Xian Zhang è salita ieri sul podio per un tour-de-force beethoveniano: due sinfonie, per proseguire l'integrale nella stagione, precedute dalla più celebre ouverture del genio di Bonn.
Si parte infatti con la Leonore-3, scritta nel 1805 in occasione della presentazione della seconda versione dell'opera, ridotta da 3 a 2 atti. Orchestra con le viole sul proscenio e un organico che è quasi il massimo per Beethoven (verrà poi smagrito, in ottoni e archi, per le due sinfonie). Ai timpani – parte estremamente impegnativa qui, ma anche nelle due sinfonie in programma - la bravissima Chieko Umezu.
Se si esclude una piccolissima svirgolata dei corni al termine dell'esposizione, si è trattato di una prestazione davvero eccellente, di un'orchestra compatta e con una precisione rimarchevole, che Zhang ha guidato con grande piglio e sicurezza. Teatrale davvero l'uscita di Alessandro Ghidotti per suonare in modo impeccabile – da dietro la quinta di destra – i due richiami di trombetta in SIb che nel Fidelio anticipano l'arrivo del ministro.
Strepitosa la Zhang nell'interpretare passaggio dal LA in f al LAb in fff al culmine del crescendo finale, prima della chiusa: un impercettibile respiro (del resto previsto da Beethoven, che ha omesso ogni segno di legatura) che ha veramente ottenuto un effetto straordinario (neanche Karajan…):
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È un climax che riascolteremo anche verso la fine della quarta: (SOL-SOLb). Meritatissimi gli applausi scroscianti per tutti, con speciale menzione per tromba e flauto.
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È un climax che riascolteremo anche verso la fine della quarta: (SOL-SOLb). Meritatissimi gli applausi scroscianti per tutti, con speciale menzione per tromba e flauto.
Poi la ancora settecentesca Prima sinfonia, dove Beethoven muove i primi passi nel campo di cui diventerà ben presto (già con l'innovativa seconda) il dominatore ed innovatore incontrastato. Zhang ne dà un'interpretazione asciutta, omettendo (come farà per la quarta) il ritornello dell'esposizione nel tempo iniziale e staccando tempi sufficientemente rapidi.
Dopo la pausa, si chiude con la Quarta sinfonia, che certa esegesi semplificatoria (quella che divide le sinfonie beethoveniane fra pari e dispari) colloca fra le leggere, o pastorali, o disimpegnate. Ma basterebbe ricordare l'incipit dello scherzo per definirla eroica!
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Zhang tiene un piglio toscaniniano e cava dalla sinfonia tutto il brio e la positività che la contraddistinguono. Dopo lo scherzo, che già mette a dura prova l'orchestra, attacca il finale senza un millisecondo di sosta e rispettando in pieno il folle metronomo beethoveniano. Una cosa travolgente, che impegna allo spasimo l'intera orchestra e chiede speciali virtuosismi ai fiati (flauto e fagotto in particolare). Travolgente quindi anche il successo decretato da un pubblico che ha quasi esaurito la capienza dell'auditorium. Buon segno davvero.
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Zhang tiene un piglio toscaniniano e cava dalla sinfonia tutto il brio e la positività che la contraddistinguono. Dopo lo scherzo, che già mette a dura prova l'orchestra, attacca il finale senza un millisecondo di sosta e rispettando in pieno il folle metronomo beethoveniano. Una cosa travolgente, che impegna allo spasimo l'intera orchestra e chiede speciali virtuosismi ai fiati (flauto e fagotto in particolare). Travolgente quindi anche il successo decretato da un pubblico che ha quasi esaurito la capienza dell'auditorium. Buon segno davvero.
E prossimamente musica cinese (in omaggio alla Kapellmeisterin!) ma solo come antipasto a grandi opere ed immortali.
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