affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

09 agosto, 2023

La prima volta di Eduardo&Cristina al ROF

In attesa di ascoltarla per radio venerdi 11 (e poi dal vivo più avanti) è il caso di fare qualche considerazione su Eduardo&Cristina, cha ha l’onore di essere l’ultima delle 39 opere di Rossini a venir presentata al Festival (le prime furono, nell’ormai lontano 1980, La gazza ladra e L’inganno felice).

L’opera che quest’anno apre il 44° ROF è comunemente definita un centone, in quanto costruita per larga parte assemblando e rimaneggiando componenti presi di peso da opere precedenti a quel sabato 24 aprile del 1819 che ne vide la creazione a Venezia, Teatro di San Benedetto. Qui si può leggere una breve sinossi. E qui il libretto dell’opera

Curiosamente (ma non è affatto da escludere che si tratti di una scelta deliberata della Direzione artistica del Festival) una delle altre due opere in cartellone quest’anno è proprio quell’Adelaide di Borgogna che ha generosamente fornito più di una delle sue costole allo scheletro del centone (le altre provengono da Ermione, Ricciardo&Zoraide e Mosè in Egitto).

Ad oggi risultano soltanto due esecuzioni pubbliche dell’opera, entrambe fruibili da youtube, registrate in tempi diversi al Festival Rossini di Wildbad, rispettivamente nel luglio 1997 e nel luglio 2017. Le due esecuzioni si differenziano per i tagli ai recitativi (a volte sono gli stessi, altre volte sono diversi) e per un aspetto abbastanza importante, dal punto di vista musicale: la prima, diretta da Francesco Corti, include l’aria di Giacomo (Atto II, Scena IV) Questa man la toglie a morte, prelevata di peso da Odoardo&Cristina di Stefano Pavesi sul libretto originale di Giovanni Schmidt del 1810, mentre la seconda (diretta da Gianluigi Gelmetti) la esclude proprio in quanto aliena.

Per diritto di progenitura mi riferirò da qui in poi alla registrazione del 1997. In giallo sono evidenziati i riferimenti ai numerosi auto-imprestiti che costellano la partitura.

La Sinfonia che apre l’opera è un bell’esempio delle mirabili capacità di Rossini di creare con poca fatica nuovi oggetti musicali a partire da sue composizioni precedenti. La struttura (tonalità d’impianto RE maggiore) è formata da un’Introduzione drammatica costituita da tre pesanti accordi in ambito di RE minore e chiusa (1’22”) da un motivo nella relativa FA maggiore, cui segue l’esposizione bitematica: ecco il primo tema (2’22”) in RE maggiore, seguito dal rituale controsoggetto e dalla chiusa enfatica sulla dominante LA. Sulla quale (3’50”) compare il secondo tema [questo abilmente mutuato da Ricciardo&Zoraide (duetto dall’atto secondo, scena quarta, Ah! nati, è ver, noi siamo, là in DO maggiore)] cui segue (4’29”) il classico crescendo [preso da Ermione (dove compare dapprima nell’Introduzione, in DO e poi FA maggiore; quindi nell’Atto secondo, scena terza, coro Il tuo dolor ci affretta, là in DO e poi MI maggiore).] Eccoci infine (5’40”) alla riesposizione del primo tema in RE maggiore e poi (6’58”) a quella del secondo, pure allineatosi al RE come da sacri canoni, quindi (7’37”) al definitivo crescendo.

Il primo Atto (9’10”) è aperto dalla classica Introduzione, che è presa di peso da quella di Adelaide. Il coro (Giubila, o patria, omai) inneggia al ritorno del vittorioso Eduardo, che ha sconfitto gli eterni nemici russi. [Ecco l’analogo coro, nella stessa tonalità di FA maggiore (Misera patria oppressa) dell’Adelaide.]

Cristina, figlia del re Carlo, è tormentata dal segreto che custodisce (ha avuto un figlio da Eduardo) ed esterna la sua pena (11’17”, Misera, innanzi al padre, SIb maggiore); poi (13’54”, LAb maggiore) Ciel che vedi. Ora Eduardo è vicino (15’32”, Or la schiera, FA maggiore) e Cristina è sempre più in pena (16’25”, Coniugal, materno amore) con Carlo e Giacomo che ne scrutano i sentimenti. [Ecco invece Adelaide (Lasciami!, SIb); poi Dio che m’ami (LAb); infine Ah crudel (FA maggiore).]

Carlo intende andare a fondo sulle ragioni dei tormenti della figlia, mentre arriva finalmente Eduardo con le sue truppe, accolto dal coro (19’00”, Serti intrecciar le vergini) tonalità di DO maggiore. Eduardo esordisce (22’20”) con il cantabile Vinsi! Cui segue (24’33”) la cavatina in MIb maggiore Tu regni lieto omai, dove poi il giovane esterna (25’17”) la sua preoccupazione (Serena il ciglio, ancora in DO maggiore) per il futuro di moglie e figlioletto. [Tutta questa scena è pienamente mutuata dal finale di Adelaide, a partire da Serti intrecciar le vergini cui seguono il cantabile di Ottone (Vieni) in DO maggiore, poi la cavatina in MIb maggiore Al trono tuo primiero, cui segue D’imene il talamo (DO maggiore).]  

Re Carlo – ignaro della segreta relazione della figlia con Eduardo – la promette in sposa all’alleato scozzese Giacomo, gettando Cristina nella disperazione, mentre i grandi del regno – ignari quanto il Re – ne cantano la prossima felicità (29’30” O ritiro, che soggiorno, in SOL maggiore).

Cristina (31’28”, aria È svanita ogni speranza, RE, poi SOL maggiore, con il coro) ormai vede la liberazione dalle sue pene solo nella morte, così Eduardo (35’26” Deh, quel pianto raffrena, sempre SOL maggiore) cerca di consolarla come può, chiedendole di poter abbracciare il loro piccolo Gustavo.

Che Cristina manda a prendere, per poi attaccare con Eduardo (36’45”) un grande duetto (In que’ soavi sguardi) in MI maggiore, con modulazioni alla sottodominante LA, successivamente a DO e poi SOL, prima di tornare al MI maggiore. Eduardo fa di tutto per rassicurare la sposa (40’00” A dispetto d’empio fato, SI maggiore) e finalmente, guardando il figlioletto (41’30” Tu che i puri e dolci affetti, MI maggiore) i due si rincuorano a vicenda.   

[Come la precedente, anche questa sezione dell’opera è presa – quasi interamente, ma parecchio ridotta - da Adelaide, precisamente dall’atto primo, scena 13. Dove troviamo il coro O ritiro, che soggiorno (SOL); poi Occhi miei, piangeste assai (RE, SOL); quindi il gran duetto: Mi dai corona e vita (MI, LA, DO, SOL e MI maggiore); Vieni al tempio (SI maggiore) e infine Tu che i puri e casti affetti, MI maggiore.]

Eduardo propone di fuggire dal palazzo, con l’aiuto del fido Atlei, ma sopraggiungono il Re e i dignitari, per celebrare il matrimonio fra Cristina e Giacomo (45’01”, coro Vieni al tempio, principessa, in SIb maggiore). [Anche questo mutuato, tonalità compresa, da Adelaide, atto primo, scena 10, Viva Ottone.]

Cristina si schermisce, ma poi deve confessare tutto, compresa l’identità del bambinello lì presente e mai mostrato prima ad alcuno. Il padre Carlo rimane sconvolto e decide di punire la fedifraga con la morte. Lo fa cantando la sua grande aria, assai articolata e con interventi di coro e altri personaggi. Dapprima ecco (50’08”) D’esempio alle alme infide in SIb maggiore, poi modulante a FA maggiore. Poi (52’29”) A sì crudele affanno, in REb e poi ancora a FA maggiore; quindi (53’40”) All’eccesso della pena, ancora in REb; infine (55’41”) Ah, sgombrate da me bassi affetti, tornando a SIb maggiore.

[Questa grande aria è tratta in gran parte da Ermione, primo atto, quarta scena, Balena in man del figlio, cantata da Pirro. Vi ascoltiamo poi Per lei sfidai le stelle (3’06”) in REb e FA maggiore; quindi Deh serena i mesti rai (4’50”) in RE naturale (sostituita in E&C); infine Non pavento (8’30”) ancora in SIb maggiore.]

Siamo arrivati al Finale primo (59’25”) che si apre con un coro (A che, spietata sorte) in DO minore / MIb maggiore: sono i notabili e le guardie che imprecano contro il destino che ha voluto questo esito nefasto. [Questo coro è preso dal second’atto, scena 14, di Ricciardo&Zoraide (Qual giorno, aimè, d’orror) in DO minore e MIb maggiore.]

Inizia ora la scena madre: Carlo chiede alla figlia il nome del suo seduttore, poi lo stesso fa il coro (1h02’51”) con un perentorio DO maggiore: Svela il reo, ma Cristina è ferma nel suo silenzio e invoca la meritata pena. In quel momento (1h05’36”) Eduardo si fa avanti (Ah, mi lascia) e – con la tonalità che modula a LAb maggiore - confessa di essere lo sposo di Cristina. Su quel LAb ecco nascere un classico concertato (1h06’41”, Che fiero stato) protagonisti Cristina, Eduardo, Carlo, Giacomo e Atlei. [Questo concertato viene da Ermione, finale del primo atto, Sperar, temer poss’io, in LAb (da 1’06”).]

Con la tonalità che passa a FA maggiore ecco (1h08’14”) il confronto finale fra Carlo ed Eduardo (Vil vassallo!) e l’ordine del Re di giustiziare anche il piccolo Gustavo. È la madre ora ad implorare pietà (1h10’18”, DO maggiore, Signor, deh moviti) con un canto agitato che introduce la conclusione concertata dell’atto, con il trasferimento in carcere di Eduardo, Cristina e figlio. [Siamo ancora in Ermione, con il finale del primo atto, in DO maggiore (Pirro, deh serbami).]
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Eccoci quindi al secondo atto. Che si apre (1h14’09”) con il coro Giorno terribile, in RE minore, poi FA maggiore: è la Corte di Carlo che lamenta la tragica conclusione che sta per arrivare, con la pena capitale inflitta alla principessa e all’eroe nazionale. Anche il fido Atlei non si dà pace, mentre il coro (1h16’01”) commenta l’ineluttabilità di ciò che sta per accadere (Impera severa la legge possente, in RE maggiore).

Atlei non si dà per vinto e si ripromette di fare ogni tentativo per salvare l’amico Eduardo, mentre Re Carlo conferma la sua irrevocabile decisione a Guglielmo. Il quale si dice disposto ad accettare in sposa Cristina, prossima vedova, pur di evitare la totale catastrofe. Carlo lo ringrazia dell’offerta, e così Guglielmo si esibisce (1h18’48”) nella sua aria Questa man la toglie a morte, in FA e DO maggiore. [Come già anticipato, questa aria non è di Rossini, ma è presa direttamente dalla partitura di Stefano Pavesi, che aveva già composto un’opera – Odoardo - sul testo poi trasformato in quello dell’Eduardo.] 

Carlo fa chiamare Cristina e le comunica l’offerta di Guglielmo, al che la figlia reagisce (1h23’36”) con l’esternazione Ahi, quale orror! in LA maggiore, che dà inizio ad un grande duetto con il padre. Nel quale duetto – che prosegue con due sezioni nella dominante MI maggiore per poi chiudere in DO maggiore (Squarciami, o morte, 1h27’43”) - i due restano sulle loro posizioni: lui cerca invano di convincere la figlia, che rimane irremovibile nel rifiutare l’offerta e nel chiedere la morte.

A questo punto (1h29’07”) al duetto si aggiunge il Coro, che – tornando a MI maggiore – sollecita (Signor, di Scozia il Prence) la risposta per Guglielmo. Ma tutto è vano e – rimodulando al LA maggiore iniziale - la scena si chiude con la disperazione generale.

[Il duetto Cristina-Carlo è un altro auto-imprestito da Ermione, atto primo, scena seconda, duetto Ermione-Pirro a partire da Non proseguir! in LA e MI maggiore, poi con Ah, m’odia già, DO maggiore e quindi con l’intervento del coro (Sul lido) in MI e finalmente in LA maggiore.]

Arriva ora la notizia che i nemici hanno assaltato le mura della città: Carlo affida a Guglielmo la difesa, mentre Atlei pensa a come approfittarne per salvare Eduardo.

Il quale giace in carcere, come ci notifica (1h33’50”) il mesto coro dei suoi seguaci, Nel misero tuo stato, in MIb maggiore e DO minore. Il giovane si informa sullo stato di moglie e figlio e, sapendoli ancora in vita, chiede ai suoi di implorare la grazia per loro al Re, concludendo l’implorazione (1h39’32”) con la cavatina in SOL maggiore La pietà che in sen serbate.

Ma ecco sopraggiungere (1h43’03”, Viva Eduardo, in DO maggiore, è il crescendo già udito nella Sinfonia e qui ulteriormente sviluppato e sottoposto a modulazioni) il fido Atlei con altri soldati, che gli reca una spada e lo invita ad unirsi ai difensori della patria contro il nemico russo. Al che il giovane (1h44’33”) risponde con la cabaletta Come rinascere, in SOL maggiore, e si unisce agli amici, avviandosi alla battaglia. [Questa cabaletta viene da Ermione: è quella cantata da Oreste, in MIb, Ah, come nascondere, atto primo, scena 3 (da 42”).]

Ora si passa direttamente (1h48’00”) da un carcere all’altro, quello in cui è rinchiusa la povera Cristina: l’introduzione è affidata al mesto canto del corno inglese (DO minore – MIb maggiore) che accompagna una specie di incubo di cui è preda la giovane: l’esecuzione di Eduardo. Dal quale si risveglia (1h51’23”) con un… cantabile in LAb maggiore (Ah no, non fu riposo). [Questo cantabile è pure ripreso da Ermione, atto secondo, scena seconda, Dì che vedesti piangere, lì in LA maggiore.]

Ancora un recitativo accompagnato (1h53’11”, Ah, ch’io vaneggio) in MIb maggiore, poi sfocia in un cantabile in DO maggiore (1h54’08”, Vieni pur) in cui la poveretta invoca la morte; poi, su un colpo di cannone, modula a LA minore (1h55’35”, Ma che sento) e si dispera, paventando l’imminente fine. Altri colpi di cannone (1h56’24”) e ritorno a MIb maggiore (Raddoppia il fragore) finchè ecco il colpo di teatro: Eduardo le compare dinanzi (1h56’59”, Respira!): con Atlei e altri compagni è lì per trarla in salvo.

Un ritorno al DO maggiore sottolinea la concitazione del momento, che culmina con la notizia che anche il piccolo Guglielmo è in salvo. E così si arriva direttamente al duetto Cristina-Eduardo (1h57’41”, Ah, nati in ver noi siamo) e tutti si avviano per la battaglia che li attende. [Come già sottolineato nella descrizione della Sinfonia, il duetto è preso, proprio pari-pari, parole e tonalità incluse – da Ricciardo&Zoraide.]

Dopo che Giacomo ha a sua volta esortato i suoi ad andare in soccorso del Re minacciato, ecco esplodere (2h01’18”) la Battaglia, ancora in DO maggiore, poi chiudendo in minore. [Inconfondibile questo brano: è la traversata del Mar Rosso, nel finale del Mosè!]

Giacomo ritrova il Re, ormai disperato, e gli comunica la buona notizia: i nemici furono sconfitti da Eduardo, liberato da Atlei. E proprio in quel momento sopraggiunge Eduardo (2h04’35”) ed ha inizio, in MI maggiore, poi LA maggiore, il duetto (Stelle, che intendo?) fra… suocero e genero! Carlo perdona Eduardo, che altro non chiede se non la salvezza di Cristina e del piccolo Gustavo (Salvami sposa e figlio).

Ma ormai il lieto fine è vicino: Carlo perdona anche Cristina e la riconsegna ad Eduardo, mentre Giacomo mitiga la sua delusione per la rinuncia alla Principessa con la gioia per la di lei felicità. Un concertato con coro finale, in FA (e DO) maggiore (2h11’13”, Or più dolci intorno al core) chiude l’opera in gloria. [Questo finale è direttamente mutuato da quello di Ricciardo&Zoraide.]
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Che dire? Certo quest’opera fu frutto di un’operazione piuttosto azzardata e discutibile, tuttavia fu costruita con cura e razionalità: non è un semplice affastellamento di musiche riciclate così a caso, senza alcun criterio, ma gli auto-imprestiti sono sempre accuratamente motivati da ragioni drammatiche. Solo così si spiega come il pubblico veneziano del 1819 abbia potuto apprezzare l’opera: non conoscendo l’origine di buona parte della musica, le riconobbe però piena pertinenza rispetto al soggetto. E lo stesso Stendhal - che pure era al corrente dei retroscena – tutto sommato ne riconobbe il valore.

Cosa che possiamo fare tranquillamente anche noi, apprestandoci a seguirne la presentazione del ROF. 

01 agosto, 2023

Arriva il ROF-44

Pesaro si prepara ad offrirci la 44esima edizione del suo Festival rossiniano, che nel cartellone principale presenta come al solito tre opere, ripetute per 4 recite ciascuna, più un concerto finale.

Quest’anno le opere sono:

Eduardo e Cristina (prima assoluta al ROF)
Aureliano in Palmira (ripresa della produzione 2014)
Adelaide di Borgogna (nuova produzione)

La chiusura sarà riservata alla Petite Messe Solennelle (versione per orchestra).

Dal punto di vista statistico, la novità più interessante è senz’altro rappresentata dall’opera che aprirà la kermesse venerdi 11 agosto, trattandosi dell’ultima delle 39 composte da Rossini ad essere rappresentata al ROF, il quale potrà così coronare il suo principale obiettivo, quello di mettere in scena, riproponendole al vasto pubblico, tutte le opere del grande Gioachino amorevolmente riportate alla luce, ben rimesse a nuovo, dal benemerito lavoro scientifico della Fondazione Rossini.

Ma anche le altre due opere in cartellone sono le più fresche di comparsa al ROF: 2014 Aureliano e 2011 Adelaide.

Neanche quest’anno si tornerà al perennemente ristrutturando Palafestival (sarà il 2024 l’anno – capitale della cultura - buono?) e in più resterà chiuso anche il glorioso Teatro Rossini! Quindi le tre opere e il concerto finale saranno tutti ospitati alla periferica quanto impersonale Vitrifrigo Arena

Per la delusione dei suoi affezionatissimi fan, Juan Diego Florez, che dal 2022 è Direttore Artistico del Festival, non si esibirà sul palcoscenico.

Radio3 trasmetterà le tre prime (11-12-13 agosto, ore 20). RAI5 diffonderà la serata inaugurale in leggera differita (21:15). Seguiranno (qui) sommari commenti a tali prime radiotelevisive e qualche impressione più circostanziata dopo esperienza diretta in loco.

Di seguito una tabella statistica che riassume (in ordine decrescente di presenze) tutte le proposte del ROF a partire da quel lontano 1980 che lo vide nascere.

29 luglio, 2023

Appendice al recente Parsifal bayreuth-iano

Dato che lo streaming video della prima non era (come previsto) captabile fuori dall’area geografica crucca, il mio precedente, succinto commento a caldo era limitato forzatamente ai soli suoni, diffusi da varie emittenti radio, inclusa la nostra.

Poi è comparso su youtube anche un video integrale, la cui vita è stata brevissima, come potevasi immaginare, subito spezzata da ricorsi della filiera che cercherà di arricchirsi con i DVD di prossima produzione. Io avevo giusto fatto in tempo a scaricare il prezioso reperto, per potermelo poi gustare e giudicare con calma, quando, come l’araba fenice, ne sono subito spuntati addirittura altri due: uno e due

Così adesso sono in condizione di dire due cosette anche sulla messinscena (o meglio, su ciò che la regìa televisiva ha mostrato della messinscena di Jay Sheib).

Una volta tanto devo confessare di non condividere la chiara contestazione al team registico, già emersa al termine del primo atto e poi esplosa abbastanza rumorosamente all’uscita finale.

Poiché, al di là di alcune trovate discutibili (o di difficile decifrazione) come la presenza della donna che si accompagna (ehm… lascivamente) a Gurnemanz durante la seconda parte del Preludio (che sia una visione onirica del vegliardo?) e poi torna accanto a lui alla fine, oppure quella del personaggio cui Parsifal, dopo la sua fulminante reazione al tentativo materno-meretricio di adescamento da parte di Kundry, cava letteralmente il cuore (più …una pietra?) dal petto… mi pare che la concezione di fondo del regista rispecchi abbastanza fedelmente quella che secondo molti (incluso il sottoscritto) è l’interpretazione più seria dell’ultimo dramma wagneriano: la redenzione della Religione secolarizzata e dell’Arte degenerata da parte del folle Artista-Redentore Parsifal (al secolo il medesimo Richard Wagner).

Il momento topico di tale concezione viene risolto dal regista mostrandoci Parsifal che, dopo avere scoperto il Gral, mette in pratica la sua decisione di lasciarlo scoperto per sempre… scaraventandolo a terra e mandandolo in mille frammenti!

Per il resto, un approccio che definirei piuttosto minimalista, un po’ à-la-Wieland, ecco.
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PS: nel caso che anche i due nuovi video vengano inceneriti come il primo, affinchè i rari-nantes che ancora si ostinano a leggere questo blog possano condividere (o contestare) quanto ho esposto, faccio anch’io un’operazione piratesca, mettendo loro a disposizione il video proibito (così faccio indirettamente anche un test sulla severità e capillarità dei controlli nella rete…)

25 luglio, 2023

A Bayreuth ha debuttato un Parsifal (lato suoni) più che positivo

Si è quindi aperto oggi pomeriggio il 111° Festival di Bayreuth, con una nuova produzione di Parsifal curata da Jay Scheib per la messinscena e da Pablo Heras-Casado per la direzione e concertazione.

Il Direttore spagnolo lo scorso dicembre aveva interpretato il second’atto all’Auditorium di Milano con laVerdi, mostrando di sapersi ben destreggiare nei meandri di quest’opera complessa e per molti tuttora inafferrabile. (Io personalmente aderisco con convinzione a quella corrente di pensiero che spiega Parsifal come atto finale della missione wagneriana di redimere Arte e Religione, come ho cercato di sintetizzare in questo scritto

Beh, mi sento di dire che il Kapellmeister iberico abbia superato a pieni voti l’esame con una direzione equilibrata (poco meno di 4 ore nette): né insopportabilmente sostenuta, ma neanche esasperatamente espressionista.

Da elogiare la meticolosità che ha messo nello scavo dei particolari (cose che magari si notano solo con la partitura sotto gli occhi): ad esempio alcune microscopiche prese di respiro, quando fra le battute non esiste segno di legatura, o anche qualche appropriata variazione agogica. I buh che hanno accolto (insieme a irrituali applausi) la calata del primo sipario giurerei non fossero indirizzati a lui!

Ma presumibilmente alla regìa (e/o alla drammaturgia…) che alla fine è stata accolta con freddezza (benevolo eufemismo) ma che lasciamo giudicare a chi ha visto.

A parte Heras-Casado (e all’Orchestra, sempre impeccabile) e al Coro di Eberhard Friedrich (ancora una volta a livelli sontuosi) bene mi pare di dover dire per il gran vecchio Gurnemanz, cui Georg Zeppenfeld ha prestato la sua autorevole padronanza del ruolo-chiave del dramma; poi Derek Welton, un Amfortas convincente per il pathos che ha saputo creare attorno alla sua figura tormentata; felice la prestazione della Elina Garanča, che ha messo in dovuto risalto le due facce di Kundry (pietosa Maddalena e blasfema adescatrice). Andreas Schager mi è parso un Parsifal stranamente a corrente alternata, un po’ in difficoltà nel second’atto. Jordan Shanahan ha dignitosamente impersonato il cattivone nonchè casto (così lo apostrofa perfidamente Kundry) Klingsor. Tobia Kehrer è stato un onesto Titurel. Cavalieri del Gral e Fanciulle fiore in ottima forma, ecco tutto.

23 luglio, 2023

Bayreuth, sempre più… periferica

Fra un paio di giorni apre quella che ancora pochi anni orsono era la Kermesse estiva più rinomata e… chiacchierata del pianeta. Oggi non fa quasi più notizia (ne fa di più la banda Wagner di mercenari del cuoco Prigozhin) e anche la copertura delle emittenti radio-TV si è andata progressivamente assottigliando: RAI-Radio3 per ora annuncia la diretta del Parsifal inaugurale, ore 16 di martedi; Radio Clasica trasmette anche il primo ciclo del Ring. I Bavaresi trasmettono Parsifal anche in streaming (non è dato sapere se solo per il territorio domestico…) e la Radio Bavarese è comunque sempre presente.

In compenso gli ospiti del Festspielhaus potranno godersi Parsifal con speciali occhialini che mostrano la realtà aumentata (qualunque cosa significhi…)

L’edizione 2023 (n°111, a partire dal mitico 1876) vedrà quindi nascere una nuova produzione (l’undicesima) di Parsifal (che consoliderà così il record di rappresentazioni, 550 in 95 stagioni!) affidata all’esordiente ispanico Pablo Heras-Casado in coppia con l’americano Jay Scheib. Per il resto vengono riproposte quattro recenti produzioni: tre cicli del Ring, dove torna Pietari Inkinen, poi Tannhäuser (con l’altra esordiente Nathalie Stutzmann), Hollander (Oksana Lyniv) e Tristan (Markus Poschner).

21 luglio, 2023

Muti con la sua Cherubini a Ravenna

Il Ravenna Festival si avvia alla conclusione e, come consuetudine, è toccato al padrone di casa (acquisito) Riccardo Muti di dirigere l’ultimo concerto sinfonico del 2023 alla testa della sua Cherubini.

PalaDeAndré pieno come un uovo, il che rende inspiegabile perchè due delle sei sezioni delle tribune laterali fossero chiuse al pubblico (che poi le ha in parte occupate…) 

L’apertura era riservata a Nino Rota - che fu tra i primi a scoprire in Riccardo Muti un futuro protagonista della vita musicale italiana e internazionale – con la Suite in 8 movimenti da Il Padrino (parti I e II).

1. Sicilian Pastorale (I)
2. The Immigrant (II)
3. The Pickup (I, non usato)
4. Kay (II)
5. Love Theme (I)
6. A New Carpet (II)
7. Waltz (I)
8. End Title (II)

Ecco qui come Muti la registrò nel 1997 con i Trepper PhilharmonikerE anche ieri ne ha cavato tutta la raffinatezza e la profondità.

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Ancora di Rota, Il 54enne Tamás Varga da Budapest, primo violoncello dei Wiener Philharmoniker (che il  Maeschtre evidentemente conosce assai bene…) ci ha poi offerto il bellissimo Secondo Concerto.  
  
Che fu composto nel 1973 e dedicato al sommo Mstislav, con uno sguardo retrospettivo (ma per nulla anacronistico) alla grande tradizione classico-romantica, come dimostrano l’impianto rigorosamente tonale (SOL maggiore, con tanto di accidenti in chiave) e la struttura solo apparentemente eterodossa: due soli movimenti espressamente indicati ma, come osserva Bruno Moretti nell’introduzione alla partitura Schott, il secondo (Variazioni e finale) è in realtà una micro-sinfonia. Nella quale si possono distinguere Andante(tema)/Scherzo(variazioni 1-5)/Adagio(variazione 6) e Finale (variazione 7).
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Seguiamo il concerto accompagnati dal grande Mario Brunello con la SantaCecilia diretta da Robin Ticciati.  

L’iniziale Allegro moderato (4/4) si struttura come una forma-sonata liberamente interpretata. Vi si distinguono due temi principali (T1 e T2) e un motivo di raccordo (R). Sono i primi violini (1’40”) ad esporre T1, dal carattere giocoso e danzante, su un accompagnamento ostinato in crome di viole e celli:

Dopo alcune modulazioni cromatiche si torna a SOL maggiore, dove compare (2’09”) il motivo R, esposto ancora (in pizzicato) dai primi violini (ora in unisono con i secondi e le viole) su un martellante tappeto dei corni:

Ecco quindi (2’30”) il maschio e puntato tema T2, nei legni (qui il primo oboe):

Proprio sulla chiusura di T2 (2’42”) attacca il solista, con una svolazzata di semicrome che porta (2’53”) alla ri-esposizione di T1, qui completato (3’20”) da una sua variante, che si snoda dal SI anziché dal RE, per portare quindi, dopo il passaggio da R (3’32”), a T2 (3’54”).

E proprio T2 viene manipolato assai, dando inizio a ciò che si può intendere come sviluppo. Dove infatti torniamo ad udire (4’32”) spezzoni di T1 nei fiati, accompagnati languidamente dal solista, poi ancora (5’23”) T2, protervo, fino ad una perorazione grandiosa (5’43”) dell’incipit di T1.

Il solista si imbarca in volate di semicrome mentre i corni ripetono T2, seguiti da oboe e tromba (6’09”).

Il tema T1 (6’21”) ritorna largamente per dare inizio ad una specie di ricapitolazione, dove gli segue (7’09”) il motivo R pizzicato. Poi il solista (7’30”) attacca crudamente T2, quindi tutti tornano (7’44”) su T1, con un finale sberleffo (8’15”) di violini e viole. 

Siamo ora all’Andantino cantabile, con grazia (4/4, SOL maggiore) aperto da solista che ne espone (8’27”) il nobile tema conduttore, che poi verrà sottoposto a sette variazioni:

La seconda frase (8’50”) vira momentaneamente (8’56”) a REb maggiore, per poi modulare ancora (9’12”) a LAb maggiore, dove i violini, poi raggiunti dal solista, ri-espongono il tema. Che viene ulteriormente ripreso, dopo il ritorno al SOL maggiore di impianto, dal solista (9’45”) che però lo chiude anzitempo con una leggera accelerazione. È poi il fagotto (10’06”) ad esibirsi in una sommessa cadenza, prima che il solista (10’20”) riprenda solo l’attacco del tema, portandone la tonalità a LAb, su un tremolo che ne chiude l’esposizione.

Hanno ora inizio le variazioni sul tema. Come premesso, le prime cinque hanno un carattere mosso e nervoso, testimoniato dalla continua accelerazione del tempo (come da indicazioni metronomiche).

Il solista (10’37”) attacca la prima scendendo di un semitono per ripristinare il SOL maggiore, mentre il tempo accelera moderatamente (da 76-80 a 88 semiminime di metronomo). Assistiamo qui ad un serrato dialogo (a base di semicrome) fra solista e flauto, che si palleggiano spezzoni dell’incipit del tema, chiuso dal solista con il ritorno a LAb.

A 11’53” ecco quindi la seconda variazione, in buona parte in RE maggiore, con il tempo che ancora accelera (metronomo a 96) e che il solista esegue integralmente in pizzicato, frantumando letteralmente il tema principale, sempre rimbeccato da fagotti e corni, da ultimo anche dal flauto.

Chiude a 13’00” sul REb, da dove inizia (13’05”) in SIb maggiore, la terza variazione (3/4, Tempo di valzer calmo e cantabile) e metronomo ancora aumentato a 104-112:

È una variazione assai corposa, dove il solista è inizialmente accompagnato da oboe, clarinetto e corno, poi (13’28”) nella ripresa, anche dal flauto. La melodia viene successivamente sottoposta ad ardite modulazioni (come a 13’52”, SI maggiore, nel corno, poi a FA minore, 14’22” nel flauto e poi nel clarinetto). Si torna a 4/4 (Liberamente, con fantasia) e il solista chiude e infine sul LA.

Qui (15’30”) dal LA dominante parte la quarta variazione, in RE maggiore (Alla marcia, allegramente) con il metronomo ancora accelerato a 132-138. La melodia del solista si distende sull’arpeggio discendente di RE (da dominante a dominante) e viene accompagnata da oboe, poi da flauto e infine da squilli di trombetta. Il solista modula provvisoriamente a LAb maggiore (16’02”) poi l’orchestra torna sulla melodia in RE.

Siamo così arrivati alla quinta variazione, con il metronomo ancora accelerante a 144, dove il solista (16’23”) riprende i suoi arpeggi in SOL maggiore; quindi l’orchestra (16’45”) prepara il terreno per la lunga cadenza solistica (16’55”) che porta alla conclusione sul DO grave.

Nella sesta variazione (18’27”, Calmo, contemplativo) il metronomo torna a 76-80, quello dell’Andantino cantabile che aveva originato le variazioni. È una pagina di straordinaria bellezza, dove la melodia sale sempre più in alto per volute successive (cosa degna del Liebestod, per dire…) passando progressivamente dall’iniziale DO minore al celestiale SI maggiore (Tristan, appunto!) prima di ricadere sul SOL minore che la chiude.

SOL che torna maggiore a 21’57” (Allegro vivo) dove inizia la settima ed ultima variazione, un vero e proprio Finale, come indica la partitura. Qui il tema viene ripreso nella sua interezza, ma sottoposto a variazioni e modulazioni continue, affidate anche ai fiati (oboe, corni, flauto, trombe) e con squarci di virtuosismo per il solista. La conclusione è asciutta, due classici e semplici accordi (dominante-tonica) della smagrita orchestra.
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Splendida l’esecuzione di Varga, ben supportato dai ragazzi paternamente guidati da Muti. Bis con un nobile Adagio, concordato con il Maestro fra un bagno e l’altro (…)
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La seconda parte del concerto era tutta di marca spagnola. Ecco infatti di Manuel De Falla la Seconda Suite dal Cappello a tre punte, brano che Muti incise già nel 1980 con la Philadelphia.

Vi sono incorporate tre danze del second’atto del balletto, e precisamente:

- una Seguidilla (I vicini)

- poi una Farruca (3’11”, Danza del mugnaio)

- e infine l’indiavolata Jota (6’14”, Danza finale)

Ha chiuso il concerto il brano più eseguito in assoluto nella storia della musica: il Bolerodiravel!

Che come al solito ha portato il pubblico ad un delirante entusiasmo. Prima di salutare tutti, Muti ha voluto sottolineare il valore della sua creatura, fatta di giovani e giovanissimi che ogni anno ne rinforzano i ranghi; e dando a tutti appuntamento per il 2024, quando si festeggerà il 20° compleanno di questa che ormai è a pieno titolo una delle più solide realtà nel panorama musicale italiano. 

11 luglio, 2023

Venezi = Gergiev?

Premetto: non ho (ancora) avuto il piacere di ascoltare dal vivo musica diretta da Beatrice Venezi.

A mio modestissimo avviso il problema non è la richiesta (che non avrà fortunatamente seguito) di bandire alla Venezi l’accesso al podio dell’Opera di Nizza…

…ma la decisione irrevocabile e messa immediatamente in atto a suo tempo di bandire a Gergiev l’accesso al podio della Scala.