Ieri sera al Piermarini (con parecchi
posti vuoti - peggio per gli assenti) è andata in onda la prima di Ariadne
auf Naxos, nella nuova produzione targata Welser-Möst / Wake-Walker, una coppia
(direttore-regista) che ha presentato l’opera a Cleveland (dove il direttore di
Linz è di casa da un bel pezzo...) poco più di due mesi orsono, ma con
orchestra, cast e team di regìa completamente diversi (di fatto quella
produzione americana nulla ha a che vedere con questa della Scala).
Devo dire subito che il Kapellmeister mi ha abbastanza convinto,
portando alla luce gli innumerevoli tesori di questa partitura e guidando
orchestra e interpreti con una concertazione accurata e attenta ad ogni
dettaglio. E la smagrita (come da copione) compagine scaligera (rialzata
opportunamente nella buca di un buon mezzo metro) ha risposto nel migliore dei
modi alle sue sollecitazioni: buon equilibrio fra le sezioni, proprietà di
fraseggio e sonorità mai sbracate, proprio come è richiesto dalla lettera,
oltre che dallo spirito, di quest’opera, che ha nella raffinatezza la sua
caratteristica peculiare.
Opera bifronte, sappiamo, con un prologo-Singspiel, dove abbondano i
parlati (e Alexander Pereira, che
come sovrintendente sarà magari censurabile, ha invece tenuto banco alla
perfezione nei panni del maggiordomo
viennese, in sfolgorante livrea purpurea e con voce petulante) e dove i momenti
musicalmente rilevanti - preludio a parte - si riducono alle esternazioni del Compositore e al suo confronto con Zerbinetta (gli altri cantano in
recitativi accompagnati, o poco più); e poi il melodramma serio-farsesco, dove
invece la mirabile musica di Strauss la fa da padrona da cima a fondo.
In compenso la prima parte è quella dove
c’è un minimo di azione, anzi di agitazione, causata dalle ripetute
sorprendenti pretese del padrone di casa, di cui è portavoce il maggiordomo. La
seconda parte è quasi totalmente statica, se si esclude il siparietto della caccia delle quattro maschere.
Dopo il Preludio, suonato rigorosamente
a sipario chiuso, ecco comparire al proscenio il sempre solido Markus Werba (insegnante di musica) e il
padrone di casa (pro-tempore) del Piermarini, protagonisti del battibecco che
apre il Prologo, durante il quale Pereira fa sventolare sotto il naso di Werba
una banconota che gli consegnerà (bontà sua) solo al rientro dietro il sipario dopo
gli applausi al termine della prima parte...
E all’apertura del sipario, invece che
in austeri corridoi del Palast, siamo
in un cortile dello stesso, dove hanno trovato parcheggio le roulottes e i camper delle due troupe
ingaggiate per lo spettacolo: bianchi quelli dei melodrammatici e rossi quelli dei commedianti, nel rigoroso rispetto dei colori (nazionali e
cittadini) del luogo.
Qui c’è un crescendo di animazione, in
una fantasmagoria di colori, quella dei costumi (una mescolanza di antico e
moderno) di Jamie Vartan
(responsabile anche delle scene): ne è protagonista il compositore, alias la
bravissima Daniela Sindram, che ha
modo di esternare tutta la sua apprensione, il suo amor proprio ed anche le sue
mirabili melodie. Raggiunto, verso la fine, da una Zerbinetta (che si scatenerà
poi nell’opera) che qui mostra il
lato umano e nascosto della sua esuberante personalità, riuscendo a far tornare
nel compositore l’entusiasmo e l’ottimismo, che peraltro dureranno poco, se è
vero che il poveretto si trafiggerà con un coltello preso dall’argenteria del
palazzo, sui truci accordi di DO minore che chiudono il Prologo.
Nel quale hanno anche cantato
meritoriamente il Maestro di danza Joshua
Whitener e i tre accademici
scaligeri, Riccardo Della Sciucca
(Ufficiale) Ramiro Marturana (Parrucchiere)
e Hwan An (Lacchè). Quanto ai due
protagonisti dell’opera seria (Ariadne e Bacchus) nel prologo si limitano più
che altro a lamenti e rimostranze, sfoggiando supponenza e disprezzo per l’altra
troupe; i quattro compari di
Zerbinetta si muovono senza aprir bocca, così come le tre svampitelle che nell’opera
impersoneranno ninfe ed eco.
E l’opera, appunto, vede lo scenario (e
la scena) mutare drasticamente: siamo in un ambiente asettico, caratterizzato
da luce azzurrognolo-verdastra (evocazione di paesaggio marino, assai azzeccata
da Marco Filibeck) e popolato da
acutissime guglie (le scogliere di Nasso). Al centro un’enorme vongola
tecnologica (la conchiglia del Botticelli)
con le due valve aperte sulle quali si muove lentamente Ariadne, e che si
richiuderanno poi temporaneamente quando la protagonista si ritirerà all’interno
della sua spelonca.
Ma ciò che colpisce è la trasformazione
dei personaggi della troupe dell’opera
(Ariadne, Najade, Dryade ed Echo, successivamente Bacchus) da individui
complessati o insignificanti (come ci erano apparsi - nel prologo - nella vita
reale) in grandi artisti, nobilitati
dal teatro e soprattutto dalla... musica!
Come non restare ammirati dall’iniziale
esternazione di Ariadne, una Krassimira
Stoyanova invero commovente e pienamente calata nella parte della donna
tradita, privata della cosa più preziosa che si possa desiderare, l’amore!
Welser-Möst
ne ha accompagnato i lamenti e i ricordi con discrezione, mettendo in risalto
le purissime linee melodiche dell’orchestra e dei singoli strumenti.
E che dire della poesia del canto di Christina Gansch (Najade), Anna-Doris Capitelli (Dryade, dall’Accademia
scaligera) e Regula Mühlemann (Echo) nelle loro ninna-nanne alla protagonista!
Michael
König è stato un
convincente Bacchus, voce proprio da Heldentenor,
potente e squillante allo stesso tempo, senza sforzo apparente anche sui SIb
cui la partitura lo chiama alla conclusione dell’opera. La sua apparizione è
accompagnata dall’aprirsi della scena sul fondo, dove compare una ripida scala
sulla quale scende il dio e sulla quale risaliranno (verso... le stelle) i due
amanti alla fine. Da incorniciare
il lungo duetto con Ariadne, una miniatura che ricorda l’enorme quadro del Tristan!
Zerbinetta&C - a differenza dei colleghi,
più blasonati ma con puzza-al-naso, dell’altra troupe - sembrano vivere in teatro come vivono da privati
cittadini: le quattro maschere hanno modo di farsi valere anche come...
cantanti (!) e su tutti spicca (per corposità della parte) l’Harlekin di Thomas Tatzl, che sciorina impeccabilmente
la sua infruttuosa serenata alla povera Ariadne. Gli tengono valida compagnia Kresimir Spicer (Scaramuccio), Tobias Kehrer (Truffaldin) e Pavel Kolgatin (Brighella) che inscenano
la comica quanto inutile caccia alla soubrette,
caccia conclusa invece con pieno successo da Harlekin, che conquista il cuore
(e anche altro... ehm, organo!) della disinvolta attricetta.
Della quale è ora il momento di parlare,
poichè è sicuramente la protagonista più appariscente dell’opera: e Sabine Devieilhe non si è smentita,
lasciando tutti senza fiato con il suo massacrante recitativo-aria-rondò, inclusi i RE e MI sovracuti, che le ha
garantito minuti di applausi a scena aperta.
Restano da citare Sylwester Luczak e Ula
Milankowska per i filmati che hanno accompagnato la parte finale dell’opera
e l’apoteosi dei due protagonisti.
Alla
fine solo applausi e bravo! per tutti
i protagonisti di questa proposta davvero accattivante, come livello musicale e
come spettacolo; insomma, chi appena può, non se la perda!