affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

26 settembre, 2016

A Firenze si aspetta Semiramide. (2)


Archiviata la questione, più o meno rilevante, concernente il processo di derivazione del libretto di Semiramide dalla Sémiramis di Voltaire, proviamo ad avvicinarci, dalla crosta e relative incrostazioni, alla polpa musicale di quest’opera, che è quanto mai succosa e appetibile.

Ci soccorre l’ascolto di una rappresentazione - praticamente integrale - diretta in quel di Liegi nell’ormai lontano 2001 dal venerabile Alberto Zedda alla testa di Orchestra e Coro dell’Opéra Royal de Wallonie e con una compagnia di canto di tutto rispetto: Darina Takova (Semiramide) – Ewa Podleś (Arsace) – Rockwell Blake (Idreno) – Boris Martinovich (Assur) – Léonard Graus (Oroe) – Laure Delcampe (Azema) – Laurent Koehl (Mitrane) – Roger Joakim (Nino).

Lo schema sottostante riassume con un certo dettaglio la struttura dell’opera, suddivisa nei suoi numeri e nelle relative componenti formali. Si noti che tutti i recitativi (che normalmente separano i diversi numeri) sono sempre accompagnati, ed in effetti non si distinguono quasi più, musicalmente, da ciò che si indica come scena (che in un certo senso è l’antesignano della melodia infinita che nel Wagner post-Lohengrin, da parte, diventerà tutto).

atto-n°
forma
personaggi
minutaggio - contenuto
Sinfonia



Introduzione
Allegro vivace
RE maggiore
20”

Andantino
54”
Esposizione
Allegro
1° tema – RE magg.
4’41”


2° tema – LA magg.
6’28”

crescendo (a)
LA maggiore
6’57”

crescendo (b)
7’16”
Ripresa
Allegro
1° tema – RE magg.
8’36”


2° tema – RE magg.
10’24”

crescendo (a)
RE maggiore
10’53”

crescendo (b)
11’11”
Atto I



1. Introduzione
Scena
Oroe
13’08” Sì... Gran Nume

Coro
Popolo
15’56” Belo si celebri

Tempo d'attacco
Idreno–Coro-Assur
19’30” Là dal Gange

Tempo di mezzo
Assur
22’53” La mia fede

Stretta
Assur-Idreno-Oroe
23’30” A quei detti

Coro
Popolo
25’19” Ma di plausi

Quartetto
Oroe-Semiramide-Idreno-Assur
27’21” Di tanti regi

Tempo di mezzo
Assur-Semiramide-Idreno-Oroe-Coro
30’46” Regina, all’ara

Stretta
Tutti
32’16” Trema il tempio
Recitativo

Semiramide-Oroe-Idreno-Assur
36’01” O tu de’ Magi
2. Arsace
Preludio

39’57”
 
Scena
Arsace
42’34” Eccomi alfine

Cantabile
45’31” Ah! quel giorno

Cabaletta
48’01” Oh! come da quel dì
Recitativo

Oroe-Arsace-Assur
52’11” Io t’attendeva
3. Duetto
Tempo d'attacco
Arsace-Assur
56’34” Bella imago

Cantabile
1h00’09” D’un tenero amor

Tempo di mezzo
1h03’08” Io tremar?

Cabaletta
1h04’08” Và, superbo
4. Aria Idreno
Scena
Azema-Idreno
1h07’57” O me felice!

Cantabile
Idreno
1h09’40” Ah dov’è

Cabaletta
1h13’09” E se ancor libero
Recitativo

Azema
1h17’25” Se non avesse
5. Semiramide
Coro
Donne
1h17’52” Serena i vaghi rai

Cantabile
Semiramide-Donne
1h21’33” Bel raggio lusinghier

Cabaletta
"
1h24’45” Dolce pensiero
Recitativo

Semiramide-Mitrane-Arsace
1h28’36” Non viene ancor
6. Duettino
Cantabile
Semiramide-Arsace
1h33’11” Serbami ognor

Cabaletta
Semiramide-Arsace
1h37’27” Alle più care immagini
Recitativo

Assur-Oroe
1h41’30” Oroe dal tempio
7. Finale I
Coro
Popolo
1h43’53” Ergi ormai

Scena
Semiramide - tutti
1h49’15” I vostri voti

Tempo d'attacco
"
1h55’49” L’alto eroe

Marcia funebre
Tutti
1h59’58” Qual mesto gemito

Tempo di mezzo
Semiramide-Assur-Idreno-Arsace-Nino
2h05’13” D’un semidio

Stretta
Tutti
2h08’40” Ah! sconvolta
Atto II



Recitativo

Mitrane-Semiramide-Assur
2h12’10” Alla reggia d’intorno
8. Duetto
Cantabile
Semiramide-Assur
2h16’12” Se la vita ancor

Tempo di mezzo
2h20’13” Quella ricordati

Cabaletta
2h25’41” La forza primiera
9. Ninia
Preludio

2h28’14”  

Coro
Magi-Oroe
2h30’21” In questo augusto

Scena
Arsace-Oroe
2h33’31” Ebben, compiasi omai

Cantabile
Arsace
2h35’33” In sì barbara sciagura

Tempo di mezzo
Oroe-Magi
2h38’39” Su, ti scuoti

Cabaletta
Arsace-Oroe-Magi
2h39’49” Tu ridesti il mio valore

Tempo di mezzo
Arsace
2h40’28” Ah! È mia madre

Cabaletta
Magi
2h41’14” Al gran cimento

"
Arsace-Oroe-Magi
2h41’48” Vendicato il genitore
Recitativo

Mitrane-Azema-Idreno
2h44’50” Calmati principessa
10. Aria Idreno
Cantabile
Idreno
2h46’59” La speranza più soave

Tempo di mezzo
Idreno-Coro
2h49’08” Tu mia sposa

Cabaletta
"
2h51’11” Sì, sperar voglio
Recitativo

Semiramide-Arsace
2h54’52” No, non ti lascio
11. Duetto
Tempo d'attacco
2h57’50” Ebbene... a te

Cantabile
3h03’30” Giorno d’orrore

Tempo di mezzo
3h08’37” Madre, addio

Cabaletta
3h09’34” Tu serena intanto
12. Aria Assur
Preludio

3h13’01”  

Scena
Assur
3h15’50” Il dì già cade

Coro
Satrapi
3h17’37” Ah! La sorte ci tradì

Tempo d’attacco
Assur
3h20’13” Sì, vi sarà vendetta

Cantabile
3h21’33” Deh! ti ferma

Tempo di mezzo
Satrapi-Assur
3h25’00” Ah! Signore! Assur!

Cabaletta
Assur-Satrapi
3h26’32” Que’ Numi furenti
Recitativo

Mitrane
3h28’31” Oh nero eccesso!
13. Finale II
Preludio

3h29’34”   

Coro
Magi
3h31’19” Un traditor

Scena
Arsace-Oroe
3h34’42” Qual densa notte

Assur
3h36’14” Fra questi orrori

Semiramide
3h36’49” Già il perfido discese

Preghiera
3h37’46” Al mio pregar

Scena
Arsace-Assur-Semiramide
3h40’50” Dèi! qual sospiro

Terzetto
3h41’21” L’usato ardir

Scena
Oroe-Assur-Arsace-Semiramide
3h43’48” Ninia, ferisci

Coro
Tutti
3h46’37” Vieni Arsace

L’architettura dell’opera – almeno nella sua versione integrale – presenta proporzioni pressochè perfette: dopo la corposa Sinfonia vi si collocano tre colonne portanti: l’Introduzione e i due Finali. Le quali incastonano due gruppi di 5 numeri (per ciascuno dei due atti) articolati per lo più secondo quella che prenderà poi il nome di solita forma: scena, tempo d’attacco, cantabile, tempo di mezzo, cabaletta (si noti: una forma mai stucchevolmente e pedestremente ripetuta, ma di volta in volta adattata allo scenario drammaturgico da sostenere). Abbiamo quindi una macro-struttura così rappresentabile (tempi riferiti sempre alla citata esecuzione di Zedda):



Come si vede, una costruzione dal mirabile equilibrio, che viene fatalmente alterato ogni volta (e capita purtroppo assai spesso) che si praticano alla partitura tagli più o meno barbari e con i più diversi pretesti. 

Rossini, dopo averla sostituita con semplici preludi, nel suo periodo napoletano, ritorna per l’occasione alla sinfonia, e che Sinfonia! È sempre in forma-sonata-senza-sviluppo, ma è un vero e proprio gioiello, e in più presenta almeno quattro motivi che ricompariranno in diverse scene dell’opera, della quale quindi non è una semplice e posticcia introduzione, avulsa dal contesto (vedi quella dell’Aureliano poi disinvoltamente appiccicata ad Elisabetta e quindi al Barbiere) ma una parte assolutamente integrante. L’Andantino dell’Introduzione lo ritroviamo infatti nella scena di Semiramide del Finale I (I vostri voti omai). Il primo tema compare reiteratamente nella prima parte del Finale II; il crescendo(a) torna nella cabaletta del N°9, mentre il crescendo(b) sottolinea il duetto Semiramide-Arsace del primo atto.

Rossini non rinuncia ai suoi tradizionali imprestiti: nella prima aria di Idreno (E se ancor libero) affiora un inciso (Più fida un’anima) che viene dai palpiti del Tancredi; nel recitativo di Assur-Oroe (Oroe dal tempio) fa capolino un motivo che Rossini aveva scritto per la Sinfonia de La Gazzetta (poi riciclata in Cenerentola). Nel coro dei Satrapi (Ah! La sorte ci tradì) par di sentire l’Introduzione a La donna del lago e poi un’anticipazione dell’atmosfera solenne del finale del Tell... e a proposito della Donna, come non avvertire la somiglianza fra il quartetto Di tanti Regi e Oh! Mattutini albori di Elena.

Insomma, sono 3 ore e 3/4 di grande musica, senza un solo attimo di caduta di tensione, che fanno passare in secondo piano le accuse di passatismo barocco (per via delle mirabolanti fioriture del canto) e le critiche di personaggi anche famosi (Stendhal e Bacchelli, per citarne un paio) che trovarono l’opera – bontà loro - sgradevole o addirittura noiosa!
___
Domani 27, ore 20, la prima in diretta su Radio3. Più avanti le mie impressioni dal vivo.
(2. continua)

24 settembre, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°27


Dopo un paio di concerti dal taglio ultra-tradizionale, eccone uno invero fuori dagli schemi. È anch’esso, come il precedente, focalizzato su un singolo autore russo, Shostakovich, di cui presenta opere piuttosto desuete, dirette per di più da un solista di viola che da non molto si sta dedicando anche alle cure del podio, il 38enne Maxim Rysanov: un ragazzone dal fisico di attore, che dirige con... i pugni (sempre meglio che con i piedi, stra-smile!)

Programma che, già abbastanza smilzo in origine, si è poi ulteriormente rattrappito con la scomparsa (non dal libricino di sala) della Jazz-Suite-1.

La prima parte del concerto è occupata dalla Suite dalle musiche dal film del 1955 The Gadfly (Il tafano) approntata (in 12 numeri) dall’amico del compositore Levon Atovmian. Il film, che presenta la storia di un irredentista-carbonaro italiano dell’800, fu tratto da un romanzo di pari titolo della scrittrice irlandese Ethel Lilian Voynich. Costei era figlia di un matematico-filosofo che senza saperlo è diventato responsabile nientemeno che del fantastico sviluppo dell’informatica, grazie al quale oggi possiamo con internet goderci anche la musica di Shostakovich (qui la ascoltiamo diretta da Fedoseyev) senza andare in discoteca o in auditorium, o addirittura guardarci il film originale. Chi era costui? George Boole! Però, resi a Boole i suoi algebrici meriti, ascoltare musica dal vivo è sempre un’altra cosa, diciamo la verità.

I tre brani dell’originale programma avevano qualche vaga relazione fra loro: la Suite for Variety Stage Orchestra (che incorpora diverse musiche preesistenti) presenta come secondo brano (Danza-1) il terzo numero (Festa popolare) della Gadfly, riorchestrato; inoltre il Valzer-2 sembra proprio una derivazione aggiornata e abbellita di quello che apre la Jazz Suite 1. Scomparsa la quale, Rysanov ha però trovato modo per chiarirci il primo dei due legami. Come? Saltando a piè pari la Danza-1 e chiudendo (apparentemente) con soli 7 degli 8 numeri della Suite. Dopodichè si è girato verso la sala spiegando l’arcano, e attaccando, appunto, il numero prima saltato, che ha così chiuso con i dovuti fracassi il concerto.

Insomma, un programma francamente discutibile, la cui esecuzione è però stata gratificata di calorosi applausi da parte di un pubblico di pochi irriducibili...

23 settembre, 2016

A Firenze si aspetta Semiramide. (1)


Fra pochi giorni l’OF metterà in scena (impresa quanto mai ardua!) la rossiniana Semiramide, nell’allestimento del compianto Ronconi presentato nel 2011 a Napoli. E fu proprio in occasione del trasferimento da Napoli verso Parigi e l’Europa, in compagnia della sua Isabella, che Rossini, di passaggio in laguna, dedicò alla città che lo aveva fatto conoscere al mondo la sua opera forse più grande (quanto meno... fino all’arrivo del Tell); opera presentata in prima lunedì 3 febbraio 1823 alla Fenice.

Fu anche l’addio di Rossini al librettista Gaetano Rossi (che gli aveva fornito, sempre a Venezia, 13 e 10 anni addietro) i testi della Cambiale e del Tancredi (due trionfi!) E proprio come Tancredi, anche Semiramide fu ispirata da un’opera di Voltaire del 1748, Sémiramis, tragedia in 5 atti, 1682 versi in rima baciata.


Dramma e... melodramma! A volte si scambiano i ruoli. Cosa c’è di più melodrammatico di un moribondo tenore che, prima di tirare definitivamente le cuoia, si mette a cantare l’aria più strappalacrime dell’intera opera? Avete presente – tanto per citare solo Wagner e Verdi – Siegfried e Otello? Bene, qui succede che nella tragedia di Voltaire la povera (si fa per dire...) Semiramide, già mezza dissanguata per sbaglio da ben due stilettate del pargoletto, dopo aver scoperto l’identità del suo uccisore si produca in un nobile indirizzo per riconoscere la propria antica colpa, dichiararsi meritevole della punizione estrema inflittale e infine congiungere in matrimonio il ritrovato figlio e l’amata Azema, nelle cui mani consegnare il futuro di Babilonia. Rossi-Rossini? Niente, Semiramide trafitta fa appena in tempo ad esalare un Oh dio! e più non emette suono. Tutto assai poco melodrammatico, ammettiamolo. (Per le rappresentazioni parigine del 1825 Rossini rimaneggiò il finale per renderlo più vicino a Voltaire, ma fu un’idea ben presto abbandonata.)

Le deviazioni di Rossi rispetto al dramma di Voltaire non si riducono a questo (del resto lui già aveva manipolato il finale del Tancrède, poi ripristinato per Ferrara dal Lechi) e, almeno a prima vista, pare inspiegabile come un soggetto così mirabilmente strutturato come quello del grande letterato francese si sia potuto trasformare, nelle mani di Rossi(Rossini) in un libretto mediocre, salvato solo dalle sontuose note del pesarese.

Avec Voltaire tout-se-tient: lì abbiamo la coppia di peccatori-criminali (Semiramide-Assur) che si contendono il potere con tutti i mezzi; e la coppia di giovani puliti (Arsace-Azema) che – senza esser mossi dalla minima bramosia di potere – coronano il loro sogno d’amore dopo aver attraversato terribili momenti e ricevono in dono dal destino proprio quel potere che mai era stato fra i loro obiettivi. Una specie di Siegfried-Brünnhilde (del 1848) ante-litteram. In sostanza, un duplice lieto-fine: sul piano pubblico (Ninia che sale sul trono di suo padre, finalmente liberato dall’ingombrante presenza di una spietata uxoricida e del suo bieco sodale) e su quello privato, poichè Arsace può vivere felice e contento con la sua Azema in virtù dell’amore che li unisce e non, come sarebbe accaduto in assenza dell’uccisione di Nino, in forza di una decisione imposta a due infanti ancora in culla! E poi abbiamo tanto di morale-della-favola che il severo ed austero sacerdote Oroe ci propina in chiusura della tragedia: i criminali – soprattutto se potenti - possono magari sfuggire alla giustizia umana, ma non a quella divina. E l’intero svolgimento dei fatti e dei comportamenti di Oroe (ed anche dell’Ombra di Nino) altro non è, a ben vedere, se non una sistematica e quasi scientifica trama divina volta a punire Semiramide e Assur per il loro efferato crimine; non solo, ma a fare in modo che a punire la madre sia proprio il figlio! (quanto ad Assur, per lui basta ed avanza la giustizia umana...)

In Rossi-Rossini - sembra paradossale per un melodramma – la coppia di amorosi (Arsace-Azema) viene invece separata in modo e circostanze a dir poco grotteschi e la conclusione dell’opera ci propone un prosaico e per nulla poetico trionfo della pura ragion-di-stato, perseguita quasi con protervia da un Oroe rappresentante massimo della religione-di-stato. Cosicchè il lieto-fine conserva solamente il risvolto pubblico, chè sul piano privato (leggi: dei sentimenti) il povero Arsace ridivenuto Ninia resta lì tristemente - da solo e senza la persona amata - a (non) godersi il trono: una vita letteralmente rovinata!

Può anche darsi che questo stravolgimento del soggetto sia stato deliberatamente messo in atto da librettista e musicista per manifestare una qualche (più o meno plausibile) critica della società loro contemporanea: una critica alla corsa al potere fine a se stesso, al clima di perenne instabilità (alla faccia di Metternich) dell’Europa di quel tempo, alle lotte sotterranee fra pretendenti a troni e cancellerie. Sta di fatto che ciò che ne è uscito fuori è – sul piano artistico-estetico – un soggetto abbastanza risibile. E non perchè infedele rispetto al riferimento originale: ciò non sarebbe per nulla condannabile e tantomeno illegittimo, tutt’altro, come dimostrano tanti esempi di opere musicali (ciò vale oggi anche per quelle cinematografiche) che dall’infedeltà al modello originale hanno tratto solo vantaggi. Un titolo su tutti: Carmen, che Meilhac-Halévy-Bizet trasformarono da crudo soggetto verista (impensabile da proporsi all’Opéra-comique) in una commedia - anzi quasi un’operetta per più di metà del suo svolgimento - con finale tragico. No, la debolezza del libretto di Rossi sta nella sua farraginosità, conseguente a scelte (magari obbligate, come si vedrà tra poco) che hanno introdotto elementi estranei, fuorvianti e destabilizzanti nel coerente impianto voltairiano.   

Ora, atteso che Rossi e Rossini non fossero gli ultimi arrivati, resta da individuare una plausibile ragione che spieghi i loro interventi decisamente peggiorativi sul testo di Voltaire. Per me esiste una spiegazione squisitamente pratica, attinente a quello che possiamo definire il capitolato tecnico del melodramma ed in particolare alla composizione del cast degli interpreti. Proviamo ad esaminare i personaggi della tragedia voltairiana: vi troviamo la protagonista (Semiramide) che per Rossini non poteva che essere un soprano drammatico (e lui ne aveva sottomano... ehm... sotto le lenzuola... l’esemplare più famoso!); poi abbiamo l’alter-ego di Tancredi, quell’Arsace che perciò viene canonicamente e senza alcuna esitazione affidato al contralto en-travesti. Quindi Azema, la fanciulla contesa fra Arsace e il cattivone Assur (il quale sarà necessariamente un basso): lei sarà, come deciso da librettista e compositore, un mezzosoprano piuttosto leggero (ma alcune edizioni la indicano come soprano); quindi ancora il cupo sacerdote (Oroe) che pure un basso dovrà essere, così come la voce cavernosa dell’Ombra di Nino. Gli altri personaggi di Voltaire (Mitrane, Otane e Cédar) sono dei comprimari, tanto che gli ultimi due vengono bellamente ignorati dal libretto, mentre il primo, che canta in tutto pochi versi, sarà un tenore. Fine del menu.

Ohibò, ma qui ci manca qualcosa, anzi qualcuno di essenziale: il primo tenore, l’amoroso, perbacco! E come si può proporre un’opera che non preveda un ruolo così necessario e insostituibile, ruolo da gratificare come minimo di un paio di arie di quelle toste, oltre che di duetti e terzetti? Ecco quale dev’essere stato lo scoglio, a prima vista insormontabile, per la coppia Rossi-Rossini. E per superare tale scoglio non c’era che una strada: inventare di sana pianta un nuovo personaggio cui affidare la parte del primo tenore! Ma dato che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, ecco che questa decisione ha necessariamente indotto tutta una serie di ulteriori interventi e rabberciamenti del plot, con nefaste conseguenze anche sulla sua valenza e consistenza estetica.

Così ecco arrivare direttamente dal Gange un Re indiano, tale Idreno, che inspiegabilmente (o no, forse no...) invece di concorrere per la mano dell’attempata vedova Regina, si innamora fulmineamente e perdutamente della giovane gnocca Azema, diventandone addirittura il terzo pretendente, dopo il pipistrello Assur e l’eroico Arsace. Questo quadrilatero sentimentale (scenario piuttosto inconsueto, diciamolo pure: mezzosoprano contesa da basso, tenore e contralto!) c’entra con il soggetto dell’opera come i classici cavoli a merenda, salvo servire al Gioachino come pretesto per propinarci qualche minuto (anzi, quarti d’ora!) di grande musica, ecco.

Peccato che il tenore-inventato-di-sana-pianta ben presto diventi un intruso piuttosto ingombrante da gestire: che fine gli facciamo fare? devono essersi chiesti Rossi e Rossini. Annegato mentre si prende un bagno nell’Eufrate? (ma come, uno che viene dal Gange dev’essere un nuotatore provetto...); ammazzato per sbaglio (al posto di Arsace) dal cattivone Assur? (ma quanti omicidi fortuiti devono accadere in una sola opera?) O rispedito d’urgenza in India a fronte di un sms del suo vicerè? 

La soluzione trovata ha davvero del grottesco: e si materializza quando Semiramide annuncia il suo prossimo matrimonio (inconsapevolmente, ancora, incestuoso) con Arsace (che ha la metà degli anni della mammina e comprensibilmente stravede solo per Azema). Ecco che allora Idreno si sente in diritto (essendo nel frattempo anche Assur finito in fuori-gioco) di prendersi lui la bella gnocca. La quale, pora tapina, dopo aver in un primo tempo maledetto persino Semiramide per averle rubato il suo amatissimo Arsace, e mentre i cori già celebrano la felicità della loro unione, pare sottomettersi neanche troppo di malavoglia all’indiano. Ma come fare per renderci più plausibile questo suo non-rifiuto, che fa di lei, ai nostri occhi, una donna piuttosto volubile e leggera (quando invece, in Voltaire, lei vive solo per il suo Arsace)? Ecco: il librettista aveva già preparato per tempo il terreno, facendoci capire come Idreno non stesse poi troppo antipatico alla bella Azema, se è vero che, a fronte della di lui dichiarazione d’amore, lei ci aveva confessato che l’indiano occupava chiaramente la seconda posizione nel suo cuore (!?)

In ogni caso, da lì in poi (non siamo nemmeno a metà del second’atto e mancano ancora più di 50 minuti di musica!) mezzosoprano e tenore (che si è appena esibito in una cabaletta con coro in LA maggiore e magari – se ce la fa – si è pure inventato un paio di DO# sovracuti) svaniscono letteralmente nel nulla, spediti a forza chissà dove in luna di miele. Passi per Idreno, che il suo contributo sindacale all’opera lo ha già doverosamente e ampiamente versato, ma l’uscita di scena, con lui, di Azema si porta dietro altre conseguenze negative (ma anche positive, va detto) e stupide incongruenze.

Fra le prime, ovviamente, è la caduta del ruolo importante che Azema ha nel 4° e 5° atto di Voltaire, dove è lei a spiare e smascherare Assur agli occhi di Semiramide. Rossi qui peraltro inventa la mirabile scena delle visioni e degli incubi che assalgono Assur alla vista della tomba di Nino. Sparisce però (e ciò è di incalcolabile gravità) anche il fondamentale incontro fra Azema e Arsace, che avrebbe potuto ispirare a Rossini nientemeno che un drammaticissimo duetto fra due innamorati travolti da avvenimenti più grandi di loro (Rossi-Rossini decisero quindi di introdurne ex-novo un altro, pure straordinario, ma fra una coppia di... attempati rancorosi: quello Semiramide-Assur che apre il second’atto.) In quell’incontro Azema rimprovera Arsace per la sua decisione di accettare la mano di Semiramide, il che ha convinto la giovane della fatuità dei sentimenti dell’amato. Che lei provoca, invitandolo a sacrificarla per adempiere al suo compito. E allora ecco che abbiamo un colpo di scena, quando Arsace le confessa che in ogni caso loro due non potrebbero rimanere uniti: voci segrete dal tempio (evidentemente... Oroe) gli hanno rivelato che Ninia vive e sta ritornando in Babilonia! E a Ninia, fin dalla culla, è destinata proprio Azema, che quindi mai potrà essere sposa di Arsace, il quale dovrà invece servire il suo sovrano.

Ora, cosa risponde qui Azema a questa sensazionale rivelazione? Bene, che Ninia arrivi, si palesi a me e a sua madre... ma anche dimostrasse per me lo stesso amore tuo, mai potrebbe estorcere dalla mia anima un’abiura! Piuttosto, io financo calpesterei lo scettro che fosse posto ai miei piedi! Perchè, Arsace, io vivo solo per te, e se tu tradisci il nostro amore, sarai per me l’unico colpevole qui dentro! ...  Accipicchia! Una determinazione assoluta, che fa di Azema una donna di principi e sentimenti inossidabili, laddove nel libretto di Rossi, come abbiamo visto, la sua figura degrada a quella di una povera donnicciuola sballottata dai marosi del destino, e quindi liquidata anzitempo e senza misericordia...

La cassazione della suddetta scena ha provocato poi nel libretto di Rossi un’evidente (per quanto veniale) falla: quando Oroe, prima di rivelargli la sua vera identità, incorona Arsace con il serto di Nino, Arsace lo rifiuta mostrando di sapere che Ninia esiste... particolare a noi noto in Voltaire, ma qui del tutto gratuito ed inspiegabile, essendo appunto mancata in precedenza la scena con Azema.

A proposito di rivelazioni, in Voltaire troviamo una sequenza assai articolata, che Rossi semplifica molto, sempre a causa della prematura liquidazione di Azema: dapprima (1) quella già segnalata di Arsace ad Azema (Ninia vive); poi (2) quella di Oroe ad Arsace (Ninia sei tu); quindi (3) quella di Arsace a Semiramide (sono tuo figlio) e infine (4) quella di Semiramide ad Azema (Arsace è Ninia). In Rossi rimangono forzatamente soltanto la (2) e la (3). Ma soprattutto la sparizione di Azema lascia il povero Arsace-Ninia con un pugno di mosche, a fronteggiare da solo i grattacapi del trono: come finale mi pare proprio miserello.

E a proposito di finale, ben diversamente strutturate (a vantaggio, toujours, di Voltaire) sono le due scene-madri che hanno come teatro l’inaccessibile tomba di Nino. Partiamo dal francese: Semiramide, avvertita da Azema che Assur si prepara a violare la tomba per farci secco Arsace, comprende che questo è il momento che l’Ombra di Nino ha scelto per chiamarla a sè, giù nel sottosuolo. Quindi si arma e scende, per proteggere Ninia da Assur. Azema da parte sua cerca di dissuadere Ninia dall’impresa, temendo che lui finisca vittima di Assur, ma ciò ancor più convince il giovane a scendere nella tomba per punire l’omicida di suo padre. Orbene, noi veniamo a sapere – a cose fatte – che Assur non ha fatto in tempo a penetrare laggiù: lo certifica Otane (guardia del corpo di Semiramide) che lo ha arrestato (su mandato di cattura della Regina) proprio mentre cercava di inoltrarsi nel luogo proibito. Ergo giù nella catacomba immersa nell’oscurità si trovavano soltanto Ninia e Semiramide! E quindi l’uccisione, per quanto involontaria, della madre da parte del figlio era l’unico possibile esito della vicenda, come precisamente programmato dalla volontà divina, di cui Ninia doveva essere l’inconsapevole esecutore. Chapeau, monsieur Voltaire!

Il finale di Rossi, ahinoi, sa invece quasi di farsa (o di commedia, tipo la scena notturna nel giardino delle Nozze mozartiane). Nella catacomba inaccessibile sono infatti penetrati: uno stuolo di Magi, che si nascondono sotto le volte; Semiramide, in difesa del figlio; Assur, per far secco Arsace (ancora non sa essere Ninia) e poi Ninia stesso e Oroe! Quindi abbiamo una vera e propria pantomima, con tre personaggi che si aggirano alla cieca (par di vederli: chi avanzando, chi rinculando, chi ruotando su se stesso) alla ricerca dell’avversario da infilzare e nel frattempo trovano modo di cantare un ultimo – strepitoso, dobbiamo dirlo - terzetto (!) Finchè il supremo volere degli dei deve essere, per così dire, pilotato dal Sommo Sacerdote, che ordina il fuoco! a Ninia proprio quando vede la madre pararsi davanti al figlio! Beh, vien quasi da sorridere...

Ma a noi sta bene così, e del resto proprio Voltaire era il primo a riconoscere che il teatro musicale si può permettere qualunque bizzarria, poichè lì ciò che conta è la musica, il resto è accessorio. E Rossini ciò ben sapeva da sempre, e quindi anche quando scrisse le sue mirabili note su un improbabile testo come quello del Rossi.  
___
(1. continua)

22 settembre, 2016

Un Flauto accademico alla Scala

 

Ieri sera al Piermarini terz’ultima delle dieci recite della mozartiana Zauberflöte, una specie di saggio di fine anno per le voci dell’Accademia scaligera.

Se si dovesse giudicare con il metro dell’assoluto, il voto sarebbe irrimediabilmente negativo (ma spesso capita che lo sia anche per produzioni da SantAmbrogio...); se viceversa si applica il principio di relatività ristretta (!) allora le cose cambiano assai e tutto diventa più che accettabile.

Peter Stein monta uno spettacolo simpatico e godibile, che non può non piacere ai ragazzini (e a tutti coloro che si sentono tali anche a 70 anni suonati!) e che scommetterei sia abbastanza vicino a quello che montò quel vecchio marpione di Schikaneder in un remoto venerdi 30 settembre 1791. (Certo, chi si aspetterebbe intellettualoidi ambientazioni in P2, P3 o Pvattelapesca, sarà rimasto deluso, amen...)

Adam Fischer - che conosce la partitura a memoria e quindi al posto del leggio fa sistemare il... carillon di Papageno – cava il meglio possibile dall’accademica orchestra (spesso i più grandi fanno assai peggio) e tiene in pugno i cantanti ovviando anche alle loro inevitabili incertezze.    

Cantanti che sono le speranze di domani e che proprio per questo non sono le certezze di ieri (lapalisse insegna). Martin Piskorski è un Tamino... verdiano, ma portamento e prestanza scenica promettono assai; Till Von Orlowsky fa un Papageno quasi perfetto sulla scena (comprese un paio di posizioni... ehm... kamasutriche con la Papagena gnocca!) e non demerita nemmeno sul lato vocale. Fatma Said è una Pamina un po’ pigolante, ma tutto sommato efficace. Un po’ sotto la media l’Astrifiammante di Yasmin Özkan, che non solo fa fatica sui FA, ma fatica assai a padroneggiare i virtuosismi delle sue due arie. Il basso Martin Summer è un Sarastro scenicamente apprezzabile: quanto alla voce, peccato che scarseggi proprio nei... bassi! Tutti gli altri (coro incluso) su un piano di onesta abnegazione, con una punta di merito per i tre fanciulli dei Wiltener Sangerknaben.

Pubblico assai folto e prodigo di applausi per tutti: a volte i saggi di fine anno divertono di più di tante paludate prime.

16 settembre, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°26


La stagione principale 2016 (che chiuderà a dicembre) riprende in Auditorium, dopo la visita alla Scala, con un programma monografico incentrato su Ciajkovski e sempre con Xian sul podio.

Come per la recente apparizione scaligera, anche qui abbiamo un pezzo breve in apertura, un concerto solistico e una sinfonia. Ma questa volta l’antipasto è proprio di quelli saporiti (o frizzanti, fate voi a seconda del palato) che catturano magneticamente l’attenzione dell’ascoltatore: la Polonaise dal terz’atto dell’Onegin, che attacca con una squillante fanfara (RE) delle trombe ad introdurre il SOL maggiore della polacca, al contempo richiamando all’ordine e zittendo all’istante qualche incallito disturbatore in sala.  
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Poi un ragazzino (ha da poco compiuto i 22!) che risponde al nome di Conrad Tao (cinese... dell’Illinois!) e che già è un affermato pianista, compositore e organizzatore di kermesse e festival musicali (insomma... neanche Mozart!) arriva per proporci un pezzo di cui è facile fare indigestione: il Concerto in SIb minore. Che lui ci fa digerire con un alka-seltzer di Elliott Carter.

A parte le battute, il ragazzo-tuttofare ha indubbiamente una tecnica invidiabile (per quanto, nelle tremende ottave doppie del primo movimento, non sia stato propriamente impeccabile) che è condizione necessaria, ma non sufficiente a farne un interprete di riferimento dei classici. Vedremo in futuro che piega prenderà la sua carriera: certo, di altri Lang-Lang non se ne sentirebbe il bisogno...  
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Infine, altro piatto inflazionato, come la cotoletta alla milanese: la Quinta, che Xian ha già diretto almeno in quattro stagioni con laVERDI e che l’orchestra suona una stagione sì e l’altra... pure. 

Briglie sciolte, fracassi a volontà, tutta l’enfasi possibile e immaginabile sono i connotati salienti di questa ennesima ubriacatura di suoni che trascina le folle all’entusiasmo. Personalmente ho apprezzato, come al solito, l’Andante cantabile... con alcuna licenza.

12 settembre, 2016

laVERDI alla Scala


Per l’ormai tradizionale visita settembrina al Piermarini, laVERDI, guidata dalla sua Direttora Xian, ha scelto un programma tutto russo (e sovietico) dalla classica impaginazione tripartita (breve pezzo orchestrale di antipasto, concerto solistico e sinfonia).

Mi permetto di reiterare un commento già fatto in occasione di un concerto di una passata stagione, a proposito della versione per orchestra (una delle mille prodotte dal compositore) di Vocalise di Rachmaninov: a parte l’esagerata pretesa del nostro di impiegare, oltre ad un consistente pacchetto di archi (26 esecutori) nientemeno che 16-20 violinisti-solisti (dico, ma siamo impazziti?) il pezzo potrebbe servire assai bene come ninna-nanna per mandare tutti a letto, non certo per richiamare l’attenzione di un pubblico ancora occupato in chiacchiere futili e ipocriti convenevoli. Franz von Suppè era maestro nella tecnica di zittire tutti quanti in un battibaleno: basti pensare a come attacca Cavalleria leggera!

Ancora il russo fuoriuscito, con il Rach-2, suonato da quel giovincello (24 anni) rampante che risponde al nome di Luca Buratto. Il quale circa 3 anni orsono, quando era ancora un illustre sconosciuto, si era cimentato – sempre con laVERDI – nel famigerato Rach-3, ottenendo un gran successo. Successo che non è mancato anche ieri sera. Il ragazzo ha un gesto esteriore forse un filino (e goffamente) plateale, ma ciò che conta è il risultato sonoro, che è di tutto rispetto, benchè favorito, nella fattispecie, dal contenuto zuccheroso del concerto, che solletica assai – oltre a quelle dello strumento - le corde dell’ascoltatore più facili a risuonare. Il bis è dedicato nientemeno che alla... nonnina: chissà se è lei che ha dimenticato di togliergli l’imbastitura che chiudeva lo spacco posteriore della sua nuova giacchetta (stra-smile!)  

Si fa finalmente sul serio (musicalmente parlando...) con lo Shostakovich della Quinta. Che vale il prezzo del biglietto anche solo per quello straordinario passaggio dei celli – sul tremolo dei clarinetti e degli archi – al culmine del Largo, che Xian ha fatto eseguire con piglio perfino eccessivo, ma di sbudellante impatto. Chiusa a dir poco entusiasmante, con la Viviana che ha rischiato di... spaccare i timpani (!) il che ha giustificato numerose chiamate e ovazioni (ma niente... bis).

Giovedi riprende la stagione principale in Auditorium: a tutto Ciajkovski!