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31 maggio, 2017

laVerdi verso il 2020 con Claus Peter Flor


Ieri sera, a margine dell’Assemblea dei Soci, che ha approvato all’unanimità il bilancio 2016 (chiuso con un piccolo ma significativo attivo) il Direttore Artistico della Fondazione, Ruben Jais, ha rivelato l’identità del nuovo Direttore Musicale che, dopo un anno di vuoto, prende il posto lasciato dall’emerita Zhang Xian. É una vecchia conoscenza de laVerdi, dove è stato di casa per anni ai tempi di Chailly e dove è tornato in questi ultimi tempi, dopo la parentesi malese: Claus Peter Flor, che rimarrà in carica fino al 2020 e già a luglio di quest’anno dirigerà 5 delle 9 sinfonie beethoveniane, nell’ambito della stagione estiva dell’Orchestra.

Altra novità annunciata da Jais è il ritorno alla stagione con calendario scolastico, dopo le due (post-EXPO) che avevano visto il passaggio al solare: avremo quindi la 17-18, costituita dalla porzione finale della 17 e dai primi 6 mesi del 18 (in tutto 31 concerti, contro i 34 precedenti) poi 18-19 e così via.

Dopo parecchi anni di distacco, tornerà a far visita all’Auditorium un’altra storica figura: il venerabile Vladimir Ivanovič Fedoseev.

26 maggio, 2017

2017 con laVerdi – 21


In attesa di conoscere (accadrà il prossimo 30/5) il nome del suo successore, ritroviamo sul podio dell’Auditorium Zhang Xian per riproporci uno dei monumenti del tardoromanticismo.  

L’ex-Direttora (adesso nominata emerita, come capita a molti ex-) è alla sua terza lettura del mahleriano Das Lied von der Erde con laVerdi: l’ultima volta fu quasi esattamente 5 anni orsono; la prima a gennaio del 2011 (in quell’occasione scrissi qualche nota sull’opera). E come per il primo incontro, anche questa volta l’antipasto è di stampo mozartiano: là la Haffner, qui la Piccola in Sol minore, di quasi 10 anni più giovane.

La K183, prima e penultima sinfonia mozartiana in tonalità minore (lo stesso SOL della celeberrima K550) apre un mini-ciclo (fino alla K202) che rappresenta un po’ la transizione dal Mozart fanciullo e italiano (nello stile di Johann Christian Bach) e il Mozart della maturità, che comincia a subire l’influsso di Haydn e delle sue sinfonie ispirate al movimento Sturm-und-Drang.
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Già l’attacco dell’Allegro con brio è emblematico di questa evoluzione, con la sua sincopata sequenza discendente SOL-RE/MIb-FA# (quest’ultimo intervallo è una drammatica settima diminuita) che fa da breve introduzione al primo tema, caratterizzato dall’incipit in arpeggio di SOL minore (sarà ripreso nell’ultimo movimento della K550, poi da Beethoven nella sua prima sonata per pianoforte):


Interessante l’articolazione del secondo tema, nella relativa SIb maggiore, tema in realtà costituito da due componenti, un motivo ancora nervoso e caratterizzato da ampi intervalli, l’altro inizialmente più statico, ma increspato dalle ripetute acciaccature:


Dopo il da-capo dell’esposizione, ecco il (relativamente) breve sviluppo, che appare quasi un semplice ponte verso la ricapitolazione. Qui, secondo i canoni della forma-sonata, dopo la riesposizione del primo tema, le due componenti del secondo ritornano, abbrunate,  in SOL minore. Altra particolarità da notare: l’intera sezione sviluppo-ripresa prevede(rebbe) un ulteriore da-capo. Segue quindi una coda, basata sulle battute dell’introduzione.   

Il successivo Andante è in MIb maggiore, tonalità sottodominante della relativa maggiore (SIb) del SOL minore d’impianto della sinfonia. É costituito da due sezioni, entrambe (teoricamente) da ripetersi. La prima è a sua volta strutturata come un’esposizione di due temi, il primo in MIb, con controsoggetto che porta al secondo, nella dominante SIb:

   
La seconda sezione è una specie di ripresa della prima, con il secondo tema che si accoda alla tonalità del primo (MIb).

Ecco poi il Menuetto, dalla classica struttura in due sezioni più il Trio. La tonalità è SOL minore, il piglio assai solenne e serioso:


La seconda sezione presenta semplicemente un contosoggetto che riporta al tema fondamentale. Il Trio è nella relativa SOL maggiore, affidato ai soli fiati (anche questa una scelta tradizionale, in origine si tratta di un genere per soli corni):


Vi si riconoscono le classiche due sezioni, da ripetersi prima della ripresa del Menuetto.

Chiude la Sinfonia un Allegro in SOL minore, che richiama nella struttura e nell’atmosfera sonora il primo movimento. Anche qui abbiamo un primo tema severo in SOL minore, esposto dapprima dai soli archi e quindi ripreso anche dai fiati:

Lo segue una coppia di motivi nella relativa SIb maggiore, assegnati agli archi e separati da un ponte a piena orchestra:


Il secondo motivo sfocia in una ripresa, in maggiore, del primo tema, che chiude la sezione, da ripetersi. Ecco la seconda, che inizia con un fugato in SOL minore, prima del ritorno del primo tema, seguito, canonicamente in SOL minore, dalle due componenti del secondo. La sezione sarebbe da ripetersi, prima della coda conclusiva.

Insomma, una Sinfonia cui il 17enne Teofilo deve aver dato molta importanza, del tutto... meritata!
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Xian, contrariamente alle sue abitudini, questa volta accorcia abbastanza poco, cassando i da-capo delle seconde sezioni dei due movimenti esterni e dell’Andante. Orchestra con organico proprio... dei tempi di Mozart, il che richiede a tutti di mettere in mostra le migliori qualità.
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Mahler battezzò il Lied come Sinfonia per una voce di contralto e una di tenore, pur lasciando aperta la possibilità di impiegare un baritono al posto della voce femminile. Dato che l’Autore non fece in tempo ad ascoltare la sua opera, per tradizione ci si è per molti anni attenuti alla sua prima indicazione. In ciò quasi... obbligati dalla ferma posizione di Bruno Walter, che diresse la prima a Monaco con un contralto, pochi mesi dopo la scomparsa dell’Autore e che, dopo aver provato a Vienna con un baritono, si convinse a sentenziare - senza possibilità di appello - in favore della voce femminile.   

In realtà, come hanno dimostrato recenti esecuzioni (il primo ad aprire la strada fu Fischer-Dieskau più di mezzo secolo fa) la voce di baritono non sembra per nulla far rimpiangere quella di contralto (o mezzosoprano). Anzi, da un punto di vista dei contenuti letterari dei testi cinesi, si può dire che sia la più appropriata ad interpretare le tre canzoni pari del ciclo: la seconda ha un titolo chiaramente maschile (Il solitario in autunno); la quarta descrive l’ammirazione di giovani fanciulle (una in particolare) per baldi cavalieri che scorrazzano lungo una riva; la sesta è ispirata alle vicende esistenziali di notabili cinesi che, lontani da casa e famiglia, trovavano conforto nella reciproca amicizia, con conseguenti attese e congedi dell’amico (sono i titoli delle due liriche che Mahler utilizzò per l’Abschied). 

Qui ascoltiamo ancora un contralto, quella stessa Carina Vinke che cantò anche nel 2012, e con lei il tenore Lorenzo Decaro. Auditorium assai poco affollato, il che sembra proprio una costante per il Lied, evidentemente un Mahler ancora poco apprezzato.

Grande prova dell’Orchestra, cui ha corrisposto solo a metà la parte vocale: mentre la Vinke se l’è cavata dignitosamente, altrettanto non si può purtroppo dire di Decaro, in evidente difficoltà: intonazione precaria, spelling discutibile e un clamoroso strafalcione (ritardo abbondante di entrata) nel primo Lied. 

Ma anche così, ascoltare questa musica è sempre (almeno per me) un’esperienza unica.

19 maggio, 2017

2017 con laVerdi – 20


Continuando una ormai consolidata tradizione, laVerdi inserisce nel programma della stagione principale l’esecuzione di un’opera lirica in forma di concerto (ricordiamo Chénier, Butterfly, Cavalleria...) Quest’anno è la volta di Gianni Schicchi, affidato alla bacchetta di John Axelrod e alle voci della Scuola dell'Opera del Comunale di Bologna.

“...come l’altro che là sen va, sostenne,
per guadagnar la donna de la torma,
falsificare in sè Buoso Donati,
testando e dando al testamento norma.”

Così Dante, Inferno, XXX. Si parla di Gianni Schicchi  che si sostituì al morto Buoso Donati che nel testamento olografo aveva lasciato tutti i suoi beni ai monaci, e in sua vece dettò al notaio un falso (ma registrato come regolare) testamento, dove indicò sè medesimo come erede dei beni del Donati. Fra essi "la donna de la torma”, che non è una specie di regina-delle-amazzoni, ma la mula più pregiata di tutta Firenze (Madonna Tonina era il suo nome, come ricordò Orazio Bacci in una sua lettura pubblica del canto dantesco il 10 maggio del 1900 in Orsanmichele a Firenze). Il principale gabbato fu il figlio (o fratello secondo alcuni) del Buoso, Simone, che aveva ingaggiato Schicchi per farsi nominare erede universale nel falso testamento, e invece si ritrovò con un pugno di mosche.

Il racconto particolareggiato della vicenda (dove il protagonista è chiamato Sticchi) si ritrova nel Commento alla Divina Commedia d’Anonimo fiorentino del secolo XIV°, originariamente pubblicato nel 1866 da Pietro Fanfani in appendice alla sua edizione del poema dantesco. Ne ho trovata traccia anche in una riedizione (Sansoni 1957) della D.C. con il commento di Tommaso Casini (1892) che mi fu regalata come premio scolastico 60 anni fa (!)


Orbene, a partire da questi scarni tratti di sapida cronaca fiorentina (e anche dai riferimenti al Volpone di Ben Jonson del 1605, compreso l’indirizzo finale del protagonista al pubblico) il genio di Giovacchino Forzano seppe costruire uno splendido libretto di cui Puccini letteralmente si innamorò a prima vista, dandogli la precedenza assoluta nel musicarlo, abbandonando momentaneamente la SuorAngelica.

Innanzitutto: in luogo del solo Simone il librettista schierò in scena l’intero parentado di Buoso (8 adulti più il piccolo Gherardino) e ciò diede modo a lui e a Puccini di creare le esilaranti e tragicomiche atmosfere che caratterizzano l’intera commedia. Poi aggiunse un tocco di genio con l’invenzione del personaggio del medico, che rese possibile la brillante scenetta del test di credibilità del travestimento di Schicchi. Ancora ecco l’invenzione dei rintocchi di campana a morto che gettano (solo momentaneamente) nella disperazione parenti e simulatore. Infine introdusse, legandola mirabilmente al soggetto principale, l’immancabile vicenda sentimentale, con annessa coppia soprano-tenore, tanto per garantire la presenza di un paio di arie e duetti... Il tutto con lo sfondo della magnifica Firenze, socialmente e culturalmente arricchita da apporti del vicinato: Val d’Elsa e Mugello (viene citato persino il Medici, che nel 1299 era ancora di là da venire.) 

Insomma, un vero gioiello, che non a caso è rapidamente divenuto il più famoso e rappresentato dei tre componenti del trittico, ovviamente grazie anche alla musica di Puccini, che dall’esecuzione in forma di concerto viene ancor più messa in risalto. 

Come per Verdi il Falstaff, lo Schicchi rappresenta per Puccini l’unica opera buffa, o semiseria, o commedia brillante che dir si voglia. Non c’è dubbio che Puccini abbia guardato a Falstaff come ad un eccelso modello, mutuandone l’umorismo sottile ed anche aspetti apparentemente marginali. Cito ad esempio una similitudine, microscopica nella dimensione, ma illuminante nel significato: fra l’espressione di Schicchi (“...cinque lire”) mentre annuncia il ridicolo lascito per Frati e SantaReparata, e quella di Falstaff (“...un’acciuga”) mentre legge la lista dell’oste:


Non mancano riferimenti a musicisti contemporanei a Puccini: Strauss fa capolino qua e là, e una reminiscenza mahleriana si riconosce nella chiusa del duetto finale Rinuccio-Lauretta:
 
Non a caso il duetto si è chiuso con “...il Paradiso” e il Ruhevoll della 4a di Mahler apre appunto le porte alla “vita celestiale”.
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Un Auditorium non propriamente preso d’assalto ha tributato un grande successo a tutti i protagonisti della serata: il Direttore e l’Orchestra, che hanno fornito una prova maiuscola (l’unico appunto che mi sento di fare ad Axelrod è di aver esagerato con il fracasso - pareva l’ottava di Mahler - con il quale ha sottolineato il parapiglia che segue l’uscita di scena del notaio, coprendo così le voci) e i bravissimi cantanti della Scuola bolognese, una piacevole sorpresa che testimonia della vitalità del mondo della lirica.

Mi limito a citare i tre protagonisti principali: Marta Torbidoni, il cui Babbino non ha mancato di ricevere l’applauso a scena aperta (innescato da... Axelrod); Rosolino Cardile (Rinuccio) che ha sfoggiato voce squillante e ben impostata; e lo Schicchi di Alex Martini, davvero convincente sia nel canto che nella sensibilità interpretativa (la contraffazione della voce del Buoso).

Insomma: una piacevolissima serata, che si ripeterà oggi e domenica.

14 maggio, 2017

Scalfari e la politica in... musica


Nel suo consueto editoriale domenicale Eugenio Scalfari si lancia in arditi quanto bizzarri paralleli fra sistemi politici e categorie musicali (!?)

Riporto il passaggio incriminato (le evidenziazioni in azzurro sono mie):

Resta tuttavia una realtà: le opinioni dei cittadini sono più variegate di due soltanto. Due sono il fondamento, ma i dettagli di quel fondamento si dividono su tre o quattro varianti. Possono convivere tra loro ed anzi alimentarsi reciprocamente al meglio, purché di quelle varianti si tenga conto.

Se vogliamo un esempio usiamo la musica che è la più adatta a farci capire di che si tratta: la chiave musicale non può che esser comune a uno dei due schieramenti e l’altro avrà una chiave diversa; ma le tonalità sono diverse anche in ciascuna delle chiavi che governano la melodia. Vi ricordate certamente che i cantanti di un’opera lirica vanno dal basso al baritono e al tenore. Ciascuno dei tre canta nella stessa chiave ma con tonalità molto diverse l’uno dall’altro. Queste sono le varianti anche in un sistema politico bipolare. Per realizzare questo che consente a ciascuno dei due schieramenti contrapposti di suonare in chiave unica con tonalità diverse e quindi più attraenti per gli elettori, si ottiene autorizzando le liste di coalizione al voto.

Apperò, il vegliardo Eugenio ha inventato la politonalità in politica! Dove basso e tenore cantano però nella stessa chiave (quella di basso per lo schieramento 1 e quella di tenore per lo schieramento 2).

Che dite, gli diamo un premio Abbiati? 

12 maggio, 2017

2017 con laVerdi – 19


L’ormai affermato 36enne Stanislav Kochanovsky fa il suo gradito ritorno sul podio dell’Auditorium per dirigere un programma di grande tradizione: Beethoven e Schumann.

Con lui Andrea Lucchesini, che si cimenta nell’ostico Terzo beethoveniano, un’opera che viene normalmente considerata come la vera e propria entrata nell’800 del genio di Bonn. Personalmente mi sentirei di applicare il concetto all’orchestra, cui Kochanovsky ha impresso un piglio eroico; mentre Lucchesini si è mantenuto su un piano ancora, diciamo, settecentesco, privilegiando leggerezza di tocco e cantabilità. Quasi insostenibile (ma in senso positivo) la sua interpretazione dell’agogica del Largo centrale, questo sì uno squarcio di romanticismo.

Meritati gli applausi ritmati (compresi quelli del suo giovane epigono Gabriele Carcano) che accolgono la sua prestazione, ricambiati con un funambolico Improvviso schubertiano (dove Lucchesini nulla ha da invidiare al leggendario Horowitz).
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Di Schumann riascoltiamo la Quarta (seconda in ordine di composizione) sinfonia. Il Maestro russo conferma le sue doti, mostrando grande attenzione ai dettagli, segno di studio approfondito di questa partitura travagliata. Il taglio del ritornello nel finale lascia un po’ l’amaro in bocca, ma è evidentemente una scelta stilistica ben precisa.

Benissimo i ragazzi, guidati da Dellingshausen, nell’assecondare al meglio le intenzioni del Direttore. Successo pieno in una sala discretamente affollata.

PS.: il Presidente Cervetti ha preannunciato – in una lettera ai soci – che il 30 maggio verrà reso noto il nome del prossimo (“autorevole”) Direttore musicale: si accettano scommesse...

07 maggio, 2017

2017 con laVerdi – 18


Tutta Italia e tutto Novecento per questo nuovo appuntamento in Auditorium. Lo specialista in musiche nostrane Giuseppe Grazioli ci ha infatti presentato un programma occupato da Respighi (per la verità ispirato anche da... forestieri) e Marinuzzi.

Del compositore bolognese abbiamo ascoltato tre arrangiamenti di musiche non sue, a cominciare da Chopin, del quale è stata eseguita la trascrizione della Polacca op.40, prodotta nel 1920 (insieme a quella del Preludio op.20) come parte della musica per il balletto di Ileana Leonidov intitolato La Pirrica.

Le trascrizioni e gli arrangiamenti di questa celeberrima Polacca militare sono innumerevoli, spesso predisposti per spettacoli di balletto, e il primo ad occuparsene fu probabilmente Glazunov, poi qualcuno ci ha infilato il coro, altri il canto e la danza; la NYPO l’ha incisa già nel 1919; quindi, nel 1921, ecco la Banda della Marina USA; ancora la NYPO con Kostelanetz; non manca LasVegas...; qui, per non dimenticarne l’origine, si aggiunge anche il pianoforte; ecco poi 12 violoncelli coreani; e ancora una trascrizione per organo; e poi un’altra banda; infine non poteva mancare il rockÈ verosimile che Wagner abba preso spunto dall’incipit di questa Polacca per creare il Leit-motiv (non a caso... militaresco) di un suo famoso personaggio: Kurwenal.

Per distinguersi dalla... massa, Respighi pensò bene di portare la tonalità - dal LA (e RE) maggiore dell’originale - al SIb maggiore. Poi le sue doti di grande orchestratore hanno fatto il resto.

É stata quindi la volta di Rossini, e della celebre Rossiniana, le cui origini vengono sempre riferite a brani tratti esclusivamente dal Volume XII dei Pièces de vieillesse (Quelques riens pour album). Il che è inesatto, come mostra il sottostante  specchietto che riporta i riferimenti corretti, che rimandano anche al Volume VI (Album pour les enfants dégourdis) e al Volume VIII (Album de château):

Respighi
Rossini
1. Capri e Taormina (Allegretto-Barcarola)
Volume XII – n°1 - Allegretto
                               (Andantino-Siciliana)
Volume XII – n°8 – Andantino sostenuto
2. Lamento – Andantino maestoso
Volume VI – n°3 – Memento homo
3. Intermezzo
Volume XII – n°2 – Allegretto moderato
4. Tarantella puro sangue (con passaggio de la processione)
Volume VIII – n°9 - Tarantelle pur sang (avec traversée de la procession)

Infine Bach, e il suo Preludio&Fuga BWV532, dove Respighi riesce mirabimente a riprodurre con l’orchestra i suoni di un gigantesco organo!
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Il pezzo forte del pomeriggio era la Sinfonia in LA di Gino Marinuzzi, che Grazioli ha già diretta meno di un anno fa a Catania, con un grandissimo successo.

L’opera, composta sotto i bombardamenti del 1942, si articola in tre movimenti: Apertura – Georgica – Ditirambo(-Finale): qui quella che era, fino a poche settimane orsono, l’unica incisione, con Niksa Bareza e i filarmonici croazzi. Oggi è in commercio, fresca di stampa, quella di Grazioli-laVerdi:



Musica di grande fascino, assolutamente ancorata al diatonismo e per la quale mi verrebbe da proporre la definizione apparentemente bizzarra di classico tardo-romanticismo (!) Mi sentirei anche di applicarvi (non in senso denigratorio, attenzione) l’epiteto che molti detrattori di Mahler impiegavano per liquidare la musica del boemo: Kapellmeister-Musik, musica che rimane in testa ad un Direttore d’Orchestra, della tantissima e diversa che dirige ogni giorno, e che poi riemerge trasfigurata e plasmata dalla sua sensibilità.

Ci troviamo spunti da Bruckner, Brahms, Wagner, Mahler, Strauss, Scriabin, Shostakovich, ...e da musiche da film, sapientemente inseriti in un corpus armonico e contrappuntistico di prim’ordine e con orchestrazione di alta scuola.
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Oggi pomeriggio l’Auditorium era discretamente affollato da un pubblico che ha mostrato di apprezzare molto questa proposta (piuttosto inconsueta nella stagione principale) tributando meritate ovazioni a Grazioli e ai ragazzi.