affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

14 gennaio, 2011

Stagione dell’OrchestraVerdi - 18



Un concerto del tutto tradizionale, quello che si dà in questi giorni. Che accorpa Brahms e Haydn, mettendo in risalto alcune radici del primo che affondano, più o meno profondamente, nel secondo.

Subito da segnalare la disposizione dell'orchestra, un ibrido poco consueto fra layout alto-tedesco e moderno: contrabbassi in linea frontale, sul fondo; ottoni tutti a destra; viole al proscenio e violoncelli arretrati; e soprattutto timpani (e triangolo) all'estrema destra, sul tavolato, quasi in primo piano.

 
I legami fra Brahms e Haydn emergono a partire dal primo brano in programma, le brahmsiane Variazioni (per orchestra, poichè ne esiste una versione per due tastiere) su un tema di Haydn (o presunto tale, per la verità…) Un tema – detto Corale di Sant'Antonio - di 10 battute suddivise in due sezioni di 5:
e sottoposto ad otto variazioni, cui segue la chiusa.

 
Zhang ha rispettato scrupolosamente tutti i ritornelli, e ha dato una lettura proprio settecentesca (evitando enfasi fuori luogo) di questo lavoro che Brahms usò come ultimo test prima di decidersi al grande passo: entrare nel mondo della sinfonia (la Prima seguirà 3 anni dopo).

 
Arriva adesso Alison Balsom (una bella mammina, non c'è che dire, anche se ieri – peccato – aveva le gambe coperte da un lungo scarlatto, certo per evitare al pubblico ogni distrazione dalla musica) a cimentarsi nel celebre Concerto per tromba di Haydn. Che è in pratica l'unico pezzo classico da concerto che un(a) solista di tromba abbia a disposizione; il che dovrebbe però permettergli(le) di padroneggiarlo alla perfezione. Concerto dalla Balsom già interpretato con Zhang a Berlino tempo fa. Qui invece (1., 2-3.) una sua esibizione ai PROMS 2009, quando ancora la bella Alison non era diventata mamma.

 
Nel primo movimento c'è spazio per una cadenza, normalmente lasciata all'inventiva dell'interprete: la Balsom ne ha una sua propria (vedi youtube) e anche ieri ce l'ha riproposta. Non arriva a toccare il MIb super-acuto (come fa il negretto Wynton Marsalis, qui a 6:05) ma insomma ci accontentiamo!

 
Il tema del bellissimo Andante, in LAb maggiore, ha l'incipit che ricorda quello – poi divenuto famoso come inno nazionale – del Poco adagio cantabile del terzo Quartetto dell'Op. 76, il famoso Imperatore, composto a ridosso del concerto per tromba. E di cui si ricorderà – guarda caso - proprio Brahms al momento di aprire il suo Requiem:
Alison lo espone con grande pathos, forse la parte migliore della sua interpretazione.

 
L'ultimo tempo presenta un tema, pure famoso, nella tonalità base di MIb:
Qui purtroppo non sono mancate un paio di imprecisioni, ma le perdoneremo volentieri. Come la piccola libertà che la Balsom abitualmente si prende: quella di chiudere il concerto (le ultime 8 battute) un'ottava sopra di quanto Haydn ha scritto in partitura. Cosa che è di sicuro effetto, ma insomma…

 
Gran trionfo per lei, che ci regala come bis una sua trasposizione per tromba di Syrinx, che Debussy scrisse per il flauto.

 
Ha chiuso il concertone la decima di Beethoven, come un ammiratore (pro-tempore) di Wagner ebbe bizzarramente a definire la Prima sinfonia di Brahms.

 
Zhang ne ha dato, per me, un'interpretazione assolutamente classica, à la Giulini, come dire, calandosi perfettamente nella rigorosa severità del burbero orso amburghese. Già dallo stacco di tempo dell'introduzione, scandito dai decisi, ma mai enfatici, colpi del timpano della brava Viviana Mologni. Poi ci ha opportunamente risparmiato il ritornello dell'esposizione (che in effetti pochi oggi si ostinano ad eseguire) per condurre l'Allegro con grande pulizia e precisione di gesto.

 
Delicato e sottovoce l'Andante sostenuto, chiuso dalla mirabile cadenza in cui spiccano il corno di Giuseppe Amatulli e il violino di Luca Santaniello.

 
Il terzo movimento, Poco allegretto e grazioso, presenta un tema lungo ed effettivamente aggraziato, che pare il prodotto di una mirabile ispirazione. Poi, se lo si esamina da vicino, si scopre che si tratta di due sezioni, di 5 (ancora!) battute ciascuna, dove la seconda è ottenuta semplicemente rovesciando a specchio la prima!
Insomma, una semplice operazione meccanica che produce un risultato esteticamente brillante! E Brahms era maestro in questi – diciamo pure – trucchi (fiamminghi?) come si può constatare in altri suoi passi famosi, come l'inizio della Quarta sinfonia, una banale sequenza di terze discendenti, ma con qualche inversione di intervalli… Ed era ciò che di Brahms piaceva ad Hanslick, che vi vedeva confermate le sue teorie sulla musica principio e fine di se stessa.

 
Grandiosa l'introduzione del Finale, dove udiamo il famoso richiamo del corno, che cade da mediante a dominante, che Brahms aveva annotato parecchi anni prima, riportandolo su una cartolina postale inviata dalla Svizzera a Clara per il compleanno, il 12 settembre 1868:

Sulla cartolina si legge:

 
Also blus das Alphorn Heut:
Hoch auf'm berg, tief im thal; Grüß ich dich, viel tausend mal!

 
(Così suonò il corno alpino oggi:
dall'alto monte, dalla profonda valle; ti saluto, mille volte)

 
Peraltro il motivo è qualcosa che già si era udito nel teatro musicale:
Come si vede, le note sono proprio poche! Ma di queste ci accontentiamo, quando vengono disposte in modo geniale.

 
Tutti in trionfo alla fine, come si sono ampiamente meritati.

 
A proposito di geni: fra una settimana grande appuntamento verdiano.
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13 gennaio, 2011

Rondò 2011


Come preventivo antidoto contro la melassa diatonica (smile!) che questa sera mi verrà propinata da laVerdi (a base di Haydn e Brahms) ieri sera ho fatto una scorta di musica moderna, in buona parte contemporanea. L'occasione era fornita da Divertimento Ensemble, diretto da Sandro Gorli, che ha inaugurato la sua ottava stagione di Incontri con la Musica – dal primo '900 ad oggi, stagione che si chiuderà mercoledi 8 giugno.  

I concerti sono sempre preceduti da una presentazione, spesso con la presenza degli autori di composizioni in programma. Ieri sera, assente Luca Francesconi, erano ospiti Stefano Gervasoni e Daniele Ghisi, dei quali sono state poi eseguite tre composizioni recenti, recentissime o nuove di zecca, fra le quali è stato per l'occasione incastonato nientemeno che Prokofiev. Il loro fratello maggiore, per così dire, Alessandro Solbiati, dopo aver doverosamente stigmatizzato l'attuale andazzo di tagli e colpi d'accetta alle risorse per la cultura, li ha sollecitati a raccontarci le loro esperienze di compositori di oggi. Quanto ai brani in esecuzione, alcune note sul programma di sala orientavano in qualche modo l'ascoltatore; che, diciamolo francamente, ha sempre qualche difficoltà a districarsi con musica come questa.

Ecco infatti la musica. Ad aggiungersi all'Ensemble, in qualità di solista, il venerabile Salvatore Accardo.

Escludendo Prokofiev, che qui è ospite di riguardo, ma… non fa testo, le altre tre composizioni hanno una comune caratteristica: di avere, se non proprio un programma, almeno un'ispirazione, o connessione – aperta o criptica, o magari solo apparente - con l'esterno. Se nessuno si offende, usando categorie obsolete ed ottocentesche (?) si potrebbero definire dei poemi sinfonici del terzo millennio.

Il primo dei quali, eseguito dall'Ensemble, è Da Capo II di Francesconi, del 2007, per 8 strumenti: Flauto(+Ottavino), Clarinetto, Fagotto, Pianoforte, Percussioni (Vibrafono, Marimba, Glockenspiel), Violino, Viola e Violoncello. A prima vista, parrebbe scoperto il riferimento culturale (smile!) del titolo. In realtà Francesconi già aveva composto un primo brano con quel titolo in tempi non sospetti ('85-86). L'attuale Direttore artistico della Biennale Musica di Venezia ci propone – parole sue – un processo, un meccanismo di trasformazione, in un unico grande "arco" che deve risultare comprensibile come un gesto pittorico. Personalmente lo vedo come un gesto di pittura astratta (smile!) sulla cui immediata comprensibilità ci sarebbe da discutere. Una novità tecnica che si comincia ad apprezzare qui (ma sarà sfruttata al massimo grado nel brano di Gervasoni) consiste nel fare emettere al pianoforte suoni prodotti in modo, diciamo, non convenzionale: appoggiando le mani sulle corde, o direttamente percuotendole con una bacchetta; il che costringe l'esecutore (ieri la bravissima Maria Grazia Bellocchio) ad acrobazie ginniche, oltre che a spostare lo spartito su un improvvisato leggìo dentro la coda dello strumento. Il che ci spiega anche la vera ragione del fatto che il coperchio dello stesso venga tenuto sollevato (smile!)

Segue un classico, la lunga Sonata n°1 op.80 per violino e pianoforte di Sergei Prokofiev. Composta a cavallo della seconda guerra mondiale, di ispirazione quasi cimiteriale, come lo stesso autore ebbe a dire. Accardo è accompagnato dalla Bellocchio ed anzi si sistema quasi addosso a lei, coprendone la figura agli occhi dello spettatore; questa inconsueta e bizzarra dislocazione si spiega con la necessità, per Accardo, di sbirciare lo spartito collocato sul leggìo del pianoforte; spartito che in realtà, come una partitura, reca insieme i due righi del pianoforte sovrastati da quello del violino. Per carità, non è qui il caso di incolpare il famoso violinista di mancata mandata a memoria di una sonata tanto difficile, quanto desueta… ma forse c'era qualche altro sistema logistico per risolvere meglio il problema. Quanto all'esecuzione, Accardo è parso assai compassato, anche in quei momenti che – stando ai ricordi di testimoni auricolari – Prokofiev voleva suonati quasi con ferocia fisica. Grande successo e – siamo alle solite – gente che dopo l'intervallo (allietato da degustazioni di vino offerto dallo sponsor della serata) se ne va alla chetichella.


Tocca ancora all'Ensemble (tutti bravissimi musicisti, non c'è che dire!) eseguire, di Gervasoni, Prato prima presente. Composizione del 2009 per: Flauto, Oboe, Clarinetto, Percussioni, Pianoforte, Violino, Viola e Violoncello. La sottostante filosofia è – per intenderci – quella del Ragazzo della Via Gluck (là dove c'era l'erba – appunto, il prato prima presente - ora c'e una città) cioè di come la civiltà di oggi, per costruire quella di domani, si rapporti con (o non si curi di) quella di ieri. In effetti c'è un tappeto sonoro che può rimandare ad un prato, popolato da insetti che si aggirano nell'erba (magari anche da bambini che ci giocano); sul quale si odono brusche irruzioni di qualche palazzinaro di turno, piuttosto che armoniosi interventi à la Renzo Piano. Naturalmente è un'impressione personale, al limite della battuta; quanto all'assunto dell'opera (…il prato è come la pagina bianca per il compositore: non è mai del tutto bianca, del tutto neutra, del tutto indifferente a ciò che il compositore si permetterà di metterci sopra) è di sicuro intrigante, e lascia trasparire la coscienza – e anche il peso – dell'eredità musicale che un compositore contemporaneo si trova sulle spalle. Quanto al risultato estetico dello sforzo di Gervasoni… credo che per apprezzarlo sarebbe necessario (quanto meno per uno come me) studiare assai!

Chiude il concerto la prima assoluta di una composizione commissionata dall'Ensemble a Daniele Ghisi: De Selby Compendium, che impiega anche il Violino solista, insieme a Flauto, Oboe, Clarinetto(+basso), Fagotto, Tromba, Pianoforte, Percussioni, Violino, Viola, Violoncello e Contrabbasso. Il titolo si ispira ad un bizzarro personaggio letterario, prodotto dalla fertile fantasia di Brian O'Nolan: un misto di filosofo-demenziale, alchimista-pazzo, dottor-stranamore e una-bomber. Il giovanissimo Ghisi ci ha ricavato una specie di bigino in musica, affidando al violino (ancora Accardo, uno dei dedicatari dell'opera) il ruolo del protagonista, e al resto dell'Ensemble quello di descrivere le sue imprese e i suoi vaneggiamenti. Variazioni fantastiche su un tema di carattere cavalleresco: così qualcuno sottotitolò un poema sinfonico ispirato ad un altro bizzarro personaggio, per certi versi antesignano di De Selby... ma è acqua passata.

In ogni caso, come forse si sarà capito, le musiche eseguite qui (non parlo di Prokofiev…) appartengono ad un filone modernista che si potrebbe definire spirituale, in opposizione a quello, tutto materiale, dove il compositore si diverte (smile!) a manipolare suoni, anzi più spesso rumori (yes, mr. Ross!) nei cosiddetti studi di fonologia.

Francamente, è già qualcosa. (Adesso però, trangugiato l'antidoto, non vedo l'ora di avvelenarmi con Haydn e Brahms…)
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11 gennaio, 2011

In montagna con Harding e la Filarmonica della Scala


Come pre-riscaldamento prima di slanciarsi contro le asperità del dittico verista (la prima di domenica 16 sarà trasmessa, oltre che da Radio3, anche in video da RAI5 - chissà se pure in web…) Daniel Harding ha diretto Il primo concerto del 2011 dei Filarmonici scaligeri, con un programma che ha affiancato due autori assai lontani per concezione, approccio e ideali, pur avendo convissuto per 40 anni nello stesso secolo.

Ha aperto il concerto la Suite A dell'Ulisse di Luigi Dallapiccola. Solisti di canto Manuela Bisceglie e Lucio Gallo (ascoltato sabato 8 dal MET, nei panni di Jack Rance). Domandarsi perché un'opera come Ulisse abbia avuto – dal 1968 – rappresentazioni che si contano con le dita di una sola mano è cosa forse stucchevole… guarda caso l'altra sera i commentatori-radio della Fanciulla americana si domandavano perché l'opera più innovativa di Puccini (che oltretutto gli aveva dato la consacrazione di sommo musicista) fosse anche la meno eseguita e la meno amata dal grande pubblico! (perché non c'è quasi nulla da potersi fischiettare, o cantar sotto la doccia, era la spiegazione aleggiante colà…) Ergo, tirèm innanz.

Nella seconda parte del concerto Harding ha guidato i Trepper nell'ipertrofica Eine Alpensinfonie di Richard Strauss. La dotazione minima indicata da Strauss è un'orchestra-base di 107 professori, cui se ne dovrebbero aggiungere, per un passaggio nella scena della Vision, altri 10 (a raddoppiare alcuni strumentini); più – tanto per gradire – altri 16 ottoni posti in lontananza, nell'episodio Der Anstieg. Due arpe, possibilmente da raddoppiare, percussioni a josa, incluse macchina del vento e – per sole 3 battute di impiego, quale spreco! – macchina del tuono (in realtà un lamierone appeso ad un trespolo e percosso con mazza da tamburo). In tutto: almeno 133-135 elementi, roba da bengodi, non da Bondi... Forse ieri c'era qualche elemento in meno (gli ottoni fuori scena poi, chi poteva contarli? Di sicuro c'erano 5 corni, poi entrati in orchestra… )

Le difficoltà per gli strumentisti dei fiati sono così tremende, che Strauss medesimo si è preoccupato di aggiungere una nota in calce alla partitura, consigliando loro di usare l'aeroforo di Bernard Samuels (inventato proprio a ridosso della composizione, nel 1912) per avere adeguata dotazione d'aria alla bocca, con cui far fronte ai lunghi legati! Il marchingegno non ha avuto grande successo, a dir la verità, presentando più controindicazioni che vantaggi, come riconosciuto da qualche diretto interessato. Né risulta che alcuno abbia mai proposto di installare (dietro le quinte, o sotto il tavolato del palcoscenico) un impianto centralizzato di erogazione aria (simile a quelli impiegati in ospedale per l'ossigeno e l'azoto) con qualche decina di cannelli, sbucanti dal pavimento, a disposizione degli strumentisti bisognosi.

Che dire? Harding ha dato una lettura sobria di questo elefante, senza esagerare troppo con l'enfasi e l'affettazione e mostrando il meglio proprio nei passi più intimistici e raccolti di questa partitura. L'orchestra ha risposto bene, e particolarmente nella sezione che è solitamente definita come suo tallone d'Achille: gli ottoni, e i corni in particolare. Grandi ovazioni per tutti: un buon viatico per il Direttore, in vista dell'appuntamento con Mascagni-Leoncavallo.
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Nella sinfonia (un poema sinfonico, in realtà) si esplora un intero giorno, da notte a notte, dall'alzataccia per i preparativi dell'escursione al ritorno a casa, dopo una giornata faticosa, anche pericolosa, ma entusiasmante ed indimenticabile. I vari momenti dell'avventura musicale sono chiaramente indicati in partitura, precisamente con 22 sottotitoli, che ci guidano meticolosamente per tutto l'arco della giornata.

Quindi un'opera programmaticamente descrittiva, per quanto possa la musica descrivere cose, luoghi, animali, e atteggiamenti, movimenti e sensazioni umane. Se ad un ascoltatore, ignaro del soggetto, si fa udire il tema dell'ascesa, chiedendogli cosa ci vede, c'è una probabilità su qualche milione di miliardo che lui indovini trattarsi del passo spedito di un escursionista alle pendici delle Alpi (in ciò un Hanslick qualunque ha perfettamente ragione). Idem se gli si chiede cosa vede nel tema wagneriano della spada (se nessuno lo avverte che quel tema vuol rappresentare, appunto, una spada). Peraltro è indiscutibile che, una volta che noi sappiamo che quel tale tema vuol rappresentare il passo del camminatore (o la spada di Wotan, nel secondo caso) noi non possiamo far a meno di riconoscere che effettivamente quei temi sono assai calzanti agli oggetti o movimenti che intendono rappresentare. Il che significa che gli autori di quei temi hanno saputo idearli e metterli sul pentagramma con grande abilità e sopraffino genio musicale.

Tornando a Strauss, la musica che ci descrive quelle 22 stazioni è perfettamente attagliata a luoghi, circostanze, sensazioni, pericoli, visioni che un escursionista incontra sul suo cammino e prova al cospetto di ciò che incontra. Ovviamente, come musica potrebbe piacere (o dispiacere) anche se quei sottotitoli mancassero, oppure se ve ne fossero appiccicati di totalmente diversi (è il solito Hanslick a garantircelo).

Ed infatti – complice il medesimo Strauss, bisogna dire, con le sue sparate sull'Antichrist – ci sono i soliti scafati che vengono a spiegare (a noi poveri pirla) come e qualmente, in quest'opera, sotto l'esteriorità del programma naturalistico si celino in realtà problematiche socio-politico-filosofico-psicologico-esistenziali di abissale profondità. E che quindi i titoli delle 22 stazioni si potrebbero sostituire con altri, del tipo: l'uomo nella notte dell'ignoranza e della religione; scocca la scintilla della ragione e si fa luce; il lungo cammino verso la conoscenza; il pensiero umano si inoltra nella foresta del dubbio; le prime conquiste della scienza; errori ed eresie; finalmente la pienezza della liberazione e della purificazione morale… e così via inventando. Diciamo la verità: con simili sottotitoli la Alpensinfonie diventerebbe una stucchevole, velleitaria riproposizione dello Zarathustra o della narcisistica e megalomanìaca Heldenleben

Volendo, si potrebbero proporre anche altre, diverse e ancor meno naturalistiche, visioni dell'opera. A partire da quella autobiografica: nel 1915 Strauss, a 51 anni (l'età che aveva il suo amico-rivale Mahler al momento di morire, quattro anni prima) dopo aver composto e fatto eseguire tutti i suoi Tondichtungen e quattro cosucce come Salome, Elektra, Rosenkavalier e Ariadne, si sentiva all'apice del successo, avvertendo allo stesso tempo che gli sarebbe stato difficile rimanere in vetta per sempre e che forse stava già per cominciare anche per lui la fase di discesa (in effetti durata ben 34 anni, durante i quali continuò comunque a produrre musica tutt'altro che disprezzabile). Così come si può interpretare questo racconto come un film sulla parabola dell'arte musicale mitteleuropea ed occidentale, che – agli occhi di Strauss e a fronte di rivoluzioni in atto (Schönberg, Stravinski) – poteva sembrare avviata al tramonto, dopo i fasti wagneriani, brahmsiani e… straussiani! O anche – stante la grande guerra in pieno svolgimento – come la presa d'atto, con gran rimpianto, del tramonto di un'intera civiltà, dopo le vette toccate a cavallo del secolo.

Ecco perché, personalmente, tendo ad apprezzare quest'opera proprio guardandola - e ascoltandola, soprattutto! - con l'occhio-orecchio ingenuo dell'escursionista che passa una bella giornata in montagna! E che giornata…

1. Nacht – notte

Tempo lento e tonalità di SIb minore. Un moto discendente di archi e fagotti, che in 8 misure copre precisamente due ottave, a partire dalla tonica SIb, fa da introduzione al solenne tema della montagna ancora avvolta dalle tenebre, esposto da tromboni e basso tuba:
Poi i contrabbassi creano un movimento di ondeggianti terzine, come un sommesso, sordo stormire di fronde, mosse dalla brezza che annuncia l'albeggiare; arpeggi dei fagotti preparano ancora il tema notturno, esposto a canone largo da tuba, tromboni e corni. Ora, poco a poco più mosso, flauti, trombe, oboe e corni eseguono a turno degli squilli (una quinta ascendente) come di qualcosa che si risveglia, o forse sono gli olà degli escursionisti che si danno il richiamo per radunarsi in vista della partenza. Tutti gli archi adesso stormiscono a veloci quartine; quindi, accelerando, il tema della montagna si fa solenne (il giorno si avvicina) passando dal SIb minore al SIb maggiore, nei tromboni, trombe, corni e con archi e strumentini che ingrossano ulteriormente il suono, con velocissime biscrome. Una terzina della tromba e degli strumentini, in fortissimo, sempre in SIb maggiore, conduce, con un ardito salto di tonalità, a LA maggiore...

2. Sonnenaufgang – spunta il sole

Tempo sostenuto, moderatamente lento. Il sole che sorge è interpretato da un tema degradante per quasi due ottave, fatto a dente di sega, che ben rappresenta la luce che scende progressivamente, inondando i crinali delle montagne e rivelandocene così i profili frastagliati e – sottolineate dai piatti – le cime aguzze:
È sempre di 8 misure, suonato da archi, trombe e strumentini, poi da corni e tromboni, via via contrappuntato dagli archi e fiati. Eccolo lì, proprio davanti a noi, il maestoso teatro della nostra escursione! Dopo una transizione dei tromboni a REb maggiore, violini e poi strumentini sembrano mostrare ancora al nostro sguardo il suggestivo panorama, ancora lontano, fatto di picchi, boschi, valli, ghiacciai e burroni. Ricompare il tema della montagna, dapprima in minore, che poi sfocia in SOLb maggiore, in tromboni e trombe, che sembra spronarci con un: forza, in marcia! Accelerando, arriva una scala ascendente di tromboni, corni e fiati, poi le trombe introducono frammenti del successivo tema dell'ascesa, come se ci si stesse riscaldando prima di attaccare l'escursione...

3. Der Anstieg – l'ascesa

Tempo piuttosto vivo ed energico. Il tema dell'ascesa è esposto dagli archi bassi (prima sezione) con aggiunta delle viole (seconda sezione) poi dei violini (terza sezione):
Ci dà proprio l'idea di una camminata spedita, passo deciso, morale alto, ad affrontare le prime salite. Lo risentiamo ancora, in forma più mossa e variata (anche a canone inverso). Quindi si dà un po' di riposo (poco rallentando) ma subito riprende vigore in archi, fagotti e clarinetti (piuttosto energico) per toccare una breve sospensione, e lasciare spazio ad un nuovo tema, marcatissimo (lo scalpitare di uno stambecco che si inerpica su un costone? o i nostri rapidi balzi, di roccia in roccia, a scavalcare i primi ostacoli?) esposto da corni e tromboni, chiuso anche dalle trombe:
Qui si devono udire in lontananza (fuori scena) ben 12 corni, 2 trombe e 2 tromboni (neanche fossimo ad una battuta di caccia alla volpe della Regina d'Inghilterra!) che suonano consuete terzine, mentre continuiamo a sentire, in contrappunto, il caratteristico, ascendente scalpitìo (che siano camosci inseguiti dai cacciatori?) cui si aggiungono tre ripetizioni di una figura dei clarinetti (quasi tre respiri un po' affannati, che ci consentono di prender fiato dopo la prima parte della salita) a preparare...

4. Eintritt in den Wald – entrata nel bosco

Un poderoso accordo generale, in tonalità di DO minore ci descrive la cupa maestosità del bosco, che ci sta proprio davanti; profondi arpeggi degli archi ci rappresentano lo stormire delle fronde nel folto. Ed ora corni e tromboni intonano un tema solenne, piuttosto arcano, che ben dipinge le nostre sensazioni al momento di addentrarci in una foresta, un misto di curiosità e di inconscio timore:
Fagotti e archi bassi (un po' serrato) riprendono il tema dell'ascesa (ma in tono minore, come a sottolineare lo scenario misterioso che ci circonda) poi nei fiati alti (di nuovo lento) torna il tema del bosco, che si piega e risale, negli archi, ancora poi contrappuntato da quello dell'ascesa, nei fagotti. Una progressione ascendente di trombe e strumentini porta ad un picco sonoro in MI maggiore, da cui si ridiscende sulla tonalità di LAb maggiore (tempo un po' più vivo) sulla quale i violini intonano un nuovo motivo, dal profilo sognante:
Che sfocia, riprendendo il tempo primo, nella tonalità di LA maggiore, su cui torna il tema del bosco in clarinetto basso e controfagotti, contrappuntato da tre autentici cinguettìi del clarinetto piccolo e dal flauto che a sua volta imita un usignolo. Si ridiscende, passando da DO maggiore, e poi da MIb (di nuovo un po' stretto) dove il tema precedente viene ripetuto in minore, per lasciar posto agli ottoni che riprendono il tema del bosco (poco a poco calmando) poi in contrappunto con gli strumentini, fino al ripristino di tempo (un poco moderato) e di tonalità (LAb maggiore) su cui violini e viole ripropongono il tema dell'ascesa, anzi una sua variazione languida (forse il pendìo qui è meno impegnativo, oppure la fatica comincia a farsi sentire…) sulla quale subito violini primi e la viola sola sembrano quasi invitarci a meditare, ascoltando per qualche attimo… il silenzio del bosco, prima che il tema dell'ascesa riprenda e si espanda in lunghe peregrinazioni (evidentemente siamo in un tratto di percorso relativamente abbordabile) culminando (un poco largo) in quattro specie di saltelli che ci portano giù verso un ruscello, annunciato da fluttuanti sestine di semicrome di flauti e clarinetti...

5. Wanderung neben dem Bache – passeggiata presso il ruscello

Il tema dell'ascesa ricompare in archi bassi, fagotti e clarinetto basso, mentre archi, clarinetti e flauti ci fanno sentire la presenza dell'acqua che scorre più in basso; il tempo si fa poco a poco più mosso; fagotti e corni espongono ancora il tema dell'ascesa, sempre in LAb maggiore; veloci figurazioni del flauti, poi ancora il tema dell'ascesa, sempre in fagotti e corni, gli uni in LAb maggiore, gli altri in DO minore. Ora il tempo si fa poco a poco sempre più vivo, si cammina ormai vicino all'acqua, come sottolineano le figurazioni di archi e clarinetti; i violini primi, con i corni, conducono ora il tema dell'ascesa ad una concitata progressione, mentre archi e strumentini descrivono la corrente sempre più impetuosa del ruscello. Ma adesso stiamo quasi correndo anche noi, perché siamo irresistibilmente attirati, verso monte, dal classico rumore di una cascata...

6. Am Wasserfall – presso la cascata

In tempo molto vivo e tonalità di RE maggiore, il tema scalpitante (sono i nostri ultimi balzi per arrivare al cospetto della cascata? o qualche stambecco che se ne scappa via da lì, spaventato dal nostro arrivo?) è riproposto, fortissimo, da trombe e corni, mentre flauti, clarinetti, fagotti e violini producono precisamente delle cascate di note discendenti:
Su un sottofondo dei piatti percossi da bacchette, che rende perfettamente l'idea del vaporizzarsi dell'acqua a contatto con le rocce, la cascata continua, prima in tempo quaternario, poi in ternario, punteggiata dalle due arpe e dalla celesta, mentre si prepara una...

7. Erscheinung – apparizione

Chissà se per caso si tratta della famosa Alpenfee, la Maga delle Alpi (quella che anche il byroniano Manfred incontra proprio sotto una cascatella…) È sempre il ribollire della cascata che occupa il campo, con continui glissando di violini e arpe, finchè il primo corno intona un dolce tema (lo risentiremo presto, e in quale maestosità!) che sfocia in quello dell'ascesa:
Tema che strumentini e violini riprendono e chiudono con una salita al RE, poi al MI, che conduce al FA#, dominante della tonalità che caratterizza la scena successiva...

8. Auf blumige Wiesen – su campi in fiore

Tempo molto vivo e tonalità di SI maggiore. Il tema dell'ascesa è ancora una volta ripreso negli archi bassi, mentre gli strumentini e le arpe emettono suoni al limite del ronzìo, forse a rappresentare gli insetti e le api che si affannano attorno ai fiori. Poi il tema si apre – proprio come lo scenario che stiamo attraversando adesso, sottolineato dalle crome in pizzicato dei violoncelli, che paiono descriverci le corse di qualche leprotto - in nuove forme, sempre più vivace:
per condurci, accompagnati dal tema dell'apparizione, verso una nuova tonalità, che introduce anche una nuova scena...

9. Auf der Alm – sul pascolo

In tempo moderatamente veloce e tonalità di MIb maggiore fagotti, clarinetti e corno inglese emettono come degli jodel, accompagnati dagli squittìi del flauto piccolo. Il clarinetto piccolo e gli oboi letteralmente belano, suonando con la tecnica nota come frullato (il tedesco Flatterzunge, consistente nel far vibrare la lingua mentre si emette il suono). Poi corni, viole e un violoncello intonano un nuovo tema, derivato da incisi uditi sin dall'inizio, dopo lo spuntar del sole, che si innalza in volute successive:
Il sottofondo è sempre di squittìi dei flauti, jodeln di corno inglese, clarinetti e fagotti, mentre si odono anche dei campanacci, evidentemente di mandrie che pascolano in qualche alpeggio nelle vicinanze… Corni e archi riprendono il tema, anche a canone, mentre jodeln, squittìi e suoni di campanaccio si fanno più intensi, poiché adesso dobbiamo essere assai vicini al pascolo. Un'ultima perorazione del tema negli archi, porta a una nuova scena, in tempo veloce: strumentini e fagotti espongono, in entrate successive, una figura discendente per ben quattro ottave, da dominante a dominante (chissà, il richiamo dello zufolo di un pastore che riecheggia più volte, riflesso da diverse pareti rocciose…) e subito dopo il primo corno, facendosi largo, avanti con freschezza, espone un nuovo tema:
Tema orecchiabilissimo questo, proprio da… montanari in marcia, che però si amplia, negli archi, in figurazioni mosse, come di un gregge che corre qua e là, e che introduce la scena seguente...

10. Durch Dickicht und Gestrüpp auf Irrwegen – attraverso roveti e boscaglia su sentieri sbagliati

L'ultimo tema del pascolo continua ad occupare la scena, ora in forma fugata, variato e in tonalità cangiante, da maggiore a minore, e sempre in carattere, spingendo violentemente, con forti scale ascendenti dei corni. Ci siamo adesso inoltrati su sentieri non battuti, siamo circondati da arbusti spinosi e ci troviamo in una situazione piuttosto critica; ma non ci perdiamo d'animo, anzi usciamo dai rovi e procediamo sempre accelerando. Qui il tema dell'ascesa è suonato anche dalle tubette tenore (wagneriane) che udiamo per la prima volta. La musica ci porta ad una sospensione, in minore e fortissimo, di tutta l'orchestra, allorquando trombe e tromboni ripropongono maestosamente, in SIb minore, il tema iniziale della montagna, sul quale i corni riprendono, in FA minore, il tema dell'ascesa, che ora ci ha fatto raggiungere il ghiacciaio...

11. Auf dem Gletscher – sul ghiacciaio

Tempo sostenuto, ma vivo e tonalità di RE minore. Mentre viole e poi violoncelli emettono ondulanti sestine di semicrome (attenzione, perché qui si scivola!) trombe e strumentini riprendono il tema dello scalpitìo (qui sono i nostri scarponi che faticano a reggere l'equilibrio) che in seguito viene affiancato dal tema variato dell'ascesa, che si conclude sulla sopratonica di RE minore:
Adesso, poco calando, passiamo alla successiva descrizione...

12. Gefahrvolle Augenblicke – momenti pericolosi

Tempo vivo, come prima. Fagotti, poi corni e trombe riprendono ancora il tema dello scalpitìo, che qui rappresenta bene il nostro difficoltoso arrampicarci sul ghiaccio, costellato da varie scivolate (scale discendenti di fagotti e violoncelli). Il violoncello solo riprende il tema dell'ascesa, in FA minore, ma qui con estrema circospezione, data la precarietà del momento! Ancor più cauti e tremebondi i tromboni ripetono, in MIb, il nostro procedere a scatti, sul tremolo invero rabbrividente degli archi (diciamo la verità, un pochino di caghetta qui ci sta assalendo). Infine viole e violoncelli e poi la tromba, in LA minore, ripresentano i temi dell'ascesa e dei saltelli, finchè i corni, se Dio vuole, con ultimi balzi decisi, ci portano...

13. Auf dem Gipfel – sulla vetta

Siamo, almeno inizialmente, in tonalità di FA maggiore e i tromboni interpretano l'arrivo in vetta con tre balzi sempre ascendenti: dominante-tonica, tonica-dominante, dominante-tonica:
È questo il momento culminante della giornata, l'obiettivo della nostra escursione. E ce lo vogliamo godere come si merita (e come ci meritiamo!) Ci sediamo su un masso e ascoltiamo ammirati: nell'incredibile silenzio dei ghiacciai, un po' più tranquillo, l'oboe espone una delicata melodia:
È a tratti esitante, chiusa su una cadenza presa dalla conclusione del pascolo cui, più mosso, il flauto, con gli archi in tremolo, risponde con un inciso che ricorda, sviluppandolo, l'apice del tema dell'ascesa; ancora l'oboe, di nuovo più tranquillo, ribadisce il suo tema esitante, che adesso sfocia (più mosso, in tutta l'orchestra e con una modulazione da FA maggiore a DO maggiore) nella grandiosa, enfatica perorazione del tema della magnificenza della Natura. Che altro non è se non l'ultima sezione del tema dell'ascesa, magistralmente sviluppata. Qui la parte dei flauti:
Ecco, quando Strauss alludeva alla sinfonia con il nome nietzschiano di Antichrist è probabile che avesse in mente soprattutto questa scena e questa tonalità: il DO, che rappresenta la Natura nella sua pura oggettività (si noti come il tema precedente sia esposto impiegando le sole note della scala diatonica, i tasti bianchi del pianoforte, ad esclusione della sensibile!) Adesso sono i tromboni che, in allegro maestoso, ripetono i tre balzi ascendenti, direttamente sfocianti (piuttosto trattenuto, con l'aggiunta delle trombe) in una riesposizione del tema iniziale della montagna, in LA minore, cui segue, nei corni, in DO maggiore, il tema solenne, esposto poco prima (nella scena dell'apparizione, dopo la cascata) e ulteriormente sviluppato, che bene fotografa la superba vista sulla natura circostante:
Il tema è ora esposto anche dai violoncelli, mentre archi alti e clarinetti lo contrappuntano, con inebrianti salti di quasi due ottave discendenti, e con risalite vertiginose, sempre più su, dopo ogni sosta, seguite ancora da salti in basso (l'ultimo è addirittura un intervallo di 17ma, un vero e proprio tuffo nell'abisso!) Qui davvero è descritto in modo sublime l'esterrefatto stupore che assale il piccolo uomo, di fronte a un tale spettacolo!
Dopodichè corni e tromboni, poi le trombe, ripresentano il tema dei nostri balzi, come se volessimo raggiungere una postazione ancor migliore per esplorare il panorama; e quel panorama ci viene rappresentato (abbastanza largo) dalla riproposizione del tema del sorgere del sole, qui in DO maggiore, davvero una cosa mozzafiato, ancora più radioso, se possibile, rispetto all'esposizione iniziale. Sono archi alti, trombe e strumentini ad esporlo, con i corni a contrappuntarlo con entusiasmanti salite fino al FA acuto. Si arriva quindi alla...

 

14. Vision – vision

Il tempo è sostenuto e trattenuto e il tema dei tre balzi ascendenti si ripresenta, esposto in tonalità diverse (inizialmente FA#) da trombe, corni ed oboi, e porta lentamente alla riapparizione del tema del sorgere del sole, ora esposto da violini e flauti in LAb maggiore (si noti: un semitono più basso rispetto alla prima esposizione, all'alba, e a partire dalla mediante, anzichè dalla tonica, come a segnalarci che ci stiamo lentamente avviando verso il meriggio?) Anche le quattro tubette tenore ingrossano il volume di suono. Il tema della vetta torna in tromba e corni, ma in tonalità oscure, come DO#, contrappuntato nei tromboni dal tema dei tre balzi, in SIb, fino a sfociare, forte, nel tema del sorgere del sole, esposto da trombe, viole e violoncelli che iniziano in LA (sempre dalla mediante, peraltro) come all'alba, ma ora in uno scenario piuttosto abbrunato dal tremolo degli archi e dal cromatismo dei fiati, per poi scendere e fermarsi per un attimo sulla dominante MI maggiore; da cui peraltro ci si allontana subito, con archi e fiati che risalgono faticosamente la scala cromatica, fino all'esplodere del tema notturno della montagna, in SIb minore, negli ottoni, corni esclusi... (per questo passaggio Strauss prescrive il raddoppio degli strumentini, per dare ancor più incisività al timbro). La grande visione del maestoso scenario alpino si sta però offuscando, poiché ormai…

15. Nebel steigen auf – sale la nebbia

Tempo ancora un poco più largo. Sono solo 8 battute, dove tutti gli archi in tremolo eseguono figure ascendenti (sì perché, in montagna, la nebbia sale dal basso…) mentre clarinetti e poi flauti rendono bene lo scenario delle minuscole particelle acquee che stanno invadendo la scena...

16. Die Sonne verdüstert sich allmählich – il sole si offusca poco a poco

I violini secondi, cui si accompagna l'organo, espongono ancora, in SIb maggiore, il tema del sorgere del sole, che è però irrimediabilmente offuscato dalla nebbia, sempre rappresentata dai fiati e dalle trombe; un'ultima volta tromba, organo e fagotto lo ripetono; poi, poco calando, si passa alla successiva...

17. Elegie – elegia

In tempo moderato espressivo gli archi intonano una mesta melodia, derivata per degradamento da quelle udite in vetta, la tonalità è indefinita, sempre cangiante, dal FA# minore al DO#. La sostiene un pedale d'organo, poi i fagotti e il clarinetto basso; il corno inglese ripete ancora, mestamente, il tema del sorgere del sole, ormai totalmente deperito. Ancora oboe e i violini espongono il tema dell'elegia e poi, in un tempo tranquillo, gli archi bassi e le viole preparano la transizione verso la scena successiva...

 18. Stille vor der Sturm – quiete prima della tempesta

Timpano e grancassa annunciano sordi e minacciosi tuoni, per ora in lontananza. Il clarinetto, in tempo sempre più tranquillo espone, in SI minore (perché ormai l'atmosfera è tutt'altro che serena…) la melodia esitante che l'oboe aveva suonato sulla vetta; il corno inglese e poi il flauto riprendono l'elegia; ora è il corno inglese ad abbozzare la melodia della vetta, seguito dal clarinetto basso. Dall'oboe sembrano cadere le prime gocce di pioggia; ancora fagotto e flauto si cimentano nella melodia della vetta, in FA# minore e sempre più lento; ecco un trillo del clarinetto, nel silenzio generale, poi compare un primo lampo, seguito da altri due, che il flauto piccolo rappresenta con brevi guizzi ascendenti. Fiati e archi bassi ripropongono il tema degradante iniziale, in SIb minore, poi timpani, tamburo e macchina del vento (più vivace) ci fanno capire, imitando la natura, che la tempesta è ormai vicina, mentre flauti, oboi, arpe e violini in pizzicato lasciano cadere gocce d'acqua in quantità crescente; con un accelerando di tutta l'orchestra si entra nel temporale vero e proprio...

19. Gewitter und Sturm, Abstieg – temporale e tempesta, discesa

Tempo veloce e veemente e tonalità di SIb minore. Tutti gli archi in tremolo e i flauti eseguono veloci scale discendenti, proprio a rappresentare gli scrosci della pioggia portata dalla bufera; tutti i fiati, tromboni esclusi, ripropongono il tema dell'ascesa a rovescio, poichè ora si scende, e maledettamente in fretta! Flauti, clarinetti e trombe emettono lampi e saette, mentre i timpani esplodono (oh, col dovuto ritardo!) i relativi tuoni. Il tema dello scalpitìo riappare qui nei fiati, proprio a rappresentare la fuga verso valle, a saltelloni; ancora lampi e tuoni in grande quantità, altri balzelloni all'ingiù nelle trombe, poi negli archi, con la tonalità che cambia in LA minore. Ancora balzelloni negli ottoni, finchè si ripassa dalla cascata: tre sole battute bastano a ricordarcela, perchè non è proprio il momento di fermarci ancora ad ammirarla, ma quello di scappare... In DO minore prosegue il temporale, con i temi della discesa e dei salti, intercalati da reminiscenze di suoni uditi prima della tempesta, che prosegue ancora, mentre si ripassa dai pascoli (da DO minore alla relativa MIb maggiore) con i corni a riesporre il loro bel tema, ora in tempo molto vivace (chè siamo, per così dire, di fretta…) Poco dopo si ripassa anche dal bosco, e si riode nelle trombe il relativo tema, subito ripreso da corni e tromboni… Da notare qui una – sicuramente voluta – variante di percorso su cui Strauss ci ha condotti, nella discesa. Ricordiamo che, salendo, eravamo passati prima dal bosco, dopo davanti alla cascata, e dopo ancora presso i pascoli. Scendendo invece incontriamo prima la cascata, poi i pascoli e quindi il bosco! Comunque sia, adesso si può correre a rotta di collo: su un accelerando ascendente di tutta l'orchestra si passa ad un molto veloce, dove ancora sentiamo lampi e tuoni (qui anche prodotti dalla Donnermaschine) accompagnati da scrosci d'acqua e dal vento persistente. Si intuisce però che forse il peggio sta per passare, perciò il nostro passo si fa più disteso (tema della discesa molto largo negli ottoni). Ancora gocce di pioggia, ma sempre più rade, qualche sporadico lampo (poco calando). Un tuono ancora, forte, ma lontano; un po' più largo e maestoso, ricompare negli ottoni il solenne tema notturno della montagna, nella sua originaria tonalità di SIb minore. Perché ormai siamo al tramonto...

20. Sonnenuntergang – tramonto del sole

Si modula alla sesta (SOL bemolle) e strumentini e violini riprendono in maggiore per riesporre il tema dell'alba, contrappuntato da trombe, tromboni e arpe con il tema dell'ascesa, ma molto allargato; nel tema dell'alba si inserisce una ampia divagazione, derivata da quello dell'elegia. Si passa poi alla tonalità relativa di MIb minore, con altri fraseggi degli archi, sempre contrappuntati da trombe e tromboni col largo tema dell'ascesa. Una stupenda modulazione porta al SI maggiore, con cui trombe e poi tromboni riespongono il tema dell'aurora, sempre sostenuti dalle figure degli archi, in perenne tensione cromatica, che sfocia poi nella ricaduta sul MIb maggiore che conduce a...

21. Ausklang – epilogo

Tempo poco largo e solenne. Sono le sensazioni a caldo che proviamo appena rientrati a casa, al termine dell'escursione, mentre rivediamo come in un replay l'emozionante giornata. È l'organo ad esporre la prima parte del tema dell'aurora, seguito dai corni, poi dalla tromba, che conduce alla riproposizione, negli strumentini, dell'esaltante tema della vetta (là era in DO maggiore, tonalità legata alla visione laicaAntichrist! - della natura, qui in MIb Maggiore, che ne rappresenta il lato religioso) con gli abissali intervalli discendenti e le sue risalite, poi contrappuntato nei corni dall'altro tema della vetta. Gli archi, quasi a voler impedire alla giornata di concludersi, intonano una lunga e struggente variazione sui temi della vetta, che viene qua e là contrappuntata dagli ottoni con spezzoni del tema dell'apparizione e dell'ascesa, fino ad arrivare ad un culmine in cui l'inizio del tema dell'alba è esposto da archi alti e strumentini in SOLb maggiore; una modulazione repentina ci riporta al MIb, su cui si conclude la cadenza... Adesso, un poco più vivace, i flauti, inseguiti dai clarinetti, ci fanno riascoltare il tema iniziale della scena del pascolo, caratterizzato dalle quattro discese di ottava. Poi, sul tempo primo, violini e viole sembrano tornare all'ascesa, imitati subito da corni, fagotti, tuba e archi bassi, ma non è che il pallido ricordo della baldanzosa scalata del mattino, e serve solo a riportare alla nostra memoria l'alba, il cui incipit viene riproposto da tromba, oboi e corno inglese, col pedale dell'organo, nell'originale tonalità di LA maggiore; ma ormai sta tornando…

22. Nacht – notte

Siamo proprio stanchi, ma ancora i ricordi della giornata ci accompagnano verso il sonno. In tonalità di SIb minore i clarinetti e i secondi violini, seguiti da fagotti e viole, poi dai violoncelli e dai contrabbassi, riespongono il tema degradante con cui la giornata, e con lei la sinfonia, si era aperta; per l'ultima volta, il tema notturno della montagna riappare negli ottoni (corni esclusi) per poi morire, in tempo molto adagio, su un'estrema e lenta reminiscenza, nei violini, del tema dell'ascesa.

Ecco: ora possiamo proprio addormentarci sereni, diciamo la verità… grazie alla Alpen-Reisen Strauss!
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07 gennaio, 2011

Bayreuth-2013: fatta la squadra del Ring?


Dopo l'annuncio della scelta di Kirill Petrenko come Dirigent del prossimo ciclo del Ring, che inaugurerà Bayreuth nel bicentenario della nascita di Wagner, pare che anche il Regisseur – che non da oggi ha un ruolo di visibilità superiore a quello del Direttore (ne sa qualcosa il buon Daniele Gatti, letteralmente oscurato da Stefan Herheim) – sia stato individuato.

Si tratta di Wim Wenders, uno dei registi cinematografici più in voga, e non solo in Germania. Manca solo qualche dettaglio perché l'annuncio venga formalizzato.

Wanders è solo l'ultimo, per ora, dei registi totalmente digiuni di teatro d'opera chiamato a debuttare sulla collina verde, per di più in un Ring.

Forse per questo c'è qualcuno che, scaramanticamente, si chiede se l'ingaggio a Bayreuth sia una benedizione o una maledizione…
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Stagione dell’OrchestraVerdi - 17



Befana di lusso all'Auditorium, con il Concerto n°17 della stagione. Purtroppo la festività e il lungo ponte fino al 9 non hanno favorito l'accorrere del gran pubblico, ed era piuttosto triste vedere tante poltrone vuote per un'occasione di alto livello.

L'antipasto è mozartiano, con la Haffner, una sinfonietta di circostanza – derivata dalla seconda Haffner-Serenade, mai pubblicata - che tuttavia non manca di genialità (e come potrebbe, una cosa composta dal grande Teofilo?) La Zhang la riduce proprio alle sue dimensioni (smile!) cioè ai minimi termini (forse neanche 15 minuti!) bandendovi ogni ritornello dell'Andante e correndo – se possibile – al di là delle indicazioni dell'Autore, nello stacco dei tempi dei due movimenti estremi.

Preceduto – ante concerto - da una dottissima presentazione del sommo Quirino (Principe) ecco ora Das Lied von der Erde.

Qui la cinesina Xian Zhang torna praticamente a casa sua con questo Mahler, che si ispirò (via Hans Bethge e francesi diversi) a poeti suoi connazionali (dei tempi della dinastia T'ang, secoli VII-IX, che avevano sede in una città che oggi – guarda caso – ha nome X'ian) per comporre la sua opera migliore (beh… la Nona compete assai bene, bisogna ammettere).

Esecuzione notevole dell'orchestra (anche questa volta con i corni a destra, a far gruppo con il resto degli ottoni) e interpretazione proprio confuciana della Zhang, che mette in risalto i lati espressionisti della partitura, ed evita accuratamente ogni e qualsiasi enfasi in cui altri direttori cadono spesso e volentieri. Bravi tutti i professori, chiamati a prestazioni spesso squisitamente solistiche.

Chi invece (mi) ha deluso, e parecchio, sono stati Dominik Wortig e Michelle Breedt, i solisti di canto. Il tenore ha retto senza infamia e senza lode il suo impegno, cercando di adattare la voce ai tre diversi personaggi che interpreta (diciamo: due avvinazzati e uno che osserva gente che se la beve, smile!) Il contralto mi è parso poco udibile nelle note basse e anche con qualche problemino di intonazione e di legato.

In ogni caso i (relativamente) pochi presenti hanno gradito e applaudito tutti.

Brahms e Haydn fra una settimana, sempre con Zhang.

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Quando si dice la globalizzazione culturale dello spazio-tempo… Qui vediamo gli (pseudo) originali delle due poesie da cui Mahler trasse Der Abschied e la prima pagina della partitura manoscritta del compositore: fra di essi ci sono nientemeno che 8.000 Km e 1.000 anni di distanza!


Sul Lied si sono scritti fiumi d'inchiostro, ma forse la cosa più curiosa è quanto raccontò – in un'intervista radiofonica nel 1970 – William Steinberg, direttore d'orchestra americano che era stato assistente di Toscanini. Di quest'ultimo è ben nota l'avversione rispetto alla musica di Mahler (la cui Quinta fu da lui definita una boiata pazzesca!) Ma un giorno, proprio a Milano, mentre Steinberg provava il Lied, Toscanini entrò in sala e chiese di chi fosse quella musica. E saputo che era di Mahler, si lasciò sfuggire un: "Mio dio, non pensavo che potesse scrivere così bene…"

Il Lied, praticamente una sinfonia - nell'accezione che questo termine aveva assunto nell'estetica mahleriana - insieme alla Nona e ai frammenti della Decima rappresenta l'autentico testamento spirituale di Mahler, che in quegli anni (dal 1907 in poi) avvertiva ormai di essere proprio fisicamente vicino alla fine. Ma, a dispetto del confuciano, assoluto pessimismo degli originali cinesi, Mahler tiene invece un atteggiamento, per così dire, di laica rassegnazione. E per far questo modifica anche i testi, introducendo molto azzurro nei cieli sconsolatamente bigi dei poeti T'ang. Ma è poi la musica che mirabilmente rappresenta questo susseguirsi di presa di coscienza dell'inevitabilità della fine e di serena speranza nell'infinita ed eterna misericordia della madre terra, sempre pronta ad accogliere fra le sue braccia questo uomo, piccolo e infelice. Musica piena di moti ascendenti e discendenti che si alternano, ma anche si sovrappongono, perché l'esistenza è spesso gioia e dolore allo stesso tempo, come ben si vede subito prima della coda del secondo Lied (dove peraltro la scala discendente va verso il forte, mentre quella ascendente muore in ppp):
Così nel primo Lied troviamo uno dei diversi, poetici riferimenti alla terra che sempre rifiorirà a primavera (meraviglioso l'inciso del corno inglese…) seguito da una drammatica presa di coscienza della caducità umana:

Nel secondo ecco un rassegnato ripiegarsi di chi ha il cuore stanco, e poi un'ultima implorazione, al sole dell'amore:

E qui, nell'ultimo Lied, un autentico ponte sonoro che sembra richiamarsi al famoso arco melodico che accompagna l'ammonimento Alles was ist, endet di Erda:


E, a proposito di Wagner, non manca una minuscola, ma chiara citazione, questo brevissimo inciso del 5° Lied, che viene proprio da lontano!

Poi, troviamo sottili e quasi subliminali rimandi tematici. Ad esempio questo inciso dell'oboe che nel primo Lied sottolinea la morte, ripreso dal canto che nell'Abschied prefigura l'anelito alla pace per il cuore solitario:

Oppure i due richiami all'affaticamento del cuore e degli uomini (per cui peraltro c'è speranza di consolazione) nel secondo e nell'ultimo Lied:

Ma l'impronta determinante della vision esistenziale mahleriana resta impressa nella conclusione dell'Abschied. Laddove il poeta T'ang (Wang Wei) chiudeva con due versi di disincantato e rinunciatario pessimismo: La terra è uguale dappertutto - E sempre sono bianche le nuvole! Mahler scrive: L'amata terra dappertutto – Rifiorisce a primavera e verdeggia – Di nuovo! Dappertutto e sempre – Azzurri risplendono gli orizzonti! – Sempre… sempre…

E così la musica:
Sull'ultimo ewig il canto non si adagia più sulla tonica, ma si sospende sulla sopratonica RE; e nelle restanti 6 misure l'orchestra esala un DO maggiore orientalizzato dal LA di flauto ed oboe, proprio a lasciare una sensazione di indeterminatezza, di qualcosa che si perde lontano. Morendo completamente, si legge sulle ultime battute del Lied. Più semplicemente, morendo recita l'ultima indicazione agogica sulla partitura della Nona. Sull'abbozzo manoscritto della Decima l'ultima indicazione è un La, che i musicologi decifrano come Langsam: adagio. Così le ultime opere di Mahler chiudono sommessamente un'esistenza, e con lei anche una grande stagione del sinfonismo.
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