L’aggettivo potrebbe benissimo riferirsi
al livello complessivo dello spettacolo messo in scena dalla coppia McVicar-Rousset... in realtà dipinge
efficacemente il taglio dell’allestimento del regista albionico de La
Calisto di Francesco
Cavalli, arrivata ier sera alla terza delle cinque recite in cartellone, in
un teatro con parecchi vuoti, ma meno di quanti me ne aspettassi (buon segno, in fin dei conti, data la non entusiastica propensione nostrana per il barocco).
È ovviamente il libretto di Giovanni Faustini (a sua volta
tributario di Ovidio e della mitologia greca) ad aver dato l’idea a McVicar: e
non solo perchè la conclusione del dramma è ambientata nell’empireo e ci
notifica la nascita di una nuova costellazione celeste - l’Orsa Maggiore - in
cui la protagonista è trasformata per volontà del (quasi) onnipotente Giove. Ma
- e forse soprattutto - perchè uno dei deuteragonisti dell’opera è definito
come astronomo!
Ecco,
questa è un’invenzione bella e buona del librettista Faustini che - evidentemente in omaggio al suo contemporaneo Galileo Galilei - trasforma in
scienziato della volta celeste il personaggio di Endimione, in realtà un mite ed efebico pastorello che passava ore
e ore (apertura dell’Atto II, sul monte Liceo) a contemplare il cielo e
particolarmente la Luna (delle luci adorate, ... contemplator segreto) da qui il suo
innamoramento (ricambiato!) della casta-diva
Diana. La quale lo dipinge così: tu, che della mia sfera i volubili moti
dotto investigatore osservi, e noti. E Mercurio così ne parla: con lodevoli studi
vuol che l'ingegno sudi in specolar del ciel gl'astri lucenti. Silvano infine, così invita Pan a
lasciare Diana con Endimione, per poi screditarla pubblicamente: Partiamo, e col suo astronomo quest'orgogliosa
lascisi.
Ecco quindi spiegata l’idea di McVicar
di portarci nel planetario, anzi nell’osservatorio astronomico sul monte Liceo
(un Monte Palomar in sedicesimo) dove
Endimione esplora la volta celeste con una gigantesca copia del cannocchiale di Galileo, sotto il quale
poi si addormenta sognando la sua Diana. Idea che peraltro aveva avuto anche
tale Guercino che - sempre ai tempi
di Galileo e di... Faustini - aveva così rappresentato il pastorello-astronomo,
sognante lunatico munito di
telescopio:
Quindi, una
regìa che - scenograficamente, grazie a Charles
Edwards - prende una parte per il tutto, ma senza farci perdere nulla delle
altre parti. I costumi di Doey Liithi
sono dell’epoca della composizione, alcuni - specie nel prologo e nell’epilogo
- paiono usciti da quadri di Rembrandt.
Efficacissime le luci di Adam Silverman,
a caratterizzare - insieme ai video di Rob
Vale, che discretamente animano l’ambiente esterno alla specola - le
diverse e continuamente cangianti atmosfere che popolano la tumultuosa
successione delle scene. Jo Meredith
ha curato le coreografie, assai sobrie e contenute, in particolare il finale
dell’atto secondo, sottolineato dalla colonna sonora dell’Ouverture dell’Orione.
McVicar ha poi
curato da par suo la caratterizzazione dei personaggi, mettendo in risalto di
tutti le qualità, i difetti, i tic e le... ambiguità. E a proposito di
ambiguità (Diana, che Pan ci assicura di aver portato a letto, mentre con
Endimione pare avere rapporti esclusivamente... platonici) è strabiliante il
trattamento che il regista fa del duplice ruolo della dea (quella autentica e
la sua imitazione da parte di Giove) impersonata da Olga Bezsmertna. La quale, oltre che sfoderare la sua voce ben
impostata e penetrante, riesce a compiere un autentico miracolo, quello di una
femmina che interpreta (oltre che il suo proprio) anche il ruolo di un maschio
travestito da femmina che mostra atteggiamenti mascolini! Ciò è culminato nella
spassosissima scena farsesca (second’atto) della commedia degli equivoci (la
falsa Diana insidiata da Endimione e poi da Pan) scena che da sola si merita il
prezzo del biglietto.
Ecco, questo è
un altro aspetto rimarchevole della regìa: saper rendere in modo efficace tutte
le diverse facce del drama, quelle
leggere, pruriginose, quasi da avanspettacolo (second’atto, come detto) e
quelle tremendamente serie (soprattutto nel primo atto) dove non è assolutamente facile
mantenere desto l’interesse dello spettatore a fronte di interminabili minuti
di puro declamato (il recitar-cantando) quasi in assenza di suoni provenienti dalla buca.
E a proposito di buca, da elogiare tutta la compagine mista (14 strumentisti di Les Talens
Lyrique rinforzata da 9 - 8 archi e un cembalo
- barocchisti della Scala) guidata dall’eccellente Christophe
Rousset
(cimentatosi anche al cembalo) che ha saputo produrre suoni compatibili con la
vastità del Piermarini ma senza per questo sconfinare in eccessi...
ottocenteschi.
Le voci hanno poi determinato il
successo dello spettacolo: tutte, con sfumature diverse, ovviamente,
all’altezza del difficile compito. Detto già della Diana della Bezsmertna, pieni voti per la protagonista Chen
Reiss, che ha saputo rendere al meglio ogni diversa sfumatura della ninfa:
ora casta sognatrice, ora inebriata dall’esperienza sessuale (saffica + ...qualcosina)
poi delusa dai rimproveri di Diana e di Giunone, infine onorata (ma con
retrogusto amarognolo) dell’onorificenza garantitale da Giove.
Eccellente Christophe Dumaux in Endimione, voce sottile ma penetrante, perfettamente
tagliata per le caratteristiche dell’efebico personaggio: ingenuo sognatore
alla mercè dell’instabile e ambiguo carattere di Diana e della gelosia di Pan&satiri.
E fra i satiri,
ecco l’impertinente Satirino di Damiana Mizzi,
splendida presenza scenica, cui mancano (alla voce) alcuni decibel per essere perfetta!
Markus Werba è l’interprete
ideale di Mercurio: per la voce, di baritono perfettamente a suo agio con una
tessitura alta, e per la presenza scenica da consumato viveur...
Il personaggio musicalmente
più controverso, Linfea, è affidato qui ad una vera femmina (sì, poi ci sono
anche maschi, maschi e femmine travestiti, ed altro ancora nel variegato mondo LGBT):
Chiara Amarù ne è interprete squisita
e... determinata a godere di tutte le sue prerogative di femmina! Davvero una
scelta azzeccata di regista e direttore.
Centrata anche l’interpretazione di Giunone
da parte di Veronique Gens, che ha
messo la sua bella voce di soprano lirico al servizio di questo personaggio che
i tradimenti dell’illustre marito hanno reso arcigno e intollerante.
Ed appunto Giove, il fedifrago, capace
però non solo di impulsi di bassa animalità, ma anche (nel finale) di nobili
sentimenti, è apprezzabilmente reso da Luca
Tittoto, voce corposa e gran portamento.
Un altro basso, Luigi
De Donato, è un apprezzabile interprete di Silvano, parte secondaria ma non
proprio trascurabile. Così come il Pan (Pane nel testo) di John Tessler, che veste anche i... panni del concettuale personaggio
Natura. Completano questo cast di
alto livello le due Furie Federica Guida
(anche Eternità) e l’omonima (ma non parente, a quanto pare) della più celebre Krassimira,
Svetlina Stoyanova (anche Destino).
Inutile dire dell’autentico trionfo finale tributato a
tutti indistintamente, per uno spettacolo che merita di essere immortalato (beh,
si parla di... divinità) su supporti audiovisivi per i posteri. Per il momento,
chi appena può permetterselo non perda le restanti due recite programmate nei prossimi
giorni.