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05 marzo, 2022

Adriana Lecouvreur (Putin-free) alla Scala


Ieri sera prima rappresentazione alla Scala dell‘Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, co-prodotta (con Vienna, Parigi, Barcellona e San Francisco) dalla ROH nell’ormai lontano 2010.
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(aperta parente...
Ovviamente la vigilia è stata vissuta, più che sul piano strettamente artistico, su quello politico, con il gran rifiuto della diva Anna Netrebko, seguito all’ostracismo deciso dal Teatro contro Valery Gergiev, reo di mancata abiura anti-putiniana. Invece il signor Netrebko (al secolo l’azero Yusif Eyvazov) oltre al green-pass si è potuto procurare anche il necessario war-pass e così è potuto tornare a calcare il tavolato del Piermarini.

Mi permetto qui di segnalare, a proposito della questione che oggi si discute spesso con approccio da bar-sport, un bell’intervento di un musicofilo italiano che mi sento di condividere ampiamente. Aggiungendo anche una domanda: ma tale Sala, oggi Presidente del CdA della Fondazione del Teatro, colui che ha istituito il war-pass anti-Putin, non è per caso lo stesso Sala che nel 2009 faceva il City-Manager nella Giunta della zia Letizia, fedelissima di quell’altro tale che per anni e anni - dopo la carneficina di Grozny e l’assassinio di giornalisti e oppositori - ha continuato a sostenere essere Putin il più grande statista difensore della libertà e della pace?
...chiusa parente)
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Come si evince chiaramente dalla registrazione del 2010, questo di David McVicar è un allestimento di grande pregio, di quelli che si etichettano oggi come tradizionali, spesso con sufficienza e magari con sarcasmo. Perchè tutto è precisamente come prevede (e prescrive) il testo di Arturo Colautti, ricchissimo di minuziose didascalie: dall’ambientazione (siamo proprio - clamoroso! - nel 1730 e non nel 1980, i costumi sono settecenteschi e non cappottoni DDR, gli spazi sono quelli di teatri e saloni della nobiltà dell’epoca e non di pacchiani salotti da borghesia cafona e velleitaria); e soprattutto alla recitazione dei personaggi, curata nei minimi dettagli come da libretto.

Giampaolo Bisanti ha fatto il suo esordio in Scala e l’accoglienza del pubblico gli è stata più che favorevole, direi quasi trionfale: il suo gesto è magari eccessivamente enfatico, ma mai gigionesco, e soprattutto il Direttore del Petruzzelli ha saputo dosare sempre le dinamiche, passando con efficacia dai lunghi momenti di intimità e introversione agli scoppi improvvisi che costellano la partitura. Partitura che l’Orchestra ha nobilitato, rispondendo sempre da par suo alle sollecitazioni di Bisanti.    

Il Coro di Alberto Malazzi ha come sempre dato il suo determinante contributo al successo della serata, meritandosi lunghi applausi alla fine della sua prestazione, prima di lasciare la scena al drammatico atto conclusivo.

Apprezzabili anche le coreografie del terz’atto (uno scorcio che rischia sempre di abbassare la tensione a livello di drama) che McVicar impiega sapientemente per portarci verso la scena-madre dell’invettiva di Adriana.

Adriana che è la rediviva in Scala Maria Agresta, protagonista di una prestazione in continuo crescendo, dopo un attacco non proprio impeccabile all’esordio dell’umile ancella. Sarebbe stucchevole e ingiusto fare qui illazioni su ciò che la diva Anna avrebbe potuto aggiungere; diamo invece alla bravissima Maria ciò che si merita, avendoci proposto - musicalmente e scenicamente - un’Adriana commovente e convincente.  

Yusif Eyvazov, già un più che discreto Chénier anni orsono, è stato ieri sera un buon Maurizio, il che testimonia del suo continuo impegno a migliorarsi, liberandosi dall’ombra fastidiosa (artisticamente parlando) legata al suo rapporto con la Netrebko. Se posso permettermi un confronto con il Kaufmann del 2010 (vedi citata registrazione della ROH) direi che non lo perde sicuramente.

La principessa di Anita Rachvelishvili esce con luci ed ombre: il suo vocione non sempre si attaglia perfettamente al personaggio, una donna gelosa e vendicativa sì, ma anche innamorata e debole (vedi second’atto). Difficile spiegarsi perchè non sia tornata alla fine a salutare il pubblico (che credo proprio l’avrebbe comunque applaudita).

Delle prime rappresentazioni del 2010 c’è un unico superstite: Alessandro Corbelli. Che si merita il plauso che il pubblico gli ha tributato per una prestazione di tutto rilievo: voce corposa e passante, recitazione impeccabile, insomma un Michonnet impagabile.

Come perfetto è stato Carlo Bosi nella parte semiseria dell’Abate, nella quale ha messo tutto il mestiere di una lunghissima carriera.      

Il Principe di Alessandro Spina e il Poisson di Francesco Puttari, insieme a Caterina Sala, Svetlina Stoyanova, Costantino Finucci e Paolo Nevi, completano un cast di buona levatura complessiva.

In conclusione: ancora una proposta scaligera da apprezzare, a dimostrazione che allestimenti ben curati possono sopravvivere nel tempo, se alimentati da nuova linfa a livello di interpreti. 

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