intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

31 gennaio, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 19


Riecco Jader Bignamini con laVERDI in un programma davvero corposo ed interessante, dove Strauss racchiude Hindemith e Goldmark.

Apre la serata Till Eulenspiegel (I tiri burloni di…) dove Strauss fa un regalino al padre (famoso cornista) scrivendo quel tremendo passaggio che l’interprete deve suonare a freddo (battuta 7) e che prevede, dopo tre scalate apparentemente facili, un precipitare sulla triade di FA di quasi tre ottave, dal RE acuto al FA grave:
Oltretutto la prima volta va suonato piano, il che non aiuta, mentre subito dopo, in mezzo-forte sfociante a fortissimo, già lo strumentista può rinfrancarsi assai.

Come in tutta la musica a programma, la pertinenza dei suoni con il programma è lasciata alla nostra capacità di giudizio, o alle nostre reazioni di fronte ai suoni, una volta che ci sia stato chiaramente spiegato da chi, cosa o quant’altro siano stati, quei suoni, ispirati al musicista.

Che l’assolo del corno, come quello più avanti del clarinetto in RE, ci sbozzino la personalità del burlone Till è concetto che arriviamo a condividere soltanto dopo che siamo stati informati dell’identità del citato burlone. Mai e poi mai – ignorando tale identità – avremmo potuto sbottare, ascoltando di primo acchito quei temi: ma certo, come no! è quel mattoide di Till, lo si riconosce da lontano!

Insomma, sulla natura della musica aveva mille ragioni il tanto vituperato Eduard Hanslick, e se la musica a programma ci può piacere è solo - ed esclusivamente – perché è grande musica di per se stessa, alla faccia del programma!

Sarà che non lo suonano spesso, ma mi è parso che i ragazzi avessero qualche problema di affiatamento, che peraltro non ci ha impedito di ascoltare un Till più che dignitoso, anche se non eccezionale. Bignamini da parte sua ha mostrato ancora una volta le sue doti e la sua personalità, fin dal vibrante attacco del corno (Allmählich lebhafter) che ha velocità tripla rispetto all’introduzione (Gemächlich) mentre troppo spesso viene eseguito (per far un favore al cornista…) con eccessiva sostenutezza. Tutto sommato una prova ben accolta dal pubblico (anche ieri sera non oceanico).
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Ecco poi il virtuoso di casa Radovan Vlatkovic interpretare il Concerto per corno di Paul Hindemith. Ne fu dedicatario Dennis Brain, che ne eseguì la prima giovedi 8 giugno 1950 a Baden-Baden con Hindemith sul podio della Südwestfunkorchester. Ecco qui i due in una successiva registrazione con la Philharmonia.

L’orchestra, assai leggera, presenta archi, legni (1-2-2-2, mentre il corno solista è l’unico degli ottoni) e timpani. La struttura del concerto è nei classici tre movimenti, ma assai sbilanciata sul fronte delle durate, con i primi due che insieme occupano circa 6’ (73+138 battute) e il terzo che da solo supera i 9’ (274 battute). In omaggio alla sua seconda patria americana, le indicazioni agogiche sono presentate da Hindemith in inglese e, a fianco, in tedesco.
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Seguiamo l’esecuzione ascoltando Hindemith e Brain. Il Moderately fast iniziale presenta un tema principale, esposto dall’orchestra e poi dal solista, tema che la fa da padrone, e un secondo motivo esposto dal solista. È l’orchestra ad aprire il movimento (4”) con l’esposizione del tema principale, caratterizzato da diversi salti di tempo e costituito da tre sezioni di cui le prime due insieme coprono il totale cromatico dei 12 suoni. Qui la parte dei violini, che il flauto doppia per la prima sezione:

Siamo quindi in presenza di un classico esempio di quella dodecafonia tonale che Hindemith teorizzò e praticò in opposizione alla dodecafonia atonale di Schönberg.

(19”) Il tema viene ripetuto a uguali altezze da violoncelli e fagotti, che però alla quinta battuta lo variano senza chiuderlo, mentre flauto e clarinetti (28”) entrano sul tema in contrappunto, ma partendo dal DO#. (41”) Ora violini e flauto riespongono la sola sezione iniziale del tema, ripetendola per tre volte in 5 battute di 5/4 ma traslando, rispetto all’inizio, la scansione di una semiminima in ritardo e l’altezza di un semitono in alto (si parte da FA#).

(54”) Adesso (battuta 21) entra il corno solista, che espone, tornando al FA e con scansione più regolare (4/4 in prevalenza) il tema ampliato e leggermente variato: la seconda sezione presenta due inversioni di note della serie e viene ripetuta altre due volte. La chiusa (SIb - SOLb - FA) è enarmonicamente identica a quella dell’esposizione orchestrale:
(1’15”) Ancora sul FA archi e flauto espongono la sola sezione iniziale del tema. Il corno (1’18”) ne riprende il frammento finale (4 note) reiterandolo variato, prima di esporre (1’37”) un secondo motivo più mosso, che parte dal SOL#:
(1’50”) Archi e flauto tornano ancora sul tema principale (prima sezione) questa volta dal SOL#; i violini espongono la seconda sezione, che il corno contrappunta e poi sviluppa ulteriormente per tornare (2’14”) ad esporre il tema, canonicamente dal FA, ma variandolo ulteriormente.

(2’41”) Riecco nel corno il secondo tema, questa volta dal FA# e variato, fino a condurre (2’52”) alla cadenza finale, basata sul primo tema e chiusa (3’09”) da un inciso esposto in forte dal solista e poi in fortissimo dall’orchestra, seguito da una mesta fanfara sul FA grave del corno.

Abbiamo ora il tempo centrale, Very fast, che è in forma di Rondo con struttura A-B-A-B-A-C-C’-A-A’ e una Coda conclusiva. È di norma il corno a prendere l’iniziativa, mentre l’orchestra risponde con gli strumenti acuti (ottavino e violini).

(3’24”) Il corno espone il ritornello A (che parte e chiude sul FA) con timpani e celli ad accompagnarlo in contrattempo:
Il ritornello (3’33”) è ripreso, semplicemente arricchito nell’armonia, dall’orchestra, poi (3’41”) il corno espone il primo episodio (B), avente sempre il FA come nota di riferimento:
L’ultimo FA diviene anche il primo della ripresentazione del ritornello (3’51”) sempre nel corno, ma con traslazione di una semiminima (timpani e celli sui tempi forti della battuta, corno in contrattempo).

(4’00”) L’orchestra imita il solista riproponendo il motivo B seguito (4’08”) dal ritornello in contrattempo. Rientra ora il corno (4’17”)  che espone il motivo C, assai mosso, stavolta centrato sul SOL:

(4’27”) Il motivo C viene ripreso ed arricchito (C’) dall’orchestra con il solista ad accompagnare con sporadici interventi di semicrome. (4’33”) Riecco il corno con il ritornello, sempre dal FA, ora in tempo giusto, compreso l’accompagnamento dei fagotti, mentre i violini si sbizzarriscono con volate di semicrome. Il ritornello è proseguito (4’42”) dall’orchestra (A’) mentre il corno accompagna con un motivo diatonico e poi dialoga con l’oboe fino all’arrivo (4’58”) della Coda, che ha la inizialmente la forma del ritornello A. Poi tutto si stempera fino ad un esilarante sussulto (5’07”) del corno, prima della chiusura sul FA.

Il terzo movimento è, come detto, il più robusto ed articolato dei tre: si suddivide in sei sezioni, caratterizzate da motivi e tempi diversi.

(5’21”) Il corno, con discreto accompagnamento, attacca in tempo Very slow esponendo un tema costituito da due sezioni, di cui la seconda formata dalla ripetizione anche variata di un breve motivo:
L’orchestra riprende negli archi (5’59”) con agitatissime biscrome dei fiati, l’elemento (a) e subito il corno (6’13”) espone un nuovo motivo (c) accompagnato dai soli archi con incisi nervosi:

Ora il tempo muta (6’56”) in Moderately fast, una vasta sezione caratterizzata dall’esposizione di nuovi motivi, magari imparentati perché ottenuti attraverso trasformazioni:
Corno e oboe ci giocano, poi (7’53”) è il flauto a presentare un nuovo motivo, sul quale subito risponde il corno:

(8’06”) È ancora il corno a dare inizio alla parte finale della sezione, esponendo un nuovo motivo (d) la cui conclusione:
è ripresa dai clarinetti che poi si aggiungono al corno per la chiusura.

Inizia ora (8’53”) la sezione Very fast, dove il corno tacet (è il classico momento di pausa che il solista impiega per… svuotare lo strumento). Gli archi, poi raggiunti dai fiati, curiosamente ripropongono il motivo iniziale (a) con valori aumentati, equilibrando quindi l’effetto della diversa agogica. Si tratta di una serie di varianti del tema che viene magistralmente esposto e contrappuntato alternativamente da archi e fiati.

(9’43”) A questo punto sulla pagina della partitura Hindemith scrisse alcuni versi (in tedesco antico) sotto il titolo Declamation, in cui esalta i suoni del corno (che nelle successive 41 battute propone un motivo dal sapore arcano, quasi declamasse proprio quei versi) invitando l’ascoltatore a lasciarsi da essi trasportare nel passato, di cui onorare le vestigia:

“Mein Rufen wandelt
In herbstgetönten Hain den Saal,
Das Erben in Verschollnes,
Dich in Gewand und Brauch der Ahnen,
In ihr Verlangen und Empfahn dein Glück.
Gönn teuren Schemen Urständ,
Dir Halbvergessener Gemeinschaft,
Und mir mein tongestaltnes Sehnen.“
“Il mio richiamo trasforma
l’auditorium in un bosco di suoni autunnali,
l’erede nello scomparso,
te nelle vesti e nei costumi degli antenati,
la tua felicità nella loro nostalgia e accoglienza.
Concedi la resurrezione alle care ombre,
a te la comunione con loro, semidimenticati,
e a me la mia nostalgia plasmata nei suoni.”

È una specie di compendio poetico dell’estetica di Hindemith, che propugnava una rivalutazione dell’antico (non un ritorno tout-court all’antico) come motore per il progresso della musica. Insomma, lui vestiva un po’ i panni di Hans Sachs!

I primi tre versi, liberamente tradotti in inglese, sono incisi sulla lapide che allo Hampstead Cemetery di Londra ricorda Dennis Brain, prematuramente scomparso a soli 36 anni nel 1957, schiantandosi contro un albero con la sua Triumph TR2, mentre tornava a casa da Edinburgo, dove aveva suonato la Patetica con Ormandy:


Dopo la chiusura (11’30”) inizia ora una sezione in tempo Lively, che negli archi e poi (12’11”) nel corno e quindi nell’ottavino ripropone i motivi della precedente Moderately fast, sottoposti a sottili manipolazioni. Anche il motivo (d) ricompare (13’09”) nel corno, subito imitato dal clarinetto.

(13’57”) Nell’ultima sezione (Very slow) il corno, accompagnato discretamente dagli archi e alla fine anche da clarinetti e fagotti, riprende il motivo (c) e conduce serenamente alla conclusione, sul DO che si unisce al LA dei clarinetti, al DO dei fagotti, al FA dei contrabbassi e a due discese dei violini (DO-SIb-LA e poi LA-SOL-FA). Insomma, si chiude su un perfetto… FA maggiore!
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Il grande Radovan non si smentisce e cava dal suo corno magico bellissimi suoni – compresi quelli a campana chiusa alla fine della Declamation - che danno piena ragione ai versi di Hindemith! Per lui trionfo assicurato e quindi un bis che – come ha già fatto altre volte – non esegue da solo ma insieme a colleghi dell’orchestra: così con Ceccarelli, Amatulli e Buldrini ci porge il primo tempo della Sonata per 4 corni (1952) di… Hindemith!
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Ora è la volta del poco conosciuto Karl Goldmark e della sua ouverture Im Frühling. Che spiega perché questo compositore sia… poco conosciuto (smile!) Questo pezzo che sta, diciamo, fra Dvorak e Rimski, a me dà l’idea del tipico vorrei, non posso. Francamente mi sfugge il razionale di averlo proposto – vaso non di coccio, ma di cartavelina – fra tre vasi d’acciao. Come sempre in casi simili, va lodata l’abnegazione dei ragazzi che se lo sono studiato per proporcelo facendo del loro meglio.
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Ha chiuso la serata l’inflazionato Zarathustra, che a differenza del Till l’orchestra padroneggia ormai disinvoltamente e di cui anche Bignamini ha fornito un’interpretazione davvero pregevole, salutata da ovazioni per tutti e ripetute chiamate per il Maestro, che fra una settimana ci farà un’anteprima della Butterfly che lui dirigerà prossimamente alla Fenice

26 gennaio, 2015

Soldataglie al Piermarini

 

Ieri sera la Scala ha ospitato la terza di Die Soldaten, quest’opera mastodontica (quanto meno dal punto di vista dell’ipertrofia di risorse umane e materiali che reclama) uscita dalla penna di Bernd Alois Zimmermann or sono 50 anni: la prima esecuzione ebbe infatti luogo lunedi 15 febbraio 1965 a Colonia, diretta da Michael Gielen.

Il soggetto – di cui riporto più sotto una sinossi - fu tratto dallo stesso Zimmermann dal dramma settecentesco del lettone- tedesco Jakob Michael Reinhold Lenz di pari titolo. Assai sbrigativamente si attribuisce pertanto all’opera un prevalente carattere di proclama o manifesto contro gli orrori della guerra: c’è anche questo, ovviamente, ma la morale si potrebbe più precisamente indicare con il famoso motto hippie (divenuto di moda ai tempi e poco dopo la composizione dell’opera) fate l’amore e non la guerra, beninteso l’Amore con la maiuscola, e non il volgare piacere che viceversa muove le azioni dei militari (non tutti, per la verità) protagonisti del dramma.

Militari di cui sono vittime la povera Marie e il suo ingenuo innamorato Stolzius, due figli del ceto borghese. Lei finirà i suoi giorni sul marciapiede; lui si suiciderà dopo aver mandato al creatore il militare responsabile primo della brutta fine di Marie. Lei però – come spesso accade ancor oggi, ahinoi – ci mette anche parecchio di suo nel tirarsi addosso le disgrazie: insomma, da quanto vediamo e sentiamo in scena, il suo comportamento non è propriamente irreprensibile, quanto meno pare trattarsi di una ragazza assai facilmente vulnerabile da qualunque attenzione galante sia fatta oggetto. Per di più chi le sta vicino in famiglia (il padre, in particolare) non sembra aiutarla molto a tenere la testa sulle spalle (la sorella maggiore è invece fin troppo irreprensibile, ma non ha nessuna autorità su di lei). Insomma, è la tragica vicenda di una ragazza qualunque che Lenz (quasi 250 anni fa) e più recentemente Zimmermann ambientarono nel mondo dei militari per condannare in realtà ogni forma di sopraffazione (di stupro leggiamo nella didascalia a fronte del quarto atto) presente nella società e di cui l’essere umano (la donna, in particolare) è vittima: il che è purtroppo una costante universale, nello spazio e nel tempo. Perché ben sappiamo che vicende di sopraffazione spesso e volentieri si ripetono anche oggi, pur in scenari diversi da quello militare: oggi la sala da caffè di Armentières o la casa di madame Bischof si chiamano magari social-network o discoteca, che da spazi di svago e di incontro si trasformano per qualcuno, militare o borghese poco importa, in terreni di caccia e di malaffare, e per qualcuna – poco attrezzata a difendersi dalle tentazioni - in trappole infernali che portano alla perdizione.

A ben vedere, i primi tre atti del dramma sanno piuttosto di commedia agrodolce, di reality, con innamoramenti, tradimenti, delusioni sentimentali, dimostrazioni di incapacità dei genitori (della borghesia però, perché invece la nobile La Roche mostra di sapere come si educano i figli!): vicende pienamente trasportabili anche nel nostro mondo cosiddetto moderno (dove magari con le guerre non hanno apparenti legami di causa-effetto); il tutto contornato da volgari scenette di bella vita di militari disoccupati (!) e dediti, oltre che a cercare avventure galanti (applicando l’eterno principio dell’usa-e-getta di cui Marie farà le spese) persino a disquisire di filosofia e di massimi sistemi.

E alla fine del terzo atto ancora nulla di irrimediabile è accaduto: l’offerta della contessa e il presumibile perdurare dell’amore di Stolzius (e persino la disponibilità del capitano Mary!) potrebbero garantire a Marie un’esistenza dignitosa: non sarà così a causa dell’ennesima illusione che porterà la donna a subire, dopo le frustranti seduzioni, anche l’umiliazione più grande: la violenza dello stupro. Si noti di passaggio come le seduzioni – di cui la sedotta è in qualche modo corresponsabile – siano perpetrate da esponenti militari della nobiltà, che impiegano incruenti quanto subdoli mezzi di persuasione (a partire dal loro status) per attirare in trappola la preda, che poi usano per sfogare i loro bassi istinti e subito dopo scaricano ad un collega o direttamente sul marciapiede; mentre lo stupro – atto di pura sopraffazione tramite impiego di violenza – è compiuto da un soldato semplice, ergo proveniente dai ceti plebei.

Come dire: la plebe sa solo usare la forza, mentre i nobili usano… l’ingegno: ma alla fine sempre di sopraffazione si tratta e proprio i nobili – non appena i problemi si fanno seri – diventano i più biechi guerrafondai. Ecco: le crude immagini e i terrificanti suoni che rimandano alla guerra, che vediamo e udiamo nella potentissima scena finale, in realtà ci vogliono ricordare, in modo disturbante, come le guerre siano non la causa ma l’effetto della mancanza di solidi valori morali nella società umana, il che porta al prevalere della violenza sulla ragione, delle armi sul dialogo, in definitiva dell’odio sull’amore. Messaggio quindi di assoluta attualità, non solo ai tempi di Lenz, dove obiettivamente la casta dei militari pilotava gli orientamenti dei costumi, ma anche ai tempi di Zimmermann (si era sull’orlo della terza guerra mondiale, atomica!); e di attualità ancor oggi, in una società dove non è certo il militare a dettare i trend e a forgiare i costumi, ma dove permane una penuria di valori che continua a produrre mille Marie al giorno.

Sul piano estetico generale, escluderei personalmente di definire questo un capolavoro, riservando l’impegnativo termine ad opere che se lo meritano davvero, come quelle di Berg da cui palesemente Zimmermann ha scopiazzato - a 25-35 anni di distanza - idee e soluzioni. Quel che è certo è che si tratta di un pezzo teatralmente interessante e coinvolgente, che merita di essere, almeno qui da noi, maggiormente divulgato: riprendendolo alla Scala in una prossima stagione, ad esempio, al posto dell’ennesima riproposta di una qualche Tosca o Aida da strapazzo…
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Sul piano musicale, Zimmermann abbraccia in pieno la tecnica seriale, combinandola con l’impiego di forme e contenuti da tutta la storia della musica (dal Dies Irae ai Corali di Bach e giù fino al jazz). Le prime 12 scene (tre atti, 5-2-5) sono fondate su altrettante serie dodecafoniche che Zimmermann ha costruito evidentemente a fronte delle sue esigenze espressive: serie che si prestano quindi, magari impiegando trasposizioni e i soliti metodi fiamminghi (canone retrogrado, inverso, etc.) a supportare le più diverse situazioni sceniche. Una 13ma serie è impiegata negli Interludi orchestrali.

Pur non potendosi parlare di applicazione della tecnica dei Leit-motive, è stato rilevato come l’impiego di alcune serie si possa associare a personaggi o a loro particolari atteggiamenti, come ad esempio l’amore di Marie per Stolzius, che è formato da frammenti della serie 1, su cui poggia la prima scena dell’opera:


Inoltre ci sono alcune note che assumono carattere emblematico: il RE, che un po’ come nel DonGiovanni marca i momenti cardinali dell’opera, a partire da subito (martellare dei timpani nel Preludio) e per finire alla chiusura (l’unisono di tutta l’orchestra); o il MIb, che compare sempre a sottolineare l’astio di Stolzius per Desportes, il militare responsabile della brutta fine di Marie. Altre ricorrenti figurazioni sono il totale cromatico (tutte le 12 note della scala suonate contemporaneamente) che apre il Preludio e poi torna assai di frequente per sottolineare momenti topici del dramma; o le quintine di semicrome, che vengono impiegate spesso in funzione ritmica e quasi sempre basate su RE. 

Zimmermann non si limita ad impiegare le serie dodecafoniche, ma si spinge talvolta anche al di là delle colonne d’Ercole del sistema cromatico, fino al dettaglio del quarto di tono (si veda nel Preludio, poco dopo l’entrata del Dies irae nell’organo, la prescrizione per i contrabbassi):


Poi, nella chiusa del medesimo Preludio, fa suonare parte degli archi in RE# e parte in MI abbassato di un quarto di tono:


Oltre ad impiegare una batteria sterminata di percussioni più o meno tradizionali e dislocate più che altro fuori scena, Zimmermann inventa anche percussioni da caciara, per le quali fornisce però, con meticolosità quasi paranoica, indicazioni dettagliatissime. Eccole qua, nella presentazione della prima scena del second’atto, quella ambientata nella caffetteria di Armentiéres, dove non solo si descrive la disposizione dei diversi tavoli sui due piani del locale, ma addirittura si prescrive come ciascun avventore (solo i 6 tavoli occupati da anonimi militari ne contano 18!) debba percuotere i tavoli stessi, le sedie e le tazze (le tazze piene e quelle vuote, si noti bene!) e con quali posate (se cucchiai da caffè o cucchiai da the!):


L’ultima indicazione in basso riguarda la raccomandazione dell’Autore (a scenografo e regista…) di rispettare scrupolosamente la disposizione dei tavoli!

Ed ecco come compaiono in partitura alcuni dei tavoli, con voci e… percussioni:

 
Zimmermann arriva francamente ad eccessi di dettaglio anche nella strumentazione, come dimostra questa pagina (scena 4 dell’atto III) dove gli archi sono divisi in non meno di 47 (11-10-10-9-7) parti!


Il massimo della complicazione e quindi della difficoltà per lo spettatore di afferrare compiutamente ogni dettaglio di ciò che avviene sul palcoscenico (e in ogni dove, per la verità) è raggiunto nell’atto finale, in particolare nella prima scena, sempre ambientata nella caffetteria, ma arricchita da ben tre serie di proiezioni di filmati e da voci e suoni provenienti da altoparlanti, e poi nella scena finale che prevede l’impiego di una batteria di altoparlanti che diffondono suoni legati a manovre militari o a diverse esternazioni di voci umane riguardo ad eventi dell’esistenza (nascita, amore, morte).

E a proposito di tempi del dramma, già Lenz aveva rifiutato la regola del teatro aristotelico (unità di tempo, luogo e azione) per presentare contestualmente eventi distanti fra loro di spazi e tempi i più disparati. Zimmermann raccoglie in pieno il testimone dello scrittore settecentesco e lo traduce in una serie di accorgimenti narrativi che vanno – nel caso più semplice – dalla giustapposizione di scene che si svolgono in luoghi e tempi diversi (ma legate da qualche nesso diretto di causa-effetto) alla presentazione contemporanea di scene che si riferiscono a situazioni almeno apparentemente indipendenti l’una dall’altra, ma che in realtà rappresentano contestualmente passato, presente e futuro. Esempio del primo tipo: le prime due scene dell’opera, che ci mostrano in rapida successione ciò che avviene a casa Wesener (la scrittura di una lettera) e ciò che avviene a casa Stolzius al ricevimento della stessa. Esempio del secondo tipo: la seconda scena del second’atto, dove assistiamo in parallelo alla fatale seduzione di Marie da parte di Desportes, insieme ai cupi presentimenti della nonna di Marie sulla sorte della nipote e alla disperazione di Stolzius nell’apprendere del tradimento dell’amata. Infine, la prima scena dell’atto conclusivo tocca, come detto, il culmine della sfericità dello spazio-tempo di Zimmermann, che ricorre all’impiego di tre proiezioni contemporanee e alla diffusione elettronica di suoni (musica concreta) registrati su nastro per renderci partecipi del tremendo destino di Marie.

Le citazioni. Le chiamo impropriamente così, per rendere l’idea. In realtà sono riferimenti concreti a musiche del passato che Zimmermann impiega per rinforzare il suo messaggio. Del Dies Irae ho già accennato a proposito del Preludio, ma esso torna, sempre (e non a caso) nell’organo anche nell’Intermezzo del second’atto, quasi ad anticipare l’ira divina per ciò che sta per accadere alla povera Marie. E nello stesso brano troviamo anche una delle citazioni (alla lettera, leggi: tonalità) di Bach, precisamente il Corale Komm, Gott, Schöpfer, heiliger Geist, che sembra quasi un’implorazione all’Onnipotente perché impedisca il misfatto che si materializzerà di lì a poco ai danni della (complice?) ragazza:


E Bach torna appropriatamente nella scena in questione (sezione Corale) dopo che Desportes ha sedotto Marie, a sottolineare un duplice tradimento: quello della donna nei confronti di Stolzius e quello dello stesso seduttore nei confronti della povera ragazza, destinata ad essere usata-e-gettata senza misericordia. E allora cosa udiamo qui di Bach? Nella stessa tonalità e riprendendone puntualmente le quattro voci, flauto in SOL, oboe, clarinetto basso e trombone citano dalla Matthäus-Passion un frammento del Corale Ich bin’s ich sollte büßen, che segue precisamente l’annuncio di Gesù del tradimento di uno dei 12!


Tutte le scene dell’opera hanno un attributo che riporta ad antiche forme musicali: ciaccona, ricercare, toccata, notturno, capriccio, corale, rondino, rappresentazione, tropo. Si tratta di riferimenti abbastanza labili, che indirizzano più che altro verso personaggi o situazioni fra loro legate. Così ad esempio la ciaccona caratterizza le scene in cui è (co)protagonista Stolzius (seconda scena degli atti I, II e IV); la toccata è prevalentemente attribuita alle scene che hanno per protagonisti i militari (quarta dell’atto I e prima degli atti II e IV) e i due ricercari sottolineano altrettanti incontri galanti di militari con Marie (terza scena degli atti I e III).

Quanto alle voci, le tessiture sono spinte all’estremo: come il FA sovracuto per Marie, ma anche i DO acuti per i due mezzosoprani di Charlotte e La Roche e per i tre tenori: o i LAb che toccano i due baritoni di Stolzius e Mary. L’emissione comprende, oltre al canto puro, anche il parlato puro, il mezzo canto mezzo parlato, lo Sprechstimme, l’urlato, il tonus rectus: insomma, alle voci è richiesto un impegno davvero improbo.

Come detto, le masse orchestrali sono enormi e soltanto le percussioni richiederebbero una seconda fossa orchestrale: vengono quindi posizionate di norma in palchi o addirittura in altri locali del teatro e il loro suono diffuso da altoparlanti. A proposito di diffusione, l’ultima scena dell’opera comporta – secondo dettagliatissime disposizioni planimetriche presenti in partitura - la dislocazione in diverse posizioni della sala di ben 10 gruppi di altoparlanti, ciascuno con specifiche destinazioni, quanto a contenuti sonori da diffondere:


Beh, ce n’è abbastanza per dubitare dell’equilibrio mentale del compositore (smile!) che sembra aver pensato a bella posta soluzioni tali da rendere ineseguibile il suo lavoro. Ed infatti, ineseguibile fu in un primo momento giudicato dal Teatro che lo aveva commissionato, anche se poi il tempo è stato galantuomo con Zimmermann, portando la sua opera ad essere più volte rappresentata con successo in vari teatri europei ed americani.
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Passiamo ora ad esaminare la struttura e i contenuti dell’opera. Una curiosità: per le prime 9 delle 15 scene abbiamo una regolare alternanza di luogo fra Lille e Armentières (in realtà nella settima scena vedremo sovrapporsi i due luoghi). Le restanti 6 scene si svolgono così: 3 consecutive a Lille e 3 consecutive ad Armentières.

Preludio
Prepara lo spettatore allo scenario tragico che caratterizzerà poi la conclusione dell’opera. Ne sono emblemi il totale cromatico che lo apre e i lugubri e spaventevoli colpi di timpano che ne sottolineano la gran parte, oltre al Dies Irae che compare nell’organo verso la fine.

Atto I
Introduzione: è caratterizzata da quintine di semicrome (inizialmente in MIb nei corni, a riprendere il RE# su cui si era chiuso il Preludio) che vagano alle trombe e alle percussioni.

Scena 1 (Strofe): siamo a Lille, in casa Wesener (commerciante di moda) dove troviamo le due figlie (Charlotte, la maggiore, e la più giovane Marie) dedite rispettivamente a cucire e a scrivere una lettera. Il sottotitolo della scena si spiega con la presenza di 4 strofe cantate da Charlotte (che evoca le pene del cuore) e che sono intervallate da interventi di Marie che chiede aiuto alla sorella sulla forma da usare in una lettera che sta scrivendo alla madre di Stolzius, per ringraziarla dell’ospitalità da questa recentemente offerta a lei e sorella (e che ha fatto nascere l’amore fra Marie e Stolzius medesimo). Dopo un battibecco fra le due sorelle, dovuto alla reticenza di Marie sulla parte della lettera che evidentemente contiene espressioni dirette all’uomo di cui è innamorata, la scena si chiude sulla quarta strofa di Charlotte, con il suo ennesimo e pessimistico filosofeggiare.

Scena 2 (Ciacona I): siamo ad Armentières, a casa di Stolzius (commerciante di stoffe) dove altre quintine (del flauto in SOL) sul RE introducono l’uomo che dice alla madre di non sentirsi bene. Lei immagina siano pene d’amore, per quella Marie (una ragazza da quattro soldi…) che era stata ospite a casa loro. E della quale ha in mano una lettera (precisamente quella che Marie stava scrivendo nella scena precedente) che subito Stolzius le strappa di mano, in viva eccitazione, mentre la madre lo richiama al dovere (preparare la stoffa ordinata dal colonnello del Reggimento).   

Tratto I
È un Interludio piuttosto burrascoso, che tende a sottolineare l’atmosfera della fine della scena precedente  (il subbuglio nell’animo di Stolzius) più che preparare quella della scena successiva, che invece è di carattere leggero, anche se scopriremo poi che vi si annida la scintilla da cui si innescherà il colossale falò che caratterizzerà il seguito dell’opera. 

Scena 3 (Ricercari I): siamo tornati a Lille, casa Wesener. La scena è suddivisa in tre parti: dapprima si presenta Desportes, il barone che subito si mette a corteggiare Marie. La quale respinge sì le cortesie del militare, ma lo fa con atteggiamento tutt’altro che fermo. Il colloquio fra i due avviene su canoni a specchio, da cui il sottotitolo della scena. Arriva poi Wesener, che subito mostra la sua autorità negando a Desportes il permesso di portare la figlia a teatro. Desportes se ne va seccato e, nella terza parte della scena, Wesener spiega alla figlia le ragioni del suo diniego: dei militari c’è poco da fidarsi, con loro una brava ragazza rischia di fare una brutta fine! Marie lamenta fra sé l’eccessiva invadenza del padre: lei non è più una bambina… 

Scena 4 (Toccata I): siamo lungo il fossato che circonda Armentières ed incontriamo l’ambiente militare, con il colonnello e i capitani Mary e Haudy, attorno ai quali troviamo il giovane conte La Roche, il cappellano Eisenhardt e un altro capitano, Pirzel (una specie di filosofo) più tre giovani ufficiali. La presenza massiccia di ottoni, che ovviamente si presta ad evocare l’ambiente marziale, giustifica anche il sottotitolo della scena. Scena divisa musicalmente in tre parti: all’inizio i militari discutono sulle funzioni, ehm… maieutiche del teatro (toh, quello dove Desportes voleva condurre Marie). È Haudy a sostenere la tesi, scontrandosi con Pirzel e col cappellano. Nella sezione centrale della scena le voci dei militari si sovrappongono, mentre la discussione si anima e tocca il tasto femmine: ad un’affermazione del colonnello in difesa delle ragazze messe incinte controvoglia, Haudy sbotta con la lapidaria sentenza: una puttana sarà sempre una puttana! Nella sezione finale (che ricalca musicalmente la prima) la discussione si chiude senza risultato: Haudy chiede retoricamente al cappellano se per caso intenda sostenere che dei nobiluomini si mutino in altrettante bestie per il solo fatto di entrare nell’esercito; il cappellano ribatte che non cambierà opinione finchè tante ragazze borghesi saranno ridotte in condizioni d’infelicità.

Scena 5 (Nocturno I): il sottotitolo rinvia egualmente all’atmosfera materiale (è notte) ed anche a quella spirituale della scena, che si svolge in casa Wesener, protagonisti padre e figlia minore. La scena è divisa in due sezioni: nella prima i due sono a colloquio a proposito delle avances di Desportes; Wesener chiede alla figlia se il barone le ha parlato di Amore. Lei risponde che Desportes le ha recapitato una… poesia! Una poesia, letta stentoreamente da Wesener, tanto delirante quanto insincera! E il colmo della situazione non è che a cadere in trappola sia l’ingenua Marie, ma il di lei preteso responsabile paparino! Che beve fino in fondo il calice di melassa di Desportes e augura ogni bene alla figlia. La quale (secondo colmo, oltre che seconda parte della scena) comincia ad avere dubbi poiché - come recita in una vera e propria aria – ammette di amare tuttora Stolzius e chiude con un’espressione tanto angosciata quanto disperata: che Dio mi strafulmini pure… e i fulmini puntualmente arrivano, sotto forma di un gran temporale, di cui Zimmermann ci dà la sua versione dodecafonica.

Atto II
Introduzione: di chiaro stampo militare, è aperta da una quarta ascendente (RE-SOL) che è tipica di marce o cori a carattere militaresco. Di sole 17 battute, serve ad introdurre l’atmosfera della scena successiva.    

Scena 1 (Toccata II): il sottotitolo già ci indirizza verso l’ambiente militare, che nella fattispecie non è una caserma (dove verosimilmente stazionano scomodamente i soldati semplici) ma un elegante locale da caffè di Armentières, gestito da madame Roux e frequentato quasi esclusivamente da ufficiali e da borghesi in qualche modo legati al mondo dell’esercito. Vi troviamo riuniti tutti i militari già incontrati nella scena 4 dell’atto I, più il contino La Roche; poi vi arriverà il borghese Stolzius; infine c’è una danzatrice andalusa, più una squadra di 18 anonimi ufficiali che occupano 6 tavoli sui due piani del locale. Ed ancora altri militari sparsi (un ufficiale ubriaco, tre alfieri). La scena, come la precedente Toccata I, è strutturata su tre sezioni, dove la terza ricalca la prima. Si è già accennato al colossale armamentario di percussioni da tavola previsto qui da Zimmermann. Anche questa scena si divide in tre parti: nella prima abbiamo la caciara globale, con grida e percussioni; su essa spiccano poi le entrate del cappellano e di Pirzel, che stigmatizzano le espressioni irridenti dei militari nei confronti di Stolzius. Segue poi una scena di danza, protagonisti tre ballerini: sono 5 strofe e un ritornello. Poi segue una band di jazz che accompagna la danza della ragazza andalusa. Infine arriva Stolzius, che viene impertinentemente interrogato ed apostrofato dai presenti a proposito di Marie e di Desportes: lui cerca di negare tutto, ma poi i suoi nervi saltano, quindi maledice (sul MIb!) Desportes e se ne va via sdegnato.   

Intermezzo: è una specie di compendio degli avvenimenti testè accaduti, e di premonizione per ciò che accadrà tra poco. Si è già ricordato che comprende le citazioni del Corale di Bach Komm, Gott e del Dies Irae

Scena 2 (Capriccio, Corale e Ciacona II): siamo tornati a Lille, a casa Wesener. I tre sottotitoli caratterizzano altrettante sezioni della scena: dapprima Marie è sola in casa e viene raggiunta da Desportes, proprio mentre legge una lettera di Stolzius, nella quale l’innamorato che si sente (ormai quasi) tradito le fa le sue rimostranze. Marie è in lacrime, ed è anche tanto sciocchina da far leggere la lettera a Desportes! Il quale si mette ad insultare Stolzius e vorrebbe scrivere lui la sprezzante risposta. Marie resiste per un po’, ma poi – involontariamente o no? – è proprio lei a mettersi a stuzzicare il barone, arrivando persino a fargli il solletico e facendosi poi rincorrere per tutta la casa come una preda… consenziente? E qui Zimmermann fa precipitare la situazione nel tragicomico, o nel surreale: mentre vediamo la nonna di Marie attraversare la scena per poi esporre le sue preoccupazioni per il futuro della figlia - intonando un vero e proprio Lied (Rösel aus Hennegau) tolto di peso dal dramma di Lenz - sul fondo si intravedono, da una parte, Marie e Desportes ormai in fase di aperta consumazione dell’atto sessuale, e dall’altra, in casa Stolzius, l’innamorato tradito che si dispera leggendo una lettera di Marie, mentre sua madre cerca invano di convincerlo a dimenticare quella puttanella. Ma lui (supportato dal MIb tenuto degli archi) giura di farla pagare cara a quel bastardo di Desportes!

Atto III
Preludio: abbastanza breve (38 battute) è tutto giocato sul dialogo fra le diverse sezioni orchestrali. Crea un’atmosfera di incertezza, di attesa per il successivo evolversi dell’azione.   

Scena 1 (Rondino): siamo tornati lungo il fossato che circonda Armentières, dove il cappellano Eisenhardt e il capitano Pirzel passeggiano, come sempre discutendo e filosofeggiando. Il cappellano commenta il trasferimento a Lille del capitano Mary, domandandosene la ragione (sapremo presto che la ragione è… Marie!) Poi continua ad esternare comprensione per la condizione della donna, che invece il filosofo Pirzel paragona alla pecora (!) 

Scena 2 (Rappresentazione): ci troviamo a Lille, alloggiamenti del capitano Mary, dove arriva improvvisamente un quasi irriconoscibile Stolzius, che si è arruolato nell’esercito (per potersi vendicare di Desportes, evidentemente) e viene a proporsi come aiutante del capitano, che lo accoglie con grande calore e lo nomina suo attendente (col nome di Kaspar, come si scoprirà presto). Il sottotitolo fa pensare ad una scena di canto monteverdiano (recitar-cantando).

Scena 3 (Ricercari II): restiamo ora a Lille, casa Wesener, dove Charlotte e Marie sono come sempre ai ferri corti: dalle parole che le rivolge la sorella (che senza mezzi termini le dà anche della sgualdrina) siamo portati a pensare che Marie si sia messa con Mary, che la riempie di regali, e anche perché lei stessa confessa che Desportes se n’è andato. Arriva Mary con l’attendente Stolzius, non riconosciuto, e si porta a spasso la ragazza, che però lo costringe anche a rimorchiare la sorella (?) Sull’attendente le donne mostrano di avere qualche dubbio; e lo stesso Mary fa una chiara allusione al rifiuto a suo tempo opposto da Marie alle offerte di Stolzius, ma anche alle colpe di Desportes, che Marie conferma. Il sottotitolo, e anche il canone a specchio, rimandano alla scena 3 del primo atto, in occasione del corteggiamento di Desportes a Marie.   

Romanza: è di fatto un interludio, dal carattere sognante, tutto giocato sulle sonorità delicate di arpa, tastiere e percussioni… tintinnanti. Serve ad introdurre la scena successiva, che si svolge in casa di un personaggio che incontriamo per la prima volta.

Scena 4 (Nocturno II): sempre a Lille, casa della contessa La Roche, che dopo aver mandato a letto il suo vecchio servitore canta un lungo arioso, caratterizzato dall’accompagnamento degli archi minuziosamente divisi. Lei è preoccupata per il figlio (che avevamo già incontrato in precedenza, anche al locale del caffè) poiché lui pare aver preso una sbandata per… indovina chi? Marie! Così, quando il contino rientra, lei lo convince ad accettare uno scambio: lui se ne andrà lontano da Marie, e lei si prenderà cura della povera ragazza! Ciò che si potrebbe dedurre dal testo e dalla musica di Zimmermann (in questa scena davvero diversa dal resto) è un suo occhio di riguardo per la nobiltà  (per lo meno la parte più aperta, impersonata dalla contessa) che sovrasta eticamente – pur ligia a principii di natura conservatrice - sia il mondo dei militari che quello dei borghesi.    

Scena 5 (Tropi): Lille, casa Wesener. Charlotte, sempre più irritata dalla condotta della sorella, ci fa capire che anche Mary si è dileguato per correr dietro ad altra preda, mentre la povera Marie adesso spera nel contino La Roche! Arriva a proposito la contessa che, dopo aver chiaramente denunciato la cattiva fama di cui gode Marie insieme alle sue fallaci pretese di accasarsi con un nobile, reca tuttavia la sua caritatevole proposta di prendere le due sorelle come dame di compagnia, in cambio della rinuncia di Marie a suo figlio, del resto già promesso. Qui abbiamo una filosofica esternazione della contessa sulle tristezze della vita, che viene ripresa nientemeno che da un terzetto femminile in piena regola. Poi ecco la conclusione ambigua, che ci fa sospettare che per Marie i guai non siano purtroppo finiti.

Atto IV
Preludio: introduce in modo davvero truculento questo ultimo atto, in cui si tirerà l’amara morale di tutte le vicende narrate in precedenza. Chiuso il Preludio, il primo atto visibile, anzi udibile, è la comparsa del servitore della contessa che urla drammaticamente: Marie fuggita!  

Scena 1 (Toccata III): la didascalia avverte che si tratta di una scena onirica. Siamo tornati nel locale da caffè ad Armentières, adesso ulteriormente affollato, ospitando tutti i protagonisti, nessuno escluso ed anche loro controfigure. La scena però è buia e rischiarata solo da lampi di luce, tipo psichedelico. In più ci sono tre serie di 6 film ciascuna che vengono contemporaneamente proiettate su altrettanti schermi, con tempi variamente sfalsati, i cui contenuti rievocano avvenimenti passati, o presenti? o futuri? Le voci emettono semplici lamenti, salvo alcune che cominciano a pronunciare due frasi che poi si ripeteranno: E gli unici a godere sarebbero coloro che commettono ingiustizie? / E dovrebbero tremare coloro che subiscono l’ingiustizia?

Mentre nella sala da caffè continua il tourbillon, ecco i filmati. La prima serie di film (muti) mostra Desportes in carcere, mentre scrive una lettera, poi Marie che fugge dalla casa della contessa per incontrare il fuciliere di Desportes, infine il fuciliere che aspetta Marie per consegnarle la lettera. La seconda serie (sonori) presenta Desportes che balla il twist ad una festa, poi Marie inginocchiata davanti alla contessa e infine ancora il fuciliere che scruta Marie in fuga e comincia a concupirla. La terza serie (sonori) presenta la danza dell’andalusa (come nell’atto II) poi il vecchio Wesener che si dispera, quindi ancora il fuciliere che punta Marie. La quarta serie (muti) mostra Marie che si rende conto della trappola in cui la lettera di Desportes la sta attirando, poi Marie e Mary colti in flagrante dalla contessa in giardino, infine Stolzius che va a comprare veleno per topi e Marie che viene violentata dal fuciliere. La quinta serie (muti) mostra Marie che fugge, Mary a cavallo, poi Wesener e Charlotte che tornano a casa disperati per non aver trovato Marie e infine il servitore della contessa che chiede notizie di Marie alla sorella, che alza le spalle. L’ultima serie di film (sonori) sull’attacco di secchi colpi di timpano sul RE, mostra il fuciliere che si avvicina a Marie, poi Desportes che balla il twist, infine Marie che ormai ha capito che sarà preda del fuciliere. Ora siamo nel locale di madame Bischof (un bordello in realtà) dove si ballano i più diversi balli di ogni epoca, mentre continuano ad udirsi le due frasi sull’ingiustizia. Si passa poi ad un’ambientazione virtuale in un tribunale, con i tre schermi che contemporaneamente proiettano lo stupro di Marie da parte del fuciliere; le due frasi sull’ingiustizia si ripetono, mentre i diversi personaggi esternano i rispettivi sentimenti di orrore; contemporaneamente si muovono in luoghi e tempi diversi: Marie che fugge verso Armentières, Charlotte che torna a casa, la contessa e la madre di Stolzius che si chiedono cosa fa Desportes con Marie, Desportes in carcere che teme di incontrare Marie, Stolzius che va in farmacia per acquistare veleno per topi… La scena si chiude sull’ennesima proposizione delle frasi sull’ingiustizia.

Tratto II: sono soltanto 11 battute affidate all’organo e a poche percussioni; si chiudono su un totale cromatico.

Scena 2 (Ciacona III): siamo sempre ad Armentières, a casa del capitano Mary, dove troviamo anche il suo attendente Stolzius e Desportes. Mary e Desportes discutono della vicenda di Marie, che il primo in qualche modo difende (l’avrebbe quasi voluta sposare!) mentre il secondo continua a considerare null’altro che una puttana, di cui vorrebbe perdere persino il ricordo. Stolzius ascolta tutto e mette veleno per topi nella minestra destinata a Desportes, di cui lui stesso ingurgita una parte prima di servirla in tavola. Desportes muore, Mary si avventa su Stolzius che lo previene avvertendolo del suo suicidio, prima di morire pronunciando il nome di Marie.

Scena 3 (Nocturno III): siamo sulla sponda della Lys, lungo la quale sfilano interminabili colonne di caduti in guerra, mentre un film proietta il passaggio di carri armati; si odono dagli altoparlanti comandi di esercitazioni militari in diverse lingue (tedesco, francese, russo, inglese, polacco, americano, italiano); dall’altra parte ufficiali dell’esercito si dirigono verso il locale della Bischof. Si fa sera e lì vicino il padre di Marie si aggira impietrito e senza meta, mentre il cappellano Eisenhardt recita il Paternoster e gli altoparlanti diffondono 6 gruppi di suoni legati a diverse fasi della vita: nascita, amore e morte. Una donna (Marie, che lui non riconosce) chiede a Wesener l’elemosina; lui la scaccia. Mentre il cappellano continua il Paternoster una tromba intona un motivo jazz e un altro gruppo di ufficiali va verso il locale della Bischof e alcuni jazzisti circondano Marie ballando. Dagli altoparlanti ora risuona in lingue di diversi Paesi (Germania Ovest, DDR, Inghilterra, USA, URSS e Cecoslovacchia) il comando di corsa! Marie chiede ancora qualcosa da mangiare, mentre si odono dagli altoparlanti rumori di cingoli di carri armati in avvicinamento; l’andalusa arriva di corsa, inseguita da jazzisti ubriachi, e si mette a ballare attorno a Marie. La musica tace improvvisamente, ora gli altoparlanti diffondono suoni di detonazioni di bombe, pallottole e razzi, spari di cannoni di carri armati. Wesener si commuove e dà una moneta a Marie, che si accascia. Il cappellano termina il Paternoster, Wesener se ne va dietro ai caduti, di cui si ode solo il martellante passo di marcia, per circa 150”. Tutto si fa buio, si smorzano i rumori e suona – su un unisono di RE e per 49” - l’intera orchestra (archi e fiati) sul fondo di strazianti voci umane diffuse dagli altoparlanti: gli strumenti tacciono progressivamente, a partire dai gravi verso gli acuti, fino al totale silenzio. La scena viene invasa dalla nube di un’esplosione atomica.


Ecco: qui, in questa specie di buco nero di RE, che tutto si è inghiottito, è concentrata la morale della storia.  
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Alvis Hermanis, che è un… nipotino di Lenz (lettone come il drammaturgo da cui Zimmermann trasse il soggetto) firma questo allestimento, proveniente da Salzburg. Lassù, causa la planimetria del larghissimo palco della Felsenreitschule, lui aveva disposto tutta scena su un unico piano, anche laddove (la caffetteria di Armentières) i piani dovrebbero essere due. Ora, dato che la Scala ha un proscenio largo sì, ma non sconfinato, ecco che regista e scenografo hanno dovuto (di malavoglia oppure no) diventare più rispettosi delle indicazioni di Zimmermann, e portare tutto su due piani.

L’ambientazione è apparentemente ai tempi della Grande Guerra, in uno sfondo di caserma di cavalleria (in omaggio al luogo della rappresentazione di Salzburg) e quindi con balle di paglia ovunque; le diverse scene si svolgono in quest’unico ambiente che ospita, di sotto, poche suppellettili delle 4 dimore (di Marie, di Stolzius, della contessa e di Mary) e al piano superiore prevalentemente tavoli dove stazionano i militari. La scena unica ha vantaggi e svantaggi rispetto alla presentazione di avvenimenti paralleli: efficacissima all’inizio (Lille a sinistra illuminata, Armentières a destra, in penombra, poi il contrario per la seconda scena); del tutto fuorviante nella seconda scena dell’atto II, dove Stolzius appare per primo e poi assiste di persona alla seduzione di Marie da parte di Desportes e sua madre pare abitare a Lille, mentre la nonna di Marie pare abitare ad Armentières: insomma, tutti i 5 personaggi recitano una medesima scena, in totale confusione, cosa che finisce per disorientare uno spettatore non ben preparato. Dopo le due scene iniziali, quando compaiono i militari, ecco che avremo una continua presenza di… estranei anche in scene che la dovrebbero escludere, col risultato di distrarre lo spettatore dall’azione principale; alludo ad esempio al maneggio con cavalli in circolazione, nel terzo atto, nella cui prima scena poi sono presenti (e disturbano) tutti i militari, invece dei soli Eisenhardt e Pirzel.

L’atto conclusivo viene totalmente stravolto: niente proiezioni (quindi impossibile capire ragioni e particolari dello stupro di Marie) e niente visione onirica nella prima scena: tutto si svolge come in una scena normale, con luci normali invece dei lampi intermittenti. Niente musica concreta registrata, impossibile distinguere il riferimento al locale della Bischof e al Tribunale. Lo stupro di Marie viene spostato nella seconda scena, sotto gli occhi di Desportes, Mary e Stolzius. Niente filmati né suoni bellici anche nella scena conclusiva, che perde tutta la sua potenza evocatrice, con i militari che semplicemente giacciono sul terreno (niente sfilata dei caduti). Eliminati i suoni di azioni belliche, è quindi ridotto a due soli diffusori ai lati della sala il colossale armamentario previsto da Zimmermann: di conseguenza c’è anche un chiaro accorciamento dei tempi della conclusione. 

Discutibile anche la presentazione materiale dei personaggi. I militari, che nell’originale sono solo ufficiali (o di grado ancor superiore) e per lo più nobili e di aspetto attraente (l’uniforme!) qui sembrano soldati semplici reduci dalla trincea, feriti, macilenti, malvestiti: non si capisce proprio come possano far colpo sulle ragazze! Sarebbero stati adattissimi a sfilare, come caduti, nell’ultima scena. Alla fine del primo atto poi, quando Marie si corica, dietro la parete li vediamo spiare e masturbarsi (?!) Ecco, a me pare proprio che Hermanis abbia frainteso del tutto il senso della presenza dei militari, che Zimmermann ha splendidamente sintetizzato proprio nella scena finale dell’opera: dove dovremmo veder sfilare i caduti (soldati semplici, figli del popolo) mentre gli ufficiali (gli stessi che abbiamo conosciuto nei primi tre atti) continuano a far la loro bella vita, andando al bordello della Bischof o inseguendo la ballerina andalusa!  

Charlotte e Marie ci vengono presentate a letto e… uguali come due gocce d’acqua, quando invece nell’originale si capisce immediatamente che Charlotte ha la testa sulle spalle, mentre la sorellina ce l’ha tra le nuvole! Idea davvero cervellotica e velleitaria quella di mostrarci Marie incinta (ultima scena dell’atto III) salvo poi sgravarsi di… un mucchio di paglia che si portava sulla pancia (!)  

Insomma, un’interpretazione registica a dir poco strampalata e soprattutto inefficace a far emergere la durezza del messaggio di Zimmermann: tutto finisce (quasi) come è iniziato, manca completamente lo stacco fra lo scenario da commedia dei primi tre atti e quello (atto IV) che ci dovrebbe mostrare le conseguenze spaventose dei comportamenti umani (dei maschi in particolare). Per me, quindi, una delusione.   
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Meglio è andata sul piano musicale, dove lo specialista Ingo Metzmacher ha guidato con autorità le masse orchestrali, che hanno risposto bene in tutti i frangenti, sia nelle sonorità disturbanti dei totali cromatici, che in quelle ovattate dove sono protagoniste le percussioni leggere e le tastiere.

Le voci mi son parse mediamente all’altezza, a partire da Laura Aikin (Marie) che ha una parte oggettivamente proibitiva. Efficaci Thomas E.Bauer (Stolzius) e Daniel Brenna (Desportes). Ottimo il Pirzel di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke e rimarchevole (data… l’età, va verso i 70) la prestazione di Gabriela Beňačková (contessa La Roche, che è una parte quasi da soprano). Ma tutti quanti hanno collaborato alla riuscita (musicale) dello spettacolo. 

Spettacolo presentato in un Piermarini con tasso di occupazione di poco superiore al 50%, e accolto alla fine da consensi praticamente unanimi.