In assenza di nuovi allestimenti, la programmazione di quest’anno presenta le ultime 7 opere di Wagner, cioè l’intera produzione “rivoluzionaria” del maestro. Il programma delle prime è schematicamente suddiviso in tre blocchi:
1. Tristan e Meistersinger (25 e 26 luglio)
2. Ring (27, 28, 30 luglio e 1 agosto)
3. Parsifal (2 agosto).
Si può quindi fare un primo bilancio del week-end appena trascorso.
Un bilancio piuttosto deludente, tutto sommato, anche se nessuno poteva illudersi di godere di mirabilie da regìe e cast in gran parte già (tristemente) noti dalle precedenti stagioni. La stessa stampa vicina al Festival ha riconosciuto fin dall’inizio che l’aspetto più interessante dell’edizione n°98 consisteva nella presenza delle sorellastre Kathi ed Eva sul ponte di comando, a rimpiazzare il vecchio ed ormai (e non da poco) rincoglionito Wolfgang, del tutto impossibilitato a reggere il festival dopo la morte della seconda moglie (Gudrun) che da anni e anni era
Festspielleiterin di fatto. Peraltro, dato che scelte e contratti si fanno con anni e anni di anticipo, molta della futura produzione sarà comunque, poco o tanto, influenzata dalle scelte della precedente direzione.
Dunque, si è aperto sabato con
Tristan, una ripresa dell’allestimento 2005 di Marthaler, con
Schneider sul podio. Chi ha un minimo di dimestichezza con Wagner ne ha dato giudizi
severi, financo
sprezzanti. Personalmente salverei
Robert Dean Smith, un Tristan più che discreto, che non è bastato a sollevare il livello mediocre del tutto, a partire da Schneider, un
Kapellmeister di quelli che lo stesso Wagner definiva “quadrupedi che sanno battere il tempo”.
Naturalmente, come in tutte le
prime, c’è l’aspetto mondano che finisce per distorcere ogni giudizio. E così, se ascoltiamo le
interviste fatte a caldo, durante e dopo la rappresentazione, ai vari
vip intervenuti, non ascoltiamo altro che panegirici e iperboliche lodi. Una specie di Wanda Osiris teutonica che giudica eccezionale la Isolde (men che mediocre) della Theorin, un ministro che parla di livello artistico assoluto, il sindaco di Bayreuth, abbigliato con collare da
sommelier, che esalta i secolari meriti della sua città, un capo di partito che non trova aggettivi adeguati per lodare tutto e tutti… Insomma, tutta gente che era lì a sbafo, con l’occasione di mettersi in mostra in TV, e dalla quale certo non ci si possono aspettare giudizi sereni (e soprattutto competenti!)
Ieri è stata la volta dei
Meistersinger. Devo onestamente riconoscere parecchi meriti a questa performance, a partire da
Sebastian Weigle, che sarà pure un imitatore di Knappertsbusch o più modestamente di Thielemann, ma insomma ha saputo estrarre parecchi dei tesori per nulla nascosti di questa sterminata partitura. Il terzo atto, pur tirato ad una lunghezza da record, non solo non (mi) ha annoiato, ma anzi (mi) ha parecchio convinto.
Alan Titus è stato un buon vecchio Sachs, peraltro sempre impiccato sui FA e, alla fine, anche sui MI, l’ultimo dei quali (sul famigerato
römsche Reich) esalato tramite puro stringimento di… sfintere. Piacevole sorpresa il David di
Ernst, onesto il Beckmesser di
Eröd, che nell’esposizione del grottesco
lied ha mostrato parecchie incertezze, ma in questi casi non sai mai se sono effettive deficienze, o il tentativo di interpretare al meglio la
caghetta che attanaglia il personaggio al momento di salire sul terrapieno che fa da palcoscenico per la tenzone canora. Discrete le primedonne e gli altri.
Insomma, un’edizione dignitosa. Ma solo se ascoltata per radio. La regìa della novella co-direttrice Katharina (cui farebbe bene una buona dose di educazione della bisnonna Cosima, il che è tutto dire…) è stata accolta da urla, invettive, buh e parolacce da un pubblico che, a differenza di quello del giorno prima, oltre che pagare il biglietto, ha aspettato in media 8 anni per poter finalmente entrare nel sacro tempio e poi cosa ti trova? Eva e Lene, abbigliate con caschetto alla Caterina Caselli, che sorseggiano un tè sedute ad un tavolino in fòrmica e acciao di un moderno bar; Hans Sachs che canta imperterrito “io sono un ciabattino e devo preparare le scarpe per Beckmesser” nel mentre che pigia freneticamente i tasti di una macchina da scrivere anni ’50; i maestri della sacra arte tedesca rappresentati da caricaturali pupazzi nella scena finale. Insomma, il trionfo del più bieco
Regietheater. E visto che questa regista è oggi la co-direttrice dell’intero baraccone, c’è da temere il peggio (ammesso che di peggio si possa fare) quando inviterà gente come Bieito o Alden, o Guth, o altri dissacratori di professione (oltre al già collaudato Schlingensief), a inscenare le opere del bisnonno (che avrà così una ragione in più per rivoltarsi ancora nella tomba, dopo tutto ciò che gli è capitato di subire dal giorno stesso della sua dipartita).
Oggi pomeriggio (ore 18) inizia il
Ring, che ci accompagnerà per l’intera settimana (riposo mercoledi e venerdi). Una produzione al 4° anno di vita, quindi assai collaudata. A noi ascoltatori interessa poco la regia di Dorst (piuttosto criticata gli scorsi anni, forse perchè non abbastanza dissacrante?) mentre ci aspettiamo grandi cose da
Thielemann. Il quale – sul fronte
Münchner Philharmoniker – sembrerebbe disposto a
fare qualche concessione pur di rimanere anche dopo il 2011. Prepariamoci quindi al
MIb grave dei 4 secondi contrabbassi, il nordico
Ginnungagap, da cui prende vita la più stupefacente storia mai scritta dell’universo, dell’uomo e della sua psiche, ma soprattutto… della
musica!