinienflor
ragen im Garten
Malven empor,
duftlos und ohne
des Purpurs Glut,
[wie eine Hand,
die müde ruht,]
wie ein verweintes
blasses Gesicht
unter dem gold’nen
himmlischen Licht.
Und dann verwehen
leise leise im Wind
zärtliche Blüten
Sommers Gesind......
Sommers Gesind.....
Fra rose, floghi
zinnie
si ergono nel giardino
malve all’insù,
inodori e senza
la luminosità della porpora,
[come una mano,
che stanca riposa,]
come un lacrimoso
pallido volto
sotto la dorata
celestiale luce.
Esse poi disperdono
sommesse sommesse nel vento
teneri fiori
estiva servitù......
estiva servitù.....

È innegabile che si tratti di un testo, per così dire, vicino a quello di almeno due dei quattro che Strauss aveva appena finito di mettere in musica (Frühling e September); anzi, appare come una cerniera fra i due segnalati (il che darebbe ragione a Rihm-Thielemann che - ne riferisco più sotto - lo hanno collocato proprio fra quei due): non è più la Natura esplosiva della Primavera, ma nemmeno quella ormai intristita dell’Autunno; è quella dell’Estate che dolcemente, senza quasi dar nell’occhio, si lascia cullare beatamente e... disinteressatamente.

Diverso è però il discorso sul piano musicale: qui la distanza fra Malven e i quattro è abbastanza evidente, quasi che dapprima Strauss, allo scopo di produrre ancora musica destinata al vasto pubblico, con i letzte avesse raschiato il fondo del barile della materia prima nella quale aveva nuotato nella sua primavera e nella sua estate; ma poi, e solo due mesi dopo, si fosse sentito moralmente obbligato - prima di chiudere bottega - a creare qualcosa di più complesso, anche difficile, persino ricercato, qualcosa però da condividere solo in privato, con qualcuno (l’amata Maria...) che fosse in grado di capirlo ed apprezzarlo. 

La struttura del Lied (qui il manoscritto) è assai semplice: è un Allegretto in 2/4 tonalità di impianto MIb maggiore, costituito da due interventi del pianoforte, quasi identici, alternati ai due della voce, di proporzioni asimmetriche, corrispondenti rispettivamente ai primi 10 e ai restanti 5 versi del testo. Al proposito si osservi la tabella sottostante, che ho costruito rielaborando il contenuto di una dettagliata analisi del brano fatta da John M. Kissler (nelle colonne delle battute le cifre tra parentesi (1 - 2) rappresentano rispettivamente il primo e il secondo quarto, cioè mezza battuta):

da battuta
a battuta
tonalità
contenuto

0(2)
5(2)
6(2)
9
10

11(2)
17
19(2)
21
23
28(2)
32
32(2)
38

42(2)
46(2)
47(2)
50
51

54
56
58
61

70(2)

5(1)
6(1)
8
9
11(1)

16
19(1)
20
22
28(1)
31
32(1)
37
42(1)

46(1)
47(1)
49
50
53

55
57
60
70(1)

72

MIb M
FA M
MIB M
DO m
MIb M

MIb M
DOb M
MIb M
RE m
LA m
MIb M
DO m
SOL m
MIb M

MIb M
FA M
MIb M
DO m
MIb M

MIb M
DOb M
LA m
MIb M

MIb M

Introduzione





a
Aus Rosen, Phlox
Zinienflor
a
ragen im Garten
Malven empor, duftlos und
ohne des Purpurs Glut,
wie
ein verweintes blasses Gesicht
unter dem gold’nen himmlischen Licht.

Interludio
a
a
a


Und dann verwehen
leise
leise im Wind zärt-
-liche Blüten Sommers Gesind. Sommers Gesind.

Cadenza

Sparite le lunghe e sbudellanti melodie dei Vier letzte, si fa posto a frasi dall’andamento più nervoso, quasi impressionista, soprattutto nell’accompagnamento del pianoforte, ma anche nella voce, i cui due interventi (il primo più lungo e il secondo più breve) comportano anche un’incessante ambiguità tonale (come testimoniato in particolare dal percorso assai contorto del primo intervento) con marcate e anche scabre divagazioni (non certo compiute modulazioni) dal MIb maggiore di impianto, introducendovi anche un inquietante tritono (LA-MIb). Più lineari, dal punto di vista della tonalità, gli interventi dello strumento: si lascia infatti il MIb maggiore solo per due digressioni a FA maggiore e alla relativa DO minore.  
___
Mentre nel 1985 a NY Kiri Te Kanawa aveva dovuto studiare in fretta e furia il Lied direttamente sulla copia del manoscritto, qualche anno dopo potè cantarlo avendo a disposizione per prepararlo lo spartito della Boosey e un accompagnatore d’eccezione; ed ecco il risultato: qui con Georg Solti nel 1990 a ManchesterUna differenza fra le due esecuzioni che balza subito all’orecchio è la durata: a NY 3’33”, a Manchester circa 30” in meno. Difficile dire quanto questa maggior speditezza sia derivata da una decisione esclusiva dell’interprete o anche dell’accompagnatore (a NY è probabile che anche Mehta ci avesse messo lo zampino...) Sta di fatto che anche altre interpreti (Norman, Karg, Damrau) hanno seguito il secondo approccio. 

Recentemente (2013) il compositore tedesco Wolfgang Rihm ha orchestrato il Lied, che è stato di fatto incorporato (come secondo, dopo Frühling) nella collana Vier lezte Lieder (cresciuta così a... Fünf letzte Lieder) presentata il 14 aprile 2014 a Salzburg da Christian Thielemann (voce di Hanja Harteros) con la Staatskapelle Dresden. Qualche mese dopo gli stessi interpreti hanno ripetuto il concerto a... casa loro:  Malven è a 18’30” di questa registrazione dell’11 giugno 2014precisamente il giorno del 150° compleanno del compositore.
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Si può fare testamento una sola volta. Così pare avesse confidato Strauss a Clemens Krauss alludendo al RE bemolle con il quale aveva chiuso Capriccio, l’8 agosto 1941, nella sua sontuosa villa di Garmisch. Chissà se pensava a Wagner e a Götterdämmerung... sta di fatto che di testamenti ne stese altri; gli ultimi tre, del 1948, nell'esilio de-nazificante in Svizzera, in queste tonalità:

- Beim Schlafengehen (4/8): REb
- September (20/9): RE 
- Malven (23/11): MIb 

Cioè un risalire cromaticamente dalla chiusura di Götterdämmerung all’apertura di Rheingold: musicalmente, il ritorno al big-bang...

01 aprile, 2020

Aprile, dolce dormire...


Già, ma c’è sonno e sonno... così:



...oppure così:


29 marzo, 2020

Bach vs Covid


Seguendo, non proprio alla lettera, il suggerimento che Paolo Isotta ha lanciato il 26 u.s. dalle colonne del Fatto Quotidiano di combattere il Covid19 ascoltando Bach (lui proponeva in verità Das wohltemperierte Clavier) ho messo mano a vecchie mie carte riguardanti Die Kunst der Fuge, il che ha orientato la mia scelta (come si vedrà) riguardo quale delle millanta esecuzioni privilegiare.

Ora, a monte dell’esecuzione sta però la versione che viene eseguita, poichè di questa, che è for di dubbio la più strabiliante delle opere di Bach, esiste (un po’ anche per colpa sua...) una serie nutrita di edizioni e ancor più di presentazioni.

Una tabella sinottica riportata da Wikipedia in italiano ci informa di almeno 14 diverse edizioni, a partire da quella originale del 1751-52 predisposta da Johann Heinrich Schübler (verosimilmente con la... consulenza di Carl Philipp Emanuel Bach) per arrivare a quella di Walter Kolneder del 1977. Ma molte altre sono state prodotte nel corso degli anni (Rogg, Moroney, Wolff, Göncz, Dentler, Tovey, Hofmann, Berio, ...)  

La tabella ha appunto come base di riferimento la prima edizione del 1751, costituita da 24 brani, compreso lo spurio corale conclusivo: le altre 13 edizioni si differenziano come minimo per la disposizione in sequenza dei brani, che poco o tanto si discosta sempre da quella originale. Lo stesso articolo citato fornisce anche qualche plausibile spiegazione di tali divergenze, motivate dalla visione che ciascun redattore ha dell’opera (aspetti musicali, ma anche... metafisici e pure esoterici). Dato poi che Bach non lasciò la minima indicazione sulla strumentazione dei brani, ognuno si è sbizzarrito ad eseguirli sui più svariati strumenti, e ciò ha ulteriormente moltiplicato la disponibilità di offerta di quest’opera (il che è un gran bene, sia chiaro!)

Chi si districa con il crucco può trovare esaurienti notizie e chiarimenti sulla Kunst a questo indirizzo web.
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Per esorcizzare il coronato quanto indesiderato ospite, prima di infilarmi le cuffie per ascoltare questo Bach ho cercato di riordinarmi le idee proprio sui contenuti dell’opera, e così ho messo, per così dire, in bella copia alcuni vecchi appunti relativi alla struttura della Kunst.

A partire proprio dalla sua materia prima principale: il cosiddetto manoscritto autografo P200 conservato tuttora a Berlino, che fu ovviamente la fonte (peraltro non unica) della prima edizione del 1751.


Il manoscritto, cui una mano aliena - si sostiene essere stata quella di un genero di Bach, Johann Christoph Altnickol - appose il titolo Die Kunst der Fuga, è costituito da 40 pagine numerate, 38 delle quali fittamente popolate dalle note scritte dal sommo Johann Sebastian. Vi si trovano, quasi sempre senza titoli, ma con semplice numerazione romana (non di mano di Bach, peraltro) 15 brani (I-XV). Un’appendice (3 Beilage) al fascicolo principale, associata però al P200, contiene altri tre brani (che portano il totale a 18): il primo (A1) è una quasi-ripetizione del brano XV del manoscritto principale; il secondo (A2) è la Fuga a 2 clavicembali, in versione rectus e inversus, di fatto l’adattamento per due tastiere del brano XIV; il terzo è la famosa Fuga a 3 (o 4, come sostiene qualche indovino...) soggetti, rimasta sospesa a metà, quando la penna d’oca cadde dalla mano del Bach spirante (quale retorica in tutto ciò... Bach era cieco da tempo) che ha appena vergato, sul rigo della terza voce, la sesta apparizione del suo proprio nome: SIb-LA-DO-SI.

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La prima evidenza che balza all’occhio confrontando il manoscritto con l’edizione del 1751 è la totale mancanza di rispetto, in ciò che venne stampato, della sequenza con la quale Bach aveva compilato il suo manoscritto. Quindi già il buon Schübler (magari imbeccato da C.P.E. Bach) aveva stravolto l’ordine originale dei brani. E subito non mancarono i critici di questa operazione, salvo poi permettersi - come si è visto - di proporre altre soluzioni tutte regolarmente diverse non solo da Schübler, ma anche da... Bach!

La tabella che segue evidenzia in modo spettacolare le discrepanze fra l’ordine con il quale Bach mise sul pentagramma la sua Kunst e quello con il quale essa fu pubblicata: il groviglio di incroci fra le frecce rosse ne dà un’idea sinteticamente lampante:


Si noti anche come Bach abbia titolato di sua mano solo tre dei 18 brani (IX, XIIb e XV) mentre tutti gli altri titoli nell’edizione 1751 sono evidentemente dell’editore. Come detto, la prima appendice (A1) è una riedizione del brano XV (che è in 4/4, chiave di soprano) semplicemente a lunghezze raddoppiate, ma con dimezzamento del tempo (4/4 alla breve, chiave di violino): ciò è evidenziato in figura con la freccia curva che collega XV ad A1. Tutte le edizioni hanno privilegiato la forma A1 a quella XV, evidentemente considerata obsoleta. La seconda (A2) ripropone su 4 righi (2 tastiere) e in pagine separate (inversus-rectus) ciò che il brano XIV espone su coppie sovrapposte (a specchio) di 3 righi. Diverso è il caso del brano XIII, che reca, come il XIV, il rectus e inversus su coppie sopvrapposte (a specchio), ma di 4 righi ciascuna: in pratica quindi direttamente eseguibili su due tastiere.

La figura ci dice anche come il numero XII di Bach (il canone alla quarta inferiore presentato in due forme: ampia, a due righi, XIIa; e concisa, a un rigo, XIIb) non sia stato incluso nell’edizione a stampa (ha lo stesso incipit del XV). In compenso 5 brani (evidenziati in giallo) dell’edizione a stampa non si ritrovano nel manoscritto originale di Bach: a parte lo spurio Choral, c’è solo una parentela fra il Contrapunctus 10 a 4 alla decima e il brano VI (divenuto poi Contrapunctus a 4) di cui incorpora alcune parti; vaghe le notizie sull’origine degli altri tre.

Un altro esempio che testimonia della proliferazione di versioni (o meglio, di ristrutturazioni della sequenza esecutiva) è dato dalla casa editrice Breitkopf&Härtel, che nel tempo si è cimentata (almeno) quattro volte (1841, 1878, 1926, 1950) nell’impresa di mettere in stampa la Kunst. Mi sono divertito (!?) a mettere due di queste versioni (1878 e 1926) a confronto con il manoscritto, ed anche qui il risultato è eloquente, dimostrando non solo la divergenza delle due versioni dall’originale, ma anche la profonda differenza fra le stesse:



In particolare l’edizione di Graeser pare proprio cervellotica (e non sono certo io a dirlo...) Se poi si volesse fare un elenco delle esecuzioni e incisioni della Kunst, credo ne uscirebbe un’enciclopedia... ce n’è davvero per tutti i gusti!

Ma ciò che in generale disorienta chi si avvicina all’ascolto di quest’opera è la colossale babele delle titolazioni dei brani, poichè ciascun editore li titola a suo piacimento, cosicchè accade che - e mi limito ad un esempio fra mille - il Contrapunctus XII di Graeser (dal brano IX, Canon in Hypodiapason nel manoscritto) nulla ha a che vedere con il Contrapunctus 12 di Rust, che è il brano XIII del manoscritto originale: e ciò è tanto più irresponsabile se si pensa che si tratta di due versioni della stessa Casa Editrice!
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Vabbè, basta ora con questo arido tormentone, e veniamo al sodo e alla mia personale scelta scaccia-Covid (certo non definitiva, ci mancherebbe...) Che è stata dettata dalla curiosità di ascoltare una buona volta la Kunst proprio come Bach ce l’ha lasciata sui suoi manoscritti.

E per condividerla ho cercato - e trovato - in rete l’oggetto del desiderio (con un difettuccio, ma è meglio di niente): (quasi) tutto il manoscritto di Bach suonato - nella sequenza originale - al clavicembalo da Fabio Bonizzoni e Mariko Uchimura. Il difettuccio? Aver ignorato il mirabile XIIa (suonando il XV in quella posizione). Ecco qui il contenuto della proposta di Bonizzoni: 

brano
tempo
I
-
II
3’10”
III
6’06”
IV
8’47”
V
11’52”
VI
14’37”
VII
18’02”
VIII
22’34”
IX
26’42”
X
29’08”
XI
36’16”
XV
43’21”
XIII-r
48’31”
XIII-i
50’30”
XIV-r
52’29”
XIV-i
54’47”
A3
57’10”

Quanto al piccolo difettuccio (il canone Hypodiatesseron) si può rimediare così... 

E comunque - date retta a me - a questo Bach non c’è coronavirus che possa resistere!

18 marzo, 2020

É il momento più brutto?


Nun Herr, wess soll ich mich trösten?


14 marzo, 2020

Il vaccino miracoloso


Ascoltando e vedendo le immagini dello spontaneo, incredibile flashmob musicale antivirus di oggi non ho potuto non richiamare alla mente il mirabile testo di Rita Monaldi e Francesco Sorti (ignobilmente boicottato per anni in Italia) intitolato Imprimatur.

Dove si narra di come la musica - un Rondò di Devizé suonato in una locanda romana durante una quarantena contro la peste del 1683 - ebbe addirittura effetti taumaturgici, bloccando sul nascere il diffondersi del contagio.

Ecco, val proprio la pena di affidarsi alla musica per superare questo brutto momento!