affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

12 marzo, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 20

Questa settimana laVerdi propone un appuntamento particolare, sia pure nel solco di una tradizione consolidata: un’opera di teatro musicaleLa voix humaine di Francis PoulencSul podio il versatile Giuseppe Grazioli.  

La parte introduttiva del concerto è però affidata alle due Suite dell’Arlésienne di Bizet. Curiosamente i soggetti dei due lavori in programma (di Alphonse Daudet e di Jean Cocteau, rispettivamente) hanno in comune un drammatico epilogo: un suicidio! Entrambi provocati da disillusioni amorose: nella pièce di Daudet il protagonista del gesto è un giovane, che si getta dal tetto della casa; in quella di Cocteau è una signora a strangolarsi con il filo del telefono...

L’Arlésienne. I due estratti dalle musiche di scena per L’Arlésienne furono approntati dall’Autore (prima Suite) e dal solito Ernest Guiraud (seconda Suite) lo stesso che predispose anche i recitativi della Carmen, alla morte prematura dell’Autore.

Oltre alle Suite, esiste anche una ricostruzione-orchestrazione dell’intero corpus delle musiche per il dramma di Daudet, predisposta da Dominique Riffaud, che si può ascoltare in rete ed ha la struttura mostrata in Appendice insieme a quella delle due Suite (evidenziate in rosso e blu). Entrambe le Suite si articolano in 4 numeri, che non rispettano necessariamente la sequenza degli avvenimenti narrati da Daudet: la loro durata complessiva supera di non molto i 30’, circa la metà della durata dell’insieme delle musiche di scena.

Va notato che il terzo numero della seconda Suite (quella di Guiraud) non proviene dall’Arlésienne, bensì dall’opera La jolie fille de Perth. Si noti infine come in entrambe le Suite il triste finale della storia venga accuratamente ignorato, per far posto ai brani più accattivanti e di grande effetto.

E Giuseppe Grazioli ne ha cavato un’interpretazione a dir poco entusiasmante, valorizzando al massimo livello tutti i tesori nascosti nelle due partiture, che davvero meritano di essere eseguite insieme, e non a spizzichi e bocconi come capita spesso di sentire.

Direttore e suonatori hanno quindi ricevuto dal pubblico (sempre pochi-ma-buoni, con i tempi che corrono...) un meritatissimo riconoscimento di applausi e ovazioni.
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Ecco quindi il piatto forte della serata: La voix humaine di Francis Poulenc, interpretata dalla trentenne Alexandra Marcellier e con l’allestimento semi-scenico di Louise Brun.

Il monodramma di Cocteau è tutto recitato dalla protagonista al telefono (i cui trilli sono emessi dallo xilofono): la donna parla (a parte interferenze di centralinista ed estranei, fra il ridicolo e il grottesco, spiegabili con lo scenario ancora pionieristico di quel tipo di comunicazione) ad un uomo evidentemente a lei legato da passati vincoli d’amore, amore presumibilmente sfumato. Ecco la registrazione del 1959, anno della prima, protagonista Denise Duval (con Georges Prêtre).

Poulenc ha vergato a fronte della partitura alcune note di interpretazione, indirizzate al soprano e al direttore:

1. L’interprete deve essere giovane ed elegante;
2. Lei deciderà (con il direttore) come gestire le innumerevoli corone puntate che costellano la partitura;
3. I passaggi di canto senza accompagnamento devono avere un tempo assai libero, muoversi repentinamente dall’angoscia alla calma e viceversa;
4. L’intera opera dovrà caratterizzarsi per la massima sensualità orchestrale.

Beh, mi sento di dire che tutte le prescrizioni dell’Autore siano state ampiamente rispettate, a cominciare dalla prima! La bella Alexandra da Perpignan, ora accovacciata dietro una semplicissima struttura (una specie di lungo schedario a fisarmonica) e accanto ad uno scatolone pieno di lettere e fogli di spartito musicale, ora in piedi, sempre con in mano la cornetta (e il filo!) è stata protagonista di una prestazione davvero coinvolgente. E Grazioli ha fatto di tutto per realizzare quella sensualità orchestrale evocata da Poulenc.

Successo strepitoso per la Marcellier, per Grazioli, Orchestra e per la Brun.         
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Appendice: l’Arlésienne e le due Suite.

Acte I 

1. Ouverture (Suite I-1 Prélude)
2. Mélodrame
3. Mélodrame
4. Mélodrame
5. Chœur et Mélodrame
6. Mélodrame et Chœur Final

Acte II 

Premier Tableau
7. Pastorale (Entr'acte et Chœur) (Suite II-1 Pastorale)
8. Mélodrame
9. Mélodrame
10. Mélodrame
11. Chœur - Mélodrame
12. Mélodrame
13. Mélodrame
14. Mélodrame

Deuxième Tableau
15. Entr'acte (Suite II-2 Intermezzo)
16. Final

17. Intermezzo (Suite I-2 Minuetto)

Acte III 

Premiere Tableau
18. Entr’acte, Carillon (Suite I-4 Carillon)
19. Mélodrame (2a parte: Suite I-3 Adagietto)
19. Mélodrame
20. Mélodrame
21. Farandole (Suite II-4 Farandole-b)

Deuxième Tableau
22. Entr'acte
23. Chœur (Suite II-4 Farandole-a)
24. Chœur (Suite II-4 Farandole-c)
25. Mélodrame
26. Mélodrame
27. Final. 

(Suite II-3 Menuetto dall’opera La jolie fille de Perth, N°17 duetto Mab - Duca di Rothsay)

05 marzo, 2022

Adriana Lecouvreur (Putin-free) alla Scala


Ieri sera prima rappresentazione alla Scala dell‘Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, co-prodotta (con Vienna, Parigi, Barcellona e San Francisco) dalla ROH nell’ormai lontano 2010.
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(aperta parente...
Ovviamente la vigilia è stata vissuta, più che sul piano strettamente artistico, su quello politico, con il gran rifiuto della diva Anna Netrebko, seguito all’ostracismo deciso dal Teatro contro Valery Gergiev, reo di mancata abiura anti-putiniana. Invece il signor Netrebko (al secolo l’azero Yusif Eyvazov) oltre al green-pass si è potuto procurare anche il necessario war-pass e così è potuto tornare a calcare il tavolato del Piermarini.

Mi permetto qui di segnalare, a proposito della questione che oggi si discute spesso con approccio da bar-sport, un bell’intervento di un musicofilo italiano che mi sento di condividere ampiamente. Aggiungendo anche una domanda: ma tale Sala, oggi Presidente del CdA della Fondazione del Teatro, colui che ha istituito il war-pass anti-Putin, non è per caso lo stesso Sala che nel 2009 faceva il City-Manager nella Giunta della zia Letizia, fedelissima di quell’altro tale che per anni e anni - dopo la carneficina di Grozny e l’assassinio di giornalisti e oppositori - ha continuato a sostenere essere Putin il più grande statista difensore della libertà e della pace?
...chiusa parente)
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Come si evince chiaramente dalla registrazione del 2010, questo di David McVicar è un allestimento di grande pregio, di quelli che si etichettano oggi come tradizionali, spesso con sufficienza e magari con sarcasmo. Perchè tutto è precisamente come prevede (e prescrive) il testo di Arturo Colautti, ricchissimo di minuziose didascalie: dall’ambientazione (siamo proprio - clamoroso! - nel 1730 e non nel 1980, i costumi sono settecenteschi e non cappottoni DDR, gli spazi sono quelli di teatri e saloni della nobiltà dell’epoca e non di pacchiani salotti da borghesia cafona e velleitaria); e soprattutto alla recitazione dei personaggi, curata nei minimi dettagli come da libretto.

Giampaolo Bisanti ha fatto il suo esordio in Scala e l’accoglienza del pubblico gli è stata più che favorevole, direi quasi trionfale: il suo gesto è magari eccessivamente enfatico, ma mai gigionesco, e soprattutto il Direttore del Petruzzelli ha saputo dosare sempre le dinamiche, passando con efficacia dai lunghi momenti di intimità e introversione agli scoppi improvvisi che costellano la partitura. Partitura che l’Orchestra ha nobilitato, rispondendo sempre da par suo alle sollecitazioni di Bisanti.    

Il Coro di Alberto Malazzi ha come sempre dato il suo determinante contributo al successo della serata, meritandosi lunghi applausi alla fine della sua prestazione, prima di lasciare la scena al drammatico atto conclusivo.

Apprezzabili anche le coreografie del terz’atto (uno scorcio che rischia sempre di abbassare la tensione a livello di drama) che McVicar impiega sapientemente per portarci verso la scena-madre dell’invettiva di Adriana.

Adriana che è la rediviva in Scala Maria Agresta, protagonista di una prestazione in continuo crescendo, dopo un attacco non proprio impeccabile all’esordio dell’umile ancella. Sarebbe stucchevole e ingiusto fare qui illazioni su ciò che la diva Anna avrebbe potuto aggiungere; diamo invece alla bravissima Maria ciò che si merita, avendoci proposto - musicalmente e scenicamente - un’Adriana commovente e convincente.  

Yusif Eyvazov, già un più che discreto Chénier anni orsono, è stato ieri sera un buon Maurizio, il che testimonia del suo continuo impegno a migliorarsi, liberandosi dall’ombra fastidiosa (artisticamente parlando) legata al suo rapporto con la Netrebko. Se posso permettermi un confronto con il Kaufmann del 2010 (vedi citata registrazione della ROH) direi che non lo perde sicuramente.

La principessa di Anita Rachvelishvili esce con luci ed ombre: il suo vocione non sempre si attaglia perfettamente al personaggio, una donna gelosa e vendicativa sì, ma anche innamorata e debole (vedi second’atto). Difficile spiegarsi perchè non sia tornata alla fine a salutare il pubblico (che credo proprio l’avrebbe comunque applaudita).

Delle prime rappresentazioni del 2010 c’è un unico superstite: Alessandro Corbelli. Che si merita il plauso che il pubblico gli ha tributato per una prestazione di tutto rilievo: voce corposa e passante, recitazione impeccabile, insomma un Michonnet impagabile.

Come perfetto è stato Carlo Bosi nella parte semiseria dell’Abate, nella quale ha messo tutto il mestiere di una lunghissima carriera.      

Il Principe di Alessandro Spina e il Poisson di Francesco Puttari, insieme a Caterina Sala, Svetlina Stoyanova, Costantino Finucci e Paolo Nevi, completano un cast di buona levatura complessiva.

In conclusione: ancora una proposta scaligera da apprezzare, a dimostrazione che allestimenti ben curati possono sopravvivere nel tempo, se alimentati da nuova linfa a livello di interpreti. 

04 marzo, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 19


Roberto Forés-Veses fa il suo esordio in Auditorium per proporci la beethoveniana Pastorale preceduta da una pagina vocale di rara esecuzione: un estratto dai Chants d'Auvergne di Marie-Joseph Canteloube de Malaret (1879-1957) interpretati dal soprano Sarah Fox (48 ben portati!)

Si tratta di cinque serie di canzoni (30 in tutto) che Canteloube trascrisse (dal folklore locale di questa regione che sta nel centro-sud della Francia) nell’arco di circa 8 anni, fra il 1923 e il 1930. Qui possiamo ascoltare una registrazione completa del ciclo, con Dame Kiri Te Kanawa e Jeffrey Tate. Qui sotto invece sono evidenziate le 9 canzoni eseguite in questa occasione:

Volume I                                                                                            

La Pastoura als Camps (La pastorella nei campi)

Baïlèro (Canto dei pastori dell'Alta Alvernia)

Trois Bourrées: L'aïo dè rotso (L'acqua di sorgente) 

                       Ound' onorèn gorda? (Dove andremo a sorvegliare?)  

                       Obal, din lou Limouzi (Laggiù nel Limosino)

Volume II

Pastourelle

L'Antouèno (L'Antonio)

La Pastrouletta è lou chibalié (La pastorella e il cavaliere)

La Delaïssado (La trascurata)

Deux Bourrées: N'aï pas iéu de Mîo (Non ho la fidanzata)

                       Lo Calhé (La quaglia)

Volume III

Lo fiolairé (La filatrice)

Passo pel prat (Vieni dal prato)

Lou Boussu (Il gobbo)

Brezairola (Berceuse)

Malurous qu'o uno fenno (Infelice chi ha una moglie)

Volume IV

Jou L'pount D'o Mirabel (Al ponte di Mirabel)

Oi Ayai

Pour l'enfant

Chut, chut

Pastorale

Lou coucut (Il cuculo)

Volume V

Obal, din lo coumbelo (In lontananza, laggiù nella valle)

Quan z'eyro petitoune (Quando ero piccola)

Là-haut, sur le Rocher (Lassù, sulla roccia)

He ! Beyla-z-y dau fè! (Ei ! Dategli un po' di fieno!)

Postouro, se tu m'aymo (Pastorella se mi ami)

Te, l'co, tè! (Vai cane, va!)

Uno jionto postouro (Una bella pastorella)

Lou diziou bé (Si diceva bene)

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Il 52enne Direttore spagnolo (che fece i primi studi in Italia) deve aver assorbito lo spirito di questi canti nei dieci anni trascorsi proprio in Auvergne, a capo di quell’Orchestra Nazionale. Così ne ha messo in risalto i tratti ora bucolici, ora romantici, ora spensierati, ora patetici o scanzonati (mi vien da pensare a certe atmosfere del Wunderhorn...) L’orchestra, con le pregevoli individualità dell’oboe di Luca Stocco, del clarinetto di Raffaella Ciapponi e del corno inglese di Paola Scotti lo ha benissimo assecondato. Va da sè che la protagonista sia stata Sarah Fox, bella voce di soprano lirico e di coloratura, che li ha interpretati con passione e partecipazione emotiva.

Una proposta davvero interessante, questa, che il pubblico ha mostrato di gradire assai.
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L’atmosfera pastorale è poi stata enfatizzata al massimo grado dalla Sesta beethoveniana, dove laVerdi si trova davvero a casa sua. E del suo ci ha poi messo Forés-Veses per trasmettercela in tutta la freschezza e la serenità che la percorre da cima a fondo, interrotta dallo squarcio temporalesco esploso in tutta la sua protervia, prima di sciogliersi nel canto di ringraziamento.

Ovazioni e applausi ritmati sono seguiti al breve istante di raccoglimento che il Direttore ha imposto prima di abbassare le braccia, nell’eco dei due accordi conclusivi di FA maggiore.

26 febbraio, 2022

laVerdi 21-22. Concerto 18

Il 55enne Andrey Boreyko torna sul podio dell’Auditorium (dopo l’esordio in streaming di circa un anno fa) per proporci un programma russo-norvegese, di musiche non proprio di quotidiano ascolto.

La prima opera in programma per la verità non è precisamente una primizia per l’orchestra, che l’ha già eseguita parecchie volte in passato, anche in forza dell’antica consuetudine con il compianto Rudolf Barshai, che è l’autore di questa Sinfonia da Camera, trascrizione di un famoso e controverso quartetto di Shostakovich (delle cui caratteristiche e della cui trascrizione scrissi qualcosa 8 anni orsono).

A proposito di Russia, siamo tornati in piena guerra fredda (e pure calda) e leggo che all’orso Gergiev viene posto un ultimatum: o condanni Putin, oppure con noi hai chiuso, per la Dama di Ciajkovski e per sempre. Beh, per coerenza allora dovremmo, prima che Gergiev, bandire dai nostri teatri e sale da concerto proprio l'invasore Ciajkovski, che nella Piccola Russia (leggi=Ukraina) passava le estati (c/o i ricchissimi latifondi della russa vonMeck) a comporre le sue opere (inclusa appunto la Seconda Sinfonia, Piccola Russia).  

Ieri sera invece si è fatto ciò che ha un senso fare in queste circostanze: una testimonianza. Già qualcosa si era intuito all’accordatura dell’orchestra: la presenza dei fiati (che in Shostakovich mancano). Poi si è capito il perchè: mentre sui due schermi ai lati del palco comparivano le bandiere ucraina e italiana, il russo Boreyko è salito sul podio, dopo aver fatto alzare in piedi il pubblico, per dirigere l’inno dell’Ukraina!

E il destino ha voluto che ad aprire il concerto fosse proprio quello Shostakovich che in fondo impersona tutte le contraddizioni di un uomo di cultura e di arte alle prese con un regime oppressivo. 

Boreyko ha fatto suonare l’Orchestra proprio come fosse un Quartetto, mettendo in risalto tutta la sofferenza, il dubbio, l’impotenza di un artista evocati dalle note del grande Dmitri. 
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La parte norvegese del programma ha la paternità di Edvard Grieg. Del quale chiunque saprebbe citare il Peer Gynt (no, veramente solo Il Mattino) e poi il Concerto per pianoforte. Pochi (o nessuno) sanno invece di una sua Sinfonia in Do minore, in programma qui in Auditorium. Un po’ anche per colpa sua: avendola composta a soli 20 anni, ne fu insoddisfatto fin quasi a vergognarsene, anche se non ne diede alle fiamme la partitura, limitandosi ad apporvi una scritta che ne proibiva l’esecuzione. Così più di un secolo più tardi, nel 1980, la sinfonia ha potuto essere portata nelle sale da concerto.

Non che l’autocritica di Grieg non avesse fondamento: trattasi effettivamente di un lavoro piuttosto acerbo - anche se contiene spunti interessanti - e piuttosto rivolto al passato che non al futuro. La forma è quella classica, addirittura pre-beethoveniana (pensiamo alla posizione dello Scherzo) con un primo movimento in canonica forma-sonata, poi un Adagio, quindi l’Allegro energico dell’Intermezzo (uno Scherzo innovativo solo nella denominazione) e un Finale che al massimo si avvicina a Schumann.

Possiamo schematicamente tracciarne le linee principali ascoltando il venerabile Neeme Järvi dirigerla con i Göteborgs Symfoniker.
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Ecco il primo movimento, nella più ortodossa e scolastica applicazione della forma-sonata. Dopo una gagliarda Introduzione di 10 battute in Allegro molto, attacca (19”) l’Esposizione, con il primo tema, di carattere maschio e determinato. Un ponte modulante porta (1’25”) all’ingresso del secondo tema, tradizionalmente femminile ed elegiaco, nella relativa del DO minore di impianto, MIb maggiore. Una languida melodia cadenzante (2’22”) ci porta alla chiusura dell’esposizione. Che viene ripetuta pari-pari da 3’15” (primo tema) e ripropone (4’20”) il secondo e poi (5’17”) la sezione cadenzante. Lo Sviluppo inizia a 6’02” e classicamente ripropone i due temi messi in rapporto ora dialettico, ora cooperativo. La Ricapitolazione parte a 8’38” con il primo tema in DO minore e procede (9’47”) con il secondo, adeguatosi come da sacri canoni alla tonalità del primo (DO, ma ovviamente mantenendo il modo maggiore). La sezione cadenzante (10’46”) chiude la Ripresa e introduce una Coda (11’35”) sfociante a sua volta (11’49”) in una stretta che chiude il movimento sul DO minore, con enfasi e fracasso quanto basta.

Il secondo movimento (Adagio espressivo) scende sul circolo delle quinte dai tre bemolli del DO minore (=MIb maggiore) ai quattro del LAb maggiore. È in pratica monotematico, con il motivo - esposto subito (12’31”) dai primi violini imitati dai fagotti - che poi innerva l’intero movimento, ritornando ogni volta o in tonalità diverse o in diverse sezioni dell’orchestra. Dopo una sua riesposizione (13’31”) in LAb si arriva (14’18”) ad un’ardita modulazione a FA maggiore per dar luogo ad un breve intermezzo, seguito dal ritorno del tema (15’09”) ripreso ora nella dominante in MIb dai celli. Ancora una transizione con un breve crescendo e poi (17’12”) torna il tema ripreso in LAb dal flauto; poi (18’04”) sono i primi violini ad esporlo largamente per l’ultima volta, prima di una cadenza che chiude languidamente il movimento.

Ecco poi l’Intermezzo (in effetti è lo Scherzo di classica memoria, Allegro energico). Siamo tornati a... casa, al DO minore di impianto della Sinfonia. Ecco la prima sezione (19’42”) dall’incedere piuttosto pesante, subito ripetuta. La seconda (20’16) inizia con meno impeto, poi torna a riproporre motivo e portamento della prima. A 21’07” ecco ciò che si può chiamare Trio, in DO maggiore, la cui prima sezione viene ripetuta. La seconda (22’10”) prepara pian piano un crescendo che porta (22’31”) alla ripresa dello Scherzo (DO minore); dopo aver sviluppato le sue potenzialità, essa cede il posto (23’37”) ad una severa coda che chiude il movimento in modo secco e sbrigativo.

Chiude la Sinfonia il Finale (Allegro molto vivace) che, nel più prevedibile degli scenari (per aspera ad astra, dall’Inferno al Paradiso, dalla polvere agli altari, dalla morte alla resurrezione, dalle tenebre alla luce e... si aggiunga qualunque altro percorso ascensionale) risuona nel limpido e solare DO maggiore. Come il primo, anche questo è in (un’assai più libera) forma-sonata. 24’10” Sono i primi violini ad esporre il primo tema spigliato, il cui incipit è una semplice cellula di 5 note. Tema presto reiterato e sviluppato fino a 24’52”, dove subentra un secondo motivo, meno mosso, con andamento ascensionale, nella relativa LA minore, poi modulante al SOL maggiore. A 25’16” ecco un motivo in flauti e poi violini, in SI minore che sfocia in un ponte che chiude l’esposizione, introducendo (25’56”) il complesso sviluppo. Vi ritroviamo soprattutto il primo tema, sottoposto a diverse variazioni che portano sorprendentemente (27’30”) ad un corale in LAb maggiore, poi FA maggiore, che conduce alla ripresa (28’45”). Dopo il primo tema in DO, ecco (29’26”) il secondo, ora in RE minore. A 30’24” ecco una particolare coda, col secondo tema, in FA minore che introduce il progressivo ritorno a DO maggiore per la finale perorazione.
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Beh, va riconosciuta a questo giovane Grieg molta buona volontà ed anche un certo equilibrio accompagnato dalla rinuncia a trovare facili effetti o retorica a buon mercato. Si racconta che la decisione di proibire l’esecuzione della sua Sinfonia fosse maturata in Grieg dopo l’ascolto della Prima del quasi coetaneo Johan Svendsen: mah, forse il nostro si lasciò troppo suggestionare dalla sovrabbondanza di quel lavoro, che (almeno alle mie orecchie) pare assai più velleitario di quello di Grieg (e mi sembra che la storia abbia poi fatto... giustizia).

Ascoltata poi dal vivo, la Sinfonia acquisisce ancor più spessore e qualità. Boreyko l'ha diretta con gesto sobrio, essenziale, ma fermo ed efficace. E l’Orchestra, pur al primo incontro con quest’opera, ha mostrato di averla perfettamente introiettata, restituendocela in tutta la sua pur acerba freschezza.

24 febbraio, 2022

Il Conte cala la Donna di Picche

Ieri sera è quindi andata in scena la prima della Pikovaya Dama di Ciajkovski, in un Piermarini non proprio preso d’assalto (che sia già l’effetto delle sanzioni contro il simpatico Putin?) ma ben disposto verso questo prodotto della Russia zarista, che noi occidentali cercavamo invano di conquistare militarmente proprio mentre lei faceva di tutto per adottare (e addirittura in... meglio) i nostri costumi.

Come dimostra anche il soggetto dell’opera, ambientato in una Russia (quella di chi se lo poteva permettere, ovviamente) più parigina di Parigi, dove l’opera è in parte (nei flash-back) ambientata e dove la Contessa parla (canta) in francese versi che persino nel libretto non sono stampati in cirillico, ma in alfabeto latino!

Графиня

Полно врать вам! Надоели!..

Я устала... Мочи нет...
Не хочу я спать в постели!

(Ее усаживают в кресло и обкладывают подушками.)

Ах, постыл мне этот свет.
Ну, времена! Повеселиться толком не умеют.
Что за манеры! Что за тон!
И не глядела бы...
Ни танцевать, ни петь не знают!
Кто дансёрки? Кто поет? девчонки!
А бывало: кто танцевал? Кто пел?
Le duc d’Orléans, le duc d’Ayen, le duc de Coigny..
La comtesse d’Estrades, la duchesse de Brancas...

Какие имена! и даже, иногда, сама маркиза Пампадур!
При них я и певала... Le duc de la Vallière
Хвалил меня. Раз, помню, в Chantylly, y Prince de Condé
Король меня слыхал! Я как теперь все вижу...

Je crains de lui parler la nuit,
J’ecoute trop tout ce qu’il dit;
Il me dit: je vous aime, et je sens malgré moi,
Je sens mon coeur qui bat, qui bat...
Ja ne sais pas pourquoi...


Visto che mi son messo in...politica, dirò subito che la squadra canora (Direttore in testa, Coro escluso) di questa produzione pare venire dalla vecchia URSS: ci sono, oltre la grande madre, rappresentanti dell'Ukraina, appunto, poi delle repubbliche baltiche, della Moldova e dell'Uzbekistan. Ecco, l'Arte sembra refrattaria anche ai più grandi sconvolgimenti politici!


Adesso spiego subito il titolo del post, dandone tutto il merito al regista Matthias Hartmann, unico, con i suoi collaboratori, ad aver ricevuto vivacissime quanto incomprensibili contestazioni. Lui ha scelto come filo conduttore del suo spettacolo la presenza in scena della figura del Conte di SaintGermain: lo si vede all’inizio (racconto di Tomskij) alle prese con la Contessa giovane, poi diventa il Maestro di cerimonia alla festa del second’Atto, al termine della quale riceve la... Zarina (Contessa travestita?) Compare poi nella scena-madre del confronto fra Hermann e la Contessa e infine - qui sta il colpo di genio del regista - emerge dal centro del tavolo circolare dell’ultima scena per sfilare da sotto il naso di Hermann l’Asso promesso (e pure pescato dal poveraccio) per sostituirlo con la famigerata, funesta e perdente Donna di Picche! Chapeau!


E visto che sono sulla regìa, dirò anche che qualche censura (ma veniale) per me se la meriterebbe: alludo alle scene troppo spesso popolate da... neon (la primissima - una straordinaria giornata primaverile nel libretto -  è incomprensibilmente buia, per di più in un luogo spettrale popolato da bambinaie tutte vestite a lutto...) Tuttavia il rispetto meticoloso del libretto nel trattamento dei personaggi va ascritto pienamente a merito del regista.
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Vengo ai suoni. Qui il livello medio mi è parso più che apprezzabile. Najmiddin Mavlyanov è un Hermann convincente nel canto: voce di tenore spinto, non proprio... eroico, ma che mi pare assai tagliata sul personaggio, che alterna slanci arditi a momenti di languido abbandono o di inconscio terrore; così come nel portamento scenico, che ben descrive la traiettoria curvilinea compiuta dalla sua psiche: dalla rettitudine e dall’amore sincero alla sbandata per le tre-carte e infine al pentimento che chiude la sua esistenza.    

Asmik Grigorian l’abbiamo già conosciuta qui, in particolare nel personaggio di Marietta, e non ha tradito le attese: una Liza praticamente perfetta, con tutte le caratteristiche della sua personalità dapprima insicura, poi determinata nel perseguire la sua felicità, distrutta dalla rivelazione che l’amore di Hermann aveva cambiato... carta e infine determinata a chiudere un’esistenza ormai divenuta invivibile. Tutto ciò benissimo incarnatosi nel suo canto sostenuto da una voce lirica ma capace anche di scatti drammatici.

Il terzo vertice del triangolo (Elezkij) è impersonato da Alexey Markov, che mi è parso efficace soprattutto nelle scene più... romantiche (vedi la sua aria del second’Atto) cantate a fior di labbra, mentre qualche ingolamento ha mostrato nei passaggi più spinti della sua parte.  

In tema di baritoni, benissimo ha fatto Roman Burdenko, voce robusta, ottimamente impostata e assolutamente calzante a questo personaggio (Tomskij) che coniuga le caratteristiche del gaudente a quelle dell’esperto uomo di mondo.   

Julia Gertseva (era stata Pauline nel 2004 con Temirkanov) è una splendida Contessa, che ha proprio incantato nel suo onirico soliloquio russo-francese che precede la sua morte, ma ha fatto benissimo anche la parte del fantasma che annuncia a Hermann le tre carte.

E a proposito di Pauline, Elena Maximova si è fatta apprezzare nel duetto con Liza e soprattutto nella lacrimevole romanza che lo segue: voce non proprio corposissima, ma che per questo personaggio... basta e avanza.

Il suo dovere ha fatto Olga Savova nell’arioso della Governante, così come Yevgeny Akimov, un Cekalinskij simpaticamente brillante e vanesio.

Tutti gli altri interpreti mi sento di accomunarli in un positivo giudizio; cito solo un nome, guarda caso... ukraino, quello di Olga Syniakova, che ha una parte magari limitata (Milovzor-Chloe) ma che mi ha davvero impressionato, per il bel timbro mezzosopranile e la perfetta impostazione della voce: credo proprio ne risentiremo parlare.

Lode piena ai Cori di Alberto Malazzi: solo un nativo russo potrà giudicarne la correttezza della pronuncia, ma un fatto è certo, tutti, piccoli in testa, sono stati praticamente perfetti.

Lascio da ultimo (...but not least) il sommo Valery Gergiev: lui non usa la bacchetta perchè in realtà ne possiede... dieci, innestate sul palmo delle sue mani. Lo sfarfallio delle sue dita detta il tempo, le dinamiche, l’espressione e ogni altra indicazione da trasmettere a strumenti e voci. E poi, lui è stato... allattato con questo repertorio, e i risultati si vedono.
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Tirando le somme: dopo la pregevole Thaïs ecco un’altra proposta scaligera da promuovere a pieni voti.