affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

11 gennaio, 2024

En attendant Médée

Sta finalmente arrivando alla Scala la Médée originale (o almeno così la si promette) del 1797 (la prima data a Parigi, Théâtre Feydeau, il 13 marzo) dopo che in passato (due sole volte, per la verità) al Piermarini era sempre stata eseguita la versione spuria in lingua italiana resa celebre dalla divina Maria Callas (1953 con Bernstein e 1961 con Schippers).

L’originale di Cherubini è in lingua francese (testi di François-Benoit Hoffmann) ed è un Singspiel (detto alla tedesca) in piena regola, cioè costituito da scene musicate alternate a dialoghi parlati (nella fattispecie in raffinato metro alessandrino, non in prosa usuale). Non per nulla tale Beethoven ne fu entusiasta, prendendolo a modello per il suo Fidelio!

Opera che si situa sullo spartiacque fra classicismo e romanticismo: vi si distinguono il lascito di Gluck e (fin dall’attacco dell’Ouverture) i prodromi di Weber.

Come succederà più tardi a Bizet e alla sua Carmen (originale in musica + parlato, come imposto obbligatoriamente dal capitolato tecnico di un’opéra-comique) che per l’esportazione verrà ritoccata da Guiroud (recitativi musicati a sostituire i dialoghi parlati) anche la Médée fu sottoposta a trattamento analogo per renderla meglio fruibile fuori di Francia.

Così nel 1855 in Germania, oltre alla traduzione del testo in lingua crucca, il Direttore Franz Lachner pensò bene di sostituire i dialoghi con recitativi da lui musicati (che con Cherubini c’entrano precisamente come i cavoli con la merenda…)

Nel 1909 l’intero pacchetto-Lachner venne poi tradotto in italiano da Carlo Zangarini: ed è in questa forma assolutamente spuria che ancor oggi si esegue la Medea nella nostra lingua. E così la cantò Callas, non solo alla Scala, ma anche in altre quattro occasioni (in teatri o sale di incisione).

Ed in effetti la cosa paradossale – vedi un po’ come va il mondo… - è che la versione inquinata è proprio quella che diventa celebre ovunque: vale per la Carmen adulterata da Guiraud, e vale per la Medea di Lachner, come anche per il Boris rimaneggiato da Rimski!

In anni (o decenni, ormai) recenti anche Médée ha goduto di un trattamento di rivitalizzazione, materializzatosi in esecuzioni della versione originale, come quella di Martinafranca del 1995 (Fournillier sul podio e Iano Tamar protagonista); oppure questa assai interessante (per lo sdoppiamento degli interpreti, fra cantante ed attore) messa in scena a Compiègne nel 1996 e poi portata in film (ahinoi di non eccelso livello e con qualche taglio di troppo…); e infine questa americana del 1997.

Più recentemente (2012) il compianto barocchista Alan Curtis ha realizzato (per l’edizione critica di Heiko Cullmann presso Simrock) una versione musicata dei dialoghi: questa versione fu presentata nel 2015 a Ulm e proprio poche settimane fa è stata ripresa con grande successo a Madrid.

Poi c’è chi – Krzysztof Warlikowski - ha sperimentato (2008 a Bruxelles, ripresa nel 2011 anche a Parigi) una soluzione ibrida, sostituendo i versi alessandrini dei dialoghi di F-B Hoffmann con testi in prosa moderna.

La Scala: cosa ci offrirà il trio Meyer-Gamba-Michieletto? Il numero di gennaio della Rivista del Teatro ci dà qualche importante anticipazione. Tanto per cominciare, è categoricamente escluso che si tratti proprio della versione francese del 1797: non ascolteremo infatti i dialoghi parlati originali (e ciò potrebbe già far tirare un sospiro di sollievo a molti…); al loro posto, Michieletto e il drammaturgo Mattia Palma (collaboratore editoriale del Teatro) ci hanno preparato interventi – parlati, c’è da giurarci, ma in francese? - dei due figlioletti di Médée. Di loro, nell’originale di Hoffmann si sente ovviamente parlare, ma compaiono (senza peraltro aprir bocca e menchèmeno il… cervello) soltanto alla fine del dramma; in Euripide pronunciano non più di due frasi smozzicate… Quindi ci rappresenteranno (come si dovrebbe immaginare) la loro visione di Michieletto-Palma della vicenda e del suo procedere (!?)

In ansiosa attesa di assistere (per giudicarlo) al prodotto finito scaligero, mi permetto di proporre, proprio a futura memoria, il testo del libretto (originale francese e traduzione italiana, non di Zangarini) che evidenzia chiaramente le parti parlate da quelle musicate. Da notare che l’aria di Jason del primo atto (Eloigné pour jamais d’une épouse cruelle) non era presente nel libretto stampato in origine, e fu evidentemente aggiunta in seguito. Un’altra curiosità riguarda la scena finale dell’opera: sulla partitura, dopo l’ultima esternazione di Medea, questa viene descritta librarsi in aria mentre dal tempio si alzano le fiamme. Nel libretto invece Medea sprofonda in un abisso dal quale si sprigiona poi l’incendio:

partitura
libretto
Medea

Più felice di te io me ne vado volando nell'aria!

(Con queste parole ella si invola nell’aria. Una esplosione di fuoco esce dal tempio e si diffonde dappertutto. Il popolo cerca di salvarsi in ogni dove.

Il temporale si fa sentire e continua fino alla fine.)

Médée

Plus heureuse que toi je m’en vais dans les airs!

(À ces mots, elle s’élève dans les airs. Un gouffre de feu sort du temple et se communique partout. Le peuple cherche à se sauver de toutes parts.


Le tonnerre se fait entendre et continue jusqu’à la fin.)
Medea

Più felice di te io me ne vado nell'Inferno!


(Con queste parole ella si inabissa con le tre Eumenidi che la trascinano. Fiamme escono dalla voragine dove essa è precipitata. Il fuoco si estende al tempio e al palazzo. Scoppia un temporale. Alla fine il tempio con la montagna stessa crolla e si inabissa. Il popolo afferra Giasone e lo trascina via. Il temporale si fa sentire e continua fino alla fine.)
Médée

Plus heureuse que toi je m’en vais dans les enfers!

(À ces mots, elle s’enfonce avec les trois Euménides qui la saisissent. Des flammes sortent du grouffe ou elle est descendue. Le feu se communique au temple  et au palais. La tonnèrre éclate. Enfin le temple, la montaigne meme s’écroule et s’abime. Le peuple soisit Jason et l’entraine. Le tonnerre se fait entendre et continue jusqu’à la fin.)

Infine, il libretto contiene un’ultimissima didascalia, assente nella partitura:

(Quando il coro e Giasone sono usciti di scena il palazzo crolla del tutto. L’intera scena è in fiamme e non si vedono che rovine e incendi.)
(Quand le choeur et Jason sont sorti de la scène, le palais achève s’écrouler. Tout le théatre est en feu, et n’offre plus que ruines et incendie.)
___
Sempre per ricordare l’originale-originale (che non avremo il piacere-dispiacere di ascoltare alla Scala, e quindi per immaginare cosa ci saremo persi o guadagnati) segue ora - con riferimento alla citata registrazione americana, non esaltante me almeno completa in tutte le parti - una sommaria sinossi dell’opera. In rosso le sezioni principali (canto-parlato).

La corposa Ouverture è in forma sonata (con alcuna licenza…), nella tonalità d’impianto di FA minore. I due canonici temi hanno – appropriatamente, per richiamare i due aspetti (crudo e sentimentale) del soggetto – caratteristiche contrastanti: severo e drammatico il primo, più lirico il secondo (28”). Il primo tema, subito esposto a piena orchestra, anticipa l’atmosfera del weberiano Freischütz (la gola del lupo, pure ripresa nell’ouverture di quell’opera). La struttura, invero originale, prevede una seconda esposizione dei due temi (1’14”) nelle tonalità relative (FA maggiore e LAb maggiore) con il secondo riesposto (1’53”) in forma assai ampliata. Lo sviluppo (3’32”), relativamente breve, è incentrato sul primo tema, esposto in diverse tonalità (LAb maggiore, SIb minore, DO minore e infine FA minore). La ripresa (4’27”) ripete il secondo tema dalla seconda esposizione, ma in FA maggiore, quindi chiude con il primo tema (6’13”) nel canonico FA minore, con una melodrammatica cadenza finale.

Chiusa l’Ouverture, il sipario si alza sul palazzo di Créon, dove la figlia Dircé si esibisce (7’41”) in un pezzo d’insieme (Quoi? Lorsque tout s’empresse à remplir vos souhaits) in SIb maggiore, ma con inflessioni malinconiche, con le due confidenti ad altre ancelle. Invece di gioire per le imminenti nozze con il grande Jason, la principessa ha oscuri presentimenti sul suo futuro: lui ha già tradito la madre dei suoi figli, potrebbe riservare anche a lei lo stesso trattamento? Le ancelle cercano di rincuorarla e lei, dopo un recitativo accompagnato (16’01”, Je cède à ta voix consolante) che modula a DO maggiore, canta, fra svolazzi del flauto iniziati già durante il precedente recitativo, la sua moderatamente ottimistica aria Hymen! viens dissiper une vaine frayeur.

Classica aria tripartita, dove Dircè dapprima (17’01”) e sempre in DO maggiore, invoca la benedizione sul suo prossimo matrimonio; poi (18’03”) con passaggio alla dominante SOL maggiore e divagazioni (19’02”) a LAb e LA maggiore, si augura che il destino e gli dèi tengano lontana da lei la perfida e vendicativa Médée. L’aria si chiude (19’40”) con il ritorno a DO maggiore per la ripetizione dell’invocazione iniziale, qui abbellita da virtuosismi e colorature, e seguita dalla cadenza conclusiva. 

Ecco poi (22’30”) il primo passaggio parlato: Créon teme che i figli di Pélias, per vendicare il padre ucciso da Médée, la stiano inseguendo fin lì per uccidere lei e i suoi figli. Il Re promette a Jason di difendere i suoi piccoli e Jason prima che inizi la musica del corteo fa consegnare alla promessa sposa, come doni di nozze, il Vello d’oro e il resto del bottino degli Argonauti. Ed ecco appunto  (23’50”) la marcia con coro (RE maggiore e dominante LA) in onore di Dircè.

Ma durante la sfilata in suo onore (24’59”, Belle Dircé) la giovane principessa è nuovamente assalita da foschi presagi, espressi in un breve recitativo accompagnato (26’58”, ô funeste présage!) che induce anche Jason a preoccuparsi. In un nuovo passaggio parlato (27’12”) è Créon a chiedere ragione alla figlia della sua tristezza, al che lei confida a Jason tutti i suoi timori su Médée, mentre lui cerca di rassicurarla cantandole la sua aria Eloigné pour jamais d’une épouse cruelle, in LA maggiore. 

È in forma di rondò, aperta (29’08”) dal ritornello su cui Jason si felicita del nuovo corso della sua esistenza, dopo la parentesi dell’infelice matrimonio. Seguono le brevi strofe, dove Jason si dice certo che il nuovo legame con lei sarà imperituro e, sull’ultimo ritorno del motivo principale, le giura eterna fedeltà.

Senza soluzione di continuità, modulando provvisoriamente alla sottodominante RE, si passa (33’01”) ad un recitativo accompagnato di Créon (Ah! c’est trop s’occuper d’un présage funeste) che introduce (33’42”) il successivo concertato (Dieux et Déesses tutélaires) in FA maggiore, aperto da una nobile, commovente perorazione del Re, che invoca gli dèi perchè benedicano il matrimonio, garantendo felicità agli sposi e a se stesso. Il coro (36’03”) modulando alla dominante DO, ribadisce queste implorazioni e questi auspici. Ora, accompagnati da volute dell’oboe solo, in atmosfera di Re minore, sono Jason e Dircè (37’26”) a promettere di amarsi eternamente. Il coro (39’01”) torna al maestoso FA maggiore per invocare solennemente benedizione e felicità per gli sposi. 

Ma la serenità della corte di Corinto è solo momentanea, poichè – dando inizio (41’07”) ad un interminabile parlato che copre ben tre scene del primo atto - un corifeo (nel libretto: il comandante delle guardie) entra ad annunciare l’arrivo di una misteriosa donna, sedicente sacerdote di Apollo, che viene per benedire gli sposi. Trattasi (come non immaginarlo!) proprio di Médée, che ben presto si palesa, fra la costernazione generale. Abbiamo qui un primo drammatico confronto, fra la donna e Créon, che minaccia di cacciarla dal suo regno e poi (45’24”) in una nuova aria con pertichini di Dircé e del coro delle ancelle (C’est à vous à trembler, Femme impie et barbare!, un cupo e agitato SI minore, a distanza di tritono dal solenne FA della cerimonia) assicura la figlia che Médée sarà punita come si merita. Davvero imperiosa (45’48”) e spaventevole la minaccia di morte che il Re muove all’intrusa!

E un nuovo e ancor più drammatico scontro, ancora in parlato, ha ora luogo (48’27”) protagonisti Médée e Jason, che si rimpallano le accuse: di tradimento, lei; e di atrocità, lui. A questo punto Médée canta (51’25”) la sua prima grande aria Vous voyez de vos fils la mère infortunée, aria tripartita, con una prima parte in FA maggiore, una dolce melodia che mostra il lato sensibile della personalità della protagonista che ricorda tutto l’amore e tutto l’aiuto che lei gli ha dato per una vita, venendo poi, per tutta ricompensa, da lui abbandonata. La seconda parte (53'34”, in LAb maggiore, poi con alcune modulazioni) è occupata dai bei ricordi di gioventù, prima che l’incontro con Jason cambiasse radicalmente la sua vita. Infine (ritorno alla melodia iniziale in FA, 54’54”) Médée si inginocchia ai piedi dello sposo e lo implora di tornare con lei, restituendole la gioia dei figli.  

Il battibecco fra i due, ormai un muro-contro-muro, si chiude (56’50”) con un nuovo, duro passaggio parlato, cui segue (58’49”) il lungo, drammatico duetto (Perfides ennemis, qui conspirez ma peine). In tonalità di MI minore è Médée a portare la sua minaccia contro chi la sta offendendo con questo matrimonio, che lei non consentirà si faccia. Jason sembra impaurito e invoca gli dèi perché fermino quella furia. Modulando a DO maggiore (1h00’17”) ecco la comune imprecazione (cantata in contrappunto!) contro quel fatal Vello che fu causa di tutte le loro sventure. Da qui, tornando a MI minore, si sviluppa un agitato susseguirsi di reciproche minacce, dove i due alternano le rispettive imprecazioni ed invocazioni agli dèi alla comune maledizione del Vello. Una pesante cadenza a piena orchestra pone fine all’Atto primo.

ATTO II

L’Atto secondo si apre con una breve (sole 79 battute) ma drammatica introduzione strumentale. Nella cupa tonalità di DO minore evoca parossisticamente la tempesta che ormai alberga nel cuore di Médée, più che mai decisa ad andare fino in fondo al suo disegno di vendetta.

Siamo nel palazzo di Créon ed assistiamo inizialmente (1’47”a scene di solo parlato, la prima delle quali vede protagonista assoluta Médée, che sfoga tutto il suo amaro, feroce risentimento di moglie tradita contro Jason e contro chi (la rivale Dircé e suo padre Créon) ha distrutto la sua vita: invoca quindi tutte le divinità infernali perché la aiutino ad annientare i suoi nemici.

Arriva poi la fida Néris per annunciarle che il Re e tutto il suo popolo le stanno dando la caccia. E proprio allora sopraggiunge Créon, che le intima di lasciare il paese, per non subire il meritato castigo. Médée risponde che lei è una vittima, e chiede ragione dell’esilio che le viene imposto. Créon le confessa di temere i suoi poteri e la sua vendetta, conoscendo bene ciò di cui è stata capace in passato. Ma lei ribatte che senza i suoi crimini oggi Jason non sarebbe lì come il benvenuto, a chiedere la mano di Dircé e ad offrirle in dono il bottino delle sue imprese.

Torna ora finalmente la musica (7’59”), con un lungo concertato in MIb (Ah! Du moins à Médée accordez un asile) protagonisti Médée, Créon, Néris e le guardie del Re. Una convulsa figurazione (ascendente-discendente) apre il concertato, anticipando le secche risposte negative di Créon alle suppliche di Médée. La quale cerca in tutti i modi (9’00”) di convincere il Re a consentirle di rimanere lì a fianco dei suoi figlioletti. Ma Créon sembra irremovibile, spalleggiato dalle sue guardie. Nel frattempo la tonalità è stata oggetto di divagazioni (RE e LAb maggiore). Néris (10’52”) cerca di placare l’ira di Médée, che passa alla tattica dell’implorazione (12’48”) supplicando Créon di concederle almeno un solo giorno di vicinanza con i figli, prima di andarsene per sempre. Dapprima titubante, il Re poi (14’56”) acconsente a malincuore, mentre Médée (tornando al MIb) già pregusta la vendetta.

Adesso è Néris a prendere la scena, manifestando tutta la sua pena per la triste sorte che aspetta la sua padrona, dapprima (18’52”) con un breve parlato, poi con la sua grande aria (19’40”, Ah! nos peines seront communes). La apre uno stupefacente recitativo di 27 battute del fagotto solo, che insedia la tonalità di impianto di SOL minore. Néris dichiara la sua totale fedeltà alla padrona. Poi (21’47”) modulando alla relativa SIb maggiore, le assicura che la seguirà fino alla morte. Torna a SOL minore (22’42”) per constatare lo stato di prostrazione di Médée, poi da qui vira fugacemente a RE maggiore, chiedendosi chi potrebbe trattenere il pianto di fronte al suo destino. Finalmente riprende il SOL minore (23’09”) con la reiterazione dell’impegno della schiava a seguire la padrona fino alla morte.

A questo punto (26’46”) abbiamo un altro corposo parlato, che inizia con Médée che medita la sua vendetta e Néris che la osserva sempre più angosciata. Poi Médée esplode nella sua folle idea: uccidere insieme Jason, Dircé e Créon! Proprio allora compare Jason e assistiamo al duro scontro con la moglie abbandonata: lui cerca di ammansirla, ma alla richiesta di lei di avere con sé i figli, oppone un deciso diniego 

Qui Médée pone in atto il suo diabolico disegno (32’59”): in un duetto con Jason (Chers enfants, il faut donc que je vous abandonne!) in tonalità di RE minore, tutto caratterizzato dalla di lei subdola ipocrisia, finge di accettare il suo infausto destino. Con un canto tutto spezzato, come singhiozzante, ricorda i bei tempi andati, provocando in Jason un misto di pietà, di rimpianto e di strazio, e così aprendo un varco nel cuore di lui, che le concede (34’35”) di rivedere i figli prima di andare in esilio. A parole lo ringrazia del favore, ma dentro di sé già prefigura il dolore che ha deciso di infliggergli. Jason sembra addirittura preoccuparsi del di lei futuro, le promette persino (37’05”) di pregare per lei, durante il rito che Créon si appresta a celebrare nel tempio. Lui è sinceramente addolorato, mentre lei dentro di sé gli giura che pagherà caro il suo tradimento.

Partito Jason (40’00”) riprende ora il parlato e Mèdée rivela a Néris il suo piano: donerà a Dircé un preziosissimo abbigliamento nuziale, impregnato di velenosi profumi che la uccideranno.

Eccoci ora al solenne finale dell’Atto secondo (41’54”). Il fondo della scena è occupato dal tempio e una banda dietro le quinte accompagna il corteo nuziale; al proscenio, Médée e Néris commentano (parlando) la scena. La marcia con coro (Fils de Bacchus, descend des Cieux) che anticipa quasi il Lohengrin, si apre in FA maggiore, con invocazioni a Bacco, mentre Médée sarcasticamente se ne compiace. Attacca ora (44’38”) una sezione in LA maggiore, con il coro che benedice le nozze, interrotto dall’imprecazione di Médée, che si auto-benedice. Riprende il coro, poi un subitaneo passaggio a DO maggiore (46’56”) introduce Créon e Dircé, che implorano felicità agli dèi (Médée interviene per offrire un diadema alla sposa). Si aggiunge a loro anche Jason, che chiede agli dèi protezione per i suoi figli (Médée commenta con una maledizione). Il coro riprende (48’15”) in FA maggiore e ancora Médée (in DO) si interpone per reclamare la fede di Jason. Infine il coro inneggia ai giuramenti degli sposi e Médée vi aggiunge il suo: la tremenda vendetta! 

Con ciò, come un’invasata, mentre l’orchestra chiude con una melodrammatica cadenza, si slancia sull’altare, afferra un tizzone ardente ed esce dal tempio agitandolo nell’aria.

ATTO III

L’Atto terzo è aperto da un’introduzione strumentale, in tonalità di RE minore, con squarci nella relativa FA maggiore. Come avvertono la didascalia del libretto e le note in partitura, siamo sulla montagna che sovrasta il palazzo di Créon e il tempio. È ancora notte, atmosfera da tregenda: dopo una cupa introduzione, che evoca sordi e lontani brontolii, ecco scatenarsi gli elementi: è l’ottavino a gettare i primi sinistri lampi del temporale. Si tratta di una tempesta materiale ed allo stesso tempo della tempesta psicologica che si agita nella mente di Médée, che si vede scendere dalla montagna e dirigersi verso il palazzo dove sono nel frattempo entrati Néris e i suoi due figlioletti per consegnare l’abbigliamento nuziale (avvelenato) per Dircé.

Médée arriva sul posto impugnando un pugnale e in parlato (6’25”) si prepara ad attendere i due figli, per ucciderli come castigo per Jason e i suoi protettori. Mentre albeggia sopraggiunge appunto Néris con i bambini, che incita ad abbracciare la madre. La quale si invece schermisce, poi li stringe a sé, lasciandosi sfuggire di mano il pugnale: Néris comprende le sue intenzioni e ne rimane inorridita.

Ora Médée ha come un ripensamento e lo esprime (9’01”) nella sua aria (Du trouble affreux qui me dévore) in MIb maggiore con parte centrale nella dominante SIb. Nella prima parte dell’aria – assai accorata - Médée sembra pentirsi della sua decisione. Poi il tempo si agita, si passa a SIb (10’40”) e Médée chiede agli dèi di aiutarla ad evitarle quell’insano gesto che meditava. Ma ben presto il pensiero cade su Jason, il fedifrago, e così ritorna in lei la decisione più drastica e orribile, confermata nella terza parte dell’aria (12’25”), ancora in MIb.

Inizia qui (13’36”) un nuovo parlato: Néris cerca di convincere la padrona ad accontentarsi della vendetta verso Jason: Dircè ha appena indossato l’abito nuziale che l’avvelenerà! Médée non è più padrona delle sue azioni, così prega Néris di portare i bambini nel tempio.

Siamo ormai giunti al finale dell’opera. Rimasta sola (15’42”) in un lungo recitativo accompagnato (Eh quoi, je suis Médée et je les laisse vivre!) in RE minore (FA maggiore) Médée si pente di aver allontanato i figli; poi (modulando di un tritono, a LAb maggiore) si vergogna di provare sentimenti materni, abbandonando però i figli alla mercè di un padre fedifrago. La tonalità passa a RE maggiore e il recitativo sfuma direttamente (18’38”) nella grande aria O Tisiphone! Implacable Déesse!

Dapprima Médée chiede alla dèa di soffocare i suoi sentimenti di umanità e di farle ritrovare il pugnale; poi, modulando a LA minore/maggiore, si ridà animo per compiere il fatale gesto verso i figli. Chiude in RE maggiore ripetendo l’appello iniziale a Tisifone.

Dal tempio (21’30”) arrivano grida e lamenti: è Dircé che sta morendo, in preda agli effetti del veleno. Jason (22’41”) si dispera per la sorte della sposa, ma Médée in un recitativo accompagnato (23’42”) gli ricorda che i figli sono ancora in suo potere e corre nel tempio per ucciderli.

Jason e il popolo la seguono per impedirle il delitto, ma Néris (26’27”) arriva inorridita e annuncia che Médée sta ormai per sopprimere i bambini. Jason si slancia nel tempio per fermarla, ma la donna (26’50”) esce, circondata dalle Eumenidi, impugnando ancora il pugnale insanguinato: i bambini sono stati sacrificati come vendetta per il suo tradimento! Jason, distrutto, la implora di lasciarle almeno vedere le piccole salme, ma Médée lo maledice, gli indica la sua meritata pena: vagare disperato nel mondo, mentre lei si librerà nell’aria per poi attenderlo negli Inferi.

Detto ciò si invola, mentre lingue di fuoco escono dal tempio (29’35”). Tutti fuggono per portarsi in salvo e l’opera si chiude con un generale sentimento di orrore. L’orchestra suggella il dramma con pesanti accordi di RE minore. 

07 gennaio, 2024

La Befana ha riportato Bach all’Auditorium di Milano

Dopo aver dato inizio in musica (con il Messiah) alle festività natalizie, Ruben Jais ha pensato bene (come al solito, del resto) di chiuderle in bellezza con laBefana laBarocca, eseguendo il monumentale Weihnachtsoratorium, il complesso bachiano di sei Cantate che nel 1734 a Lipsia (nella Nikolaikirche e nella Thomaskirche) accompagnarono per la prima volta altrettanti momenti celebrativi della Natività.

La durata, invero parsifal-iana, dell’opera ha consigliato (e qui anche questa non è una novità) di suddividere l’esecuzione in due parti di durate paragonabili: le prime tre cantate alle ore 18 e le restanti tre alle ore 21, con 90’ di intervallo onde evitare cali di zuccheri e potenziali… ehm… esondazioni. Pubblico assai numeroso all’inizio, poi assottigliatosi un filino nell’intervallo. (Del resto, a Lipsia il tutto era preso a dosi sopportabili, 25 minuti al giorno lungo 13 giorni…)

Insieme al Coro di Jacopo Facchini, hanno cantato questo (metafisicamente) massacrante oratorio i solisti (SATB): Marie Luise Werneburg, Alex Potter, Thomas Hobbs Marco Saccardin (quest’ultimo subentrato in-extremis al titolare Johannes Held, come annunciato subito prima dell’inizio). Tutti specialisti di questo repertorio e quindi pienamente all'altezza del compito.

Ed infatti la prestazione è stata di assoluto livello, a conferma della ormai più che consolidata realtà di questi complessi che ci riportano il Bach più genuino e coinvolgente.   

Jais, per ringraziare e salutare il pubblico che ha tributato frenetici applausi a tutta la compagnia, ci ha fatto gli auguri offrendoci, con il coro a cappella, rinforzato dai quattro solisti, un antico canto natalizio tedesco risalente alla fine del 1500: Es ist ein Ros' entsprungen (qui un’esecuzione con la seconda strofa di Praetorius, che Jais ha omesso).

Bene, passate le feste (gabbato lu… ???) prepariamoci ad affrontare questo nuovo giro del mondo intorno al sole con l’ottimismo degli ultimi versi dell’ultimo corale dell’Oratorio: Presso Dio ha trovato il suo posto il genere umano. (Bah)

30 dicembre, 2023

Capodanno con la Sinfonica di Milano

È lunghissima tradizione per laVerdi che l’appuntamento con l’anno nuovo (quattro concerti fra il 29/12 e l’1/1) abbia come messaggero quell’universale appello che prende il nome di Nona Sinfonia.

Anche quest’anno a dirigerla è il Direttore Emerito Claus Pater Flor, che fece il suo un po’ rocambolesco esordio sul podio dell’Auditorium proprio in occasione di uno storico Capodanno, quello del nuovo millennio.

Prima dell’inizio, a orchestra e coro già schierati, un preludio particolare: Massimiliano Finazzer Flory si è presentato al proscenio per leggere il famoso Testamento di Heiligenstadt, che il Beethoven ormai sulla strada della sordità sempre più grave scrisse nel 1802 ai fratelli, confessando che solo l’amore per l’Arte lo aveva convinto a resistere, vivendo e componendo, alla tentazione di farla finita.

E poi, ecco la Sinfonia che il genio di Bonn potè ascoltare solamente nella sua testa, dove del resto era nata e cresciuta: e nessuno può dire con certezza quanto i segni da lui lasciati sui righi della carta da musica corrispondano a ciò che risuonava nel suo orecchio interiore…

Flor ce l’ha proposta con cipiglio davvero teutonico: un primo movimento austero e cupo; poi uno Scherzo quasi demoniaco, martellante, protervo; lo stupefacente Adagio, commovente come sempre (peccato una macchiolina dovuta ad uno scarto di un corno verso la fine); e poi quell’immenso finale, con gli archi bassi ad introdurlo in modo impeccabile nell’iniziale recitativo.

E infine i solisti (dislocati appropriatamente al proscenio) e il coro di Fiocchi Malaspina, che hanno chiuso trionfalmente la serata. Tutte apprezzabili e da promuovere a pieni voti le voci di Lenneke Ruiten, Theresa Kronthaler, Patrik Reiter (questi ultimi due già positivamente cimentatisi in passato in Auditorium) e Modestas Sedlevičius (gran bella prestazione la sua, a partire dallo stentoreo recitativo di apertura).

Pubblico davvero oceanico che ha tributato applausi e ovazioni a tutti. Quindi un inizio di… fine d’anno più che promettente, che ci trasmette almeno un po’ dell’incrollabile fede di un sommo Artista nella Vita e nell’Uomo. E Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno!  

17 dicembre, 2023

Ruben Jais con laBarocca: Natale = Messiah

Il dimissionario Direttore Generale ed Artistico dell’Orchestra Sinfonica di Milano non ha voluto privare gli appassionati del suo tradizionale appuntamento natalizio con il monumentale Messiah di Händel. Sul palco, ai suoi comandi, l’ensemble strumentale e vocale (Jacopo Facchini, Maestro del Coro) de laBarocca, sua diretta creazione.

Negli anni Jais ha consolidato (apportandovi via via qualche variante) la sua personale struttura dell’oratorio da presentare al suo pubblico: eseguire l’integrale della prima parte così come pubblicata (da Friedrich Chrysander, inizio ‘900) seguito da un unico blocco della seconda e terza parte un pochino sfrondate, in modo da realizzare due sezioni più o meno equivalenti in termini di durata (60’ ciascuna). Ma ieri ha invece proposto l’intero corpus dell’opera (quasi 2h30’ di durata). Qui una mia succinta sinossi dell’opera.

I quattro solisti erano tutti maschietti (! e le quote rosa?!): il tenore Cyril Auvity e il baritono Renato Dolcini (già protagonisti di passate produzioni) cui si sono aggiunti i controtenori Mayaan Licht e Ray Chenez.

Auditorium letteralmente preso d’assalto, a dimostrazione che il barocco – se presentato come si deve – ha tuttora un seguito persino superiore al repertorio classico-romantico!

Successo strepitoso, premiato – come sempre – dalla riproposizione del trionfale Hallelujah!

16 dicembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.6

Il sesto concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano vede sul podio il Wunderkind Thomas Guggeis che dirige un programma fatto tutto (si potrebbe dire) in famiglia.

Siamo infatti a casa Schumann e ci troviamo un frequentatore abituale: Brahms. Entrambi pubblicheranno 4 Sinfonie e il concerto prevede l’esecuzione delle due Terze. Gli esegeti si sono sbizzarriti nel proporre più o meno improbabili similitudini e confronti: uno di questi apparenterebbe le due sinfonie all’Eroica beethoveniana: entrambe hanno i movimenti esterni assai energici, il primo di entrambe è in tempo 3/4 e una di esse ha pure il MIb di impianto…

In realtà sono due sinfonie dal carattere sereno, in modo maggiore (MIb per Schumann, FA per Brahms). Schumann evoca la Natura, sotto le spoglie del più grande fiume romantico, il Reno (nel quale romanticamente si getterà, totalmente uscito di melonera…) e dell’austero gotico della Cattedrale di Colonia; nella sinfonia del secondo la padrona di casa, Clara, dichiarerà di vedere (primo movimento) boschi e foreste con il sole che sorge dietro gli alberi, i boscaioli (secondo movimento) inginocchiati ai piedi di una cappella nel verde, e ancora lo sciacquio del ruscello ed il ronzio degli insetti… (quindi, niente di eroico, ma una Pastorale? Dopo un’altra pastorale, la Seconda?)

Questi due esempi possono farci riflettere sull’eterno problema dell’essenza della musica. Nel caso di Schumann la Sinfonia fu dallo stesso Autore inizialmente arricchita di attributi extra-musicali: un mattino sul grande fiume, l’austera cerimonia in una chiesa… attributi poi ritirati per far posto all’invito all’ascoltatore ad abbandonarsi alle note, solo da esse traendone gratificazione (40 anni dopo il suo epigono – e ri-orchestratore - Mahler cadrà nella stessa trappola). Quanto a Brahms, che nulla lasciò trapelare della sua ispirazione per la Sinfonia, la reazione di Clara è la lampante dimostrazione che i suoni (o certi suoni) possono generare o far emergere dal profondo della psiche umana immagini o sensazioni extra-musicali.

In questo concerto andiamo a ritroso nel tempo, ascoltando per prima la Terza Sinfonia di Brahms (1883). E qui conviene domandarsi il perché di questa sequenza, che oltretutto spiega e giustifica anche il titolo dato al concerto: La Renana.

E la risposta alla domanda sta nelle note Brahms-iane che arrivano quasi subito alle nostre orecchie: sì, perché sono di… Schumann! 

Brahms eleva alla dignità di primo tema dell’esposizione un motivo che Schumann aveva impiegato marginalmente, 33 anni prima, nella ripresa del movimento iniziale della sua Terza: senza dubbio un omaggio al grande amico e sostenitore, ed allo stesso tempo un esplicito riferimento al soggetto extra-musicale che lo aveva ispirato (il Reno fiancheggia proprio il lato sud di Wiesbaden, dove Brahms compose la Sinfonia). 

Ma se si tratta di Reno, come si fa a non citare un convitato di pietra a questo concerto: Richard Wagner, che al grande fiume si ispirò per la sua Commedia renana. Nella quale troviamo almeno tre Leit-Motive basati su una variante (la sesta invece della tonica di partenza) del tema schumanniano: le Figlie del Reno, il Sonno e l’Uccellino del bosco.  

Sarebbe azzardato affermare che Wagner abbia mutuato il suo tema da Schumann: è ben vero che la musica del Ring vede la prima luce almeno un paio d’anni dopo la Renana, ma è difficile immaginare che il Wagner migrante perché inseguito da un mandato di cattura potesse perder tempo a scopiazzare partiture altrui non ancora fresche di stampa…

Invece, a proposito di Wagner, l’esternazione di Clara richiama alla mente il cosiddetto Waldweben (il mormorio della foresta, second’atto del Siegfried) composto 7 anni dopo la Sinfonia del marito e 26 prima di quella dell'amico prediletto! Ed era una indiretta risposta al purista Eduard Hanslick (convinto ammiratore di Brahms, si noti) che negava alla musica qualsivoglia capacità di esprimere (menchemeno di descrivere) alcunchè, al di fuori di se medesima. Ma alla base di ciò vi era un grande equivoco: di certo, senza un testo cantato o almeno ad essa associato dall’esterno (tipo il soggetto di un Poema Sinfonico) la musica da sola nulla può descrivere; ma invece è fuor di dubbio che qualunque musica, indipendentemente da ciò che può averla ispirata, sia in grado di suscitare in noi le più diverse sensazioni, o evocare alla nostra mente immagini, oggetti e persino concetti. 

Dopodichè ciascuno di noi può abbandonarsi a fantasticherie indotte dall’ascolto di un brano musicale, oppure limitarsi a (possibilmente) godere di esso la macro- e la micro-struttura, esclusivamente dal punto di vista estetico. Accade lo stesso alla vista di un dipinto, di cui si può ammirare il contenuto esteriore, oppure il magistero artistico dell’Autore.      

Ecco, nel caso di entrambe le Sinfonie in questione, hanno ragione sia Clara che Hanslick: e il merito è dei due Autori, che hanno saputo costruire le loro opere con tale maestria da consentire a noi fruitori di apprezzarle per ciò che evocano alla nostra mente, oppure per il puro piacere estetico suscitatoci dal loro ascolto.

Le tre battute iniziali della Sinfonia recano altrettanti pesanti accordi di FA-LAb-FA, autentico motto dell’opera, dallo stesso Brahms sintetizzato come FaF, che decodificato sta per Froh aber Frei, felice ma libero. (Oggi magari, in servile omaggio ai nostri nostalgici governanti, potremmo tradurlo: Libero e Giocondo !?!)

Motto che tornerà a più riprese (e spesso quasi in incognito…) nel corso dell’iniziale Allegro con brio e infine, significativamente, a chiudere con procedimento ciclico l’intera Sinfonia, con la mutazione in modo maggiore (FA-LA-FA) cui segue una vera perla di Brahms: il tema schumanniano trasfigurato nei violini:

Che purtroppo si rischia sempre di perdere, essendo suonato in pianissimo contro il piano dei corposi accordi dei fiati…
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Ed ecco la Renana, come ormai si chiamerà nei secoli, a dispetto del disconoscimento del nick da parte del suo Autore. L’avevamo ascoltata e apprezzata qui – proprio nell’orchestrazione di Mahler - poche settimane orsono, interpretata dall’ensemble Spira Mirabilis; ieri è risuonata ancora in tutto il suo splendore, una vera gioia per l’orecchio e per… l’anima!
È costruita sul modello (variato) della Pastorale beethoveniana: cinque movimenti, con lo Scherzo avanzato in seconda posizione e un (insolito) quarto movimento di carattere severo, prima del radioso finale. Un modello che il suo epigono Mahler impiegherà per tre (più una… o due…) delle sue nove (dieci...) sinfonie. (Poi anche Édouard Lalo baserà sulla stessa struttura, incluso il quarto movimento serioso, la sua Symphonie Espagnole.)
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Orchestra in grande spolvero, in primis la retroguardia dei fiati, qui messi davvero a dura prova e giustamente lodati dal Direttore al termine di ciascuno dei due brani.

E, appunto, Guggeis? Ormai non c’è più nulla da scoprire, solo da apprezzare. Anche ieri ha confermato le sue doti (innate, penso proprio) di interprete raffinato. Innanzitutto, in Brahms, la stringatezza ed essenzialità (tempi e dinamiche) che nulla ha concesso a divagazioni o facili libertà. In Schumann invece un sapiente uso del rubato e di piccole variazioni agogiche sempre impiegate con equilibrio e misura.

Il suo gesto, a volte fin troppo appariscente, altre assai secco e imperioso, può far nascere qualche riserva, ma complessivamente le due prestazioni mi son parse di grande livello e proprio da incorniciare.

E così pare averla pensata anche il pubblico (di un Auditorium non affollatissimo, per la verità) che non ha lesinato ovazioni ed applausi ritmati al Direttore. Il quale, da parte sua, si è modestamente limitato a due sole uscite alla fine dei due brani in programma.  

10 dicembre, 2023

Un DonCarlo d’antan

Oggi pomeriggio un'affollatissima Scala ha ospitato la prima (per gli abbonati) di un vecchio DonCarlo (non scaligero): quello del venerato HvK degli anni’80 (!)

Per carità, questo potrebbe anche essere un complimento (quindi riprendere Abbado-Ponnelle del 1968 sarebbe stato altrettanto plausibile): sempre meglio di qualche ardita attualizzazione che trasponga Filippo II in Juan Carlos I, Don Carlo in Felipe VI, Rodrigo in Carles Puidgemont e l’Inquisitore in Santiago Abascal!

Insomma: siamo proprio nella Spagna del 1560, come ci ricordano anche gli appropriati costumi della Squarciapino, e quindi niente armi automatiche, smartphone e lunghi cappottoni in pelle made-in-DDRE del resto, un testo dove un ragazzo ingenuo di 15 anni chiama madre una sbarbata di soli tre mesi più matura (!) che a sua volta lo chiama figlio, st-riderebbe assai con ambientazioni anche di un solo secolo posteriori…

Quanto al lato cosiddetto attoriale dell’interpretazione, trattandosi di attori che conoscono la loro parte come le loro tasche, mi pare che il regista abbia pensato bene (o male, visti i risultati?) di fidarsi di loro, piuttosto che imporgli posture, atteggiamenti e moine assortite, magari non condivise.

Quindi mi sento di dire: accontentiamoci di questo prudente (pavido?) e conservativo allestimento. 
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Questa musica, in fin dei conti, si fruisce con mente e cuore (e udito, va da sé) più che con la vista. Ebbene, ciò che le mie orecchie hanno udito oggi mi porta a dare un generale voto di ampia sufficienza (ben lontana da un 30cumLaude) che ora cercherò di declinare in maggior dettaglio. Adottando un approccio top-down (dal generale al particolare): quindi partendo dalla concertazione e dal suo responsabile per poi scendere agli interpreti.

Chailly ha – per me – tenuto un approccio (quello che Verdi chiamava la tinta dell’opera) assai cupo e tempi (eccessivamente?) sostenuti. Una direzione che alla prima non era stata unanimemente condivisa, mentre oggi devo dire che ha ricevuto solo consensi. Ma che è del tutto coerente con l’approccio registico, che nulla ha concesso all’esteriorità, come testimonia la soppressione (imposta - sono parole dello stesso Chailly - da Pasqual) dei ballabili de La Pérégrina. Insomma, qui sul francese esprit de finesse ha prevalso l’ispano-italico (e un po’ teutonico) esprit de géometrie!

Il coro di Alberto Malazzi non si smentisce mai e anche oggi ha saputo esprimere al massimo tutte le sue potenzialità, sia nei passaggi più cupi (il mortorio iniziale) che in quelli più sfacciatamente estroversi (Atocha) o drammatici (il popolo del terzo e quarto atto).

La coppia di bassi. Un Pertusi gigantesco (la tachipirina evidentemente ha fatto miracoli…) ha messo in ombra (purtroppo per lui) il malcapitato Jongmin Park, subentrato in extremis all’indisposto Anger a sostenere, oltre che quella iniziale del Frate, anche la parte impervia dell’Inquisitore. Il basso coreano ha messo in mostra un gran vocione, ma il suo Inquisitore ha fatto paura come la farebbe un orco affamato, non un Cardinale del Sant’Uffizio!  

La coppia degli sfortunati amanti. Netrebko sontuosa, come sempre, nella voce, un po’ meno nella recitazione (ma non è colpa dei registi, è una sua perdonabile attitudine). Forse fin troppo musicalmente cattiva con la rivale, quasi una Eboli-2-la-vendetta! Ma dopo le Vanità gli applausi son durati un paio di minuti… Meli tutto l’opposto: fin troppo lezioso e remissivo, nemmeno ad Atocha ha tirato fuori le p… (dicasi gli acuti, che il passare degli anni gli divengono sempre più vietati).

La coppia di outsider. Garanča superlativa (per me, nel complesso, la migliore). E non solo per le due perle (Velo e Don) ma sempre, in particolare nel duetto con Meli. Bene Salsi, ma forse non perfettamente a suo agio in una parte più romantica che truce (dove va a nozze...)

Su livelli standard tutti/e gli/le altri/e.

In definitiva, un’inaugurazione assolutamente dignitosa, ma non certo indimenticabile, della quale si continuerà a parlare più che altro per via della provvidenziale presenza (il 7 dicembre) del protagonista fuori-scena: il convitato di pietra Marco Vizzardelli! 

Applausi a scena aperta dopo le arie principali; alla fine applausi e ovazioni per tutti (compreso Pasqual, intrufolatosi furbescamente in mezzo agli altri, così in pochi l’avranno riconosciuto…) con qualche schiamazzo dai loggioni che ha lasciato del tutto indifferente la Digos (!) 

08 dicembre, 2023

Don Carlo in TV


E così è passato pure questo SantAmbrogio. Direi senza infamia (LaRussa e Salvini a parte) e senza lode (regia) e con qualche lode (Garanča).

 

Al loggionista di Viva l’Italia antifascista suggerirei: Ti guarda dal Grande Inquisitor!


02 dicembre, 2023

L’Orchestra Sinfonica Giovanile di Milano con Treviño

Nella giornata libera fra le due repliche del concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano, Robert Treviño ha trovato il tempo di tornare sul podio dell’Auditorium per dirigere l’Orchestra dei cadetti (under-25, ma con un doveroso 20% di seniores dell’Orchestra principale capeggiati dalla spalla Santaniello…) in un programma di tutto rispetto: Messiaen e Ciajkovski.

Di Olivier Messiaen abbiamo ascoltato un brano del 1930, ispirato al sacrificio (dimenticato dagli uomini) di Gesù Cristo. L’Autore ha premesso in partitura alcuni versi esplicativi:

Messiaen resta saldamente ancorato alla tonalità, caso mai (da fervente cattolico, oltretutto…) retrocede verso il gregoriano, come testimonia la notazione esplicativa – per i soli archi - delle lunghezze dei componenti delle melodie (si tratta di neumi, di medievale ascendenza, appunto) che Messiaen impiega in alcune pagine della partitura, non accontentandosi evidentemente – in assenza di testo sillabato - dei segni di legato sui righi:

Talvolta questa appare quasi una gratuita mania del 22enne compositore, come in questo esempio:

Dove i 5/8 sono notati 2+3 nei fiati e 3+2 negli archi, ai quali però sono affibbiati i neumi 2+3 (?!?)

Il brano (ascoltiamolo qui diretto da Paavo Järvi) è suddiviso (pur senza cesure formali, né numerazioni o sottotitoli, che Messiaen ha indicato in separate esegesi) in tre sezioni, corrispondenti alle tre componenti del programma esplicitato a fronte della partitura e mai sconfessato (al contrario di ciò che ripetutamente accadde, per dire, a Mahler): se osserviamo gli accidenti in chiave, abbiamo MI minore per le prime due sezioni e MI maggiore per l’ultima.

Très lent. Doloureux, profondément triste (34”)

Braccia tese, tristi fino alla morte,
sull'albero della Croce hai versato il tuo sangue.
Tu ci ami, dolce Gesù, lo avevamo dimenticato.

La Croix, lamento degli archi, i cui dolorosi neumi dividono la melodia in gruppi di durata variabile, rotta da lunghi squarci di color malva e dal grigio dei lamenti.

Sono in tutto 13 battute, incluse 2 di transizione alla sezione successiva. Le 11 battute hanno tempi continuamente cangianti, e precisamente (espressi in ottavi): 10-11-9-7-9-10-8-7-11-7-9 e riportano tutte i rispettivi neumi. Ciò rende proprio l’idea delle atroci sofferenze di Cristo sulla Croce. Le restanti 2 battute di transizione sono in 4/4 e 3/4. Protagonisti sono gli archi (contrabbassi esclusi) con il supporto assai discreto di legni, due corni e una tromba.

Vif, féroce, désespéré, haletant) (3’07”) 

Spinti dalla follia e dal pungiglione del serpente,
in una corsa affannosa, frenetica, senza sosta,
siamo scesi nel peccato come in un sepolcro.

Le Péché, una sorta di “corsa verso l’abisso” ad una velocità quasi da mezzo meccanico. Vi si noteranno le forti accentazioni finali, il sibilo degli armonici in glissando, i penetranti richiami delle trombe.

 

È la sezione più corposa del brano, 97 battute, ma il tempo agitato determina una durata analoga a quella della prima sezione. Qui i cambi di tempo fra le battute sono meno frequenti ma sono accompagnati da variazioni agogiche (accelerazioni e rallentamenti). Le ultime 4 battute sono in tempo moderato (4/4) e preparano l’atmosfera della sezione finale. L’orchestra qui è impegnata al massimo e a pieno organico, con frequenti e brusche variazioni dinamiche.

Extrêmement lent, avec une grande pitié et un grand amour (6’11”) 

Ecco la mensa pura, la fonte della carità,
il banchetto dei poveri, ecco l'adorabile Pietà che offre
il pane della Vita e dell'Amore.
Tu ci ami, dolce Gesù, lo avevamo dimenticato.

 L’Eucharistie, una lunga e lenta frase dei violini, che si innalza sopra un tappeto di accordi in pianissimo e riflessi rossi e blu (come una remota finestra di vetro macchiato) illuminati dagli archi solisti in sordina. Il Peccato è l’oblio di Dio. La Croce e l’Eucarestia sono la divina Offerta. “Questo è il mio corpo, offerto per voi – questo il mio sangue, versato per voi.”


Quest’ultima parte del brano è la più lunga in termini di durata e consta di 27 battute che mantengono il tempo di 4/4 preparato dalla precedente transizione e con un’agogica che presenta un solo, brevissimo rallentamento alla battuta 16. Ne è protagonista una sparuta pattuglia di archi alti: i primi violini più 4 secondi violini e 5 viole (tutti divisi). L’attacco di quest'ultima sezione deriva scopertamente dalla conclusione della prima, e così Messiaen evoca e collega efficacemente i concetti di pietà e amore richiamati dal programma fondante di questa sua opera.              
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Che dire? Un pezzo non certo facile, che i giovani (e i diversamente…) hanno saputo rendere con efficacia, presi per mano dal Direttore che è stato il primo ad applaudirli. 
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Ecco infine la ciajkovskiana Patetica. Qui davvero il Direttore ha fatto la differenza, trascinando la compagine ad una prestazione che definirei quasi sorprendente, date le circostanze (sono alla seconda apparizione pubblica, dopo il Mahler-Festival). Non sarà certo il caso di fare dei trionfalismi, ma di sicuro ci troviamo di fronte ad una bella realtà che ha davanti a sé una lunga ma affascinante strada da percorrere.

Alla fine, Treviño, accolto ripetutamente da battimani ritmati, ha simpaticamente invitato il pubblico ad intensificare gli applausi per i ragazzi, che evidentemente sono entrati in grande sintonia con lui. Insomma, un bel pomeriggio, di quelli che ci rincuorano in tempi piuttosto grami.  

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.5

Dopo aver diretto tre settimane fa la Quinta nel Mahler-Festival con la OSN-RAI, Robert Treviño torna sul podio dell’Auditorium per offrirci un programma tutto francese, che procede a ritroso nel tempo per 70 anni, dal primo ‘900 al profondo ’800: da Ravel a Berlioz.

Di Maurice Ravel erano originariamente in programma due brani sullo stesso soggetto fiabesco, quello delle Mille e una notte. Si sarebbe dovuto partire con Shéhérazade, ouverture de féerie, che rimase nel cassetto per quasi 80 anni prima di essere pubblicata (1975); ma qualcosa dev’essere andato storto, e così il concerto si è aperto con Shéhérazade, Trois poèmes pour chant et orchestre, del 1903, dedicati a tre rispettabili Madame e qui interpretati dalla 37enne mezzosoprano lituana Justina Gringyté, che spesso si esibisce con il Direttore texan-mexicano.

Di chiaro ascendente Debussy-iano, questo trittico è basato su testi poetici (di carattere piuttosto decadente e con sfumature simboliste) tratti da una collana di cento poesie, ispirate a Shéhérazade, di tale Léon Leclère, che già a quei tempi si ammantava di un bifronte nick wagneriano (Tristan Klingsor) e con il quale Ravel condivideva la frequentazione dell’appena neonato gruppo di artisti d’avanguardia (e appunto sfegatati per Debussy) noto come Les Apaches.

Anche le tre dedicatarie delle liriche avevano a che fare con quell’ambiente: Janne Hatto (dedicataria di Asie) fu la prima interprete del trittico; Marguerite de Saint-Moceaux (dedicataria di La Flûte enchantée) era famosa per i suoi prestigiosi ricevimenti e come mecenate di musicisti ed artisti, fra i quali proprio Debussy e Ravel; Emma Léa Moyse (dedicataria di L’Indifférent) già amante di Fauré, fu la seconda moglie proprio di Debussy, dopo aver divorziato dal banchiere Sigismond Bardac.  

1. Asie  
È il più lungo dei tre testi, un autentico viaggio nei misteri e nel fascino orientale: dopo una breve introduzione - davvero orientaleggiante - dell’oboe sul triplice richiamo Asie! Asie! Asie! e sull’evocazione, sostenuta dal corno inglese, di quel mondo che sa di fiabe che si raccontano ai bambini, ecco l’inizio del lungo e affascinante viaggio. Per ben 14 volte il testo ripete Je voudrais, il desiderio di conoscere, di esplorare, di immergersi in quel magico universo. E a quel vorrei segue di volta in volta: 1. una goletta che solca il mare spinta dalla sua vela violetta; 2. un’isola fiorita sperduta in mezzo al mare tempestoso; 3. Damasco o una città persiana, con gli agili minareti; 4. turbanti di seta sopra volti scuri e bianche dentature; 5. occhi e pupille piene d’amore e pelli ingiallite; 6. vesti di velluto con lunghe frange; 7. calumet risucchiati da bocche avvolte da bianche barbe; 8. sguardi ambigui di mercanti, visir che muovendo un dito decretano vita o morte; 9. Persia, India e Cina, Mandarini, Principesse e letterati che discettano di poesia e bellezza; 10. un palazzo incantato ornato da preziose stoffe raffiguranti personaggi al centro di un giardino: 11. assassini che assistono divertiti all’esecuzione di un innocente operata da un boia con una curva scimitarra; 12. povera gente e regine; 13. rose e sangue; 14. chi muore d’amore e chi di odio.     

Ciascuno di questi desideri è accompagnato da delicate figurazioni impressioniste, che sfociano in un drammatico crescendo dell’intera orchestra, che poi va sfumando per dare spazio all’epilogo: l’onirico viaggio lascia al poeta il desiderio di raccontarlo a chi ama sognare, sorseggiando di tanto in tanto - alla maniera di Sinbad - una tazza araba, per interrompere sapientemente il racconto… 

Chissà, potrebbe essere proprio la bella Shéhérazade a raccontare questo squarcio notturno: introdotta dalla sensuale melodia del flauto, la favorita del sultano, che lei ha abilmente addormentato con uno dei suoi mille ammalianti racconti, comincia ad udire – mentre il tempo, da Très lent diventa improvvisamente Allegro – una melodia, ora mesta, ora gioiosa, suonata dal suo amante. Il tempo torna Lent, per farle assaporare quelle note che, dalla finestra, arrivano sulla sua guancia come un misterioso bacio. La figurazione iniziale del flauto ritorna per chiudere questo delicato siparietto.

Qui siamo all’Oriente più… confuciano: come non pensare all’atmosfera (Er stieg vom Pferd und reichte ihm den Trunk) del mahleriano Abschied? Un passante dai tratti effeminati transita davanti ad una porta a cui si affaccia il soggetto recitante (maschio o femmina? chissà…): che ne è attirato sensualmente, e lo invita a fermarsi per bere del vino con lui. Finora il tempo è continuamente Lent, anzi, poi, ancora Plus lent. Ma il passante (mentre il tempo si agita un poco) si allontana con un grazioso gesto di efebica indifferenza, dopodichè il tempo torna alla perenne lentezza. 
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Davvero encomiabile la prestazione della bella Justina, che ha sfoggiato la sua voce ben tornita e la sua raffinata sensibilità, pienamente in sintonia con il sapore decadente di testo e musica. Musica di cui Treviño ha a sua volta messo in luce tutte le sfumature e le nuances, ben assecondato dall’orchestra, soprattutto i legni che sono protagonisti assoluti.

Accoglienza calorosissima del pur non oceanico pubblico.
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E infine l’inflazionata FantasticaUn’interpretazione da manuale, quella del Direttore, che mai si è abbandonato (e di occasioni e… tentazioni questa Sinfonia ne presenta a josa) a gratuite e facili iniziative. Da incorniciare l’introduzione al primo movimento, dove la musica sembra davvero nascere e crescere dal nulla; poi la raffinatezza del Bal (protagoniste le arpe di Elena Piva e Marta Pettoni); mirabile la resa della Scène aux Champs (il corno inglese di Paola Scotti e l’oboe fuori scena di Emiliano Greci) con tratti da impressionismo ante-litteram; e quindi, sempre senza soluzione di continuità, la Marcia al supplizio e il Sabba conclusivo, dove Treviño ha scatenato le furie degli ottoni (le tube di Davide Viana e Alberto Tondi sugli scudi, in un protervo Dies Irae) portando il pubblico ad un parossistico entusiasmo, con ripetuti battimani ritmati e ovazioni per Kapellmeister e Musikanten!  

Si replica domani, ma anche oggi pomeriggio sarà ancora e sempre Treviño, per... collaudare l’Orchestra under-25.