Dapprima quella beethoveniana, di cui si è detto e scritto ormai tutto, per cui al
sottoscritto dilettante non resta altro da fare che segnalare qualche curiosità
forse poco nota. Una di queste riguarda il terzo
movimento della Sinfonia, di fatto uno Scherzo
che Beethoven però battezzò semplicemente come Allegro, forse per indicarci che in esso c’è ben poco su cui scherzare...
Il casus-belli riguarda la controversa indicazione del da-capo delle due sezioni Scherzo+Trio, prima della ripresa variata dello Scherzo, che conduce al trionfante Finale. Il manoscritto autografo di Beethoven riporta quell’indicazione, definendo così la macro-struttura del movimento come A-B-A-B-A’ (A=Scherzo, B=Trio, A’=Scherzo variato). Tuttavia già la prima edizione della Sinfonia (1808, Breitkopf&Härtel) ometteva tale segno (evidentemente non su iniziativa dell'editore, ma su richiesta dell’Autore) riducendo quindi la macro-struttura ad A-B-A’, cosa che stravolge letteralmente la sostanza del movimento, trasformandolo da poderoso ritorno dell’iniziale e minaccioso Allegro con brio in fugace reminiscenza dell’incombere del destino in vista della vittoria della ragione.
Sin dai tempi di Beethoven e fino agli anni 80 del ‘900 tutte le esecuzioni, essendo basate sulla partitura pubblicata, hanno proposto la forma accorciata dell’Allegro: qui il punto preciso, fra le misure 236 e 237, dove attacca la sezione finale A’, senza alcuna ripetizione di tutto ciò che precede, sezioni A-B:
Bene, adesso non ci resta che ascoltare le due... campane, dopodichè ciascuno di noi può maturare un’opinione in proposito. Dapprima la versione più diffusa, qui con Erich Kleiber: il momento del passaggio diretto da B ad A’ è precisamente a 3’21”. Ecco invece la versione lunga, diretta da Blomstedt: a 3’33” si ritorna da capo e solo a 6’50” si passa alla chiusura. In ballo ci sono quindi circa tre minuti e mezzo, che fanno davvero una differenza abissale tra i due approcci. Io confesso di propendere per la versione ristretta, come del resto si è fatto anche qui in Auditorium.
La seconda parte del concerto è stata occupata
dalla Sinfonia
n. 5 in Re minore op. 47 di Shostakovich. Anche su di essa sono nate scuole di pensiero, alimentate
dallo stesso Autore con dichiarazioni all’apparenza quasi schizofreniche, e sono
scorsi fiumi d’inchiostro (qui
un mio modesto rigagnolo).
Vizireanu dimostra di fare le cose sul serio, se è vero come è vero che - oltre a quella di Beethoven, che forse è abbastanza abbordabile - lui ha impresso nella memoria anche l'intera partitura di questa Sinfonia, cosa che non è proprio da tutti.
Più
ancora che in Beethoven (dove il secondo movimento ha ampi squarci di DO
maggiore e il finale è tutta un’orgia trionfale) la Quinta di Shostakovich è un per-aspera-ad-astra
dove gli astra si raggiungono - con l’esplosione
del RE maggiore - solo alle ultime 35 battute della Sinfonia, che prima è
restata sempre ancorata al minore (RE,
LA, FA#, RE) con fugaci squarci in maggiore (vedi il passaggio dei celli nel Largo).
E il Direttore ha saputo proporci questo impervio cammino guidando un’Orchestra che Shostakovich lo conosce come le proprie tasche, guadagnandosi - assieme ai ragazzi - un successo pieno e meritato.
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