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consulta e zecche rosse

28 luglio, 2009

Il Ring di Bayreuth09 (I)

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Das Rheingold

Il ciclo nibelungico comincia con qualche patema. Allo stato d’animo non propriamente sereno di Thielemann (per la vicenda col comune di Monaco, a proposito della Filarmonica) si aggiunge all’ultimo momento la forzata rinuncia di Christa Meyer, che doveva impersonare Erda e così si deve urgentemente richiamare in servizio la Erda precedente (2006-2007) Mihoko Fujimura.

Il risultato è una più che discreta (arriverei quasi a dire buona) torta con sopra alcune ciliegine andate a male.

Thielemann compie un’impresa ragguardevole: impiegando tempi à la Boulez (nettamente sotto i 150’) riesce a produrre un Rheingold à la Knappertsbusch, con tutte le canoniche, tradizionali e doverose enfasi.

Ahilui, viene tradito dalla prima tromba che nell’esporre, nel solare DO maggiore, il tema dell’oro, incespica clamorosamente sul MI prima di arrivare al SOL: è come se sopra il pepitone d’oro fosse guizzato un luccio (la specie non è casuale, essendoci di mezzo Alberich) a spegnere per un attimo la luce solare che deve rendere abbacinante quella riflessa dall’oro… peccato! Il professore da qui in avanti non mancherà più una virgola, ma ormai la frittata era fatta.

Andrew Shore è un Alberich di tutto rispetto, a cominciare dalla pronuncia, cosa non secondaria in Wagner.

Albert Dohmen (Wotan) ha pure lui la sua buona torta con alcune ciliegine marce: in una prestazione complessivamente all’altezza, è deplorevole il suo impappinamento proprio sulla frase divenuta quasi un motto (Vollendet das ewige Werk!) dove, magari mal supportato da Thielemann, non riesce a sincronizzarsi con le tube che espongono il tema del Walhall; più avanti mostra qualche amnesia, scambiando parole, fino al silenzio assoluto (non credo ci sia stato un black-out microfonico solo per lui) sulla frase Den Hort und dein helles Gold, all’inizio del “processo ad Alberich” nella Scena IV.

Note non esaltanti per la Freia di Edith Haller, troppo urlante (per lei non può reggere la scusa della paura che le fanno i giganti che la inseguono…)

Bene Michelle Breedt, in un ruolo (Fricka) forse più adatto a lei di quello in cui l’abbiamo ascoltata sabato (Brangäne).

Note positive per il Mime di Wolfgang Schmidt, per il quale sta prendendo corpo una perfetta legge del contrappasso: dopo aver per anni (dal 1995 al 2004!) interpretato Siegfried, ed aver quindi fatto ripetutamente secco il povero Mime, quest’anno toccherà a lui di cadere miseramente sotto il fendente della Nothung brandita da Christian Franz.

Un altro che non mi è affatto dispiaciuto è il Loge di Arnold Bezuyen, voce e portamento assai appropriati alla personalità del fetente consigliere di Wotan.

La improvvisata (ma non troppo, dati i precedenti) Erda di Mihoko Fujimura ha onorevolmente sostenuto la sua parte, però qui la pronuncia e il conseguente canto non sono irreprensibili.

Kwangchul Youn è stato un ottimo Fasolt, il gigante raffinato e innamorato, che soccombe al truce fratello Fafner, qui interpretato da un modesto Ain Anger. Al bravo coreano tocca poi un altro ruolo di soccombente (Hunding in Walküre) ma si rifarà da assoluto protagonista vestendo i panni di Gurnemanz.

A proposito dell’ammazzamento di Fasolt, la partitura prescrive che siano il timpano (principalmente) insieme a viole e archi bassi a sottolineare i rantoli finali del gigante che tira le cuoia dopo che il fratello lo ha abbattuto, assestandogli un tremendo colpo di bastone. Gli strumenti suonano in sincronia perfetta per due misure e mezza. Ebbene, in questa esecuzione si sono sentiti dei colpi (verosimilmente in scena, non in orchestra) vibrati esattamente in corrispondenza delle pause delle parti strumentali (le ultime del timpano, in particolare) quindi in perfetta sincope con le note. Un dettaglio trascurabile e perdonabile?

Gli altri e altre interpreti hanno portato a casa lo stipendio con dignità, in specie il Froh di Clemens Bieber, che se l’è cavata discretamente nell’etereo Wie liebliche Luft… Le ondine piuttosto anonime, e poco efficaci - secondo me – specie nell’accorato appello finale.

Tornando a Thielemann, si è risparmiato quei (pochi) gigioneggiamenti che in altre occasioni lo hanno caratterizzato, e ciò torna ulteriormente a suo merito. A Monaco dovrebbero pensarci bene prima di cacciarlo nel 2011!
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1 commento:

Amfortas ha detto...

Thielemann compie un’impresa ragguardevole: impiegando tempi à la Boulez (nettamente sotto i 150’) riesce a produrre un Rheingold à la Knappertsbusch, con tutte le canoniche, tradizionali e doverose enfasi.

Oh, questa me la rivendo! Veramente centrata la tua definizione. E per fortuna che non sono stato il solo a sentire lo spernacchiamento della tromba...
Ciao :-)