Seguendo, non proprio alla lettera,
il suggerimento che Paolo Isotta ha
lanciato il 26 u.s. dalle colonne del Fatto
Quotidiano di combattere il Covid19 ascoltando Bach (lui proponeva in verità Das
wohltemperierte Clavier) ho
messo mano a vecchie mie carte riguardanti Die Kunst der Fuge, il che ha
orientato la mia scelta (come si vedrà) riguardo quale
delle millanta esecuzioni privilegiare.
Ora, a monte dell’esecuzione sta però
la versione che viene eseguita,
poichè di questa, che è for di dubbio la più strabiliante delle opere di Bach,
esiste (un po’ anche per colpa sua...) una serie nutrita di edizioni e ancor più di presentazioni.
Una tabella sinottica riportata da Wikipedia in italiano ci informa di
almeno 14 diverse edizioni, a partire da quella originale del 1751-52
predisposta da Johann Heinrich Schübler
(verosimilmente con la... consulenza di Carl
Philipp Emanuel Bach) per arrivare a quella di Walter Kolneder del 1977. Ma molte altre sono state prodotte nel
corso degli anni (Rogg, Moroney, Wolff, Göncz, Dentler,
Tovey, Hofmann, Berio, ...)
La tabella ha appunto come base di
riferimento la prima edizione del 1751,
costituita da 24 brani, compreso lo spurio corale
conclusivo: le altre 13 edizioni si differenziano come minimo per la disposizione in sequenza dei brani, che poco o tanto si discosta sempre
da quella originale. Lo stesso articolo citato fornisce anche qualche
plausibile spiegazione di tali divergenze, motivate dalla visione che ciascun redattore ha dell’opera (aspetti musicali, ma
anche... metafisici e pure esoterici). Dato poi che Bach non lasciò la minima
indicazione sulla strumentazione dei brani, ognuno si è sbizzarrito ad
eseguirli sui più svariati strumenti, e ciò ha ulteriormente moltiplicato la
disponibilità di offerta di quest’opera (il che è un gran bene, sia chiaro!)
Chi si districa con il crucco può trovare esaurienti notizie e chiarimenti sulla Kunst a questo indirizzo web.
Chi si districa con il crucco può trovare esaurienti notizie e chiarimenti sulla Kunst a questo indirizzo web.
Per esorcizzare il coronato quanto indesiderato ospite,
prima di infilarmi le cuffie per ascoltare questo Bach ho cercato di
riordinarmi le idee proprio sui contenuti dell’opera, e così ho messo, per così
dire, in bella copia alcuni vecchi
appunti relativi alla struttura della Kunst.
A partire proprio dalla sua materia
prima principale: il cosiddetto manoscritto
autografo P200 conservato tuttora a Berlino, che fu ovviamente la fonte
(peraltro non unica) della prima edizione del 1751.
Il manoscritto, cui una mano aliena - si sostiene essere stata
quella di un genero di Bach, Johann Christoph Altnickol - appose il titolo Die Kunst der Fuga, è costituito da 40
pagine numerate, 38 delle quali fittamente popolate dalle note scritte dal
sommo Johann Sebastian. Vi si trovano, quasi sempre senza titoli, ma con
semplice numerazione romana (non di
mano di Bach, peraltro) 15 brani (I-XV). Un’appendice (3 Beilage) al fascicolo principale, associata però al P200, contiene altri tre brani (che
portano il totale a 18): il primo (A1) è una quasi-ripetizione del brano XV del
manoscritto principale; il secondo (A2) è la Fuga a 2 clavicembali, in versione rectus e inversus, di
fatto l’adattamento per due tastiere del brano XIV; il terzo è la famosa Fuga a 3 (o 4, come sostiene qualche
indovino...) soggetti, rimasta sospesa
a metà, quando la penna d’oca cadde dalla mano del Bach spirante (quale
retorica in tutto ciò... Bach era cieco da tempo) che ha appena vergato, sul
rigo della terza voce, la sesta
apparizione del suo proprio nome: SIb-LA-DO-SI.
___
La prima evidenza che balza
all’occhio confrontando il manoscritto con l’edizione del 1751 è la totale
mancanza di rispetto, in ciò che venne stampato, della sequenza con la quale
Bach aveva compilato il suo manoscritto. Quindi già il buon Schübler (magari imbeccato da C.P.E. Bach) aveva stravolto
l’ordine originale dei brani. E subito non mancarono i critici di questa
operazione, salvo poi permettersi - come si è visto - di proporre altre
soluzioni tutte regolarmente diverse non solo da Schübler, ma anche da... Bach!
La tabella che segue evidenzia in
modo spettacolare le discrepanze fra l’ordine con il quale Bach mise sul
pentagramma la sua Kunst e quello con il quale essa fu pubblicata: il groviglio
di incroci fra le frecce rosse ne dà un’idea sinteticamente lampante:
Si noti anche come Bach abbia titolato di sua mano solo tre dei 18 brani (IX, XIIb e XV) mentre tutti gli altri titoli nell’edizione 1751 sono evidentemente dell’editore. Come detto, la prima appendice (A1) è una riedizione del brano XV (che è in 4/4, chiave di soprano) semplicemente a lunghezze raddoppiate, ma con dimezzamento del tempo (4/4 alla breve, chiave di violino): ciò è evidenziato in figura con la freccia curva che collega XV ad A1. Tutte le edizioni hanno privilegiato la forma A1 a quella XV, evidentemente considerata obsoleta. La seconda (A2) ripropone su 4 righi (2 tastiere) e in pagine separate (inversus-rectus) ciò che il brano XIV espone su coppie sovrapposte (a specchio) di 3 righi. Diverso è il caso del brano XIII, che reca, come il XIV, il rectus e inversus su coppie sopvrapposte (a specchio), ma di 4 righi ciascuna: in pratica quindi direttamente eseguibili su due tastiere.
La figura ci
dice anche come il numero XII di Bach (il canone alla quarta inferiore presentato in due forme: ampia, a due righi, XIIa;
e concisa, a un rigo, XIIb) non sia stato incluso nell’edizione a stampa (ha lo
stesso incipit del XV). In compenso 5 brani (evidenziati in giallo)
dell’edizione a stampa non si ritrovano nel manoscritto originale di Bach: a parte
lo spurio Choral, c’è solo una parentela fra il Contrapunctus 10 a 4 alla decima e il brano VI (divenuto poi Contrapunctus a 4) di cui incorpora
alcune parti; vaghe le notizie sull’origine degli altri tre.
Un altro esempio che testimonia della
proliferazione di versioni (o meglio, di ristrutturazioni della sequenza
esecutiva) è dato dalla casa editrice Breitkopf&Härtel, che nel tempo si è cimentata
(almeno) quattro volte (1841, 1878, 1926, 1950) nell’impresa di mettere in
stampa la Kunst. Mi sono divertito (!?) a
mettere due di queste versioni (1878 e 1926) a confronto con il manoscritto, ed
anche qui il risultato è eloquente, dimostrando non solo la divergenza delle
due versioni dall’originale, ma anche la profonda differenza fra le stesse:
In particolare l’edizione di Graeser pare proprio cervellotica (e non sono certo io a dirlo...) Se poi si volesse fare un elenco delle esecuzioni e incisioni della Kunst, credo ne uscirebbe un’enciclopedia... ce n’è davvero per tutti i gusti!
Ma ciò che in generale disorienta chi si avvicina all’ascolto
di quest’opera è la colossale babele
delle titolazioni dei brani, poichè ciascun editore li titola a suo piacimento,
cosicchè accade che - e mi limito ad un esempio fra mille - il Contrapunctus XII
di Graeser (dal brano IX, Canon in Hypodiapason nel manoscritto) nulla ha a che
vedere con il Contrapunctus 12 di Rust, che è il brano XIII del manoscritto
originale: e ciò è tanto più irresponsabile se si pensa che si tratta di due
versioni della stessa Casa Editrice!
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In particolare l’edizione di Graeser pare proprio cervellotica (e non sono certo io a dirlo...) Se poi si volesse fare un elenco delle esecuzioni e incisioni della Kunst, credo ne uscirebbe un’enciclopedia... ce n’è davvero per tutti i gusti!
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Vabbè, basta ora con questo arido tormentone, e veniamo al sodo e alla mia personale scelta scaccia-Covid (certo non
definitiva, ci mancherebbe...) Che è stata dettata dalla curiosità di ascoltare
una buona volta la Kunst proprio come
Bach ce l’ha lasciata sui suoi manoscritti.
E per condividerla
ho cercato - e trovato - in rete l’oggetto del desiderio (con un difettuccio,
ma è meglio di niente): (quasi) tutto il
manoscritto di Bach suonato
- nella sequenza originale - al clavicembalo da Fabio Bonizzoni e Mariko Uchimura.
Il difettuccio? Aver ignorato il mirabile XIIa (suonando il XV in quella
posizione). Ecco qui il contenuto
della proposta di Bonizzoni:
brano
|
tempo
|
I
|
-
|
II
|
3’10”
|
III
|
6’06”
|
IV
|
8’47”
|
V
|
11’52”
|
VI
|
14’37”
|
VII
|
18’02”
|
VIII
|
22’34”
|
IX
|
26’42”
|
X
|
29’08”
|
XI
|
36’16”
|
XV
|
43’21”
|
XIII-r
|
48’31”
|
XIII-i
|
50’30”
|
XIV-r
|
52’29”
|
XIV-i
|
54’47”
|
A3
|
57’10”
|
E comunque - date retta a me - a
questo Bach non c’è coronavirus che possa
resistere!
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