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07 gennaio, 2011

Stagione dell’OrchestraVerdi - 17



Befana di lusso all'Auditorium, con il Concerto n°17 della stagione. Purtroppo la festività e il lungo ponte fino al 9 non hanno favorito l'accorrere del gran pubblico, ed era piuttosto triste vedere tante poltrone vuote per un'occasione di alto livello.

L'antipasto è mozartiano, con la Haffner, una sinfonietta di circostanza – derivata dalla seconda Haffner-Serenade, mai pubblicata - che tuttavia non manca di genialità (e come potrebbe, una cosa composta dal grande Teofilo?) La Zhang la riduce proprio alle sue dimensioni (smile!) cioè ai minimi termini (forse neanche 15 minuti!) bandendovi ogni ritornello dell'Andante e correndo – se possibile – al di là delle indicazioni dell'Autore, nello stacco dei tempi dei due movimenti estremi.

Preceduto – ante concerto - da una dottissima presentazione del sommo Quirino (Principe) ecco ora Das Lied von der Erde.

Qui la cinesina Xian Zhang torna praticamente a casa sua con questo Mahler, che si ispirò (via Hans Bethge e francesi diversi) a poeti suoi connazionali (dei tempi della dinastia T'ang, secoli VII-IX, che avevano sede in una città che oggi – guarda caso – ha nome X'ian) per comporre la sua opera migliore (beh… la Nona compete assai bene, bisogna ammettere).

Esecuzione notevole dell'orchestra (anche questa volta con i corni a destra, a far gruppo con il resto degli ottoni) e interpretazione proprio confuciana della Zhang, che mette in risalto i lati espressionisti della partitura, ed evita accuratamente ogni e qualsiasi enfasi in cui altri direttori cadono spesso e volentieri. Bravi tutti i professori, chiamati a prestazioni spesso squisitamente solistiche.

Chi invece (mi) ha deluso, e parecchio, sono stati Dominik Wortig e Michelle Breedt, i solisti di canto. Il tenore ha retto senza infamia e senza lode il suo impegno, cercando di adattare la voce ai tre diversi personaggi che interpreta (diciamo: due avvinazzati e uno che osserva gente che se la beve, smile!) Il contralto mi è parso poco udibile nelle note basse e anche con qualche problemino di intonazione e di legato.

In ogni caso i (relativamente) pochi presenti hanno gradito e applaudito tutti.

Brahms e Haydn fra una settimana, sempre con Zhang.

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Quando si dice la globalizzazione culturale dello spazio-tempo… Qui vediamo gli (pseudo) originali delle due poesie da cui Mahler trasse Der Abschied e la prima pagina della partitura manoscritta del compositore: fra di essi ci sono nientemeno che 8.000 Km e 1.000 anni di distanza!


Sul Lied si sono scritti fiumi d'inchiostro, ma forse la cosa più curiosa è quanto raccontò – in un'intervista radiofonica nel 1970 – William Steinberg, direttore d'orchestra americano che era stato assistente di Toscanini. Di quest'ultimo è ben nota l'avversione rispetto alla musica di Mahler (la cui Quinta fu da lui definita una boiata pazzesca!) Ma un giorno, proprio a Milano, mentre Steinberg provava il Lied, Toscanini entrò in sala e chiese di chi fosse quella musica. E saputo che era di Mahler, si lasciò sfuggire un: "Mio dio, non pensavo che potesse scrivere così bene…"

Il Lied, praticamente una sinfonia - nell'accezione che questo termine aveva assunto nell'estetica mahleriana - insieme alla Nona e ai frammenti della Decima rappresenta l'autentico testamento spirituale di Mahler, che in quegli anni (dal 1907 in poi) avvertiva ormai di essere proprio fisicamente vicino alla fine. Ma, a dispetto del confuciano, assoluto pessimismo degli originali cinesi, Mahler tiene invece un atteggiamento, per così dire, di laica rassegnazione. E per far questo modifica anche i testi, introducendo molto azzurro nei cieli sconsolatamente bigi dei poeti T'ang. Ma è poi la musica che mirabilmente rappresenta questo susseguirsi di presa di coscienza dell'inevitabilità della fine e di serena speranza nell'infinita ed eterna misericordia della madre terra, sempre pronta ad accogliere fra le sue braccia questo uomo, piccolo e infelice. Musica piena di moti ascendenti e discendenti che si alternano, ma anche si sovrappongono, perché l'esistenza è spesso gioia e dolore allo stesso tempo, come ben si vede subito prima della coda del secondo Lied (dove peraltro la scala discendente va verso il forte, mentre quella ascendente muore in ppp):
Così nel primo Lied troviamo uno dei diversi, poetici riferimenti alla terra che sempre rifiorirà a primavera (meraviglioso l'inciso del corno inglese…) seguito da una drammatica presa di coscienza della caducità umana:

Nel secondo ecco un rassegnato ripiegarsi di chi ha il cuore stanco, e poi un'ultima implorazione, al sole dell'amore:

E qui, nell'ultimo Lied, un autentico ponte sonoro che sembra richiamarsi al famoso arco melodico che accompagna l'ammonimento Alles was ist, endet di Erda:


E, a proposito di Wagner, non manca una minuscola, ma chiara citazione, questo brevissimo inciso del 5° Lied, che viene proprio da lontano!

Poi, troviamo sottili e quasi subliminali rimandi tematici. Ad esempio questo inciso dell'oboe che nel primo Lied sottolinea la morte, ripreso dal canto che nell'Abschied prefigura l'anelito alla pace per il cuore solitario:

Oppure i due richiami all'affaticamento del cuore e degli uomini (per cui peraltro c'è speranza di consolazione) nel secondo e nell'ultimo Lied:

Ma l'impronta determinante della vision esistenziale mahleriana resta impressa nella conclusione dell'Abschied. Laddove il poeta T'ang (Wang Wei) chiudeva con due versi di disincantato e rinunciatario pessimismo: La terra è uguale dappertutto - E sempre sono bianche le nuvole! Mahler scrive: L'amata terra dappertutto – Rifiorisce a primavera e verdeggia – Di nuovo! Dappertutto e sempre – Azzurri risplendono gli orizzonti! – Sempre… sempre…

E così la musica:
Sull'ultimo ewig il canto non si adagia più sulla tonica, ma si sospende sulla sopratonica RE; e nelle restanti 6 misure l'orchestra esala un DO maggiore orientalizzato dal LA di flauto ed oboe, proprio a lasciare una sensazione di indeterminatezza, di qualcosa che si perde lontano. Morendo completamente, si legge sulle ultime battute del Lied. Più semplicemente, morendo recita l'ultima indicazione agogica sulla partitura della Nona. Sull'abbozzo manoscritto della Decima l'ultima indicazione è un La, che i musicologi decifrano come Langsam: adagio. Così le ultime opere di Mahler chiudono sommessamente un'esistenza, e con lei anche una grande stagione del sinfonismo.
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