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25 novembre, 2022

laVerdi 22-23. 7

Un ardito accostamento viene proposto dal 7°concerto dell’Orchestra Sinfonica di Milano: Shostakovich e Beethoven!

Ne è protagonista Luigi Piovano, da una vita primo violoncello a SantaCecilia, che affianca esibizioni solistiche alla direzione d’orchestra. E in questo doppio ruolo si presenta qui in Auditorium.

Dapprima per interpretare il primo Concerto per violoncello di Dmitri Shostakovich. Concerto di alta difficoltà, come logico, essendo stato composto espressamente per - e dedicato a - quel mostro che rispondeva al nome di Mstislav Rostropovich. Due giorni dopo la prima leningradese (domenica 4 ottobre, 1959) con Mravinski sul podio, autore e interprete si spostarono a Mosca per realizzare (con la locale Filarmonica diretta da Gauk) la prima registrazione dell’opera, cui si fa riferimento nelle note successive.
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Come sempre, Shostakovich resta formalmente fedele ai modelli classici e al diatonismo, ma li riempie di contenuti innovativi e spesso dissacranti. Basti considerare proprio l’attacco dell’iniziale Allegretto, in forma-sonata, dove troviamo tre bemolli indicati in chiave:

Sarà MIb maggiore o DO minore? Ah, saperlo, anche perché la prima battuta, occupata dal solo violoncello, contiene le prime tre note (SOL-FAb-DOb) del motto che informerà tutto il movimento e tornerà anche nel terzo e infine a chiudere il concerto: tre note che enarmonicamente lette altro non sono se non la triade perfetta di MI minore (SOL-MI-SI) assai lontana dalle tonalità prospettate in chiave. Ma poi, alla seconda battuta, il motto chiude scendendo di una seconda minore, al Sib, cui si aggiungono il MIb e il SOL dei legni, il che finalmente ci porta alla triade maggiore di MIb, tonalità classicamente evocante natura, religione o eroismo.  Ma c’è chi invece ci vede l’individuo intellettualmente libero che cerca (triade di MI minore) di elevarsi al di sopra delle convenzioni, o delle ideologie, o dei regimi, rappresentati dal MIb maggiore! Insomma: Shostakovich vs Stalin? E del resto qui c’è un MIb maggiore quasi irriconoscibile (vi manca per caso l’armonia?) che non è certo quello dell’Eroica

Dopo una breve transizione (1’27”) Il secondo tema (1’33”) è canonicamente in DO minore, con melodia più spiegata e distesa:

Melodia reiterata dal solista (2’15”) e poi (2’24”) dal clarinetto, che ci porta allo sviluppo (2’37”) che è prevalentemente occupato dal primo tema in cui spicca in particolare il corno. Poi la ripresa (4’35”) è assai variata (e accorciata) rispetto all’esposizione (il secondo tema, nel corno - 4’56” - resta però in DO minore). Segue (5’39”) la coda, monopolizzata dal primo tema, ma chiusa repentinamente (6’17”) dall’incipit del secondo nel violoncello, in MIb maggiore!

Il centrale Andante (LA minore, e relativa FA# minore) è in una forma - volutamente? – ambigua: c’è infatti chi lo riconduce ad uno spurio (in quanto tronco) rondò (A-B-A-C-A-B) e chi lo classifica come un macroscopico ternario X-Y-X (AB-AC-AB). In altri termini: uno sbeffeggio tutto shostakovich-iano alle classiche forme.  

Il ritornello A viene esposto (6’25”) dagli archi e completato (6’49”) dall’intervento del corno:

Ecco ora il primo episodio B:

esposto (7’03”) dal solista, che poi (7’36”) lo reitera, imitato (8’19”) dal clarinetto, che ne lascia al violoncello il completamento.

Ricompare negli archi (9’33”) il ritornello A in FA# minore, ma qui senza l’appendice del corno. 

Ora (10’22”) siamo al secondo episodio C, davvero esteso e complesso, di cui notiamo almeno due motivi:

Il motivo a è ripreso a 11’26”, il b a 11’58”. Poi si procede ad un progressivo intensificarsi dell’atmosfera sonora, fino a raggiungere un climax che sfocia nella reiterazione (13’48”) del ritornello A, sempre in FA# minore nella sua prima parte, poi tornando a LA minore (13’58”) con il corno che lo completa. L’ultima apparizione dell’episodio B (14’18”) è avvolta in un’atmosfera irreale, creata dagli armonici del violoncello e dall’ingresso della celesta.

Spentosi così l’Andante, attacca subito (16’35”) la Cadenza, invero ipertrofica e massacrante, basata prevalentemente su motivi del precedente Andante, ma con reminiscenze del motto. E appunto, senza soluzione di continuità si attacca al finale Allegro con motto moto.

La forma è uno spurio rondo (A-B-A-C) oppure un mozzicone di forma-sonata, dove in realtà C la fa da padrone, sfociando in un enfatico ritorno del motto. L’inizio (21’50”) non è che la conclusione della precedente Cadenza, poi ecco (21’56”) il brillante tema A, esposto da oboi e clarinetti:

In seguito (22’19”) lo riprende il violoncello, che prepara l’arrivo (22’34”) dell’episodio B, dentro il quale Shostakovich nasconde abilmente (22’52”) una citazione impertinente della canzone popolare (si dice piacesse a Stalin!) Suliko:

Torna quindi (23’07”) il tema A, un’ottava sopra, sempre in oboi e clarinetti cui si aggiunge il flauto.

Ecco ora (23’23”) la parte più corposa del movimento, con l’episodio C, che inizia con un brusco cambiamento di ritmo, da binario a ternario:

Il tema è ripreso poco dopo (23’33”) dal solista che attacca un crescendo che porta (24’01”) alla progressiva, vaga ricomparsa del motto, che poi appare davvero protervo (24’47”); motto che poi (24’58”) si allarga ulteriormente (corno) e poi (25’09”) è ripreso dal solista che innesca una progressione che si fa forsennata, finchè si arriva (25’04”) alla coda, dove ancora il motto si scatena e vi ri-occhieggia Suliko. All’ultimo, su un SOL tenuto saldamente dal solista (in tripla corda, su tre ottave!) ottavino e flauto ripetono il motto per l’ultima volta; poi restano solo due secche crome (di tutti, ottavino escluso) fatte di MIb-SOL, su sette martellate del timpano.
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Tale è il rilievo riservato (data la grandezza del dedicatario e primo interprete) al solista che l’orchestra quasi non esiste, riducendosi ad interventi (a loro volta solistici) di pochi strumenti (corno, strumentini, timpano, celesta). E ciò rende certo più agevole il compito a chi, come Piovano, opera con due cappelli in testa (anzi con un archetto e una virtuale bacchetta).

Successo strepitoso per lui, accolto da applausi ritmati dal pubblico… selezionato dell’Auditorium. E allora lui, facendosi accompagnare dall’orchestra, ci regala un vorticoso bis (qui con il suo Direttore ceciliano). 
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Ecco infine la Settima beethoveniana. Piovano l’ha mandata a memoria e la dirige con piglio enfatico: gesto ampio, ammiccamenti alle diverse sezioni, insomma una direzione plateale che – oltre l’udito - accontenta anche… la vista. L’Orchestra si lascia coinvolgere e suona come un sol uomo, suscitando, dopo il travolgente e ubriacante Allegro con brio, l’entusiasmo generale. 

18 novembre, 2022

laVerdi 22-23. 6

Conclusa a suon di trionfi la tournée ispano-olandese, l’Orchestra Sinfonica di Milano torna in Auditorium con un programma franco-russo di fine ‘800 – primi ‘900. Per la prima volta sul podio di Largo Mahler sale il figlio d’arte Emmanuel Tjeknavorian, 27enne austro-armeno nato violinista ma - seguendo le orme del padre Loris - ormai avviato stabilmente sulla strada della Direzione.

La prima sezione del concerto è tutta francese, aperta da Pavane pur une infante défunte di Maurice Ravel. Il quale, per negare al brano stretti riferimenti programmatici, ebbe a spiegare minimalisticamente e con tono dissacrante l’origine del titolo come un semplice gioco di parole, un esercizio di allitterazione (fante-funte): in realtà il minuscolo brano (6 minuti scarsi) composto nel 1899, divenne subito notissimo, tanto che 10 anni più tardi Ravel lo orchestrò da par suo (compiendo il percorso inverso rispetto a Fauré, la cui Pavane nacque per orchestra e fu poi down-gradata per la tastiera). Ed è nella versione orchestrata che ascoltiamo il brano in queste tre serate.

La struttura è di rondo assai semplice (A-B-A-C-A) di 72 battute totali, così organizzato:

A - Refrain (7+5=12 battute);

B – Couplet-1 (7+8=15 battute);

A - Refrain (12 battute);

C – Couplet-2 (10x2=20 battute);

A - Refrain (12+1 battute).

Ne si può facilmente scoprire l’impianto in questa registrazione di Alexander Tharaud al pianoforte.    

Il ritornello A (SOL maggiore, con inflessioni modali e frequente appoggio sulla sesta) è inizialmente esposto a partire dal SOL centrale. Si compone di due frasi delicate, accompagnate nella mano sinistra in atmosfera assai rarefatta e discreta.

Segue (1’08”) il primo episodio (B) che presenta un motivo più risoluto, fatto di accordi di 4 o 3 note, con note lunghe nella mano sinistra; motivo che viene ripetuto.

Il ritornello (A) viene ora esposto (2’25”) un’ottava sopra rispetto all’esordio e con accompagnamento un po’ più corposo.

Il secondo episodio (C, in SOL minore, a 3’29”) è ancora più mosso del primo e come questo prevede la ripetizione del tema.

Ultima apparizione (5’14”) del ritornello (A) dalla stessa altezza della seconda, ma con accompagnamento assai mosso e ondeggiante, che poi si stempera in una presa di respiro (pp) cui segue la conclusione decisa (ff).

Nella versione orchestrata (qui Ormandy con la Philadelphia) le diverse sfumature sopra descritte vengono realizzate e moltiplicate attraverso un sapiente (proprio… raveliano) impiego dei colori orchestrali: il ritornello è aperto dal corno, poi nella successiva apparizione (2’07”) lo troviamo esposto dagli strumentini e nell’ultima (4’29”) da violini e flauti, poi clarinetti, con l’arpa che accompagna in arabeschi. Il primo episodio (58”) è affidato all’oboe, poi ripetuto dai violini; il secondo (3’05”) al flauto, raggiunto poi dall’intera orchestra. L’arpa fa il suo timido ingresso in chiusura del primo ritornello, poi il suo contributo prenderà via via corpo, fino ad essere protagonista nel terzo e ultimo.

Come si vede, gli strumentini e l’arpa hanno qui un ruolo chiave, e gli alfieri de laVerdi (Manachino, Greci, Ghiazza e Piva, più il corno magico di Amatulli) non hanno tradito la loro fama, giustamente ovazionati alla fine, insieme all’intero complesso e al Direttore.
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A seguire ecco Claude Debussy con i tre schizzi sinfonici intitolati La Mèr. Venuta alla luce all’inizio del ‘900, quando Strauss aveva appena chiuso la sua gloriosa stagione dei Tondichtungen, la composizione di Debussy, con tanto di titolo e soprattutto di tre ben specifici sottotitoli riferiti al mare, venne immaginata da pubblico e critica come un poema sinfonico in piena regola. Dopodichè, andandola ad ascoltare con questo pregiudizio, pochi ci sentirono davvero il mare e così la considerarono un mezzo fallimento. E a poco valsero le imbarazzate e un po’ piccate spiegazioni dell’Autore, che invitava a godere di quella musica dimenticandone gli specifici riferimenti acquatici: ma allora perché non intitolarla semplicemente Tre schizzi sinfonici… sul tipo di Ouverture, Scherzo und Finale di schumanniana memoria?

Poi però nel giro di pochi anni (dalla sofferta prima del 1905 alla ripresa, diretta dall’Autore, del 1909) il tempo ha fatto piena giustizia, sia delle critiche, che di titolo e sottotitoli! E l’opera è entrata di diritto fra quelle più innovative ed ammirate del secolo scorso. E la sua fama ha finito anche, paradossalmente, per portare i critici a rivalutarne persino il programma extra-musicale! Perché – in barba a dotte analisi musicali - non ci vuol molto, semplicemente ascoltandola, ad immaginare onde che si infrangono sugli scogli, o la risacca che accarezza la sabbia, o un improvviso mulinello di vento che si forma sul mare e si disperde in pochi attimi. (Però, senza troppa fatica e con un minimo di immaginazione, potremmo invece sentirci atmosfere di montagna – stormire di fronde, svolazzi di stormi di passeri, cascatelle e rigagnoli, veloci passaggi di nuvole… - perchè no!)

Insomma, un’opera affascinante, che affascina proprio per l’inafferrabilità delle sue forme e la perenne mutazione armonica delle sue atmosfere, con i motivi che sgorgano l’uno dall’altro senza apparenti legami di causa-effetto, ma che hanno un… effetto straordinario sulla nostra percezione.

Tjeknavorian dirige con gesto a volte fin troppo scolastico, nella scansione delle battute, ma evidentemente efficace, visto l’eccellente risultato dell’esecuzione, accolta con favore dal pubblico non… oceanico dell’Auditorium. 
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La serata si è chiusa con la celeberrima Sheherazade di Rimski, che Tjeknavorian ha scelto come primo brano da incidere su CD in veste di Direttore, con l’Orchestra Tonkunstler: e si deduce che l’abbia studiata a lungo, se ha fatto rimuovere il leggio e ha diretto a memoria! Qui ha poi il vantaggio di trovare una compagine che lo conosce come le sue tasche e una spalla (Santaniello) che non ha rivali nel sapersi calare nelle… corde della principessa!

Per carità, non vorrei essere frainteso: non sto insinuando che il giovine armeno si sia limitato a seguire col gesto i suoni emessi in totale autosufficienza dai ragazzi de laVerdi… Diciamo che non gli è stato difficile fare una bella figura, e la simpatia con la quale gli stessi orchestrali lo hanno salutato alla fine dimostra che il ragazzo deve pur avere qualche interessante qualità. Il futuro è tutto dalla sua parte.

14 novembre, 2022

Il Boris alla Scala: a vuoto le sanzioni ukraine.

Allora, pare che al simpatico Console di Kyiv a Milano ancora non vengano riconosciute sufficienti prerogative che gli consentano di cambiare in corsa la stagione della Scala, decidendo lui quando – bontà sua - concederci il malsano privilegio di tornare ad ascoltare musica russa.

Caso mai fanno discutere certe motivazioni (come questa, oppure questa e anche questa del maestro Chailly) al rifiuto di assecondare le richieste del Console: si sostiene che il Boris sia un’opera che non si presta a strumentalizzazioni da parte di uno zar moderno (Putin) poiché in essa è rappresentato precisamente un popolo vessato dal potere dello zar, e che piange sul suo disgraziato destino, mentre lo zar medesimo è schiacciato dalle sue colpe e muore in preda agli incubi che gli ricordano le sue malefatte. Quindi, un’opera che caso mai dovrebbe essere proprio il Console a voler rappresentata e Putin a voler cancellare dal cartellone…

Ok, ma allora, se l’opera in programma fosse, che so, Evgeni Onegin di Ciajkovski, dove si rappresentano scene liriche (con omicidio sì, ma per ragioni sentimentali) in un mondo che vive felicemente all’ombra dello zar, che succederebbe? Si darebbe ragione al Console?

Mah… 

11 novembre, 2022

Uno Zar minaccioso si profila all’orizzonte

No, Putin purtroppo è già qui fra noi, ne avvertiamo la nefasta presenza in molti momenti della nostra vita quotidiana. No, parliamo di quel Boris Godunov che dopo soli 20 anni (Putin si era da poco affacciato sulla scena, con il biglietto da visita della carneficina di Grozny, peraltro subito perdonatagli da tutti) tornerà a tener banco alla Scala per inaugurare la stagione 22-23.

A meno che lo stupido autolesionismo del Console di Kyiv a Milano non abbia il sopravvento sull’universalità della cultura, sortendo così il brillante effetto di far aumentare dal 60 all’80% il numero degli italiani contrari all’ulteriore invio di armi a Zelensky… 

Quanto al Presidente e al Sovrintendente della Fondazione (Sala e Meyer) oggi si trovano in evidente imbarazzo a dare risposta al Console, a causa del loro stesso zelo con cui, allo scoppio della guerra, decretarono l’ostracismo agli artisti russi che non prendessero formalmente posizione contro Putin: per coerenza con quella passata decisione dovrebbero – ma proprio come minimo – chiedere la stessa cosa ad Abdrazakov, Denisova e agli altri artisti russi del cast del Boris. (Della serie: allora gli hai offerto un dito, oggi pretendono il braccio…) Non parliamo poi di come si sentirà il Presidente Mattarella ad affacciarsi in mondovisione dal Palco Reale il pomeriggio del 7 dicembre e di come fatalmente si noterà l’assenza del Console (di cui nessuno altrimenti si curerebbe).

Un’idea per salvare capra-e-cavoli potrebbe essere quella già praticata da Andrey Boreyko in Auditorium il 25 febbraio scorso: dopo Fratelli d’Italia, eseguire Šče ne vmerla Ukraïny.

Per ironia della sorte, l’ultima apparizione del Boris alla Scala (all’Arcimboldi, per la verità) risale al 2002 quando fu presentato l’allestimento del Mariinski, diretto da quello che oggi è bollato quale bieco propagandista dello zar Vladimir, tale Valery Gergiev.

Domani pomeriggio, nel foyer-Toscanini del teatro, si terrà una pubblica conferenza su questa prima. Moderata da Raffaele Mellace, recentemente nominato collaboratore scientifico della Fondazione, la tavola rotonda avrà come protagonisti il Direttore Riccardo Chailly, gli insigni musicologi Franco Pulcini ed Elisabetta Fava, e il russologo per eccellenza Fausto Malcovati (autore della traduzione italiana del libretto). Vedremo se la politica e le armi faranno capolino anche lì…

09 novembre, 2022

Gatti con Mahler scala la… Scala

La sesquipedale Terza Sinfonia di Mahler è comunemente etichettata (stando anche alle molteplici indicazioni programmatiche lasciate a più riprese dall’Autore medesimo) come una lunga e faticosa ascesa dalle… stalle alle stelle. Un percorso così schematizzabile: natura inorganica > vegetali > animali > esseri umani sottosviluppati > santificazione > ineffabilità dell’assoluto.

Mahler poi ritirò quei programmi, invitando l’ascoltatore ad apprezzare quella sua musica senza caricarla di (più o meno plausibili) significati extra-musicali o filosofico-religiosi, ma a fruirne come il frutto del lavoro di quel sesto senso che guida il rapsodo a decifrare, per poi esprimerle in suoni, le oscure sensazioni che nascono dal suo io profondo. 

E tuttavia è innegabile che proprio la musica di questa Sinfonia ci conduca inevitabilmente su un cammino di progressiva elevazione spirituale, culminante nel finale beethovenian-parsifaliano, dove ci sembra di abbandonare la dimensione spazio-temporale per entrare in……     

Ecco, Daniele Gatti – una direzione, appunto, mistica, la sua, degna del più ascetico dei Celibidache - ci ha proprio portato per mano in questa faticosa ma gratificante avventura. Dobbiamo ringraziare lui, l’Orchestra, i cori (femminile di Malazzi e dei piccoli di Casoni) oltre alla calda voce di Elina Garanča, se abbiamo avuto ancora una volta la fortuna di poterci emozionare.

Applausi interminabili per tutti in un Piermarini con qualche vuoto di troppo, francamente. Poi, ahinoi, si torna a casa a domandarci in che mondo viviamo…

06 novembre, 2022

Una gran Tempesta si abbatte sulla Scala

Eccomi a commentare questa prima scaligera di The Tempest di Thomas Adès, diretta dall’Autore e presentata con la messinscena del MET (2012) ad opera di Robert Lepage (qui ripresa da Gregory A. Fortner).

Di quella produzione restano presenti qui (oltre all’Autore/Direttore) quattro degli 11 interpreti, e precisamente: Audrey Luna (Ariel); Isabel Leonard (Miranda); Toby Spence (che però qui fa il Re di Napoli e non il golpista Antonio, mentre nel 2004 a Londra era l’innamorato Ferdinand!) e Kevin Burdette (Stefano, l’ubriacone).

Della regìa si conosceva praticamente tutto, essendo disponibile in rete una registrazione del MET. Certo, per avere in teatro lo stesso livello di qualità dello spettacolo garantito da una buona regia cinematografica (o televisiva) è necessario armarsi di binocolo per poter apprezzare almeno i primi piani dei cantanti o importanti dettagli della messinscena; ciò detto, la resa complessiva mi è parsa di grande impatto ed efficacia.

Sul fronte sonoro è da apprezzare la duttilità che l’Orchestra scaligera ha messo in mostra, rispondendo da par suo alle sollecitazioni del Direttore/Autore (che aveva avuto modo – per puro caso – di prenderci confidenza dirigendo un concerto sinfonico ai primi di ottobre). L’orchestrazione di Adès è assai raffinata e ricca di sottili dettagli che sono emersi nitidamente lungo l’intero arco della rappresentazione.     

In opere come questa le voci vanno (secondo me) giudicate più per l’efficacia nel presentare i personaggi che non nella stretta aderenza ai tradizionali canoni tecnici del melodramma. Il che non significa che si sia autorizzati a cantar male, ci mancherebbe. Tuttavia qui il parlato, il declamato, lo Sprechgesang e i falsettati sono all’ordine del giorno, alternandosi a momenti di canto spiegato come lo si intende comunemente.

La parte sicuramente più eterodossa (se così si può dire) è quella affidata al soprano di coloratura che interpreta lo spiritello di Ariel: una parte tanto improba da far impallidire quella di Astrifiammante (arriva a toccare opzionalmente il SOL iperacuto!) che comporta – già dalla prima comparsa in scena - intervalli vertiginosi, quindi di problematica intonazione, e virtuosismi davvero impervi. Stesso dicasi per i suoi interventi a seminare zizzania fra i naufraghi e poi a spaventarli con la sua apparizione da arpia. Ma non mancano al personaggio momenti di autentico lirismo: il mesto racconto a Ferdinand per risvegliarlo e portarlo da Prospero; il breve intermezzo masque; la compassionevole descrizione delle condizioni del Re e di Antonio, prima del perdono finale. La specialista nel ruolo Audrey Luna ha confermato quanto di buono si può ascoltare – ma anche vedere! - nel video del MET. Per lei un autentico trionfo.  

Il protagonista Prospero (baritono che ha una tessitura ampia, dal FA grave al LA acuto) è interpretato da Leigh Melrose (già passato con profitto qui alla Scala in Fin de partie). A differenza del personaggio di Shakespeare, questo Prospero è un uomo ancora relativamente giovane, e ciò spiega il muoversi del suo canto prevalentemente nella zona alta della tessitura. Il suo stato d’animo è caratterizzato da rancore e desiderio di vendetta: solo alla fine si scioglierà nel perdono e nella riconciliazione con chi lo aveva tradito. Melrose ne dà un’interpretazione convincente: la sua corposa voce quasi da baritenore è assolutamente calzante sul personaggio.

Sua figlia Miranda è impersonata dalla pregevole Isabel Leonard (altra superstite delle recite del MET). Capace di esprimere apprensione, stupore e anche rimprovero verso il padre, ma poi soprattutto donna innamorata, coraggiosa nelle sue scelte e disposta a sfidare il padre troppo possessivo, convincendolo alla fine a riconoscere il suo diritto alla libertà. Mertita un voto più che buono.

Al suo innamorato Ferdinand dà voce Josh Lovell, tenore leggero che sa bene rendere la personalità piuttosto timida e ingenua di questo figlio-di-papà cresciuto nella bambagia, sognatore e idealista.

A proposito di tenori, ce ne sono altri tre nel cast: il primo di costoro è addirittura il padre di Ferdinand (cosa apparentemente bizzarra) cioè il Re di Napoli, qui interpretato da Toby Spence. Il quale - come detto - ha già in passato sostenuto i ruoli (assai diversi) di Ferdinand e di Antonio (gli manca ora solo di fare anche il 4° tenore, Caliban). In realtà il Re ha una personalità piuttosto debole (talis filius, talis pater…) e così Spence non deve faticare troppo ad entrare nel ruolo.  

Il secondo è il golpista Antonio, un Robert Murray sufficientemente villain, nel suo viscido tramare contro il Re, servendosi della dabbenaggine del di lui fratello Sebastian. Apprezzabile in particolare il suo accorato e fatalistico mea-culpa finale. 

L’ultimo tenore è il selvaggio Caliban, cui dà voce Frédéric Antoun. La parte è fra le più difficili, dovendo far convivere diversi sentimenti: l’orgoglio derivantegli dall’essere figlio della defunta Regina dell’isola; la frustrazione e l’invidia legate al suo essere diventato schiavo di Prospero; l’attrazione che prova per Miranda; ed infine l’omicida desiderio di prendersi la rivincita sull’invasore/usurpatore. Tutto ciò implica per l’interprete la necessità di sciorinare una variegata palette di sfumature e accenti. Bene, Antoun si è dimostrato davvero all’altezza del compito.

I personaggi baritonali di Gonzalo e Sebastian sono probabilmente quelli che più si avvicinano al canto tradizionale. Il primo è interpretato da Sorin Colban, che ha una voce in realtà di basso-baritono, assai appropriata per il ruolo, ed è stato barvo a mettere in luce la magnanimità e la nobiltà d’animo del Consigliere del Re (ma ben disposto verso Prospero). Il secondo è un personaggio debole di carattere, fatalista e pusillanime: Paul Grantne ha dato un’interpretazione onorevole e onesta.

I due ubriaconi hanno voci complementari: Kevin Burdette (Stefano, anche 10 anni fa al MET) da baritono acuto e Owen Villetts (Trinculo) da controtenore. Entrambi meritevoli di elogi ed applausi.

Il coro (di Alberto Malazzi) ha degnamente completato il quadro delle voci. Non ha un ruolo quantitativamente esteso, ma deve esprimere una varietà di accenti: terrore, ansia, rassegnazione, depressione fisica e infine sollievo e tripudio per il lieto-fine.   

Pubblico abbastanza numeroso (stante il titolo non proprio popolare e il finale di stagione davvero autunnale) ma assai prodigo di applausi per tutti quanti. In definitiva: la stagione scaligera si chiude in bellezza, ed ora ci si prepara all’ormai vicino SantAmbrogio, con un redivivo (dopo 20 anni) Musorgski. 

02 novembre, 2022

Uno Shakespeare moderno in arrivo alla Scala

Dopo 18 anni dalla sua prima londinese arriva al Piermarini The Tempest, seconda delle tre (per ora) opere teatrali di Thomas Adès, questo albionico (ex-)enfant-prodige che cumula attività di composizione, direzione d’orchestra e solista al pianoforte.

La produzione che viene presentata qui è quella del 2012 al MET (della quale sopravvivono 4 degli 11 interpreti) diretta da Robert Lepage, che chiunque può godersi (con settaggio dei sottotitoli in italiano!) su youtube. Coerentemente con la provenienza milanese del protagonista (Prospero) l’ambientazione (primo e terzo atto) è precisamente dentro il Piermarini!   

Il libretto dell’australiana Meredith Oakes si mantiene sufficientemente fedele all’originale shakespeariano, peraltro con comprensibili deviazioni, sia sul piano del plot che su quello della caratterizzazione dei personaggi. 

Adès da parte sua esibisce un opportuno (o opportunistico?) sincretismo musicale che accontenta un po’ tutti i palati. Ecco gli ingredienti di un lavoro che sta ottenendo successi di pubblico e critica in giro per il mondo. In una pregevole esegesi musicale dell’opera, comparsa sul n°222 della rivista L’Avant-Scène Opéra (settembre 2004) Hélène Cao individua una cellula musicale di base, con relative varianti, che funge da faro nell’intera opera, garantendole una solida coerenza formale.
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Non ci resta che prepararci a vivere di persona lo spettacolo esplorando la citata registrazione del MET.

Atto I

2’50” Scena 1.  Il Preludio orchestrale (con Ariel svolazzante) evoca, attraverso folate ascendenti e discendenti, quali poderose ondate che sballottano il vascello dei napoletani, la tempesta scatenata da Prospero e si chiude con l’ingresso del Coro dei naufraghi (la Corte di Napoli più Antonio) terrorizzati e destinati a morte certa.

Da qui fino alla fine dell’atto la scena sarà occupata da Prospero, che incontra oppure si limita ad osservare altri personaggi.

6’10” Scena 2. Miranda ha assistito al naufragio (si odono ancora le imprecazioni dei naufraghi); sospetta che sia opera del padre e non si capacita delle ragioni che lo hanno spinto ad un simile atto. Prospero allora (8’17”) le racconta il suo passato di Duca di Milano, spodestato dal fratello usurpatore Antonio alleatosi con il Regno di Napoli (sullo sfondo compaiono Antonio, il Re di Napoli e il fratello Sebastian). Dopo una maledizione sulla corrotta Napoli (10’13”) Prospero si abbandona (10’28”) ad uno straziante ricordo di Milano e aggiunge che solo un amico, il Consigliere Gonzalo (che appare a sua volta sullo sfondo) lo aiutò a fuggire su una zattera e a rifugiarsi con lei su quell’isola deserta. Ancora non si capacita (13’30”) di come il fratello abbia potuto fargli quell’intollerabile torto. Miranda rimane turbata, e con un’aria in 5 strofe (15’04”) ricorda i bei giorni passati in quel posto idilliaco, ma non comprende ancora le ragioni del gesto del padre. Il quale (16’17”) la addormenta, cantandole una specie di dolce ninna-nanna. Poi, staccando un SOL acuto, chiama Ariel.

17’14” Scena 3.  Ariel arriva tosto e, con un canto spiritato (un’aria di 6 quartine e mezza, che sfocia in un duetto con Prospero) ragguaglia il padrone sulle condizioni dei naufraghi: hanno avuto il meritato castigo. Ma Prospero (18’32”) gli ordina di salvare tutti e rimetterli in sesto come nulla fosse accaduto. Lui si ripromette poi di osservarli, senza esser visto. Ariel corre subito ad eseguire.

20’42” Scena 4. Ora è il turno dell’aborigeno Caliban ad occupare la scena – augurando la morte a Prospero - dopo aver assistito al prodigio compiuto dal padrone, del quale vorrebbe conoscere i segreti e a cui poi rinfaccia ingratitudine e odio: con un canto dal cromatismo esasperato (21’30”) lui, Caliban, figlio della Regina Sycorax, dichiara di essere stato il signore dell’isola, ma di essere ora ridotto praticamente in schiavitù, dopo aver aiutato Prospero al suo arrivo. Ha allevato anche lui la piccola Miranda, dalla quale sognava di avere tanti… calibanini. Prospero (23’35”) perde la pazienza e lo liquida minacciandogli pene ancor peggiori, se continuasse a molestare la figlia.

24’50” Scena 5. Ariel ritorna e assicura Prospero che tutti i napoletani sono sani e salvi a terra, addormentati. Prospero chiede che Ferdinand (figlio del Re di Napoli) sia portato al suo cospetto, per far in modo che i napoletani lo considerino morto (e godere del loro dolore…) Ariel cerca di approfittare dell’occasione per chiedere di essere finalmente liberato dalla schiavitù in cui Prospero l’aveva un tempo ridotto; ma Prospero – ingaggiando con lui un concitato duetto - è inflessibile e ordina allo spirito di cantare all’orecchio di Ferdinand per risvegliarlo e portarglielo lì. Ariel (28’03”) intona un’aria su una mesta melodia, annunciando al giovane la morte del padre, il cui corpo ora giace su un fondale, trasformato in corallo. Ferdinand si sveglia e compare lì, vicino a Miranda tuttora addormentata, mentre Prospero e Ariel osservano non visti.

30’48 Scena 6. Ferdinand ricorda il sogno che lo ha risvegliato (la morte del padre) ma è subito attirato (ed esaltato, arrivando al DO sovracuto) dalla visione di Miranda dormiente. Lei a sua volta (32’32”) si risveglia e subito nasce fra i due giovani una reciproca curiosità che sfocia in appassionata attrazione. Prospero (33’23”) comincia a pensare che la figlia sia perduta per lui e, quando Ferdinand promette a Miranda il Regno di Napoli, irrompe fra i due (34’03”) e rivela al giovane l’oltraggio subito da parte (anche) di suo padre. Ferdinand dice di non saperne nulla e Miranda (in un concitato terzetto) supplica il padre, che lo ha disarmato e quasi paralizzato, di non rivalersi su di lui. Ferdinand si dice disposto ad accettare qualunque privazione pur di poter avere al suo fianco Miranda. Prospero (37’09”) non sente ragioni, lo tiene comunque prigioniero; poi si fa accompagnare da Ariel presso i naufraghi. Ariel sfoga - con il suo caratteristico squittire - il suo rancore contro tutti gli umani.

Atto II

38’05” Scena 1. Preludio dal sapore marino (à-la-Britten, sappiamo quanto Adès sia di casa ad Aldeburgh). I naufraghi si sono risvegliati intatti, come nulla fosse accaduto: pensano ad un miracolo. Stefano e Trinculo (40’50”) servo e buffone di corte, perennemente brilli, raccontano come si sono salvati, a dispetto delle bevute e conseguenti ubriacature. Prospero e Ariel (42’17”) osservano nascosti e Ariel è incaricato di gettare zizzania fra i cortigiani. Antonio (43’03”) constata che son tutti salvi, ma Sebastian osserva che manca Ferdinand! Il Re è disperato, e Gonzalo cerca di confortarlo, fiducioso che il principe potrà essere rintracciato. Antonio a sua volta infonde ottimismo, ma Ariel (44’37”) facendo la voce di Sebastian, gli dà del bugiardo, così aizzandogli contro il Re, lo stesso Sebastian e la Corte. Lui invano cerca di difendersi, ricordando che è grazie a lui se loro vivono nell’agio. Il Re (46’29”) lamenta ancora la perdita del figlio e Antonio ancora lo rassicura, ma Ariel gli dà del pazzo, poi offende in sua voce i cortigiani, così Antonio rischia addirittura il linciaggio. Ma (49’09”) arriva Caliban.

49’13” Scena 2. Il selvaggio apprezza l’eleganza dei cortigiani e soprattutto l’alcool che Stefano e Trinculo gli offrono in abbondanza, prendendosi gioco di lui. Che si offre di guidare i cortigiani alla scoperta dell’isola. Ariel spaventa tutti con grida altissime. Caliban avverte con un’aria (53’23”) che ci sono fantasmi e voci in giro per l’isola. Gonzalo (55’36”) gli chiede della tempesta e come poter ritrovare il principe. Caliban svela che sua madre aveva poteri stregoneschi, ma mai quanti il suo padrone, che ha ucciso il loro Principe e il cui nome Prospero (58’24”) gli impedisce di rivelare. Gonzalo (59’19”) seda un ennesimo scontro fra Antonio e Sebastian e ancora si proclama ottimista sulla possibilità di ritrovare Ferdinand vivo, mentre il Re ha ormai perso ogni speranza. Mentre Gonzalo invita tutti a proseguire le ricerche, Prospero (1h03’07”) augura loro – raggiungendo il SOL acuto - di girare a vuoto fino ad impazzire: allora finalmente conosceranno il suo nome.

1h03’58” Scena 3. Stefano e Trinculo vagano soli sull’isola, ubriachi. Incontrano Caliban (1h05’01”) che propone un’alleanza fra loro per spodestare il suo padrone. Poi potranno regnare e avere in sposa la bella figlia del tiranno (ma questo è un bel tranello per i due ingenui…).

1h06’50” Scena 4. Siamo ad un fine atto tradizionale: un duetto fra due amanti! Ferdinand lamenta la sua condizione di prigionia: solo la giovane donna incontrata su un’isola remota gli porta un po’ di conforto. Miranda (1h09’31”) si avvicina, gli rivela il suo nome, poi lo libera dalle catene: i due ora cantano insieme! Prospero (1h14’34”) si rassegna: ha perso sua figlia, non ha più alcun potere sui di lei.

Atto III

1h16’40” Scena 1. Preludio orchestrale cupo e mesto, culminante in accordi dissonanti. Ecco arrivare i tre ubriaconi: è Caliban (1h18’35”) che conduce Stefano e Trinculo verso Prospero, spingendoli ad uccidere il suo padrone, illudendo entrambi di impalmare Miranda per poi – questo ha architettato la sua mente - liberarsi anche di loro e tornare così signore dell’isola. Un terzetto davvero grottesco, quello cui assistiamo. 

1h20’44” Scena 2. E a cui assistono anche Ariel e Prospero, il quale - perduta Miranda - si informa dallo spiritello sulla sorte della Corte di Napoli. Ariel, che invano pretende la libertà, narra con il suo canto spiritato di come siano distrutti dal lungo e accidentato cammino che lui gli ha imposto. Essi arrivano (1h22’25”) stremati, temono di aver perduto Ferdinand; Sebastian se la prende con Gonzalo (che ha le ossa rotte) accusandolo di averli fatti camminare in quel modo, e per di piu invano. Il Re (1h23’59”) non si dà pace per la perdita del figlio; quindi, deludendo il fratello, nomina reggente Gonzalo, il quale invita tutti a riposarsi nel sonno. Cosa che fanno, col che Antonio (1h25’25”) aizza contro il sovrano il fratello Sebastian, suggerendogli di uccidere il Re mentre tutti stanno dormendo. Il proposito, cantato a due voci dai traditori, è però scoperto da Ariel (1h26’59”) che sveglia Gonzalo e così il golpe è sventato. Prospero (1h27’30”) constata che i suoi nemici non sono cambiati ed ordina ad Ariel di punirli ulteriormente. Ariel (1h28’08”) in un’atmosfera irreale e davvero magica fa comparire un gran banchetto, che dà modo a Gonzalo (1h30’46”) di fare – con un solenne declamato - l’elogio di quella specie di terra di Bengodi, dove regnano felicità e armonia. Ma appena i commensali si siedono per mangiare (1h33’02”) ecco Ariel prendere la forma di una spaventosa arpia e far sparire tutto, rinfacciando poi ai napoletani e ad Antonio il trattamento da loro riservato in passato a Prospero; trattamento che ora toccherà a loro di subire. Spaventati, i napoletani (1h34’30”) sentono vicino il castigo (che Gonzalo ammette essere meritato) e fuggono. Prospero (1h35’49”) constata mestamente che tutta la sua magia, tutto il suo potere sulla natura non sono serviti a nulla: per lui e per tutti c’è solo l’inferno.

1h37’43” Scena 3. Miranda e Ferdinand annunciano a Prospero la loro unione. Ma Prospero non ne è felice, chiede perdono e lascia ad Ariel – nel classico quanto striminzito intermezzo masque (1h39’04”) - il compito di mostrare ai due giovani il loro radioso futuro, poi lo fa scomparire. Ferdinand comprende che suo padre è vivo e potrà rivederlo. Arriva Caliban (1h41’54”) con Trinculo e Stefano, ai quali ordina di uccidere Prospero: lui avrà da Miranda tanti figli calibani. Lei non sembra d’accordo (1h42’56”) e Prospero (1h43’38”) lo disprezza e lo fa scomparire, insieme ai due ubriachi. Poi richiama Ariel e gli chiede del Re: lo spirito (1h44’25”) descrive il dolore del sovrano e anche di Antonio, che forse meritano ora il perdono. Prospero si prepara a concederlo e poi a liberare definitivamente Ariel.  

1h46’45” Scena 4. Arrivano i reali di Napoli, trascinandosi penosamente. Qui attacca una lunga passacaglia che accompagna dapprima l’accoglienza che Prospero riserva agli ex-nemici, annunciando la fine delle loro sofferenze; e poi (1h47’18”) rivela il suo nome, destando grande sorpresa in tutti, Antonio in particolare. Il Re (1h47’32”) manifesta il suo pentimento, riconosce di aver meritato come castigo la morte del figlio e chiede almeno di vederne il cadavere. Prospero (1h48’25”) gli annuncia che suo figlio è vivo! E Ferdinand, insieme a Miranda, compare e riabbraccia il padre. Nasce un concertato dove si celebra la riconciliazione generale, mentre arriva tutta la Corte che si aggiunge al giubilo, scorgendo il vascello come nuovo che li riporterà in patria. Prospero (1h53’21”) chiede ad Ariel un ultimo sforzo: riportare lì anche Stefano e Trinculo. Tocca a Gonzalo (1h54’01”) guidare la Corte nel ringraziamento agli dei per il lieto fine di quella terribile storia. Prospero annuncia (1h54’43”) che li accompagnerà a Napoli, per celebrare degnamente il matrimonio di Miranda e Ferdinand, che sancirà l’inizio di un nuovo mondo. Antonio (1h55’09”) che pensava di aver eliminato Prospero, ammette ora la sua inferiorità. Prospero rompe la sua bacchetta magica e dichiara il compimento della sua missione: vorrebbe trattenere Ariel, ma questi se ne va, finalmente libero.

1h58’45” Scena 5. Caliban ricompare: ormai solo, sulla scena vuota, si domanda se non sia stato tutto un sogno. Si ode in lontananza la voce di Ariel.
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Giusto per curiosità, ecco come – 170 anni prima di Adès – un tale Berlioz evocava queste atmosfere shakespeariane… Sabato 5 la prima, poi i commenti.