Nella settimana
dal 18 al 25 giugno l’OF (nome che sa
tanto di magia…) ospiterà 4 recite di Pelléas et Mélisande diretta, in
buca e sul palco, da due Danieli
nazionali: Gatti&Abbado.
Quest’opera di
Debussy, la sua prima e (praticamente) unica, resta anche un unicum (forse affiancata dal solo Boris, che Debussy conosceva assai bene) nel panorama del teatro musicale
di tutti i tempi, al contrario della produzione non-teatrale del compositore
parigino, che ha letteralmente fatto epoca.
Debussy, cosa anche
questa assai singolare, impiegò direttamente come libretto – e proprio alla
lettera - il testo teatrale simbolista (in prosa) di Maurice
Maeterlinck, limitandosi ad apportarvi poche variazioni, in sostanza costituite
da qualche taglio più o meno corposo (anche se non proprio insignificante, come
vedremo): incontrando il drammaturgo a Gent nell’autunno del 1893, Debussy ne
ottenne l’approvazione (ed addirittura alcuni consigli) per tutte le modifiche
da lui proposte.
Maeterlinck
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Debussy
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PERSONAGGI principali
ARKEL, Re di Allemonde.
GENEVIÈVE, madre di Pelléas e di Golaud.
PELLÉAS, GOLAUD,
nipoti di Arkël.
MÉLISANDE.
Il piccolo
YNIOLD, figlio di
Golaud (di primo letto).
Un medico.
Un Pastore. Voci di marinai. Un portinaio. Serve. |
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Atto I
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Scena I
Alcune inservienti si accalcano presso il portone
principale del castello del Re di Allemonde: sono state incaricate di pulirne
l’ingresso, in occasione di una grande festa. Il portiere prima esita, poiché
quel portone è rimasto chiuso da tempo immemorabile, poi si convince ad aprirlo
e ci riesce, ma con grande fatica e solo con l’aiuto dealle inservienti; una
comincia a pulire, un’altra afferma che è impossibile farlo, altre domandano
acqua, ma il portiere predice che nemmeno con un diluvio si potrà mai pulire
quella soglia.
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Scena II
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Scena I
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Il
principe Golaud, nipote del Re Arkël,
durante una battuta di caccia si è perduto nel bosco, rincorrendo un cinghiale
da lui ferito, e lì incontra, vicino ad una fonte, una giovane donna che si
dispera. La interroga, senza avere risposte precise. Lei ha perduto una corona,
caduta sul fondo della fonte, ma impedisce a Golaud di recuperarla. Finalmente
dice il suo nome: Mélisande, ma rifiuta ogni aiuto e vorrebbe rimanere lì anche
la notte. Alla fine se ne va con Golaud.
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Scena III
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Scena II
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Geneviève
legge a Re Arkël
una lettera scritta da suo figlio Golaud al fratellastro Pélleas, dove racconta
come ha incontrato Mélisande – presso una fonte, piangente e con la veste
strappata dai rovi - e l’ha poi sposata, pur ignorandone origini e storia. Teme
che il nonno Arkël disapprovi la scelta: in caso contrario, chiede che una
torcia accesa su una torre gli indichi la possibilità di far ritorno a casa.
Arkël invece accetta la decisione del nipote, anche se lo avrebbe preferito
sposo alla principessa Ursula, che avrebbe potuto consolarlo della morte della
prima moglie. Geneviève avanza dubbi su questa nuova sposa sconosciuta,
ricordando che Golaud, dopo essere rimasto vedovo, non viveva che per il figlio
Yniold e si sarebbe risposato solo dietro precisa volontà del nonno. Arriva ora
Pelléas, fratellastro di Golaud, che comunica di aver ricevuto un’altra
lettera, dall’amico Marcellus, morente, che lo prega di recarsi al suo
capezzale per poterlo salutare per l’ultima volta. Il nonno però lo prega di
rimandare la visita: prima deve attendere il ritorno di Golaud, e poi c’è da
assistere il padre malato.
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Scena IV
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Scena III
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Geneviève
e Mèlisande passeggiano nei boschi fuori dal castello, scambiandosi impressioni
sul luogo strano e buio che le circonda; Pélleas le raggiunge arrivando dal
mare, secondo sua madre stava aspettando ansiosamente Mélisande; si fa sera e
una nave esce dal porto: Mélisande la riconosce in quella che l’ha portata lì.
Pélleas prevede tempesta per la notte, poi annuncia a Mélisande che l’indomani
partirà: la donna gli domanda perché, senza avere risposta.
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Atto II
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Scena I
Pelléas e
Mélisande si intrattengono presso una fontana nel parco. In passato si diceva
che quell’acqua curasse i ciechi, ma ora che il Re è quasi cieco, nessuno ci
viene più. L’acqua è assai profonda, Mélisande vorrebbe immergervi le mani,
ma sono i suoi lunghissimi capelli a finirci dentro. Pelléas le chiede se
Golaud l’ha incontrata vicino ad una fonte simile e la interroga sui
particolari di quell’incontro. Lei cambia discorso e si mette a giocare con la
fede nuziale donatale da Golaud, lanciandola in aria, finchè essa non cade
nella fontana, perdendovisi proprio mentre la campana suona il mezzogiorno.
Pelléas vorrebbe minimizzare l’accaduto, ma Mélisande è preoccupata per come
reagirà Golaud alla notizia. Pelléas le consiglia di dire semplicemente la verità.
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Scena II
Golaud è a
letto per una caduta da cavallo: al dodicesimo rintocco del mezzogiorno il
destriero è inspiegabilmente imbizzarrito e lo ha disarcionato, procurandogli
lievi ferite. Mélisande è al capezzale del marito e gli confessa la sua
infelicità: non riesce a vivere in quel posto, vorrebbe andarsene con lui
altrove. Alle domande di Golaud sulle cause di questa infelicità (forse
Pelléas?) risponde che la opprime l’oscurità del luogo, non la compagnia di
Pelléas. Golaud le stringe le mani e si accorge della mancanza dell’anello,
così le chiede spiegazioni e lei inventa che deve esserle caduto in una
grotta marina dove cercava conchiglie per il piccolo Yniold. Il marito la
spinge a tornare subito sul posto, nonostante faccia notte, alla ricerca
dell’anello, facendosi aiutare da Pelléas.
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Scena III
Pelléas e
Mélisande sono in una grotta marina, che visitano al solo scopo di permettere
a Mélisande di descriverla con precisione a Golaud, in caso costui facesse
domande precise sul luogo dove Mélisande gli ha detto aver perso l’anello.
Addentratisi nella grotta, vi scorgono tre vecchi addormentati e Mélisande,
impaurita, decide di abbandonare subito quel luogo.
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Scena IV
Re Arkël ribadisce a Pelléas che è opportuno lui rimanga
al castello: suo padre è ammalato e la situazione del reame non è delle
migliori, con la fame che imperversa. Non è il caso quindi di intraprendere
viaggi per almeno qualche giorno o settimana: Pelléas acconsente a rimanere.
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Atto III
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Scena I
Pelléas e Mélisande sono in una sala del castello,
è notte, pare che Golaud ormai non tornerà dalla caccia. Pelléas chiede alla
donna se ancora riesce a lavorare al filatoio essendosi fatto buio, ma
Mélisande afferma di poter lavorare anche meglio con l’oscurità. Arriva Yniold
che mostra la sua preoccupazione per la prossima partenza del padre e di
Mélisande, che crede di dedurre da discorsi fatti dalla matrigna e dallo zio.
Pelléas cerca di distrarlo mostrandogli cani e cigni che baruffano, ma
inutilmente. Mèlisande riprende a filare cantando una canzoncina che cita tre
santi. Alla fine Yniold sente arrivare suo padre: Golaud in effetti arriva,
mentre il figlio, alzando la lampada sui volti di Pelléas e Mélisande, li
scopre in lacrime.
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Scena II
Mélisande,
alla finestra, pettinandosi i capelli per la notte, canta una specie di filastrocca: Les trois sœurs aveugles (Le tre sorelle cieche).
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Scena I
Mélisande, alla finestra, pettinandosi
i capelli per la notte, canta una specie di serenata al contrario (Mes longs cheveux) che cita tre santi: lei è nata una
domenica a mezzodì.
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Pelléas arriva
sotto la finestra e chiama Mélisande, che informa della sua partenza per l’indomani.
Mélisande fa scendere i suoi lunghissimi capelli fino a lui, che ne rimane
inondato e li accarezza e li bacia. Poi le dichiara tutto il suo desiderio di
lei, mentre alcune colombe svolazzano via dalla torre. Golaud sopraggiunge e
li sorprende, ma si limita a rimproverarli per queste bambinate, poi si porta
via Pelléas.
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Scena III
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Scena II
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Golaud guida
Pelléas nei sotterranei del castello, facendogli notare il tanfo da cimitero
che vi si respira, che
Golaud pensa provenga da un lago sotterraneo. Pelléas rischia di cadere nella voragine e Golaud lo trattiene in tempo. I muri sono pieni di crepe e lui teme che il castello possa crollare
su queste grotte, se non si fa nulla per metterlo in sicurezza. Poi mostra
cautamente al fratellastro il lago che emana un fetore di morto.
Pelléas si sporge da una roccia per guardare la voragine, poi chiede a Golaud di
uscire al più presto da lì.
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Scena IV
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Scena III
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Pelléas
finalmente respira, uscito da quei puzzolenti sotterranei. Tutto intorno la
natura è un paradiso, con la fresca brezza marina e le rose in fiore. Suonano
le campane, i bimbi stanno scendendo al mare per il bagno, sarà quasi
mezzogiorno: non gli
pareva fosse passato tanto tempo. Golaud precisa che sono entrati nella
caverna alle 11. Pelléas giura fossero le 10 e mezza, il fratellastro
propende per le 11 meno un quarto. La madre dei due fratellastri e
Mélisande appaiono alla finestra e Golaud ne approfitta per tornare sulla
scena della sera precedente, pregando Pelléas di astenersi in futuro da simili
ragazzate: Mélisande è incinta! Poi Golaud sente dei rumori, e Pelléas gli spiega che sono greggi in
marcia verso la città. Golaud li sente piangere, come già aspettassero il
macello, ma subito si compiace per la
bellissima giornata che farà bene al raccolto.
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Scena V
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Scena IV
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Golaud è
seduto con il figlio Yniold ai piedi della stanza dove si trovano Mélisande e
Pelléas. Il padre comincia a porre al figlio, che sta spesso con loro,
domande sempre più insistenti sui rapporti fra la moglie e il fratellastro.
Yniold racconta fatti di scarso rilievo ma anche cose più preoccupanti, come
le discussioni sulla porta da chiudere o meno, o un abbraccio e bacio che i
due si sono scambiati in un giorno di pioggia. Golaud cambia discorso con un paio di diversivi (gente
povera che accende fuochi nel bosco e il giardiniere che non può spostare un
pesante tronco caduto) poi accusa Pelléas di essere matto. Yniold lo
contraddice, poi suo padre lo issa sulle proprie spalle per fargli spiare il
comportamento dei due all’interno della stanza. Ma il bambino non scopre
nulla di compromettente, poi comincia a lamentarsi e induce il padre a
deporlo a terra e ad andarsene via.
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Atto IV
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Scena I
Pelléas e Mélisande
si incontrano in un corridoio del castello. Lui le chiede un appuntamento.
Ultimamente suo padre è molto migliorato, il medico dice che è fuori
pericolo. I cupi
presentimenti che assalivano Pelléas sono ora scomparsi, tutte le finestre di
suo padre sono aperte, lui parla quasi come un uomo normale. Lo ha
riconosciuto e lo ha invitato a fare dei viaggi, prima che sia troppo tardi.
Mélisande sembra sconvolta da questa notizia, poi fissa l’appuntamento con
Pelléas per la sera stessa, vicino alla fontana dei ciechi.
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Scena II
Re Arkël incontra Mélisande e la mette a
parte della sua gioia per la guarigione del padre di Pelléas. Adesso tutto
potrà cambiare e anche lei, che era arrivata in una casa inospitale, colpita
da disgrazie, potrà invece guidarne un futuro radioso. Ma ecco entrare Golaud
che annuncia la partenza di Pelléas per la sera stessa. Ha una piccola ferita
in testa e la moglie vorrebbe medicargliela, ma lui la scaccia ed anzi le
ordina di portargli la sua spada. Poi comincia ad offendere la moglie,
indicando al nonno i suoi occhi apparentemente innocenti. Alla fine la prende
per le lunghe chiome e la trascina a destra e a manca, avanti e indietro (la croce!) costringendola ad
inginocchiarsi davanti a lui. Ma per ora non le farà nulla, solo aspetterà il
momento giusto per agire. Mélisande scoppia in lacrime, confessando al Re che
il marito ormai non l’ama più.
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Scena III
Il piccolo
Yniold sta cercando invano di sollevare una pesante pietra, per recuperare la
sua pallina d’oro. Improvvisamente sente un gregge di montoni avvicinarsi e
gli pare piangano. Vorrebbero andare a destra, ma il pastore li manda a
sinistra. Il piccolo chiede al pastore perché ora non belano più: perché non
stanno andando verso la stalla…
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Scena IV
Alla
fontana dei ciechi Pelléas aspetta ansiosamente l’arrivo di Mélisande,
intenzionato ad aprirle il suo cuore, finalmente. Quando lei arriva – con la
veste strappata dai chiodi della porta della sua camera - lui l’abbraccia e le
dichiara il suo amore. Lei risponde di amarlo, al che Pelléas sembra impazzire
di gioia: non crede alle sue orecchie, ma lei gli risponde che non sta
mentendo, lei mente solo a suo fratello! Lui vede tristezza negli occhi di lei, ma lo spiega con
l’amore, che fa piangere di gioia. Lei è così bella che sembra prossima a
morire! I due confessano di non essersi innamorati al primo incontro, lui dice
che avrebbe voluto andarsene senza vederla, lei che aveva deciso di non venire
all’appuntamento. Mélisande ode ora dei rumori sospetti, ma Pelléas non
le dà retta e continua le sue effusioni. Finalmente si accorgono di Golaud,
nascosto lì nei pressi. Ma lo sfidano abbracciandosi ancora appassionatamente.
Golaud esce dall’ombra e colpisce con la spada Pelléas, che cade accasciandosi
sul bordo della fontana. Mélisande fugge inorridita, mentre il marito la segue
in silenzio.
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Atto V
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Scena I
Le donne della servitù sono riunite in una sala del
castello e si scambiano notizie e pareri sui recenti avvenimenti. Nel castello
c’è silenzio, rotto solo dalle grida dei bambini. Su nella camera di lei ci
sono delle persone, ma nessuno può entrare. Una vecchia serva afferma di aver
trovato, un mattino presto, Mélisande e Golaud stesi per terra, quasi
abbracciati, proprio davanti al portone principale del castello: lei
leggermente ferita al petto, lui con la sua spada conficcata nel fianco, non
essendo riuscito a colpirsi a morte; ma c’era sangue ovunque. Golaud ora sta
meglio, mentre Mélisande, che nel frattempo ha dato alla luce una piccola
creatura, sembra prossima a morire. Di Pelléas non si hanno notizie ufficiali,
ma qualcuno ha visto il suo corpo in fondo alla fontana. Sul castello si è
abbattuta la malasorte, nessuno vuol più parlare, tutti sembrano complici del
misfatto. Alla fine le inservienti si avviano verso la camera al piano
superiore.
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Scena II
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Scena unica
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Mélisande è a
letto, vegliata dal medico, dal Re e da Golaud. Sembra lasciarsi morire.
Golaud si incolpa di averla uccisa lui: in fondo i due giovani, che lui aveva
sorpreso presso la fontana, si erano soltanto abbracciati, come due fratelli…
Mélisande si risveglia, chiede che si apra la finestra, domanda chi è
presente vicino a lei. Arkël le dice che lì c’è anche suo marito, e lei
lo fa avvicinare. Golaud chiede di rimanere solo con lei, implora perdono per
tutto il male che le ha fatto, ma vuol sapere la verità, riguardo ai rapporti
di lei con Pelléas. Non ottenendo risposte soddisfacenti rinuncia,
sconfortato. Mélisande chiede se stia arrivando l’inverno, poi Arkël le
annuncia la sua avvenuta maternità e le consegna la piccola, che lei non
riesce nemmeno a reggere in braccio. Entrano ora tutte le donne della
servitù, in tempo per assistere silenziosamente al trapasso di Mélisande. Golaud è affranto,
e Arkël lo invita ad allontanarsi: ora sarà la piccola neonata a dover
prendere il posto della madre.
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Come si può
notare, i principali tagli operati da Debussy - con il pieno consenso di
Maeterlinck - riguardano innanzitutto le scene di apertura dei due atti
estremi, che richiederebbero di fatto la presenza di un coro femminile. In
questo modo viene perso l’effetto (sul modello greco) del coro che osserva e commenta dall’esterno gli avvenimenti. Ma c’è
molto di più. In Maeterlinck le inservienti (e il portinaio) che occupano la
prima scena agiscono – anche se lo spettatore lo realizzerà compiutamente solo
alla fine - a cose fatte: sono lì per
pulire la soglia del castello da qualcosa che si saprà poi essere il sangue di
Golaud! E poco conta che la conclusione non sia, come loro immaginano
all’inizio, una festa ma un funerale (…ma siamo proprio sicuri sia davvero un
funerale?) Così il dramma di Maeterlinck, a partire dalla comparsa di Golaud
nel bosco e fino all’ultima scena dell’atto IV (assassinio di Pelléas) è tutto
un lungo flash-back che si chiude
all’inizio del quinto atto, quando si torna in diretta con l’assemblea delle
donne, che ora conoscono tutta la verità. (Nella scena finale dell’opera di
Debussy le inservienti compaiono comunque, ma rimanendo completamente
silenziose, come del resto in Maeterlinck.)
Un altro taglio
riguarda l’ultima scena dell’atto II, nella quale il Re invita Pelléas a
rimandare i suoi viaggi di qualche settimana, o almeno di qualche giorno; e poi
la scena immediatamente successiva (la prima dell’atto III) dove il piccolo
Yniold manifesta il suo dolore credendo che il padre e la matrigna stiano per
abbandonarlo, per poi accogliere Golaud, tornato più tardi del solito dalla
caccia.
Debussy
poi accorcia la seconda e terza scena (terza e quarta in Maeterlinck) dell’atto
III, eliminando dettagli della visita di Golaud e Pelléas al lago sotterraneo e
del successivo ritorno all’esterno. Un piccolo taglio anche nella scena successiva
(Golaud con Yniold) che elimina il diversivo introdotto dal padre. Abbreviata
poi la prima scena dell’atto IV, con la soppressione di alcuni particolari
citati da Pelléas. Infine nello stesso atto, ultima scena, accorciato il
colloquio amoroso fra Pelléas e Mélisande, e proprio nella parte dove a lui lei
pare tanto bella da esser sul punto di morire.
C’è infine una
storia abbastanza complicata che attiene a ciò che Mélisande canta all’inizio
dell’atto III dell’opera (la canzone dei capelli). Lo specchietto sottostante
riporta, a sinistra, il testo di Maeterlinck come si trova oggi nelle
pubblicazioni del dramma teatrale; e a destra il testo presente nel libretto
musicato da Debussy.
dramma (dal 1893, versione
definitiva)
Les trois sœurs aveugles, (Espérons encore).
Les trois sœurs aveugles, Ont leurs lampes
d’or.
Montent à la tour, (Elles, vous et
nous).
Montent à la tour, Attendent sept
jours.
Ah ! dit la première, (Espérons encore),
Ah ! dit la première, J’entends nos lumières.
Ah ! dit la seconde, (Elles, vous et nous).
Ah ! dit la seconde, C’est le roi qui monte.
Non, dit la plus sainte, (Espérons encore).
Non, dit la plus sainte, Elles se sont éteintes…
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opera (dramma, versione
1892)
Mes longs cheveux descendent
jusqu’au seuil de la tour;
Mes cheveux vous attendent
tout le long de la tour,
Et tout le long du jour,
Et tout le long du jour.
Saint Daniel et Saint Michel,
Saint Michel et Saint Raphaël,
Je suis née un dimanche
Un dimanche à midi...
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Come si deduce
però dalle date, il testo di Debussy è in realtà quello originariamente scritto
da Maeterlinck nel 1892. Successe poi che per la prima parigina del dramma teatrale (di mercoledì 17 maggio 1893,
presente lo stesso compositore) lo scrittore belga preparò per l’interprete Eugénie Meuris diverse altre canzoni,
fra le quali la primadonna scelse Les trois sœurs aveugles, stracolma di
gratuito simbolismo, che fu per l’occasione musicata da tale Gabriel Fabre (da non confondersi con Fauré) e che più tardi Maeterlinck incluse
anche in una sua collana di (prima 12, poi) 15 canti, dopodichè la tenne
buona come testo definitivo per il suo dramma. È anche possibile che la
decisione di Maeterlinck di sostituire il testo originario sia dipesa dal fatto
che nella scena immediatamente precedente (la prima dell’atto III, cassata da Debussy)
Mélisande canticchia un’altra canzoncina che richiama precisamente i tre santi
(Daniel, Michel e Raphaël)
che tornano poi nella canzone dei capelli, creando una stucchevole ripetizione.
Ripetizione nella quale invece non incorreva Debussy, che aveva appunto
tagliato la precedente scena: di qui la decisione del musicista (approvata dal
drammaturgo) di conservare nell’opera il testo originale, il che
lo metteva anche al riparo da fastidiosi confronti con la musica composta da
Fabre per Le tre sorelle cieche.
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Oltre al
dichiarato simbolismo, il dramma di Maeterlinck (e di conseguenza il libretto
di Debussy) è anche caratterizzato da una buona dose di indeterminatezza, a
partire dalla collocazione geo-temporale del racconto. Non sappiamo dove si
trovi Allemonde, né in quale epoca si svolga la vicenda. Per la verità sull’epoca
qualche indizio più o meno preciso l’abbiamo, come il castello a più piani, con
possenti fondamenta e un grande e pesantissimo portone; come grandi velieri,
porti e relativi fari; le uniche armi che incontriamo sono la spada di Golaud e
le frecce che lo stesso promette al figlio; esiste un servizio postale e ci
sono torri campanarie che scandiscono le ore; Mélisande lavora ad un filatoio e
nelle stanze del castello ci sono degli inginocchiatoi; Golaud accenna ad
angeli e al battesimo.
Da tutto ciò si
potrebbe vagamente desumere che il periodo storico sia il Medioevo e che di
conseguenza il luogo si trovi da qualche parte in Europa, magari – considerati anche
i nomi dei personaggi – non lontano dai paraggi di Artù… o di Parsifal (il cui
figlio arrivò un giorno alla foce del fiume che bagna anche la città di
Maeterlinck). Ma di certo l’ambientazione ha poco o nulla a che fare con la sostanza
simbolista del dramma, tutto intriso di psicologia e spiritualismo.
Ci viene detto fin
dalla locandina che Golaud e Pelléas sono nipoti di Re Arkël; e che sono entrambi figli di Geneviève. Da ciò che Geneviève stessa racconta a Mélisande, si dovrebbe dedurre che
lei (arrivata al castello 40 anni prima e non venutavi al mondo) non sia figlia
di Arkël, ma sua nuora. Poi
veniamo a sapere da Golaud che Pellèas non è suo fratello, ma fratellastro, e
più giovane di lui: evidentemente Geneviève li ha messi al mondo con mariti
diversi, di cui il secondo, padre di Pelléas, è tuttora vivo (non vegeto,
peraltro…) e ospite al castello. E qui finiscono i dati certi o desumibili dal
contesto, il che lascia aperte un sacco di domande e possibilità: perché Golaud
e Pelléas si possano dire entrambi nipoti
diretti di Arkël è necessario
che i rispettivi padri fossero fratelli (figli del Re) che Geneviève ha sposato
in sequenza; e quindi il padre di Pelléas sarebbe anche zio di Golaud, ma ciò non trapela mai dal
testo, nè mai Golaud parla di lui! In caso
contrario, uno dei due fratellastri non sarebbe discendente diretto del Re, e
quindi degraderebbe da nipote a suo nipotastro
(il che non gli impedirebbe comunque di chiamare
familiarmente nonno il Re)!
La domanda
che sorge qui è: questa ambiguità è voluta - e quindi in qualche modo può
influenzare, orientare (o disorientare) la comprensione e l’interpretazione
dell’intera o di parte della vicenda - oppure è soltanto casuale e
involontaria, o comunque ininfluente e come tale da ignorare? Evabbè, possiamo
dormirci sopra?
A proposito
dei rapporti fra Golaud e Pelléas, il testo ci presenta un altro enigma: perché
nella lettera - quella che la loro madre Geneviève legge al Re all’inizio -
Golaud si rivolge a Pelléas dandogli familiarmente ed affettuosamente del tu, come ben si conviene fra figli della
stessa madre, mentre poi (terza scena dell’atto III, nei sotterranei e nella
successiva quarta, all’aperto) gli si rivolge dandogli sempre del voi? Qui per la verità una spiegazione
plausibile del repentino mutamento dei rapporti fra i due si può individuare
nel sospetto insorto in Golaud di una tresca della moglie con il fratellastro:
sospetto divenuto quasi certezza proprio la sera precedente la visita nei
sotterranei, nel momento in cui lui era stato testimone della scena dei lunghi capelli
che Mélisande aveva lasciato cadere in testa a Pelléas…
Domanda
capitale: chi è o cosa rappresenta Mélisande? (Debussy arrivò a definirla un nulla e lo stesso Maeterlinck ne
parlava come di una persona normale, che apre bocca solo per dire banalità, mai per
esprimere un concetto che è uno…) Come mai le tracce di sangue
della preda ferita da Golaud conducono a lei, piangente e prostrata, proprio
come fosse ferita? Com’è maturato il rapporto fra lei e Golaud? Cosa è accaduto
fra loro dopo il primo incontro nel bosco? Come ha potuto lui sposarla senza
conoscere nulla di lei? E lei, lo ha sposato convintamente, o perché costretta?
Golaud dice al fratellastro che lei è prossima alla maternità: è rimasta
incinta prima o dopo il matrimonio, consenziente o forzata? Lei perde dapprima
una corona (mentre piange, da sola nel bosco) consegnatale da non si sa chi (un
consorte, il padre, un amante?) e poi la fede nuziale di Golaud (mentre scherza
allegramente con Pelléas) e in entrambi i casi i preziosi oggetti finiscono in
fondo a fontane o pozzi per i quali lei sembra avere una particolare
attrazione: sono fatti accidentali, o in qualche modo da lei deliberatamente
provocati? Come mai lei, ignorando l’esortazione di Pelléas, mente a Golaud (e
solo a lui)? E non mente soltanto riguardo la perdita dell’anello nuziale, ma
soprattutto riguardo a Pelléas: perché lui le parla e come, l’ha invitata lui
alla fontana dei ciechi. E poi: perché fra le tre possibili cause del suo
disagio prospettatele da Golaud (il Re, Geneviève, Pelléas) lei risponde alludendo subito, per negarla contro ogni evidenza, alla terza? Perché non chiude mai
gli occhi, se non di notte? Cosa rappresentano le sue kilometriche chiome? E le
sue piccole mani, che Golaud prima e Pelléas poi vogliono stringere e che lei sospetta
essere malate?
Effettivamente
di simbolismo ce n’è in grande quantità, e ci si potrebbero scrivere interi
trattati. Oltre a ciò che è stato già elencato sopra, solo qualche spunto. Due
volte (in Maeterlinck, una sola però in Debussy) incontriamo greggi che vanno
al macello: cosa ci rappresentano, insieme al cinghiale cacciato e ferito da
Golaud? Perché Geneviève, parlando con Mélisande appena arrivata, afferma che Pelléas
è stanco per averla attesa così a lungo? E il vascello che ha condotto Golaud e
Mélisande, e che riparte in una notte che promette burrasca? A proposito,
Golaud era uscito per una battuta di caccia, con la sua muta di cani: perché è
poi rimasto via sei mesi ed è tornato a casa a bordo di una nave? E i fari che
si vedono, intravedono, o non si vedono? E cosa significa la contemporaneità –
sul dodicesimo rintocco della campana a mezzogiorno (ora in cui Mélisande venne
al mondo!) – fra la caduta della fede di Mélisande nel pozzo e la caduta di
Golaud da cavallo? Perché Golaud attribuisce un’importanza smisurata all’anello
perduto da Mélisande, al punto da spedirla a cercarlo, con Pelléas, in una
grotta nel cuore della notte? E che significato hanno le grotte marine e i
sotterranei maleodoranti del castello? E i tre poveri vecchi che dormono nella
grotta? E la lotta fra cani e cigni? E gli inutili tentativi di Yniold di
recuperare la sua pallina d’oro finita sotto una pietra? Perché
Geneviève scompare quasi del tutto dopo il primo atto (ne sentiamo soltanto
parlare dal figlio all’inizio dell’atto IV)? Cosa ci dice il fatto che Pelléas
da morto finisce in fondo a un pozzo, come i gioielli di Mélisande?
Infine c’è un piccolo (a prima vista) particolare che getta una luce davvero inquietante sull’intero significato dell’opera, poiché chiude il cerchio fra la scena iniziale (Mélisande raggiunta, presso la fonte dove ha perso la corona, da Golaud che ha ferito a morte un cinghiale) e quella che chiude l’atto IV (Mélisande raggiunta, presso la fonte dove lei aveva perso la fede nuziale, da Golaud che ferisce a morte Pelléas). In entrambi i casi Mélisande sta fuggendo da qualcosa o qualcuno e il suo abito si strappa (nel primo caso impigliandosi nei rovi, nel secondo nei chiodi della porta della camera). Ma nel secondo caso noi sappiamo per certo da chi lei sta fuggendo: Golaud!
E proprio Golaud
è figura ambivalente e controversa: vedovo addolorato e attaccato al
figlioletto, ma in seguito marito che trascura totalmente la nuova moglie per poi
ingelosirsi a vederla, o sospettarla, corteggiata dal fratellastro; gelosia che
lo porta persino a strumentalizzare il rapporto con il figlio; e infine a
commettere addirittura un fratricidio. E lo stesso perdono che nell’ultima
scena chiede e offre a Mélisande è ancora inquinato – pare Otello - dalla
condizione posta e dettata dalla gelosia: la
verità… Lui è l’unico personaggio del dramma a manifestare un carattere con
risvolti negativi, quasi a rappresentare la parte impura, meno nobile, dell’umanità.
Non per nulla vive più nel buio della fitta boscaglia e dei sotterranei del
castello, che non in piena luce.
Degli altri tre
personaggi principali, Pelléas sembra collocarsi agli antipodi del
fratellastro: questi si sposta quasi esclusivamente per cacciare prede nei
boschi, lui invece desidera viaggiare per scopi umanitari (assistere l’amico
Marcellus in fin di vita) o per esplorare e conoscere il mondo, come gli
suggerisce suo padre. Lui ama anche visitare le caverne marine, dove basta poca
luce a disegnare firmamenti sulle pareti, e ci conduce Mélisande; invece mostra
di non sopportare i sotterranei del castello in cui l’ha condotto il
fratellastro. Il suo rapporto con Mélisande è tanto sincero e genuino da
sembrare addirittura preesistente all’arrivo della donna (come ha notato sua
madre nel primo atto!) Forse per questo, allorquando Mélisande fa cadere la
fede nel pozzo, lui le suggerisce di dire al marito la verità…
Geneviève è una
figura che passa come una meteora (canta solo nella seconda e terza scena del
prim’atto) e appare come il contraltare di Mélisande: al contrario della
giovane, che non riesce proprio a sopportare l’ambiente (soltanto quello materiale?)
di Allemonde dal quale vorrebbe fuggire, lei invece ci si è adattata negli anni
e ormai lo ha accettato anche negli aspetti meno… gradevoli. Veniamo a sapere
della sua gioia per l’inaspettata guarigione del marito, mentre nulla ci vien
detto di come abbia preso l’assassinio del figlio minore per mano del maggiore!
Il vecchio Re Arkël pare aver fama di sovrano severissimo, ma in realtà scopriamo che è pronto ad accettare come positivi anche fatti che vanno in direzione opposta (vedi proprio il matrimonio di Golaud con Mélisande) ai suoi desideri. L’unico caso in cui si oppone con una certa fermezza ad una richiesta è quello che riguarda Pelléas (che vorrebbe correre al capezzale dell’amico): ma guarda caso è proprio questo diniego che rende possibile l’incontro fra il giovane e Mélisande! Alla fine del dramma ancora una volta cerca di trovare ciò che vi è di positivo (la nuova creatura che dovrà occuparsi del futuro) in mezzo a tante disgrazie e lutti.
Quanto al piccolo Yniold, incarna la figura del figlio di papà che dal papà è bellamente trascurato; sembra messo lì soltanto per servire da spalla (oltre che salirgli sulle spalle) al padre che conduce le indagini sulla fedeltà della giovane moglie (la scena finale del terz’atto è una delle più lunghe dell’intero dramma). E anche a lui è ovviamente riservata una congrua dose di simbolismo…
Il vecchio Re Arkël pare aver fama di sovrano severissimo, ma in realtà scopriamo che è pronto ad accettare come positivi anche fatti che vanno in direzione opposta (vedi proprio il matrimonio di Golaud con Mélisande) ai suoi desideri. L’unico caso in cui si oppone con una certa fermezza ad una richiesta è quello che riguarda Pelléas (che vorrebbe correre al capezzale dell’amico): ma guarda caso è proprio questo diniego che rende possibile l’incontro fra il giovane e Mélisande! Alla fine del dramma ancora una volta cerca di trovare ciò che vi è di positivo (la nuova creatura che dovrà occuparsi del futuro) in mezzo a tante disgrazie e lutti.
Quanto al piccolo Yniold, incarna la figura del figlio di papà che dal papà è bellamente trascurato; sembra messo lì soltanto per servire da spalla (oltre che salirgli sulle spalle) al padre che conduce le indagini sulla fedeltà della giovane moglie (la scena finale del terz’atto è una delle più lunghe dell’intero dramma). E anche a lui è ovviamente riservata una congrua dose di simbolismo…
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Basta
leggere il testo di Maeterlinck per notare alcuni accorgimenti tecnici che il
drammaturgo belga impiega per caratterizzarne la forma: continue e sciocche ripetizioni
di parole o di incisi verbali, improvvisi salti di-palo-in-frasca nei dialoghi fra i personaggi, domande poste
nella scena n dell’atto x e a cui viene data indirettamente risposta
nella scena m dell’atto y, e così via: il tutto rischia di
creare solo confusione e di disorientare lo spettatore. Invece è proprio la
musica, con le sue specifiche peculiarità, che può efficacemente supportare
queste bizzarrie del testo.
E
infatti, se a qualcuno il dramma di Maeterlinck fa l’effetto della leggendaria corazzata fantozziana, costui
non sarà il primo, né l’ultimo! Ecco cosa ne scriveva, a pochissimi giorni di
distanza dall’unica rappresentazione parigina – la stessa quindi cui aveva
assistito anche Debussy - Francisque
Sarcey, famoso
e temuto critico teatrale dell’epoca (ha lasciato ben otto tomi di sue recensioni
che coprono quasi mezzo secolo di teatro). Il quale però concludeva la sua
requisitoria sullo spettacolo avvertendo che la lettura del testo (magari fatta
a letto, ndr!) avrebbe invece potuto
rendere la pièce più soporifera
digeribile. Il buon Sarcey morì tre anni prima della rappresentazione del
Pelléas di Debussy, e quindi non possiamo sapere se il suo giudizio sulla
versione musicale del dramma sarebbe stato diverso.
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