intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

31 agosto, 2020

La Nona castellata chiude la BeethovenSummer de laVerdi

Il maltempo che ha flagellato Milano per due giorni si è ritirato ieri pomeriggio (ma solo per qualche ora, tornando a farsi vivo in tarda serata) per doveroso rispetto verso la chiusura della BeethovenSummer, con la Nona suonata e cantata all’aperto nel primo piazzale del Castello Sforzesco, dove si è tenuta e si conclude oggi l’estate sforzesca 2020.

Certo, quello era l’unico modo per eseguirla di questi tempi, dato che l’impiego del palco dell’Auditorium avrebbe comportato una smaccata quanto negazionista deroga alle più elementari regole di comportamento dettate dalla lotta allo sbifido Covid-19... e così Giove pluvio si è per una volta ammorbidito, evitando di trasformare qualche centinaio di irriducibili seguaci de laVerdi in altrettanti... Fantozzi.

Ciò premesso, non sarà certo il caso di fare analisi profonde su un’esecuzione condizionata da pesanti fattori ambientali (ce la immaginiamo una Nona eseguita, ai tempi di Beethoven, sull’erba del Prater di Vienna?) ma invece si devono fare i complimenti a tutta la squadra per averci regalato un’ora di sano piacere in piena sicurezza, proprio mentre contiamo a migliaia i casi di contagi fra chi ha creduto di... fare-il-furbo.

Il prossimo 20 settembre si torna in un tempio, con il concerto alla Scala.

26 agosto, 2020

laVerdi presenta la parte 20 della stagione 20-21

Questa mattina all’Auditorium di Largo Mahler Ambra Redaelli (Presidente) e Ruben Jais (Direttore Generale ed Artistico) hanno presentato la prima parte della prossima stagione 20-21 de laVerdi. Si tratta di una serie di 13 concerti (fino a fine anno) che seguiranno quello inaugurale fuori abbonamento (alla Scala, come ormai tradizione) già in precedenza annunciato per il 20 settembre prossimo.

Gli Assessori alla Cultura della Regione Lombardia (Stefano Bruno Galli) e del Comune di Milano (Filippo Del Corno) hanno onorato l’avvenimento con la loro presenza, confermando così il sostegno bipartisan (anche economico, cosa quanto mai importante dati i tempi grami) delle Istituzioni pubbliche a questa che è una delle principali realtà culturali di Milano e della Lombardia (ma non solo, è il caso di aggiungere).

Evidentemente l’esperimento della BeethovenSummer (che chiuderà domenica) deve aver superato l’esame, visto che questa prima parte della 20-21 ne mantiene le caratteristiche salienti: da quelle materiali e tecniche (assetto della sala, niente intervalli e bar) a quelle dei programmi proposti (durata contenuta dei concerti e numero limitato di strumenti sul palco).

Per ovviare alla diminuita capienza della sala, 9 dei 13 concerti verranno proposti su quattro date (giovedi-venerdi-sabato-domenica) e i restanti 4 sulle tradizionali tre (è escluso il sabato).

Accanto alla stagione principale non mancano alcuni interessanti cicli collaterali: Crescendo in musica (per i giovani); POPs (omaggi classici alla musica leggera); Musica&Scienza (alla seconda edizione); e la novità 2x1, una serie di tre concerti guidata dal musicologo Fabio Sartorelli, che mette gli estremi a confronto.

Sul fronte di quello che nelle imprese va sotto il titolo di R&S (Ricerca & Sviluppo) Jais ha annunciato che dal prossimo anno Silvia Colasanti succederà a Fabio Vacchi nella posizione di Compositore in residence: è anche questo un segno della continuità di impegno de laVerdi sul piano dell’innovazione.

Insomma, non è un pranzo di gala, ma con i tempi covid che corrono è meglio non fare gli schizzinosi, anzi...

23 agosto, 2020

La nuova stagione autunnale della Scala aprirà in Duomo

Come noto da qualche settimana, tutta la parte della stagione scaligera 19-20 da settembre a subito prima di SantAmbrogio è stata completamente riprogrammata rispetto al calendario originale: vi spiccano il Requiem verdiano in Duomo (poi a Bergamo e Brescia); tre opere (Traviata e Aida in forma concertante e Bohème sulla scena); una serie di concerti; balletti; recital e programmi per i giovanissimi.

Platea e palchi saranno occupabili solo in parte, per rispetto delle regole di distanziamento. La vendita di biglietti al pubblico - il Requiem e la prima della Nona Sinfonia saranno riservate al personale sanitario, vero baluardo contro il virus in questi mesi - sarà aperta dal 3 settembre, ma già dal 20 agosto gli abbonati possono giovarsi di una prelazione per l’acquisto, potendo impiegare il voucher loro attribuito a rimborso degli spettacoli cancellati da marzo causa-Covid.

Il primo appuntamento (su RAI5 e Radio3 ore 20:30) è col Requiem in Duomo, venerdi 4 settembre.

21 agosto, 2020

Il ROFid ha pagato l’ultima cambiale


Ieri sera si è chiuso, nello smagrito Teatro Rossini, il 41° ROF, che passerà alla storia come l’edizione pandemica...

Pesaro - all’apparenza almeno - sembrava quella di tante altre chiusure di Festival, a parte qualche individuo... mascherato: biciclette sfreccianti; la fontana con la sfera sventrata di Pomodoro circondata da frotte di selfie-isti; lungomare piacevolmente affollato; fungaia di ombrelloni ancora aperti alle 7:30 di sera; qualcuno che sguazza a godersi l’ultimo bagno della giornata; tavolini dei bar occupati senza troppa attenzione al distanziamento; ristoranti dove si preparano i coperti per la cena... Insomma, almeno da queste parti non pare proprio che ci si stia attrezzando alacremente in vista della tanto paventata apocalisse d’autunno, ecco (o stiamo tutti proverbialmente ballando sul Titanic?)      

Nel teatro le cose cambiano vistosamente rispetto alla normalità: mascherine obbligatorie, disinfettanti per le mani e regole di distanziamento almeno teoricamente rispettate. Fa impressione davvero l’interno della sala: un pavimento posticcio è stato installato ben al di sopra del livello della platea, arrivando a meno di mezzo metro dal piano del primo ordine di palchi; chi - come me - stava proprio lì aveva l’orchestra, che occupava più di metà di quello spazio, proprio davanti al naso. Insomma, qualcosa di troppo insolito, e non tanto per la vista, quanto per l’udito. Poichè nonostante gli sforzi dei cantanti e l’attenzione di Dmitry Korchak (una creatura tenorile del Festival, quest’anno esordiente qui come Direttore) a moderare i decibel dell’orchestra, ciò che arrivava alle orecchie non era precisamente quell’amalgama gradevole di suoni cui si è abituati.

E Marianna Pizzolato, ormai veterana del ROF, ne ha fatto un po’ le spese, aprendo la serata con la versione orchestrata da Sciarrino della Giovanna D’Arco, cantata composta a Parigi nel 1832 (ma ormai è certo che quella data vada incrementata di una ventina d’anni) per voce e pianoforte. Qui la stessa Pizzolato nella recita inaugurale dello scorso 8 agosto, trasmessa in streaming. Dal vivo la sua voce faticava davvero ad attraversare adeguatamente la barriera sonora orchestrale (forse meglio sarebbe stato eseguire la versione originale).

Pubblico forzosamente scarso (c'erano però posti vuoti oltre il necessario) ma assai caloroso nell'accogliere questo antipasto della serata.
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Senza intervallo si procede subito con La Cambiale di Matrimonio, alla sua quarta apparizione al ROF, dopo l’esordio del 1991 e i ritorni del 1995 e 2006. Questa nuova produzione è realizzata in collaborazione con la ROH di Muscat (Oman). Qui la recita dell’apertura.

Oltre al tenore-direttore, abbiamo qui anche il tenore-regista, chè Laurence Dale, il quale ha messo in piedi uno spettacolo piacevole, nel rispetto delle regole di distanziamento, e soprattutto senza stravolgere l’essenza del soggetto originale (cosa peraltro ardua, data la natura leggera dell’opera).

Gary McCann è il responsabile dell’intelligente scenografia (la facciata della residenza di Mill che si apre lasciando apparire gli interni, e pure un parco) e dei brillanti costumi. Ralph Kopp ha curato sapientemente le luci.

Carlo Lepore (la cui prima apparizoone pesarese risale al 1996!) è stato il trascinatore degli altri cinque interpreti e il trionfatore della serata: un Mill di gran presenza scenica, voce sempre robusta e ben impostata, nobiltà di portamento.

Iurii Samoilov fu già un più che discreto Omar nel Siège del 2017 e direi che in questi tre anni sia ulteriormente migliorato, restituendoci un convincente Slook, assai composto rispetto a quanto si vede (e si sente) spesso in giro; e la sua età gli darà certamente modo di migliorare ancora. Anche Martiniana Antonie si è già esibita come Elmira (Ricciardo&Zoraide del 2018) e poi come Azema (Semiramide, 2019): qui ha meritoriamente interpretato il ruolo della servetta Clarina, applaudita nella sua aria.  

Gli altri tre interpreti erano tutti al primo approccio con il cartellone principale del Festival, ma sono altrettanti prodotti dell’Accademia, che in anni recenti si son fatti le ossa rossiniane prevalentemente con quella fucina che è Il viaggio a Reims (che anche quest’anno ha avuto le due recite canoniche).

Su tutti Giuliana Gianfaldoni, che ha impersonato la proto-femminista Fannì con garbo e spigliatezza, ma soprattutto mettendo in luce la sua bella voce, sempre ben controllata e senza smagliature.

Ma più che bene anche l’Edoardo di Davide Giusti, tenorino di belle speranze (ma ha già una discreta carriera alle spalle); e il domestico-intrigante Pablo Gàlvez (Norton) che ha fatto piacevolmente coppia con Clarina.

Korchak ha concertato tutti con diligenza, ben coadiuvato dalla valida Sinfonica Rossini di Pesaro: per il momento lo giudicherei promettente... il futuro ci dirà se sia meglio come direttore che come tenore.
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All’uscita-artisti c’è a salutare tutti un baldo giovane che qui fa un po’ il padrone di casa: Michele Mariotti. Ecco, anche questa edizione nata davvero sotto cattiva stella corona va in archivio, e tutto sommato con pieno merito: non deve essere stato semplice nè facile allestire comunque un programma dignitoso, evitando un lockdown totale che sarebbe stato davvero difficile da digerire. E adesso... largo ai vaccini! Per poter arrivare senza problemi al prossimo appuntamento, con Moïse (Sagripanti-Pizzi),  Bruschino (Spotti-Barbe&Doucet), Elisabetta (Pidò-Livermore) e Stabat (Bignamini).

18 agosto, 2020

Romiti e laVerdi

Forse pochi sanno che Cesare Romiti - oggi ricordato come grande manager e in particolare come N°1 di FIAT negli anni 70-80 e in particolare ancora come ispiratore della famosa marcia dei 40mila del 1980, che pose fine alla rivolta sindacale e alla minacciata occupazione della fabbrica di Mirafiori - fu, fino al 2019, Presidente del Consiglio Generale della Fondazione Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi (laVerdi).   

La quale Fondazione oggi si unisce al cordoglio per la scomparsa.

Amendola > Napolitano > Corbani/Cervetti > Romiti... ecco la filiera migliorista. Che però, almeno in questa occasione - selon moi - ha prodotto qualcosa di buono.

17 agosto, 2020

Epopea del Gruppetto

Cazzeggiando in attesa della seconda ondata (con tutti questi gruppi e gruppazzi in giro le avvisaglie lasciano ben sperare...) di che parliamo? Di Beatles, Rolling Stones, Litfiba, ...?

Beh, sempre di musica si tratta, ma in tutt’altra accezione. Il gruppetto qui considerato è quella figura musicale impiegata originariamente come abbellimento, costituita di norma da una quartina di note (non esplicitamente scritta, ma rappresentata da un segno) che si interpone fra due note della melodia, con un andamento sinusoidale ed occupando una parte del tempo di fatto rubata ad altre note della battuta.

Le due principali forme sono la diritta (o diretta) dove la quartina parte dalla nota superiore a quella che precede il segno (quindi prima scende e poi risale); e la rovesciata, dove la quartina parte dalla nota inferiore a quella che precede (quindi prima sale e poi ridiscende).

Ecco un paio di esempi presi da Beethoven e Wagner.

Gruppetto diritto: Romanza per violino in FA maggiore, Op.40

Gruppetto rovesciato: Rienzi, atto V, Du stärktest mich, du gabst mir hohe Kraft (è anche il tema fondamentale dell’Ouverture)

Ecco però come il gruppetto si evolve nel tempo, abbandonando il semplice segno per assumere i caratteri (e ritagliarsi il tempo!) delle altre note della melodia. Sempre Beethoven e Wagner:

Ex-Gruppetto diritto: Quinto concerto per pianoforte, Op.73

Ex-Gruppetto rovesciato: Götterdämmerung, Prologo, risveglio di Brünnhilde

Ecco un ulteriore, celebre esempio (Weber) di scrittura esplicita in sostituzione di un possibile impiego del gruppetto rovesciato: Der Freischütz, atto II, Süss entzückt entgegen him (è anche il tema fondamentale dell’Ouverture)

Ma è con Mahler che il piccolo segno di abbellimento acquisisce ulteriore articolazione, nell’intima struttura e nell’enfatica nobiltà:

Terza Sinfonia, finale

Come si nota, nel secondo caso la quartina è cresciuta a quintina... Cosa che si ripete più tardi:

Ottava Sinfonia, scena finale del Faust

E, a proposito di quintine, anche Bruckner non vuole esser da meno: ecco come presenta un enfatico Höhepunkt nel terzo tempo della sua monumentale Ottava:

Tornando a Mahler, nel Finale della Nona Sinfonia abbiamo un ulteriore esempio di gruppetto diritto esploso nelle quattro note:

É poi l’estrema perorazione dei quattro corni a suggellare grandiosamente l’epopea del nostro minuscolo segno:

09 agosto, 2020

Il ROF onora la sua cambiale

Ieri sera il glorioso Teatro Rossini, con la platea trasformata in golfo mistico, ha inaugurato la 41a edizione del ROF, fortemente condizionata dalla pandemia che ha colpito l’intero pianeta.

La prima (La cambiale di matrimonio preceduta da Giovanna d’Arco) è stata meritoriamente irradiata in streaming permettendo a tutti gli appassionati di ritrovare quel Festival che dal lontano 1980 non ha mai mancato l’appuntamento agostano.

Anche qui l’ambientazione inconsueta crea qualche iniziale disagio, ma tutto sommato meglio così che il lockdown!

Esecuzione dei due titoli in programma più che apprezzabile; ne riferirò ancora più avanti, dopo visione dal vivo.

06 agosto, 2020

BeethovenSummer: pastorale e ur-Fidelio

Nell’intervallo fra un mare e un lago ho trovato modo di tornare nello smagrito Auditorium di Largo Mahler per ascoltare il sesto dei nove concerti della kermesse che laVerdi ha messo in programma per l’estate post-lockdown.

Sempre Flor sul podio per proporci la più celebre delle pastorali, preceduta però dall’Ouverture che accompagnò la prima esecuzione (1805) dell’opera che diventerà poi famosa (dal 1814) col titolo di Fidelio: la Leonore II. Che in qualche modo fa da battistrada per la più celebre Leonore III (1806); la quale poi - a sua volta rimpiazzata nell'opera dalla definitiva Fidelio - resterà però nel repertorio di tutte le Orchestre come pezzo da concerto (oltre ad essere spesso eseguita durante il cambio-scena del second’atto).

Questa Leonore II, per noi che conosciamo a memoria la successiva, appare come un frutto ancora un po’ acerbo, che però ci permette di apprezzare - con l’immaginazione - ciò che sappiamo arriverà di lì a poco. Un esempio fra tanti: i due interventi della trombetta del tirapiedi di Pizarro annuncianti l’arrivo del Ministro (pur perfettamente eseguiti da dietro le quinte da Antonio Signorile) hanno ben poca drammaticità rispetto a quelli che Beethoven comporrà in seguito per l’opera e incorporerà nella Leonore III.    

 Ma è comunque un bene eseguire questa Ouverture in un Festival...

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Dopo questo insolito antipasto, accolto con calore dallo sparso pubblico dell’Auditorium, ecco la Sesta.

Confesso che fatico ancora ad abituarmi a queste esecuzioni smagrite, causa Covid. Adesso faccio un battuta davvero di basso livello: è un po’ come se, dopo anni e anni di immagini di una Valeria Marini nella sua sfrontata opulenza, la vedessi oggi in versione... anoressica: certo è sempre lei, ma non è facile far finta di nulla, ecco.

Oltre a smagrirla di volume, Flor, contrariamente alle sue abitudini (e forse per rientrare nel limite dei 60 minuti complessivi di durata del concerto, imposti dalle regole di ingaggio col Covid) ignora anche tutti i da-capo della Sinfonia... (Ma forse lo fa anche per risparmiarci troppe visioni della Valeria anoressica, hahaha!)

No, scherzi a parte, esecuzioni come questa ci permettono invece di afferrare tanti particolari che spesso si perdono nel magma sonoro prodotto dai grandi complessi. E per questo è stata salutata da convinti applausi, in particolare per i fiati - strumentini in testa - che vi hanno un ruolo assai impegnativo.  

03 agosto, 2020

Time-out. Muti-Berlioz (2)


La seconda (e ultima) parte del dittico berlioziano interpretato da Riccardo Muti al Ravenna-Festival del 2008 ha come oggetto l’Op.14b, Lélio, ou Le retour à la vie.  

Come per la Fantastique, la cui lezione aveva avuto luogo nel 2007, anche il Lélio fu oggetto di prova d’orchestra al Teatro Alighieri. Come era accaduto a Salzburg l’anno precedente (e come anche a Parigi e Chicago successivamente) la voce recitante è quella di Gérard Depardieu.

Qui il video della prova. Che non era una generale (tenuta il giorno successivo) mancando il coro e il baritono, ma appunto una lezione sulla genesi e sulle caratteristiche salienti della composizione. Tre anni orsono avevo scritto alcune note sul Lélio, in occasione di una sua comparsa nella stagione de laVerdi, e quindi rimando i curiosi a quei commenti, influenzati anche da questa lezione mutiana (dare a Riccardo quel ch’è di Riccardo) colà menzionata.

Muti riconosce che il Lélio manca di unità musicale, essendo il risultato di un’operazione di assemblaggio di sei brani composti in precedenza e qui impiegati per supportare le confessioni - ultra-romantiche per davvero - dell’Autore.  

Per questa lezione non è presente il coro, che è chiamato ad interpretare tre dei sei numeri musicali. Così, mentre i sette interventi del recitante non subiscono alcun taglio, quelli che prevedono il coro vengono o mutilati (La chanson des brigands, di cui si prova solo l’introduzione) oppure eseguiti dalla sola orchestra, senza le voci, surrogate da... mugugni del maeschtre. In particolare Muti si scatena nella Tempesta, il brano di gran lunga più corposo (oltrechè conclusivo) dell’opera, arricchendo l’esecuzione anche con dotte citazioni shakespeariane.      

Depardieu, con la sua stazza da portaerei, è ovviamente al centro dell’attenzione, cosa del resto prevista dall’Autore e resa plasticamente evidente dalle dimensioni king-size della poltrona a lui riservata al proscenio. Muti lo accoglie con... calore, sottolineando impietosamente gli effetti che la temperatura torrida di Ravenna ha prodotto su quella gran massa di carne.

Non manca qualche piccola gag, come in occasione del Chant de bonheur e de La harpe éolienne, souvenirs, con le richieste di Muti di spegnere il condizionamento, il che provoca qualche smorfia di disappunto dell’attore. Il quale per il resto mette in mostra le sue qualità e la sua... imponente presenza scenica.

Muti, alla fine della lezione, mentre Depardieu raccoglie gli applausi del pubblico, pronuncia una frase tutta da interpretare: credevo di aver lasciato qualcosa di più... (!?)

Infine, ecco qui riproposto l’audio dell’esecuzione in concerto al Pala deAndré, inclusi gli 8 minuti di applausi finali per i protagonisti, in particolare per Depardieu, del quale si odono più che altro grugniti e risolini di soddisfazione e ringraziamento.

(2. fine)