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24 aprile, 2019

Un grande Strauss alla Scala


Ieri sera al Piermarini (con parecchi posti vuoti - peggio per gli assenti) è andata in onda la prima di Ariadne auf Naxos, nella nuova produzione targata Welser-Möst / Wake-Walker, una coppia (direttore-regista) che ha presentato l’opera a Cleveland (dove il direttore di Linz è di casa da un bel pezzo...) poco più di due mesi orsono, ma con orchestra, cast e team di regìa completamente diversi (di fatto quella produzione americana nulla ha a che vedere con questa della Scala).

Devo dire subito che il Kapellmeister mi ha abbastanza convinto, portando alla luce gli innumerevoli tesori di questa partitura e guidando orchestra e interpreti con una concertazione accurata e attenta ad ogni dettaglio. E la smagrita (come da copione) compagine scaligera (rialzata opportunamente nella buca di un buon mezzo metro) ha risposto nel migliore dei modi alle sue sollecitazioni: buon equilibrio fra le sezioni, proprietà di fraseggio e sonorità mai sbracate, proprio come è richiesto dalla lettera, oltre che dallo spirito, di quest’opera, che ha nella raffinatezza la sua caratteristica peculiare.

Opera bifronte, sappiamo, con un prologo-Singspiel, dove abbondano i parlati (e Alexander Pereira, che come sovrintendente sarà magari censurabile, ha invece tenuto banco alla perfezione nei panni del maggiordomo viennese, in sfolgorante livrea purpurea e con voce petulante) e dove i momenti musicalmente rilevanti - preludio a parte - si riducono alle esternazioni del Compositore e al suo confronto con Zerbinetta (gli altri cantano in recitativi accompagnati, o poco più); e poi il melodramma serio-farsesco, dove invece la mirabile musica di Strauss la fa da padrona da cima a fondo.    

In compenso la prima parte è quella dove c’è un minimo di azione, anzi di agitazione, causata dalle ripetute sorprendenti pretese del padrone di casa, di cui è portavoce il maggiordomo. La seconda parte è quasi totalmente statica, se si esclude il siparietto della caccia delle quattro maschere. 

Dopo il Preludio, suonato rigorosamente a sipario chiuso, ecco comparire al proscenio il sempre solido Markus Werba (insegnante di musica) e il padrone di casa (pro-tempore) del Piermarini, protagonisti del battibecco che apre il Prologo, durante il quale Pereira fa sventolare sotto il naso di Werba una banconota che gli consegnerà (bontà sua) solo al rientro dietro il sipario dopo gli applausi al termine della prima parte...

E all’apertura del sipario, invece che in austeri corridoi del Palast, siamo in un cortile dello stesso, dove hanno trovato parcheggio le roulottes e i camper delle due troupe ingaggiate per lo spettacolo: bianchi quelli dei melodrammatici e rossi quelli dei commedianti, nel rigoroso rispetto dei colori (nazionali e cittadini) del luogo.

Qui c’è un crescendo di animazione, in una fantasmagoria di colori, quella dei costumi (una mescolanza di antico e moderno) di Jamie Vartan (responsabile anche delle scene): ne è protagonista il compositore, alias la bravissima Daniela Sindram, che ha modo di esternare tutta la sua apprensione, il suo amor proprio ed anche le sue mirabili melodie. Raggiunto, verso la fine, da una Zerbinetta (che si scatenerà poi nell’opera) che qui mostra il lato umano e nascosto della sua esuberante personalità, riuscendo a far tornare nel compositore l’entusiasmo e l’ottimismo, che peraltro dureranno poco, se è vero che il poveretto si trafiggerà con un coltello preso dall’argenteria del palazzo, sui truci accordi di DO minore che chiudono il Prologo.

Nel quale hanno anche cantato meritoriamente il Maestro di danza Joshua Whitener e i tre accademici scaligeri, Riccardo Della Sciucca (Ufficiale) Ramiro Marturana (Parrucchiere) e Hwan An (Lacchè). Quanto ai due protagonisti dell’opera seria (Ariadne e Bacchus) nel prologo si limitano più che altro a lamenti e rimostranze, sfoggiando supponenza e disprezzo per l’altra troupe; i quattro compari di Zerbinetta si muovono senza aprir bocca, così come le tre svampitelle che nell’opera impersoneranno ninfe ed eco.

E l’opera, appunto, vede lo scenario (e la scena) mutare drasticamente: siamo in un ambiente asettico, caratterizzato da luce azzurrognolo-verdastra (evocazione di paesaggio marino, assai azzeccata da Marco Filibeck) e popolato da acutissime guglie (le scogliere di Nasso). Al centro un’enorme vongola tecnologica (la conchiglia del Botticelli) con le due valve aperte sulle quali si muove lentamente Ariadne, e che si richiuderanno poi temporaneamente quando la protagonista si ritirerà all’interno della sua spelonca.

Ma ciò che colpisce è la trasformazione dei personaggi della troupe dell’opera (Ariadne, Najade, Dryade ed Echo, successivamente Bacchus) da individui complessati o insignificanti (come ci erano apparsi - nel prologo - nella vita reale) in grandi artisti, nobilitati dal teatro e soprattutto dalla... musica!

Come non restare ammirati dall’iniziale esternazione di Ariadne, una Krassimira Stoyanova invero commovente e pienamente calata nella parte della donna tradita, privata della cosa più preziosa che si possa desiderare, l’amore! Welser-Möst ne ha accompagnato i lamenti e i ricordi con discrezione, mettendo in risalto le purissime linee melodiche dell’orchestra e dei singoli strumenti.

E che dire della poesia del canto di Christina Gansch (Najade), Anna-Doris Capitelli (Dryade, dall’Accademia scaligera) e Regula Mühlemann (Echo) nelle loro ninna-nanne alla protagonista!

Michael König è stato un convincente Bacchus, voce proprio da Heldentenor, potente e squillante allo stesso tempo, senza sforzo apparente anche sui SIb cui la partitura lo chiama alla conclusione dell’opera. La sua apparizione è accompagnata dall’aprirsi della scena sul fondo, dove compare una ripida scala sulla quale scende il dio e sulla quale risaliranno (verso... le stelle) i due amanti alla fine. Da incorniciare il lungo duetto con Ariadne, una miniatura che ricorda l’enorme quadro del Tristan!

Zerbinetta&C - a differenza dei colleghi, più blasonati ma con puzza-al-naso, dell’altra troupe - sembrano vivere in teatro come vivono da privati cittadini: le quattro maschere hanno modo di farsi valere anche come... cantanti (!) e su tutti spicca (per corposità della parte) l’Harlekin di Thomas Tatzl, che sciorina impeccabilmente la sua infruttuosa serenata alla povera Ariadne. Gli tengono valida compagnia Kresimir Spicer (Scaramuccio), Tobias Kehrer (Truffaldin) e Pavel Kolgatin (Brighella) che inscenano la comica quanto inutile caccia alla soubrette, caccia conclusa invece con pieno successo da Harlekin, che conquista il cuore (e anche altro... ehm, organo!) della disinvolta attricetta.

Della quale è ora il momento di parlare, poichè è sicuramente la protagonista più appariscente dell’opera: e Sabine Devieilhe non si è smentita, lasciando tutti senza fiato con il suo massacrante recitativo-aria-rondò, inclusi i RE e MI sovracuti, che le ha garantito minuti di applausi a scena aperta.

Restano da citare Sylwester Luczak e Ula Milankowska per i filmati che hanno accompagnato la parte finale dell’opera e l’apoteosi dei due protagonisti.

Alla fine solo applausi e bravo! per tutti i protagonisti di questa proposta davvero accattivante, come livello musicale e come spettacolo; insomma, chi appena può, non se la perda!

20 aprile, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°26


Come da tradizione, la Settimana Santa ha portato in Auditorium (e in Duomo!) una delle Passioni di Bach, alternativamente la Matthäus e la Johannes. Quest’anno è toccato alla Matthäus, e a proporcela sono stati gli ensemble (vocale e strumentale) de laBarocca rinforzati dal Coro di Voci bianche de laVerdi. Sul podio, immancabilmente, Ruben Jais.

Ieri sera si è concluso il ciclo delle tre recite con un’esecuzione salutata trionfalmente dal foltissimo pubblico.

Ancora una volta lascio la parola a Monsignor Gianantonio Borgonovo, Arciprete del Duomo di Milano, che inquadra mirabilmente l’opera di Bach nel contesto storico-religioso dei suoi tempi.

Gianantonio Borgonovo

Johann Sebastian Bach: Tra storia e pietismo

Il contesto storico

Nella comunità cristiana, sin dai primi passi dopo la risurrezione di Gesù, il racconto evangelico della Passione, Croce e Risurrezione fu di grande rilievo e segnò la stessa nascita della Chiesa credente. Queste sezioni dei Vangeli hanno ricevuto da subito un’attenzione speciale nella celebrazione dell’Eucaristia nella liturgia cristiana lungo l’anno liturgico con un’enfasi di singolare solennità.

Risale probabilmente già al V secolo una drammatizzazione del testo, con una distribuzione su ruoli diversi (Evangelista, Gesù, Ponzio Pilato e altri). Heinrich Schütz assegnò a questi personaggi voci diverse e permise ai gruppi di persone di esibirsi come coro polifonico. Nel Sud della Germania, alla fine del XVI secolo c’era già la tradizione di interrompere il racconto della Passione con i corali cantati dall’assemblea. Pezzi poetici liberi come corali e arie sono stati inseriti dal XVII secolo. Nel tardo barocco, la Passione è stata musicata in tre modi diversi: la Passione-Cantata, l’Oratorio-Passione, come libero adattamento, e la Passione-oratoria. Bach decise per la Passione secondo Giovanni e secondo Matteo di adottare quest’ultimo genere.

Nel corso di un periodo di circa 100 anni (1669-1766), nella tradizione di Leipzig si recitarono i testi della Passione durante il servizio mattutino, in modo solenne, con recitazione dei testi della Passione nello stile del canto gregoriano. Solo nel 1717 il canto polifonico (figuraliter) è stato ammesso nella Chiesa Luterana, a St. Thomas nel 1721 e a San Nicola nel 1724, e poi alternativamente nelle due chiese principali. La Passionsmusik ha trovato posto nel servizio dei vespri a partire dalle ore 14 per 4 o 5 ore, mentre il posto originario era dopo il servizio iniziale del mattino che si protraeva dalle 7 alle 11. In ogni modo, le Passioni di J. S. Bach - diversamente da quanto avviene oggi - erano parte del servizio liturgico e non erano intese come musica da concerto.

L’influsso del Pietismo

Se lo spirito della Chiesa della Riforma ha portato Johann Sebastian Bach a valorizzare nel modo più puro la nuda parola dell’Evangelo, come un’incarnazione della Parola di Dio nella Sacra Scrittura stessa, la corrente spirituale del Pietismo ebbe un influsso di enorme portata nella rielaborazione dei testi delle Arie (Arioso, Recitativo accompagnato) e degli altri abbellimenti delle parti utilizzate (Corali) o inventate (Cori Madrigaleschi o rielaborati) dal grande Musicista.

Il pietismo era nato dalla percezione che mancasse il tocco della pietas, da una vita cristiana troppo mondanizzata e dall’urgenza di “dare corpo” alla fede personale. Potremmo dire che esso sia stato una risposta teologica allo stress e al trauma lasciato dalla Guerra dei Trent’anni, volendo così riorientare e riequilibrare le due dimensioni rappresentate, da una parte, dalla Parola scritta della Bibbia e, dall’altra, dalle tradizioni cristiane che la interpretano lungo i secoli di esegesi che stanno alle spalle.

Nel XVIII secolo, i rappresentanti del pietismo cercarono di opporsi all’emergente Illuminismo, come era avvenuto agli inizi della Riforma contro l’ortodossia protestante, formando così una corrente sempre più difensiva e chiusa nelle diverse comunità nazionali. Gli Illuministi avevano scosso la visione tradizionale del mondo con nuove scoperte di scienze naturali e sfidavano la teologia tradizionale. La teologia reagì con crescente “specializzazione scientifica”, divenendo però sempre più arida e incomprensibile ai membri non accademici delle comunità. Inoltre, lo Stato assolutista aveva richiesto un impegno per il dogma ufficiale della chiesa di campagna, ma aveva mantenuto una pietà personale molto inquietante, purché si rimanesse criticamente legati alla pietà tradizionale.

I pietisti criticarono entrambi gli sviluppi come un cammino puramente esteriore e contrario al loro ideale di pietà personale ed emotiva. Il pietismo si considerava, infatti,
un movimento biblico, laico e spirituale. Sottolineava il lato soggettivo della fede, ma sviluppava anche un forte tratto missionario e sociale. Nella pratica, i piccoli gruppi pietistici vivevano in quartieri di abitazioni con gruppi di case in cui si svolgevano gruppi di incontro per lo studio della Bibbia e la preghiera comune, spesso con un’importanza e dimensioni simili (o addirittura superiori) rispetto alle liturgie comuni.

A fondare il Pietismo Luterano è l’alsaziano Philipp Jacob Spener (1635-1705). Non c’è quasi un territorio luterano nel Reich tedesco con cui egli non avesse relazioni. Come manifesto di Pietismo Luterano, Spener si applica nel 1675 a pubblicare il volume Pii desideri (Utopia), in cui, passando da un lamento all’altro circa lo stato della Chiesa attuale e dei suoi membri, sviluppa un programma di riforma: introduzione di incontri per migliorare la conoscenza della Bibbia, i dipendenti di “laici” nel passaggio dalla conoscenza della fede all’atto di fede, la restrizione delle polemiche religiose, la riforma degli studi teologici accrescendo soprattutto la praxis pietatis, spostando il contenuto dalla conoscenza della fede verso l’edificazione dell’uomo interiore. Nel 1670 alcuni uomini giunsero a Spener con la richiesta di edificare gli scambi in riunioni speciali, che furono presto denominati Collegium pietatis o Exercitium pietatis. Spener lo organizzò nella sua canonica. Presso di loro, l’ora della costruzione o la lezione della Bibbia si sviluppò come la forma caratteristica degli eventi del pietismo fino ad oggi. Sono ancora chiamati in Germania e in altre aree le «ore». Nel Württemberg i loro visitatori si chiamano «Stundenbrüder», in tedesco «Stündeler»; in russo, nel diciannovesimo secolo il termine «Stundent» ha finito per significare «membro della setta». In queste conventicole, il pericolo di separazione dal resto della Riforma era virulento.

Per Johann Sebastian Bach il pietismo non ha ancora queste derive eterodosse, anzi bisogna riconoscere che, in particolare proprio nelle Passioni, in modo positivo ha contribuito alla lettura del testo biblico un afflato di sentimenti e di contemplatio spiritualis che difficilmente avrebbero potuto acquisire in altro modo. Basti, a modo di conclusione, rileggere il corale cantato dai due Cori come chiusura della Matthäus-Passion che il sublime organista di Leipzig non ha potuto non trascrivere - in diverso modo - anche nella Johannes-Passion immediatamente prima del corale conclusivo, con eguali note di spiritualità pietista (le parole sono del poeta e librettista Christian Friedrich Henrici, piu conosciuto con lo pseudonimo di Picandro o Picander):

Wir setzen uns mit Tränen nieder
und rufen dir im Grabe zu:
Ruhe sanfte, sanfte Ruh’!
Ruht, ihr ausgesognen Glieder!
Ruhet, sanfte, ruhet wohl!
Euer Grab und Leichenstein
soll dem ängstlichen Gewissen
ein bequemes Ruhekissen
und der Seelen Ruhstatt sein.
Ruhet sanfte, ruhet wohl!
Höchst vergnügt schlummern
da die Augen ein.
Ci inginocchiamo con lacrime
e gridiamo verso la tua tomba:
Riposa sereno, sereno riposa!
Riposate, o esauste membra!
Riposate serene, riposate!
La vostra tomba, la vostra lapide
dovrà essere un morbido cuscino
per la coscienza tormentata,
e il luogo di riposo per l’anima.
Riposate serene, riposate!
In somma beatitudine
gli occhi si chiudono al sonno.

16 aprile, 2019

Le peripezie dell’Arianna (in arrivo da Nasso alla Scala)


Quante opere ha composto Richard Strauss?

Mah, una quindicina, o giù di lì.

Beh, in realtà: una quindicina, o su di lì.

Sì perchè ce n’è una che ha vissuto un’avventura piuttosto complicata, essendo stata dapprima partorita assemblando parti eterogenee, e successivamente ancora smembrata e ricostruita in una specie di laboratorio per Frankenstein, a forza di trapianti ed espianti. Cosicchè da una ne sono nate altre due... più una Suite!



Ecco, dal 23 aprile la Scala ripropone - dopo quasi 13 anni - la seconda versione (1916) della sesta opera di Richard Strauss (terza della collaborazione con Hugo von Hofmannsthal): Ariadne auf Naxos.  

Come si deduce dallo schema sopra riportato, le due versioni dell’Ariadne hanno una struttura simile, ma componenti diverse. Quella del 1912 nacque per giustapposizione di due soggetti (della durata di circa 90’ ciascuno) legati da una transizione:

a) una rivisitazione (ad opera di Hofmannsthal, con riduzione da cinque a due atti) della commedia-balletto Le bourgeois gentilhomme di Molière, quindi una classica pièce di teatro di prosa, impreziosita dalle musiche di scena di Strauss, in parte e in qualche modo ispirate a quelle che Lully aveva composto per Molière; la chiusura, al posto della Cerimonia turca + Ballo delle Nazioni fu occupata da una invenzione del librettista (ma ispirata dal regista Max Reinhardt): una cena (Das Diner) che servì a Strauss per sbizzarrirsi - accompagnando musicalmente le varie portate - in parodie di opere famose (Meyerbeer-Prophète, Wagner-Rheingold, Strauss-Quixote-Rosenkavalier, Verdi-Rigoletto-Traviata...)

E poi, dopo una transizione puramente parlata (scambi di idee e discussioni fra gli interpreti e addetti ai lavori) che preparava il terreno per la seconda sezione dello spettacolo...

b) l’opera seria Ariadne, da rappresentarsi in casa del bourgeois Jourdain, un dramma musicale dal soggetto mitologico (Arianna, abbandonata da Teseo a Nasso, che aspetta la morte e viene invece riportata alla vita da Bacco, sfuggito agli incantesimi di Circe) deliberatamente inquinato (dalla fervida fantasia di Hofmannsthal) con l’intromissione di elementi e personaggi della Commedia dell’arte italiana (L’infedele Zerbinetta e i suoi quattro amanti).

Come si vede, un’idea allo stesso tempo geniale (teatro-nel-teatro - aspetto assente in Molière - e connubio innaturale, ma fecondo, fra dramma e commedia, plasticamente impersonato dalla coppia degli opposti caratteri di Ariadne e Zerbinetta) e azzardata, in quanto oggetto di natura bifronte (prosa + opera musicale) con le conseguenti e inevitabili difficoltà ad incontrare i gusti di due pubblici normalmente assai diversi.

E così purtroppo accadde che venerdi 25 ottobre 1912, a Stoccarda, la prima fu un mezzo insuccesso, anche a causa della macchinosa organizzazione: ricevimenti regali e lunghi intervalli che fecero durare lo spettacolo più di un Parsifal! Lasciando perplesso e infastidito - per opposte ragioni - sia il pubblico interessato alla commedia, che quello interessato al dramma musicale.



E le cose non andarono molto meglio (a Monaco, Dresda, Londra, Berlino, Vienna...) con le successive riprese, oltretutto assai costose a causa delle diverse risorse (attori - cantanti) richieste per la rappresentazione. Lo stesso Hofmannsthal fu il primo ad assumersi la responsabilità dei deludenti risultati, il che indusse i due autori ad operare una severa riflessione sul soggetto. Che a sua volta portò (in parallelo alla collaborazione sulla pretenziosa FrOSch) ad una radicale revisione dell’Ariadne (1916, versione 2): il parigino bourgeois di Molière divenne un facoltoso Bürger viennese e della prima parte dello spettacolo - accantonato Molière con le musiche di scena di Strauss - rimase quasi soltanto la transizione (di Hofmannsthal!) ora assai ampliata (40 minuti circa) e soprattutto magistralmente musicata, con la presentazione di temi che ricompariranno nell’opera.

Essa prese quindi la forma di colorita Introduzione (non per nulla denominata Vorspiel) esclusivamente focalizzata sulle vicissitudini della preparazione della recita dell’Ariadne, caratterizzate da un’incredibile serie di contrattempi e sorprese che mettono a dura prova la personalità di interpreti e addetti alla messinscena, svelandone qualità, debolezze, fisime e complessi (la realtà della vita che si mescola con la finzione del teatro!) In particolare è la figura di Zerbinetta a venirne esaltata - anche musicalmente - assai prima della sua comparsa nell’opera. Ma grande rilievo assume quella del Compositore, protagonista già nel breve Preludio orchestrale, che si apre presentandone i motivi caratteristici. E poi, i suoi molteplici cambiamenti d’umore e di stato d’animo (principalmente indotti proprio dal rapporto, conflittuale ma alla fine, chissà, benefico, con la disinvolta soubrette) portano alla luce problematiche non da poco, riguardo ad arte, estetica, psicologia e... filosofia!

Del Bourgeois viene quindi conservata la presenza di pochi personaggi e - quanto alla musica - è recuperata solo quella della mirabile arietta Du, Venus’ Sohn, ora cantata dal Compositore invece che dal soprano che doveva impersonare Echo nell’opera.

Quanto a questa (come i colori dello schema di cui sopra lasciano sospettare) essa fu una ripresa variata della versione precedente, dove le variazioni riguardano marginalmente il corpo dell’opera e abbastanza profondamente l’inquinante italiano. La prima ebbe luogo a Vienna, mercoledi 4 ottobre 1916 e da allora questa versione è entrata stabilmente in repertorio ovunque, relegando la prima nel dimenticatoio (solo abbastanza di recente la versione 1912 è stata riproposta, ma quasi sempre con pesanti manipolazioni ai testi del Bürger, i cui dialoghi sono stati di volta in volta o completamente rifatti o manomessi da registi e drammaturghi desiderosi di mettersi in mostra a buon mercato):



In seguito, con l'intenzione di non voler lasciare nell’oblio la musica scritta da Strauss per la prima parte dell’opera nel 1912, Hofmannsthal pensò di riprendere il suo Bourgeois e rimpolparlo in modo da creare un’opera separata sul soggetto di Molière. Chiese ovviamente a Strauss di rimpolpare pure la musica del 1912 (portata da 11 a 18 numeri) e così, ampliato a tre atti, con ripristino della cerimonia turca, Der Bürger als Edelmann (denominato - mutuando Molière - commedia con danze e nemmeno inserito nel catalogo operistico di Strauss) vide la luce a fine 1917 - inizio ‘18 e fu un nuovo... flop! E allora fu Strauss a decidere di non buttare tutto a mare: estrasse quindi dalle musiche del Bürger una Suite orchestrale di 9 numeri!

Ecco un quadro sinottico dell’evoluzione delle musiche del Bürger dal 1912 (prima versione di Ariadne) al ’18 (opera) e poi al ’19 (suite):

1912 (Ariadne 1)
1918 (opera)
1919 (suite)
Atto I
Atto I

1 Ouverture
1 Ouverture
1 Ouverture
2 Entrata di Jourdain
2 Entrata di Jourdain

3 Arietta (Du, Venus’ Sohn)
Portata nel Preludio all’Ariadne 1916 (Compositore)
4 Strofa di Jourdain
2a Strofa di Jourdain

5 Duetto (pastore-pastorella)
3 Dialogo musicale

6 Minuetto (maestro di danza)
4 Minuetto
2 Minuetto
7 Il maestro d'armi
5 Il maestro d'armi
3 Il maestro d'armi
8 Entrata e danza dei sarti
6 Entrata e danza dei sarti
4 Entrata e danza dei sarti
9 Finale
7 Finale

Atto II
Atto II


8 Preludio (minuetto di Lully)
5 Minuetto di Lully

9 Entrata di Cleonte
7 Entrata di Cleonte
10 Introduzione
10 Intermezzo
8 Intermezzo
11 La cena
11 La cena
9 La cena

12 Corrente (a canone)
6 Corrente

13 Finale


Atto III


14 Preludio (siciliana)


15 Melodramma


16 Cerimonia turca


17 Finale
(con Madrigale da Lully)


Insomma: da un’idea originale sono scaturiti addirittura quattro titoli di opere musicali, tutti - per ciò che riguarda Strauss - catalogati come Op. 60. Quindi non fidatevi di chi vi vuol propinare semplicemente l’Op. 60 di Strauss: potreste ricevere qualcosa di diverso da ciò che vi aspettavate...
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Chi fosse interessato ad avvicinarsi a queste opere, senza per questo intaccare il portafoglio, può trovare ampie possibilità di ascolto in rete. Io propongo qui degli esempi delle quattro facce dell’Op.60, ma su youtube c’è molto di più.

Ariadne auf Naxos - versione del 1912 - Edizione diretta da Nagano, 1997
  Parte prima (Der Bürger als Edelmann) (parlati: solo monologhi - non originali! - di Jourdain)
  Parte seconda (Ariadne)

Ariadne auf Naxos - versione del 1916 - Edizione diretta da Böhm, 1976

Der Bürger als Edelmann - versione del 1918 (senza parlati) - Edizione diretta da Schwarz, 2017

Der Bürger als Edelmann - suite del 1919 - Edizione diretta da Szell, 1968
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Un certo interesse destano le modifiche che Strauss (più che Hofmannsthal) introdusse nella seconda parte dell’Ariadne al momento di predisporne la seconda versione (quella ormai universalmente rappresentata).

Un primo provvedimento riguarda l'ovvia eliminazione di tutti gli interventi parlati di personaggi del Bourgeois (Jourdain, Dorantes, Dorimène) che nella prima versione di tanto in tanto commentavano l’esecuzione di Ariadne (Jourdain addirittura chiudeva l’opera con un ridicolo panegirico alla nobiltà della... nobiltà). Ma poi Strauss ha anche cassato alcune pagine, le quali (magari non tutte) avrebbero meritato di restare al loro posto. 

Le modifiche e i tagli (più di 10 minuti) riguardano principalmente, se non esclusivamente, Zerbinetta. Per il suo primo approccio ad Ariadne (Großmächtige Prinzessin) Strauss non cambia una virgola fino alla sezione che inizia con So war es mit Pagliazzo, dove introduce una prima modifica all’originale del 1912 (il soprano acuto che interpreta Zerbinetta ne è pesantemente interessato): la tonalità, invece di passare dal precedente REb al MI maggiore, modula al RE maggiore (passerà al MI solo alla fine del rondò). E stanti le acrobazie vertiginose contenute proprio nel successivo rondò, la cosa non è propriamente trascurabile (invece di uno stratosferico FA# si arriva soltanto - si fa per dire - al MI naturale!)

La tabellina che segue mette a confronto le due versioni (il riferimento dei minutaggi è alle due registrazioni citate più sopra, Nagano e Böhm):

1912 - Nagano

Böhm - 1916
31’24”
Großmächtige Prinzessin
1h11’33”
MI M   36’52”
So war es mit Pagliazzo
1h17’15”  RE M
38’39”
rondò - inizio
1h19’00”
44’37”
rondò - fine
1h22’33”

Balza agli occhi l’accorciamento del rondò, che fu abbastanza pesantemente rivisto e smagrito; ecco messe a confronto le due versioni (in giallo le parti tagliate):

rondò
1912 (MI M)
1916 (RE M)
Als ein Gott kam jeder gegangen
Und sein Schritt schon machte mich stumm,
Küßte er mir Stirn und Wangen,
War ich von dem Gott gefangen
Und gewandelt um und um.
14 battute
Als ein Gott kam jeder gegangen,
Jeder wandelte mich um,
Küßte er mir Mund und Wangen,
Hingegeben war ich stumm.
12 battute
Als ein Gott kam jeder gegangen,
Jeder wandelte mich um,
Küßte er mir Stirn und Wangen,
War ich von dem Gott gefangen,
Hingegeben war ich stumm!
20 battute
Kam der neue Gott gegangen,
Hingegeben war ich stumm.
14 battute

Ah!
26 battute
Hingegeben war ich stumm.
Kam der neue Gott gegangen,
Hingegeben war ich…
17 battute (7+10)
Hingegeben ah!
27 battute (7+20)
Ah!  (cadenza)
33 battute
Kam der neue Gott gegangen,
Hingegeben war ich stumm, stumm…
9 battute

145 battute
82 battute

Come si può notare, il taglio assomma a ben 63 battute su 145, corrispondenti a circa 2’30” su 6’ di durata, un gran bello sconto al soprano, non c’è che dire...

Trascurando altri piccoli interventi, arriviamo ad un nuovo corposo taglio alla parte di Zerbinetta. Bacchus, scampato alle magie di Circe, è giunto sull’isola e si è fatto udire (non ancora vedere) nei pressi della spelonca in cui Ariadne sopravvive malamente al dolore per l’abbandono di Theseus. All’udire la sua voce e convinta si tratti dell’attesa Morte, Ariadne esce dalla caverna e si dirige verso quella voce. Nella versione del 1916 (siamo a 1h39’35” della registrazione di Böhm) sentiamo Bacchus che ancora ricorda Circe, quindi Ariadne che invita la morte a prenderla con sè, ma poi (1h40’48”) si trova improvvisamente di fronte un individuo che inizialmente scambia per Theseus, poi crede di riconoscere in Hermes, messaggero di morte (infine farà la conoscenza di Bacchus).

Invece in origine (versione 1912) prima di Bacchus è Zerbinetta a farsi avanti per omaggiare Ariadne e poi annunciarle l’arrivo sull’isola di un personaggio dalle doti e qualità strabilianti: nella registrazione di Nagano a 1h00’54” sentiamo Bacchus, poi Ariadne e quindi (1h02’00”) l’intervento di Zerbinetta (con Echo). Dopo il quale Ariadne rimane sempre apatica e indifferente, e allora Zerbinetta e le ninfe la adornano sontuosamente per accogliere Bacchus (ma lei è convinta che l’abbiano così abbigliata in vista del suo... funerale). E solo a questo punto, dopo un interludio orchestrale che gli dà il tempo di arrivare sul posto, ecco apparire (1h07’31”) Bacchus, scambiato per Theseus.

Sono quindi più di 5 minuti di musica (un allegro walzerino) che Strauss decise di espungere nel predisporre la nuova versione dell’opera. A dirla tutta, questa non mi sembra poi una perdita irreparabile: poichè non si tratta certo di mirabili melodie straussiane. E anche l’interludio strumentale (66 battute) non è tale da destare grandi entusiasmi. 

E infine ecco la drastica modifica al finale dell’opera. Nella versione 1916 (Böhm) ascoltiamo (1h59’33”) l’ultima esternazione di Bacchus, dopo la quale abbiamo 14 mirabili battute di conclusione, mentre cala il sipario. Ben diversa, assai più articolata e francamente più debole la chiusura della versione originale (Nagano): a 1h26’46” ecco l’ultimo intervento di Bacchus, seguito (1h27’31) da 10 battute strumentali (verranno conservate nella versione 1916) e poi dal ritorno in primo piano (1h28’08”) di Zerbinetta che ci ripete ancora la sua disinvolta filosofia di vita, esibendosi in altri svolazzi, raggiunta (1h29’18”) dai suoi quattro compari. E non è finita, poichè una transizione strumentale ci porta (1h29’53”) davanti al padrone di casa (Jourdain) che - snobbato dai suoi invitati, andati via alla chetichella approfittando del suo appisolamento - ce la mena, in parlato, con la sua stupida e invidiosa esaltazione dei nobili veraci. Finalmente (1h30’46”) ecco le 8 spiritose battute sul sipario che cala  
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Tornando alla Scala, in questa nuova produzione vedremo come appropriatissimo interprete della parte di Maggiordomo (quante volte, nei gialli, è lui l'assassino?!) tale Alexander Pereira. Anche se lui si limiterà a parlare, senza emettere alcun suono musicale, sarà una bella occasione per i suoi detrattori per tirargli in testa ortaggi e monetine saudite (giuro che non è un’istigazione a delinquere...) 

La nuova produzione (con repliche da aprile a... giugno!) è affidata alla regìa di Frederic Wake-Walker, che ha già firmato per la Scala un paio di simpatici Mozart (Nozze e Giardiniera): date le caratteristiche della pièce c’è da augurarsi che il giovane albionico azzecchi anche questa.

Sul podio Franz Welser-Möst, che qui diresse proprio le citate Nozze del regista. Il maestro viennese dovrebbe avere questa musica un po’ nel sangue, quindi speriamo per il meglio.

L’eccellente Krassimira Stoyanova sarà la protagonista... formale (dicasi title-role) mentre quella di fatto, date le acrobazie da circo che dovrà sciorinare, sarà la 33enne Sabine Devieilhe, che avendo dato il nome ad un asteroide (il 33346) dovrebbe ben destreggiarsi nell’iperspazio di Zerbinetta (speriamo solo che non caschi nel buco nero recentemente immortalato a gloria imperitura di Einstein...)

Alla travestita Daniela Sindram toccherà la parte (già da lei sostenuta in passato) del compositore, che in questa versione dell’opera ha - come già ricordato - un ruolo fondamentale (pur relegato al solo Vorspiel).

Michael Koenig sarà Bacchus e Markus Werba farà il Maestro di musica. L’altra parte di un certo rilievo è quella di Harlekin, impersonato da Thomas Tatzl.

Staremo a sentire e vedere...