affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

12 ottobre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.5


Prima di riferire sul concerto della stagione principale, mi sembra doveroso ricordare la esemplare prestazione degli archi de laVerdi barocca che mercoledi sera, nella suggestiva cornice di Sant'Ambrogio, hanno eseguito le vivaldiane Stagioni (più il movimento iniziale del Terzo brandeburghese, come bis) in occasione di un meeting internazionale di preparazione dell'Expo 2015. Sugli allori il Direttore Ruben Jais e il violino di Gianfranco Ricci, che hanno presentato agli ospiti stranieri una delle (non tantissime, ahinoi) facce interessanti – e soprattutto pulite! - della città di Milano.

Per la terza settimana consecutiva è Gaetano D'Espinosa a salire sul podio dell'Auditorium per il quinto concerto della stagione principale (questo appuntamento era pianificato in origine, a differenza dei due precedenti, determinati dall'anticipata maternità di Zhang Xian). 

Concerto che accosta due autori italiani contemporanei (in senso lato…) al vetusto Johannes Brahms che nel 2013 (7 maggio) compirà 180 anni e del quale verrà presentata nella stagione l'integrale delle sinfonie e dei concerti solistici (e anche altro). 

Ad aprire la serata è una prima assoluta, una composizione per orchestra di Orazio Sciortino – siciliano come il Direttore; lui di Siracusa, D'Espinosa di Palermo; lui pianista, l'altro violinista; entrambi giovani, per non dire giovanissimi, 28 e 34 anni – opera dall'ambiguo titolo Träume (Trauer) Stimmen. Come dire che i sogni si accompagnano alla desolazione, se non addirittura al lutto! Prima del concerto l'Autore in persona ha parlato di sé e della sua opera, raccontandone l'ispirazione, la nascita, le motivazioni interiori: interessantissima presentazione, che ha svelato una personalità di grande spessore. Certo è difficile inventare qualcosa di nuovo in un campo dove pare essere già successo tutto e il contrario di tutto: tutto ciò che c'era da rompere, è già stato rotto negli ultimi 50 anni, questa una delle frasi di Sciortino che mi ha colpito di più, insieme al suo prendere le distanze da gente come Stockhausen

Però che la sfera onirica/inconscia possa ispirare musica non è certo una novità: già 120 anni orsono un tale Gustav Mahler confidava che l'ispirazione a comporre gli veniva là dove gli si manifestavano le oscure sensazioni… Sciortino ci evoca quelle da lui vissute nottetempo con un brano di 10 minuti scarsi (per fortuna mica di 100 come Mahler, smile!) in cui sentiamo suoni più o meno gradevoli mischiati a rumori piuttosto fastidiosi: insomma i sogni e il lutto!

Applausi di incoraggiamento a lui e di premio per l'abnegazione all'orchestra.

Segue poi Domenico Nordio ad interpretare con il suo violino il Secondo Concerto (detto I Profeti) di Mario Castenuovo-Tedesco. Opera del 1933 dedicata al grande Jascha Heifetz con scoperti intenti programmatici, confessionali e financo politici: si era in tempi di crescente antisemitismo (di lì a pochi anni il compositore dovrà abbandonare l'Italia per sfuggire alle leggi razziali fasciste e lui e Heifetz si ritroveranno in California, accomunati dallo stesso destino di esuli) e Castelnuovo intendeva offrire la sua opera alla causa ebraica. 

Composizione che richiama antichi canti e modi ebraici, liberamente rivisitati con la sensibilità di un uomo del '900, che peraltro si era tenuto volutamente distante dalle avanguardie più radicali (basti pensare che pochissimo dopo Alban Berg comporrà il mirabile Alla memoria di un Angelo…)

Costruito nella classica forma tripartita, ad ogni movimento è associato idealmente un Profeta: Isaia, Geremia ed Elia. È il solista ad evocarne la personalità, mentre all'orchestra è riservato – lo dice l'Autore – il ruolo del popolo, della folla con le sue diverse reazioni alle profezie.
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Nel primo movimento, dopo un'introduzione lenta della sola orchestra che presenta il primo tema, il visionario Isaia è raffigurato dal solista con due temi, il primo in LA minore, il secondo in DO maggiore:

Temi che sono poi sottoposti a continue variazioni, modulazioni e sviluppi. Appare anche un nuovo motivo (espressivo e dolente) che tornerà anche nella finale ricapitolazione:

Il tempo di mezzo raffigura il profeta di sventure, Geremia. Sulla chiave di FA minore è il violino solista ad esporre subito una mesta melopea:

Che viene ripresa e ampliata dall'orchestra, ed è seguita poi da un altro motivo, caratterizzato da dolenti acciaccature:

Compare poi una terza idea, che tornerà nel corso del movimento:

Tutte vengono sviluppate in un'atmosfera sempre calma, ad eccetto di un breve intermezzo Poco agitato.

Il finale è dedicato al furore e alla severità di Elia (quello che scannò senza pietà qualche centinaio di sacerdoti di Baal, tanto per dire…) Si tratta di una specie di Rondo, dove il violino espone subito il tema principale, in tempo Fiero ed impetuoso, con frequenti folate del solista e grandiosi interventi a orchestra piena. 

In uno di questi compare un motivo nei corni, poi ripreso dal solista e dai fiati, che a prima vista non ci ricorda nulla, ma poi, verso la fine, quando c'è uno squarcio in tempo Andante e il violino lo suona in primo piano, ecco che ci ricorda qualcosa di già udito (sarà solo un caso?) nel cattolico Requiem di Verdi:

E proprio riprendendo ed espandendo enfaticamente questo tema il concerto si avvia a chiudere in esultanza, in un luminoso DO maggiore.
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Effettivamente si tratta di un'opera che non merita il dimenticatoio in cui è finita in Italia e dobbiamo ringraziare Nordio per avercela proposta. Lui si dice innamorato di questo concerto - lo porta in giro per il mondo - e ne dà un'interpretazione di alto livello (che ci metta tutta la cura possibile lo dimostra lo spartito che, per sicurezza, si tiene davanti).

Il pubblico (ahinoi, non oceanico) dell'Auditorium gli tributa grandi applausi che lo convincono a concedere un magico bis bachiano. Poi, giù nel foyer, viene complimentato da una collega che è un'altra abituale ospite de laVerdi, Francesca Dego, in compagnia di Daniele Rustioni (a proposito: ma che bella coppia!) 

Si chiude con la Terza di Brahms, quella che porta l'etichetta Faf (Frei aber froh) che noi potremmo tradurre – con un pizzico di apologetica nostalgia – libero e giocondo (smile!) E di sicuro è musica da cui trasudano pace (magari un filino… rassegnata, ecco) ed appagamento; forse scritta da un Brahms più sdraiato sul sofà che seduto al pianoforte!

Però, accipicchia, che musica! E non bisogna essere Clara Schumann per apprezzarla fino in fondo. Ancora una volta Gaetano D'Espinosa conferma le sue eccellenti qualità, con una direzione autorevole, a tratti fin troppo plateale nel gesto magari, ma che cava fuori tutto il meglio da questa partitura, che fra le quattro sinfoniche del burbero amburghese è forse quella che possiede l'equilibrio più mirabile.

Un bravo! a tutti quanti… ed ora ci aspetta la colossale Ottava dell'organista di SanktFlorian. (prima però anche un po' di Schönberg!)

05 ottobre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.4


Il quarto concerto dell'Orchestra Verdi ha decisamente assunto un sapore francese, rispetto a quello prevalentemente russo, programmato in origine. È presumibilmente la perdurante assenza di Zhang Xian ad aver consigliato la sostituzione del Poema dell'estasi di Scriabin con Debussy.

Ed è appunto Debussy che apre la serata con un'opera (relativamente) giovanile (1887): la Suite intitolata Printemps. Quella che viene eseguita qui è la versione orchestrata da Henri Büsser ben 25 anni dopo la composizione di quella per pianoforte e coro. Coro (senza testo) che fu espunto – Debussy concorde – dalla versione per orchestra (qui Boulez). Una ricostruzione con orchestra e coro è stata fatta più recentemente da Emil de Cou a San Francisco.
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È ancora un Debussy wagneriano quello che compone questo pezzo, anche se si riconosce da lontano il colore dei suoi suoni (è il flauto solo a presentarsi subito, come nel più famoso, successivo Faune) come pure la sua… cassetta degli attrezzi, a cominciare dalla scala pentatonica su cui è costruito (precisamente sui 5 tasti neri del pianoforte, FA# maggiore) il tema fondamentale del brano:

Brano che è suddiviso in due parti, la prima delle quali è caratterizzata da innumerevoli modulazioni, tutte aventi come base il tema principale, con pochi cambiamenti di ritmo e di atmosfera; si chiude con un accordo perfetto di FA# degli archi.

La seconda parte si apre – dopo una vaga reminiscenza del tema fondamentale, con una chiara citazione wagneriana: sembra di essere all'inizio del second'atto dei MeistersingerMa passa poco tempo e il tema fondamentale esplode, enfatico e grandioso nei corni, in RE maggiore:

Dopo il suo sviluppo, in cui pare di udire il tema del finale della Sinfonia in RE minore di Franck, torniamo a... Norimberga (dove appare persino… Loge) quindi ecco un nuovo motivo, piuttosto leggero e quasi ingenuo:
Anch'esso si sviluppa, prima di ridar posto al tema fondamentale, ripreso in LA maggiore dai violoncelli. Gli subentra il secondo tema riproposto a diverse altezze, finchè si giunge alla perorazione finale dei due temi in contrappunto.

È infine il tema udito fin dall'inizio a chiudere con grande enfasi e fracasso.
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Segue ora Ravel con il suo celebre La valse. A fronte della partitura l'Autore ci fornisce una sommaria descrizione ambientale, corredata da assai precise coordinate spazio-temporali:

L'indicazione A corrisponde in partitura alla battuta 67 (numero 9 di lettura) prima della quale avevamo udito una sorda introduzione - proprio ad evocare una specie di nebbia o di nuvolaglia - in cui dall'indistinto tappeto degli archi (con sordina) aveva cominciato ad emergere, nel colore scuro dei fagotti, il primo tema, in RE maggiore. Che compare proprio quando le brume si diradano, evocando una gran folla volteggiante in un salone smisurato:

Dopo che il tema, piuttosto languido, è stato adeguatamente sviluppato, vi subentra un secondo, più energico (gli archi rimuovono via via le sordine) e con ritmo assai più marcato:


Questa prima parte del brano termina alla battuta 139 (numero 17 di lettura) dove troviamo l'indicazione B e dove il walzer precedente si chiude con 9 battute in fortissimo di tutta l'orchestra, per lasciare spazio al successivo sviluppo. Nel quale troviamo un nuovo tema, presentato subito dall'oboe, poi ripreso dagli archi:
È seguito da una sua derivazione, che modula a LA, poi a SOL, per tornare infine al RE:

Qui ecco un'improvvisa esplosione, un colpo tremendo di grancassa e timpani (più fagotti, controfagotto e contrabbassi) seguito da una rumorosa fanfara di tutti gli ottoni, che pare l'irruzione in sala di un drappello della guardia imperiale; insomma, una cosa che a ben vedere ha assai poco di straussiano, e se qualcosa ha di viennese, questo è caso mai più vicino allo Schattenhaft della settima di Mahler:
Tutto questo fracasso introduce una perorazione in SIb di una nuova variante del tema precedente:

Che è poi seguito da un nuovo motivo, più danzabile, in MIb (che sarà ripreso con grande enfasi nella ricapitolazione):

Dopo la sua ripetizione, gli strumentini creano un'atmosfera più rarefatta, caratterizzata da un motivo leggero e saltellante, esposto dapprima dagli oboi:

Atmosfera che però dura poco, rotta ancora da pesanti accordi di tutta l'orchestra (semiminima puntata – croma – semiminima) intercalati da folate di musica, che evocano l'infrangersi di ondate dell'oceano su una scogliera… (questa figurazione tornerà, in forma e frastuono moltiplicati, nel finale) finchè si arriva all'esposizione del motivo (due crome - minima) che dominerà il seguito, un motivo che nell'attacco e nel ritmo pare vagamente richiamarsi all'Ohne mich dello Strauss bavarese, ma con sfumature espressioniste:
Il tema è successivamente e corposamente sviluppato anche dagli archi e porta ad una nuova rarefazione dell'atmosfera, con sottili modulazioni, incluso un intervento di due violini soli, prima di un nuovo ritorno di folate di vento, soprattutto nei fiati, che chiudono - si potrebbe dire - l'esposizione

Ora inizia la sezione conclusiva del brano, una specie di sviluppo e insieme di ricapitolazione di ciò che si è udito in precedenza. Dapprima si torna quasi all'inizio, con l'atmosfera nebulosa da cui emergono i fagotti, poi i vari temi fanno capolino, risentiamo le folate interrotte dagli schianti (semiminima puntata – croma – semiminima) fino quasi ad un instaurarsi del silenzio. Che è rotto da sospiri – in levare, perché siamo sempre in un walzer! - di fagotti e controfagotto, quasi ansimanti, ad introdurre il tema (due crome - minima) che aveva caratterizzato l'ultima parte dell'esposizione. 

Questo tema adesso si fa sempre più incalzante, passando da fiati ad archi e viceversa, poi uscendo da tutti gli strumenti, fino ad un tonfo caratterizzato da tre poderose note discendenti degli ottoni, ripetute, che scatenano l'orgiastico finale, imperniato sulla figurazione semiminima puntata – croma – minima - semiminima, che imperversa di continuo fino alla catastrofica conclusione, ra-ta-pa-ta/pùm
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Una cosa è certa: alla Corte imperiale nell'anno di grazia 1855 musica come questa avrebbe fatto scappare gli invitati a gambe levate! Quanto al compositore, avrebbe fornito il pretesto a Franz Joseph I von Österreich per procrastinare di decenni la riconversione dello Spielberg da carcere in caserma (smile!)
   
Davvero rimarchevole la prestazione dell'orchestra, trascinata da un sempre più convincente Gaetano D'Espinosa, che ha mostrato grande sicurezza e autorevolezza, dirigendo entrambe le partiture a memoria.

Partitura che si è invece messo davanti per la strafamosa Sacre di Stravinski. Una cosa che al severo (e soprattutto tedesco) Theodor Wiesengrund Adorno faceva venire l'orticaria; e per la verità suscitò tumulti di piazza al suo primo apparire, ma subito dopo entrò, come si merita, nel novero degli autentici capolavori in musica.

Questa una pagina (dalla Processione dei vecchi saggi) che è rimasta un esempio insuperato di poliritmìa:




Grandissima prestazione dei ragazzi de laVerdi e del giovane Direttore (che è anche violinista, ex-Konzertmeister a Dresda, oltre che compositore) che pare avere stabilito un feeling particolare con l'orchestra, testimoniato dall'abbraccio scambiato con Luca Santaniello dopo questa maiuscola esibizione. 
  
E sarà ancora lui a proporci Brahms, preceduto da due nostri contemporanei (o quasi...) al prossimo appuntamento.

01 ottobre, 2012

Peter Eötvös fa parecchio rumore alla Scala


Il concerto di ieri sera della Filarmonica (Peter Eötvös sul podio, in un Piermarini non propriamente affollato) era di quelli che richiedono, oltre che orecchie ben allenate, anche grandissime doti di sopportazione e spiccata propensione al sacrificio. Dico, un programma dove il brano più abbordabile è un concerto di Bartók non lo si dava nemmeno ai tempi di Abbado e della rieducazione forzata alla musica contemporanea (smile!) Mi si obietterà: ma allora, che ci sei andato a fare? sei proprio masochista. Al che rispondo: più o meno… sono uno che fa i fioretti (così li chiamava mia nonna) per guadagnarsi il paradiso (stra-smile!)

La prima parte del concerto – tutto sommato digeribile – ha presentato Ives e Bartók, due rappresentanti (soprattutto il secondo) di quel novecento che cercava vie nuove in musica senza uscire (troppo) dall'ambito delle regole sintattiche e semantiche della tonalità.

In The unanswered question (1908) Charles Ives intende presentarci – e lo scrive esplicitamente nella prefazione alla partitura – una specie di scenario universale, caratterizzato da tre diversi elementi: l'immutabile ed eterna quiete cosmica (solitudine indisturbata la definisce) impersonata dagli archi (fuori scena) che suonano lentamente con valore di note (il tempo è 4/4 Largo molto sempre) che normalmente si assesta su semibreve e minima e solo in poche occasioni scende alla semiminima; la perenne domanda sull'esistenza, come lo stesso Ives definisce il motto che la tromba (isolata) ripete per sette volte; e la ricerca della risposta (la caccia alla risposta invisibile) affidata a quattro flauti (o strumentini) che ci provano per sei volte, con risultati sempre più scoraggianti, che li portano in uno stato di totale isteria.

Quale significato filosofico ci sia dietro è materia di molte possibili interpretazioni ma, trattandosi qui di musica, a me questo breve brano appare come una visione profetica di ciò che, appunto in musica, sarebbe accaduto nei decenni successivi, e allo stesso tempo contiene un messaggio abbastanza chiaro riguardo alla futilità delle risposte che la musica cosiddetta moderna avrebbe dato alla perenne domanda sull'esistenza

Intanto cominciamo ad osservare la partitura (qui siamo alla quinta risposta) che ci dice cose interessanti:

Gli archi (la quiete cosmica) si muovono su accordi perfetti (per lo più di SOL maggiore, ma anche DO, FA): già questa è una chiara presa di posizione dell'Autore riguardo al ruolo dell'armonia classica, che secondo lui preesiste e sopravviverà alle domande e alle risposte!

Si noti che la tromba - che espone la domanda - ha il rigo sempre perfettamente allineato a quello degli archi (vale a dire che è comunque rispettosa almeno delle universali regole di convivenza); mentre i flauti che cercano la risposta entrano (e proseguono) sempre più fuori tempo (apperò!)

Tornando alla domanda: a ben vedere non è formulata sempre allo stesso identico modo; basta osservare le 7 forme che assume per notare piccole, ma significative differenze:


Tanto per cominciare, l'ultima nota del motto non è sempre la stessa: per tre volte (1-3-5) è il DO, per 4 volte (2-4-6-7) è il SI (peraltro noto che molti direttori, compreso Eötvös, fanno chiudere l'ultimo richiamo sul DO… vai a sapere se è una diversa versione dell'Autore); le altre quattro note sono assai dissonanti rispetto all'armonia cosmica sottostante, però grazie all'enarmonia si possono leggere come gradi della scala maggiore di SI (sensibile, sopratonica, sottodominante, mediante); e mentre c'era stato per le prime 6 domande un regolare alternarsi della chiusura su DO e SI, l'ultima domanda - alla quale i flauti, caduti nella più completa disperazione, non sapranno più nemmeno provare a dare risposta – si chiude ancora sul SI: guarda caso la mediante di SOL, quindi in consonanza perfetta con l'accordo perfetto di SOL degli archi che si perde nelle profondità cosmiche!

Non c'è bisogno di sottolineare come invece tutte le note delle risposte dei flauti siano, oltre che disallineate e dissonanti con il pedale degli archi, anche dissonanti fra loro, cioè intrinsecamente estranee all'armonia tradizionale, anche la più… forzata. E addirittura l'ultima loro risposta isterica inizia scimmiottando la domanda medesima (questo lo vedo proprio come il finale sberleffo che Ives riserva al loro disordinato agitarsi…)

Guarda caso, nel 1973 il grande Lenny Bernstein chiudeva il suo ciclo di lectures 
ad Harvard intitolato al brano di Ives (sono 6 lezioni, di cui almeno la quinta e la sesta chiunque voglia documentarsi sull'evoluzione della musica nel secolo scorso dovrebbe impararsi a memoria…) esponendo il suo credo nella tonalità e nelle serie armoniche
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Eötvös dispone i 4 flauti davanti a lui, gli archi assai dietro e la tromba nel palco reale. Tiene – direi apprezzabilmente - tempi assai larghi e ottiene dagli archi un bel pianissimo (ppp) sul quale spicca spettralmente il suono della tromba. Esecuzione direi proprio impeccabile.

Ecco poi Bartòk con il suo Secondo concerto per pianoforte, interpretato dal 55enne Pierre-Laurent Aimard. Il quale si tiene, cosa piuttosto insolita per un solista, lo spartito sul leggìo. Così come è insolita – ma mi sentirei di approvarla, date le caratteristiche della partitura – la disposizione dell'orchestra: grancassa, tamburi, triangolo e timpani al proscenio, a sinistra; ottoni davanti a destra: legni davanti al podio; e gli archi sul fondo.

Esecuzione che non mi è dispiaciuta, direi senza infamia né lode (ma certo la coppia Boulez-Pollini di un paio d'anni fa mi aveva fatto tutt'altra impressione!) 

Dopo l'intervallo, arrivano… gli esercizi spirtuali (smile!)

A cominciare proprio dal brano del Direttore, zeroPoints. Incredibile, ma vero: è lo stesso autore a certificare il suo obiettivo di rappresentare in musica (anche) i rumori, come ad esempio i fruscii prodotti dalle puntine dei vecchi giradischi! Cioè a pretendere di portare a livello artistico di musica ciò che è semplicemente un aspetto fastidioso della tecnologia, che con tanta fatica la tecnologia medesima ha cercato di eliminare (lo stesso principio guidava Stockhausen a comporre assurdità musicali, anzi propriamente rumoristiche, come l'Helicopter-Quartett!) 

Poi, da buon austro-ungarico, il nostro ci infila anche un po' di walzer, che non guasta. Una cosa è certa: deve trattarsi di musica assai difficile, se persino il suo Autore la deve dirigere sfogliando la partitura! A me – con tutto rispetto - sembra musica che lascia la domanda di Ives senza risposta (smile!)

La conclusione del concerto era affidata a Edgard Varèse, che con Amériques 
pretese a sua volta di far passare per musica seria un'accozzaglia di motivi (impossibile chiamarli temi) presi dai suoni che il nostro sentiva entrare dalle finestre del suo appartamento, o che giungevano alle sue orecchie da bar, locali notturni o kermesse di strada in quel di Manhattan. Così sentiamo echi zigani, spagnoleschi, indiani, mescolati al suono di sirene dei docks o delle auto della polizia. Magari il tutto rivisto in sogno (o incubo, forse) e messo sul pentagramma senza apparente logica, né narrativa. 

Un brano che dura 23 minuti, ma potrebbe indifferentemente durarne 230, oppure – e per me sarebbe già troppo, smile! – due e trenta.

In questi casi è difficile separare in modo chiaro l'applauso doveroso per i Musikanten (che magari pure si divertono a suonare roba come questa) dal pollice verso per l'Autore. Così non è chiaro se i bravo che scendevano dal loggione erano indirizzati a direttore e orchestrali o – post mortem – anche al povero Varèse. Nel dubbio, mi tacqui. (E spero soprattutto che mia nonna avesse ragione…)

28 settembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.3


Gaetano D'Espinosa sale sul podio de laVerdi (il podio basso, non quello doppio riservato alla piccola Xian, in maternità…) per il terzo concerto della stagione principale, in un Auditorium purtroppo assai poco… popolato

Serata che inizia con Alexander Arutjunjan – compositore armeno scomparso solo sei mesi fa, a 92 anni - e il suo Concerto per tromba (1950) interpretato da un altro Alessandro, il bravissimo Caruana, che in Auditorium è di casa, occupando da anni la seggiola di prima parte dell'Orchestra.
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Il Concerto in realtà ha una struttura assai aperta, che poco ha a che fare con quella classica; macroscopicamente vi si possono distinguere: un'introduzione lenta seguita dal tema principale, assai vivace, e poi da un secondo tema più lento; quindi da una specie di sviluppo dei due temi; poi subentra un nuovo tema lento, cui segue la ripresa del tema principale; una cadenza porta infine alla conclusione. In partitura non esistono quindi indicazioni specifiche di movimenti, ma solo alcune notazioni agogiche, e precisamente:

a) Largo, solenne (23 battute in 4/4): costituisce in pratica l'Introduzione del brano, in LAb, dove la tromba (l'Autore prescrive l'impiego di quella in SIb, che secondo lui sarebbe la più comoda per eseguire il brano, che prevalentemente si muove sulla tonalità di LAb) suona un motivo dal sapore tipicamente gitano (l'Armenia fu attraversata ed abitata da Rom nei secoli passati):
b) Veloce ed energico (55 battute): vi troviamo le due sezioni dello spigliato tema principale (4/4) in LAb maggiore, anche questo richiamante atmosfere zingaresche, presentato dalla tromba dopo essere stato introdotto, su un tempo di 5/4 e poi di 3/4, in modo per l'appunto… energico, dall'orchestra:
La prima sezione viene esposta due volte, seguita poi dalla seconda; quindi l'orchestra ripete due volte la prima e la tromba segue con la seconda, che si sviluppa fino al successivo…

c) Adagio (48 battute in 4/4): dapprima il clarinetto espone il secondo tema, in LA, caratterizzato da una salita cromatica seguita da un ripiegamento (assomiglia vagamente a quello che entra all'improvviso nell'Intermezzo interrotto del Concerto per orchestra di Bartok, di pochi anni anteriore); poi è la tromba a riprenderlo e a svilupparlo:
d) Tempo I (107 battute in 4/4): qui abbiamo una specie di sviluppo, dove i due temi esposti in precedenza si incontrano; è il clarinetto ad entrare sul primo, in LA maggiore, ma poi diversi strumenti intervengono in primo piano a riproporre entrambi i temi; il tutto sfocia in una perorazione del secondo tema in tonalità diverse (DO e MIb), poi su un intervento del clarinetto il tutto si acqueta su un DO#, che prepara il successivo…

e) Più Adagio (47 battute in 4/4 e 6/4): la tromba, innestata la sordina, riprende enarmonicamente in REb il DO# precedente ed espone una lunga e struggente melopea:

chiusa da sette gorgheggi del clarinetto, su una impertinente cantilena;

f) Tempo I (87 battute): per ben 38 battute - invece di 9 come era accaduto in b) – l'orchestra, alternando continuamente tempi di 4/4, 3/4 e 2/4, re-introduce il primo tema, ancora esposto dalla tromba e sempre in LAb; prima sezione ripetuta, seconda sezione, poi la prima ripresa due volte dall'orchestra e infine la seconda nella tromba, che adesso la sviluppa per condurla verso la…

g) Cadenza (di Timofei Dokschitzer, 27 battute in 4/4): è piuttosto breve, ma riprende i motivi principali, in chiave virtuosistica, per poi cedere il passo al conclusivo…

h) Allegro con brio, 28 battute, di cui le prime 20 ancora suonate dalla sola tromba (sono probabilmente la cadenza originale dell'Autore) con tempo continuamente ondeggiante fra 4/4, 3/4 e 2/4; poi la chiusa, con una perentoria terzina seguita da una croma, sempre in LAb.
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A parte una piccolissima sbavatura proprio nella prima battuta del brano (dovuta forse all’emozione di trovarsi al proscenio, invece che nella terza fila dei fiati) Alessandro Caruana ha interpretato questa difficile partitura in modo assolutamente impeccabile: sia nelle numerose volate virtuosistiche, che nei passaggi più intimistici e sognanti. Meritatissimi gli applausi del suo pubblico e dei suoi colleghi. 

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La Decima di Shostakovich (anno di grazia 1953) è una di quelle opere sulle quali gravarono i più svariati condizionamenti extra-musicali. A partire da quelli cabalistici: il fatidico numero 9 - di sinfonie completate - che nessuno dopo Beethoven aveva saputo, o potuto, o voluto superare. Per continuare con quelli politici: un simpatico baffone georgiano aveva finalmente tolto il disturbo (e che disturbo, accipicchia!) e con esso la prospettiva - sempre incombente, e non solo sugli artisti – di gulag, siberie e plotoni di esecuzione; adesso si poteva, forse, tornare a comporre senza la fastidiosa pressione del mitra di Zdanov sulla nuca. Per finire poi con quelli di natura squisitamente biografica ed esistenziale: l'ossessione del musicista di firmare musicalmente le sue opere con la sua sigla (DSCH) e l'infatuazione per un'allieva dell'Azerbaijan – Elmira Nasirova, evidentemente tanto interessante, per lui, quanto… brutta (!) – alla quale dedicò per qualche tempo attenzioni intensissime, anche se probabilmente platoniche e più che altro epistolari, oltre che corrisposte assai tiepidamente. Per dire, una volta le scrisse una lettera firmandosi con… alcune note musicali:
È l'incipit della famosa aria di Lenski dall'Onegin, che su quelle note canta (a Olga) le parole Ya lyublyu vas, ya lublyu vas, Ti amo, ti amo

Nell'Allegretto il compositore ci porge due temi, il primo dei quali rappresenta se stesso in modo scoperto: è il famoso DSCH, che (similmente a BACH) attraverso la decodifica dei simboli musicali anglosassoni (D, C, H) e dello spelling del tedesco Es forma il motto RE-MIb-DO-SI, suonato inizialmente dai tre strumentini:

E che è pure scolpito sulla lapide del compositore al cimitero di Novodevici:


L'altro tema, che vagamente richiama l'incipit del mahleriano Lied von der Erde, è quello della musa Elmira, la cui decifrazione è per la verità assai stiracchiata: la E iniziale sarebbe sempre il simbolo anglosassone per il nostro MI, la elle è l'iniziale di LA, mi è… il MI, la erre è l'iniziale di RE e la a finale è ancora l'anglosassone A; il tutto a produrre MI-LA-MI-RE-LA. È il corno a proporre per ben 12 volte il motivo (sul quale peraltro quel nome sarebbe proprio incantabile, diciamolo francamente!):

Stando così le cose, viene spontanea la domanda: ma questa musica si può apprezzare in quanto musica assoluta, oppure ci dice qualcosa solo se prima veniamo a conoscenza di tutti i retroscena di natura pubblica e privata che accompagnarono la sua composizione? Ma vale anche il viceversa: non è che per caso la conoscenza di quei retroscena finisca per svilire alle nostre orecchie il valore squisitamente musicale dell'opera? In fondo sono le stesse domande che ci si potrebbe porre per il Tristan (rispetto a Mathilde) o per la Sesta di Mahler (in rapporto alle presunte capacità divinatorie del compositore); o anche per la Sinfonia Domestica di Strauss, ispirata da un prosaico ménage familiare.

Di certo è una musica che evoca momenti di drammatica depressione: nel Moderato iniziale potremmo vedere, come lo stesso Autore rivelò – ma molti anni dopo la composizione, il che rende sospetta la cosa – la vita grama che si faceva in URSS sotto lo stalinismo (addirittura, dopo il primo dei due grandiosi climax del movimento, compare nei primi violini la sigla del compositore, ma praticamente agitata come in un frullatore: DCHS!); e nella conclusione del movimento potremmo immaginare persino lo stesso Shostakovich finito sull'orlo del suicidio. Ma quella stessa musica potrebbe evocare mille altre situazioni di depressione, materiale e spirituale: per dire, anche l'Adagio cantabile della Prima di Ciajkovski è espressamente titolato Terra di desolazione, eppure lo stalinismo era ancora di là da venire… Invece ciò che rende questa musica grande è la sua coerenza tematica e la sua robustezza strutturale: sì perché, signori, anche se dalla sua nascita erano passati 2 secoli durante i quali era stata sottoposta ai più svariati trattamenti, qui abbiamo una vera sinfonia, con tutte le carte in regola!

Nel brevissimo Allegro l'Autore disse esplicitamente di aver voluto evocare proprio lui, baffone Stalin! E di sicuro è musica che può benissimo rappresentare l'isteria di un tiranno tanto insopportabile quanto efficiente nelle attività… purgative. Ma musica simile Shostakovich l'aveva già scritta prima che Stalin andasse al potere, e se chiedessimo a qualcuno che ignora quel retroscena che cosa gli evocano queste note, potrebbe rispondere in mille modi diversi: dallo sferragliare di una locomotiva in corsa sfrenata, alla piena di un torrente di montagna, al mare sconvolto da un uragano tropicale, al fracasso di magli in una fabbrica o di spolette in un reparto di tessitura… ma mai e poi mai risponderebbe: perdinci! ma questo è Stalin, come no! si riconosce fin dalla prima nota… (e poi, parliamoci chiaro, questa è musica talmente bella che Stalin non se la meriterebbe proprio!)

Nell'Allegretto sappiamo che l'Autore ha voluto impersonare musicalmente se stesso e la sua musa,
 presentandoci i due temi dapprima disgiunti, poi sempre più vicini ed avvinti inestricabilmente… ma il valore estetico di questa musica sta nel magistrale trattamento di quei temi, non certo nell'evocazione di una stramba relazione sentimentale, che pure può averli ispirati.

E il conclusivo Andante, con tutti quei DSCH sparati a piena voce, pare mostrarci il compositore che finalmente può uscire allo scoperto e gridare: Io, Dimitri Dmitrievič Shostakovich, sono ancora qui, più vivo che mai, e con me sta la vera arte, libera e nobile, che nessun potere protervo potrà mai soffocare. (Bravo! ma c'era bisogno di spargere megalomania a piene mani, per chiarire il concetto?)

Insomma, un'opera che è e resta grande anche a dispetto di tutta la fuffa pubblicitaria di cui fu ricoperta già dal suo Autore e poi dagli ambienti del business musicale.
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laVerdi vanta l'invidiabile record di aver inciso, da 12 anni a questa parte con Oleg Caetani-Markevitch, l'intero corpo delle sinfonie di Shostakovich. E ieri ha confermato la sua affinità elettiva con questa musica proponendoci un'esecuzione trascinante e coinvolgente di questo autentico monumento sonoro. 

Merito anche di Gaetano D’Espinosa, giovane direttore palermitano - che, complice la maternità di Xian, sarà ancora sul podio per i prossimi due concerti – dimostratosi assolutamente padrone della partitura: convincente nei tempi tenuti e sempre preciso e perentorio negli attacchi. Il suo modo di muoversi sul podio ricorda vagamente Georg Solti, e questo mi pare già un buon segno!  

Prossimamente tutta Francia, con un po’ di sangue russo. 

24 settembre, 2012

Una grande Creazione di Rilling al Conservatorio


Chiusura (o quasi…) in grande stile per il MITO-2012 al Conservatorio, dove ieri sera è stato presentato – peccato per i grandi vuoti in sala… - il monumentale oratorio Die Schöpfung (La creazione) di Haydn

Ad interpretarlo la Internationale Bachakademie Stuttgart, la prestigiosa formazione (che comprende le voci della Gächinger Kantorei e gli strumentisti del Bach-Collegium Stuttgart) diretta dal venerabile Helmuth Rilling, che ne fu il fondatore quasi 60 anni fa! Solisti di canto il soprano Julia Sophie Wagner (nei ruoli di Gabriel ed Eva) il tenore Lothar Odinius (Uriel) e il basso Markus Eiche (Raphael e Adamo). 

Il testo dell'Oratorio, di provenienza albionica ma di dubbia paternità, fu poi predisposto per Haydn da un nobile austriaco – tale Barone Gottfried Freiherr van Swieten – e ricalca da vicino la Bibbia (Genesi e Salmi) e il Paradise Lost di Milton. Il primo verso, recitato da Raphael l'Arcangelo, è proprio Im Anfange schuf Gott Himmel und Erde (Genesi, 1,1: In principio Dio creò il cielo e la terra.)  

Haydn pensò bene di anteporre all'Oratorio una specie di Ouverture, cosa del tutto logica e consueta, però attenzione, non vi inserì temi ripresi poi nel corso dell'opera (qualche motivo effettivamente lo risentiamo più avanti) ma ne fece propriamente un Preludio alla Creazione, intitolando queste 58 battute in 4/4 Die Vorstellung des Chaos, La rappresentazione del Caos. (Si noti che questo è anche l'unico sottotitolo che compare in tutta la partitura.) 

Ora, sappiamo che nella Bibbia mai si parla di Caos – inteso come ciò che preesisteva alla creazione dell'universo – e che il Caos è invece un concetto ben più antico, usato dai Greci e prima ancora dagli Ittiti. I moderni esegeti della Bibbia lo impiegano per immaginare quella realtà disordinata cui Dio avrebbe posto ordine con la creazione di cielo e terra (e di tutto il resto… Uomo incluso). E di sicuro Haydn a questo pensò decidendo di anteporre al racconto biblico il suo Preludio.  

Bene, chiunque di noi si ponesse l'obiettivo di evocare in musica il concetto di Caos, molto probabilmente penserebbe a cose del tipo: stridenti dissonanze, improvvise esplosioni di suoni e rumori, continui cambi di tempo e di ritmo, anzi propriamente assenza di ritmo e tempo, insomma: un totale disordine sonoro prodotto da strumenti magari impiegati fuori e contro le loro stesse naturali prerogative. Oppure, come fece il buon Wagner nel preludio del Rheingold, il semplice silenzio, rotto magari da un indistinto ronzio, un sordo rumore di fondo evocante l'abissale nulla cosmico. 

Haydn? Beh, il nostro buon credente deve aver ragionato così: anche se prima della creazione c'era il Caos, esso non poteva però preesistere a Dio! Ergo, anche il Caos doveva essere necessariamente un prodotto di Dio, anche se un prodotto magari ancora rozzo, che infatti Dio decise in seguito di, ehm… perfezionare. Ecco perché la Vorstellung, ben lungi dal presentarci un caos sonoro, è invece un mirabile, perfettamente strutturato e ordinato brano musicale, nel quale l'Autore semplicemente introduce alcune deviazioni rispetto alle vigenti regole canoniche di composizione. Deviazioni nemmeno poi troppo gravi né così scandalose per i suoi tempi, e addirittura trascurabili per noi, che ormai da più di un secolo ad autentici caos sonori abbiamo dovuto, volenti o nolenti, allenare le nostre orecchie.
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Già sui righi della partitura compaiono in chiave i tre bemolli, che ci preparano al DO minore (o al MIb maggiore) quindi tonalità classiche del diatonismo, ma poi nella prima battuta – quella che ci dovrà inevitabilmente presentare lo scenario originale, ciò che preesisteva anche al Caos - ascoltiamo tutti gli strumenti (escluso il terzo trombone e il controfagotto - che non suonano mai nella Vorstellung - e i corni) suonare con 18 voci, ad intervalli di ottave, un'unica nota: il DO (per noi la prima nota musicale!) forte (ma con forchetta decrescente) e lungo a piacere (corona puntata); insomma, sembra qui di vedere il Creatore, evocato da due sue ben precise prerogative: l'unità (la trinità verrà dopo…) e la solenne e imperturbabile eternità!  

Nelle tre successive battute (piano) a suonare sono soltanto gli archi (tutti con sordina) contrabbassi esclusi (curiosità: nel citato preludio del Rheingold, in analogo scenario, Wagner farà invece suonare solo i contrabbassi); nella battuta 2, ai violoncelli che continuano a suonare il DO (ma un'ottava più in alto) si aggiunge il MIb delle viole che ci salgono dal DO originario e quindi ci portano vagamente verso l'atmosfera di DO minore (è per caso il Caos visto musicalmente come un'emanazione minore di Dio?) ma nella seconda metà della battuta entrano i secondi violini con un LAb, raggiunto salendo dal DO sottostante: ohibò, qui abbiamo la triade fondamentale di LAb maggiore (altro che caos… come udiremo fra poco!) Che dura solo quella mezza battuta, chè nella terza viole e violoncelli degradano di un semitono, rispettivamente a RE e SI naturale, mentre i violini primi entrano con un FA e i secondi tengono ancora il LAb: abbiamo quindi qui un accordo di quattro note (SI-RE-FA-LAb) costituito da una sovrapposizione di tre terze minori: ciò che accademicamente è definito accordo di settima diminuita, che ha un sapore piuttosto sinistro. Ma dura solo mezza battuta, poiché i violini secondi scendono al SOL, producendo un effetto di accordo di dominante (di DO) ma solo per una semiminima, dato che i violini primi salgono al FA#, creando una momentanea dissonanza. Insomma, qualcosa si sta muovendo, e lo fa all'interno di uno scenario non certo caotico (nel senso che noi diamo comunemente al termine) ma musicalmente organizzato, sia pure con qualche piccolo… disordine.  

Ora quella dissonanza lascia spazio ad una battuta suonata dai soli violini primi, che percorrono all'unisono, a partire dal precedente FA#, un semplice arco cromatico (con SOL-LAb-SOL) per poi cadere sul RE. Sembrerebbe la classica cadenza preparatoria per il DO (minore o maggiore) ed invece qui, a battuta 5, ecco riesplodere, forte, tutta l'orchestra (anche i corni adesso arrivano a dar manforte): al MIb e al DO (che ci porterebbero appunto a DO minore) si aggiunge il LAb di violini secondi, fagotti, flauti, oboe, corno, clarinetto e trombone, il tutto a creare l'accordo perfetto di LAb maggiore (la triade LAb-DO-MIb) tenuto per una minima (metà battuta) dall'intera orchestra e protratto fino a fine battuta da violini secondi, viole e violoncelli. Ci siamo quindi adagiati sulla sesta diminuita di DO; cosa possiamo immaginare? Il Creatore che è sceso dal suo trono di un paio di gradini (toni interi) per osservare il Caos, e che già pensa (la triade) che dovrà sporcarsi le mani?  

Ora seguono altre tre battute, in cui il Caos si agita viepiù: oltre agli archi entrano infatti in azione anche i fiati con funzione melodica (vedi le terzine ascendenti del fagotto) per arrivare (a battuta 9) ad un esito ancora imprevisto, come vedremo. Nella seconda metà della battuta 5 e nelle battute 6-7 i violini, le viole, i violoncelli, i flauti e il primo fagotto presentano linee che ricompariranno quasi identiche alle battute 41-42 (e questo già ci dice qualcosa della strutturazione della Vorstellung!) Lasciando il LAb maggiore, e tornando in piano, l'atmosfera ridiventa grigia, con il FA# dei primi violini e la discesa a RE e SI naturale (da MIb e DO) di viole e violoncelli. Nella seconda metà della battuta 6 i violini primi scendono al FA e i secondi al SOL, mentre entrano oboi e flauti: l'accordo diventa (dal basso) SI-RE-FA-SOL-LAb, quindi una settima diminuita rinforzata dal SOL, con il SI naturale e il LAb acuti di flauto e oboe a creare un'atmosfera davvero sinistra, agitata dall'inserimento del fagotto con due terzine ascendenti (SOL-SI-RE_SOL-SI-RE). Atmosfera che però presto si rischiara un poco, a metà della battuta 7, dove ci si sposta gradatamente verso il DO minore, anche con l'entrata dei clarinetti che suonano per terze sulla scala minore (SOL-MIb poi FA-RE) e le viole che arpeggiano con due terzine ascendenti sulla scala di DO minore. A battuta 8 sembra proprio che la risoluzione sul DO minore sia cosa fatta, visto l'incedere di clarinetti e fagotto e la preparazione di flauto e oboe (RE e FA# rispettivamente). Invece - ma guarda un po' - a battuta 9 esplode inaspettato il MIb maggiore. (Che sia il Creatore che risale sul trono, ma adesso fattosi trino, perché decisosi all'immane impresa?) 

Nelle battute da 10 a 20 si rimane – pur con una certa instabilità, vedi la dissonanza provocata dal SOLb nel trombone e dal LA naturale in clarinetto e violini secondi sul secondo quarto della battuta 12 – nell'atmosfera del MIb maggiore, ma appunto a battuta 20 c'è un'ardita modulazione che - passando dall'accordo di LAb minore e trasformando la tonica MIb in sopratonica - fa degradare la tonalità di un intero tono portando - a battuta 21 - ad un accordo pieno di REb maggiore (! è ancora Dio che scende un gradino per meglio osservare?) che viene rinforzato da pesanti crome puntate di tutti gli archi e dal clarinetto che ne percorre la triade discendente LAb-FA-REb. 

A questo punto abbiamo quattro battute (22-25) fondamentali nell'economia strutturale della Vorstellung: oboe e flauto espongono (22-24) una linea melodica costituita da semiminima doppiopuntata e sforzata – semicroma – semiminima – semiminima, con andamento ad arco; la figurazione si ripete tre volte ad altezze crescenti di un tono intero: dal MIb, al FA, al SOL, da dove poi la melodia sale cromaticamente – battuta 25 – al LAb, al LA e da qui al SIb, tornato dominante di MIb. Queste tre figurazioni (che ricompariranno ad altezza diversa alle battute 45-48) sembrano dar l'idea di forze che cercano in qualche modo di organizzarsi e di emergere, ma ancora con grande fatica, come testimonia l'armonizzazione cupa con cui sono presentate. 

A battuta 25 siamo comunque tornati al MIb, che ora sembrerebbe instaurarsi stabilmente, come ci dicono gli arpeggi del secondo clarinetto sulla dominante. Ed a battuta 28 gli oboi, per terze, ripetono la sezione ascendente della figurazione esposta a 22-24, a velocità doppia (croma puntata – semicroma- croma) prima partendo da sopratonica-sensibile (FA-RE) e poi dalla mediante-tonica (SOL-MIb) in un'atmosfera a dir poco inebriante. Ma a battuta 29, allorquando sono i corni ad imitare gli oboi con le stesse figurazioni, ecco che il primo clarinetto, il primo oboe e il fagotto emettono degli autentici lamenti (una seconda minore che scende dal DOb sforzato al SIb) che inquinano l'atmosfera sognante che si era appena installata. Idem per la prima metà della battuta 30, dopodiché la figurazione, su un forte dell'orchestra ribadito da un secco colpo di timpano, porta ad una settima diminuita (SOLb-LA-DO-MIb) che sembra non promettere nulla di buono e invece… sfocia (battuta 31) ancora in MIb maggiore, con il primo clarinetto che ci arabesca una scala ascendente di più di due ottave (dal SIb grave al DO acuto). 

Nella battuta 32, dove il clarinetto si ferma sulla sesta di MIb (DO) e i violini secondi martellano sommessamente le loro crome sulla sopratonica FA, le viole restano ancora con note ribattute sul MIb, ma prima i contrabbassi e poi i violoncelli ripetono a canone stretto l'inciso ascendente (semiminima doppio puntata – semicroma – semiminima) dalla sottodominante LAb al DOb, creando così una tensione armonica che prepara una incredibile modulazione al SOLb maggiore (dominante REb): cose che riudiremo solo nel… Parsifal

L'atmosfera si incupisce di nuovo, mentre gli incisi ascendenti si ripetono negli archi bassi, nel fagotto, flauto, clarinetto, oboi; il flauto (battuta 36) aggiunge un veloce arpeggio, a partire dal FA#, scalando e scendendo ben sei terze minori, prima che il DO di violini primi e clarinetto e il FA# di viole ed oboe (battuta 38) ci portino verso il SOL, che reiterato con una velocissima scalata di due ottave del flauto, prepara, insieme ai martellanti rintocchi del timpano - DO e poi SOL - il pesantissimo ritorno (battuta 40) del DO, che la (quasi) intera orchestra scandisce con una sestina di semicrome seguita da una croma. Sembra quasi che Dio voglia ribadire la sua potenza e la sua immutabilità… però, a differenza della prima battuta della Vorstellung, qui deve picchiare i pugni sul tavolo (!) Ed anche il MIb dei corni (che all'inizio avevano taciuto) adesso macchia irrimediabilmente la sua immagine di minore

Ma è ciò che avviene ora che ci conferma cosa Haydn pensasse del Caos. Dalla seconda metà della battuta 40 e per altre due battute abbiamo la riproposizione (quasi) pari-pari delle battute 5-7: stesse note e stesse tonalità; poi, le sei battute dalla 43 alla 48 ci ripresentano – con l'intervento del clarinetto e qualche diversa infiorettatura del flauto al posto del fagotto - ciò che avevamo udito da battuta 20 a 25… ma in tonalità diversa e precisamente una terza minore sotto. Insomma, pare di essere di fronte ad un – sia pure embrionale – schema di forma-sonata! Il Caos… organizzato, per l'appunto! 

Le ultime 8 battute della Vorstellung poi… sembrano addirittura anticipare Tristan (è detto tutto). La chiusa, dopo le discese di flauto e clarinetto, è dei soli archi, su una triade, mesta e grave, di DO minore. 

Ecco: Dio ha osservato il Caos e si prepara (sembrerebbe quasi… di malavoglia!) ad intervenire. 
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In omaggio all'assunto secondo cui il durante e il dopo della creazione – però va tenuto presente che nel dopo qui non si va oltre l'Eden! – devono essere del tutto diversi dal prima, Haydn ha rivestito le tre parti dell'Oratorio (le prime due raccontano i sei giorni – 4+2 - del durante e la terza il dopo) di vesti musicali totalmente diverse da quelle della Vorstellung. Quanto questa è prevalentemente sofferta e cupa, tanto il resto è sereno e solare.  

In effetti tutta l'opera è pervasa di gioia ed ottimismo, assecondando in pieno le caratteristiche del testo, che innalza lodi alla potenza e alla provvidenza divina, esaltando le bellezze del creato, senza mai nemmeno sfiorarne gli aspetti tragici. Ammiriamo il leone e la pecorella, che popolano la terra crescendo e moltiplicandosi, ma non vediamo il leone che – per crescere e moltiplicarsi – azzanna la pecorella… (perché è la mano di Dio che nutre ogni creatura). Non manca nell'elenco degli animali il serpente, ma nulla lascia presagire che poi il rettile assumerà un ruolo decisivo nel portare Eva ed Adamo alla perdizione. Gli stessi fenomeni naturali, anche i più drammatici, come le tempeste e le folgori, vengono sempre descritti per evocare la grandezza del Creatore, mai i danni che provocano all'ambiente e a chi lo abita.  

In tutto il testo troviamo solo pochissimi e vaghi accenni – quasi soltanto dei presentimenti – ai risvolti negativi legati alle caratteristiche del creato: qui un semplice aggettivo – distruttore – a descrivere l'uragano; là il riferimento all'usignolo il cui petto non è ancora oppresso dal dolore; infine, l'ultima esternazione di Uriel, che esalta l'eterna beatitudine della coppia umana… finchè non si lasci vincere dal desiderio di avere, e soprattutto di sapere di più.  

Ma l'opera termina in gloria, con l'ennesima lode per il Creatore. E ciò che colpisce subito è la sua grandissima cantabilità, le sue melodie orecchiabili, schubertiane, quasi romantiche… lontane assai dai temi sempre severi, classici, colmi di austerità e seriosità - anche quando allegri - delle sinfonie e dei quartetti del sommo Josephus.
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Rilling e i suoi Musikanten – una compagine dalle dimensioni non ipertrofiche, meno di 40 strumentisti e meno di 50 coristi - ne hanno dato un'interpretazione pregevolissima (del resto si tratta di uno dei loro cavalli di battaglia) sia nelle pagine prettamente strumentali che nei grandi squarci corali. Discreta la prova dei solisti, fra cui è spiccata la bella voce di Julia Sophie Wagner; accettabili le prestazioni di Lothar Odinius e Markus Eiche (quest'ultimo un po' a corto di… potenza.)  

Caloroso successo e grandi applausi per tutti, fra i quali anche quelli di Erina Gambarini, Maestro del Coro de laVerdi – di cui Rilling è da anni uno dei Direttori principali ospiti – che nell'intervallo è andata a salutare il Maestro con cui i prossimi 17-18-20 gennaio proporrà in Auditorium il Requiem brahmsiano.