affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

12 marzo, 2008

Parole che generano musica

Che la notazione musicale anglosassone (da A ad H) si presti a giochi musicali è noto da tempo: quante composizioni sono state scritte sul nome B-A-C-H (SIb-LA-DO-SI, nella notazione italiana)?

Il limite al giochino sta però nelle 8 lettere dell’alfabeto; il che impedisce, ad esempio, di scrivere musica a partire - che so - dal nome Toscanini oppure dal verso di quella pira l’orrendo fuoco (qui peraltro ci ha già pensato Verdi a vestirlo adeguatamente...)

Nei lontani anni ’60 madre Harriett Ann Padberg, che insegnava matematica e musica (come sono davvero intimamente connesse!) al Collegio del Sacro Cuore vicino St.Louis, e si era appassionata di computer (antidiluviane ed arcane macchine, rispetto alle odierne diavolerie) pensò di inventare un sistema che permettesse di tradurre in musica un qualsiasi testo.

Per avere un numero di note contenute in una ottava e insieme sufficiente a rappresentare (quasi) tutte le lettere dell’alfabeto anglosassone - sono 26 - decise di suddividere l’ottava in 24 note, sulla base di intervalli di ugual frequenza, pari a 18,333(3) oscillazioni/secondo. Partendo dal 24° multiplo (18,333 x 24 = 440 o/s, il LA4) costruì l’ottava con i successivi 24 multipli, arrivando quindi al LA5 (880 o/s).

Avute quindi a disposizione le 24 note (assimilò V=W e Y=Z o Y=I) potè cimentarsi con la costruzione di musica a partire da un testo. Definì, programmando il computer, dei temi musicali derivati da frasi compiute di 12 lettere. Naturalmente dovette aggiungere un bel po’ di altri ingredienti: il ritmo viene costruito secondo complessi algoritmi che si basano sul rapporto vocali-consonanti; poi definì regole per costruire accompagnamenti, voci a canone, etc.; infine istruì il computer su come creare le trasformazioni dei temi (sulla tradizione fiamminga?) e su come costruirci una fuga.

Chissà se, applicando l’invenzione ai versi della pira non ne esca qualcosa di più interessante di Verdi (?!) Oppure: come suonerebbe il famoso Treulich geführt ziehet dahin... (umlaut a parte) ?

Riferimenti:

Matthew Guerrieri
Harriett Padberg

07 marzo, 2008

Un altro genio che viene a spiegare Parsifal a noi poveri pirla

(recensione della messa in scena di Krzysztof Warlikowski alla Bastille, di Jorg von Uthmann , Bloomberg)
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Per Adolf Hitler, un fan della musica di Wagner, Parsifal era questione di purezza della razza. Krzysztof Warlikowski, che ne dirige la nuova produzione all’Opera Bastille, da parte sua lo interpreta come una storia della medicina.

La scenografa Malgorzata Szczesniak ha ambientato l’opera in un auditorium, che ricorda un laboratorio di anatomia, dove siedono i Cavalieri del Gral, come studenti che assistono ad una lezione. Amfortas, il re malato, entra appoggiandosi a stampelle e Titurel, suo padre, gira attorno su una sedia a rotelle.

L’auditorium è fiancheggiato da lavandini, una specie di marchio registrato da Warlikowski dopo le sue produzioni di Ifigenia in Tauride di Gluck e del Caso Makropulos di Janacek. Come Wagner, anche lui deve aver inventato i suoi leitmotive.

Il regista, che si autodefinisce un cattolico scaduto, fa del suo meglio per minimizzare il lato religioso dell’opera. Da ciò che si vede, non si indovinerebbe mai perchè Nietzsche, uno dei più ardenti ammiratori di Wagner, fosse poi rimasto così disgustato dall’improvviso attacco di devozione che aveva colpito il maestro.

Gran parte dell’Atto I è eseguito come un oratorio, con i cantanti seduti davanti ad uno schermo su cui di volta in volta appaiono disegni primitivi. Chi conosce la vicenda può decifrarvi la croce, la lancia e il calice. Chi la ignora, resta confuso come un puro folle.

Nell’Atto II ci sono tavolini con luci rosse che richiamano le Folies Bergère, il mitico cabaret. Le ragazze-fiore di Klingsor, in eleganti abiti da sera, spogliano l’eroe fino alle mutande... un’idea che avrebbe divertito Nietzsche, che maliziosamente insinuava che Parsifal fosse materia da operetta.

Disgraziatamente, Warlikowski butta al vento uno degli effetti più spettacolari di tutto il teatro wagneriano: la sacra lancia che resta sospesa sopra la testa di Parsifal, quando Klingsor cerca di ucciderlo. Chissà, forse qualcuno deve avergli segnalato che, in passate produzioni, il trucco aveva fatto cilecca e la lancia era finita dritta nella buca dell’orchestra.

L’Atto III, il più sereno dell’opera, è iniziato fra le proteste degli spettatori. Prima dell’attacco del preludio, è apparsa sul sipario la scena finale del film del ’48 di Rossellini Germania Anno Zero, dove si mostra il suicidio di un ragazzo in mezzo alle rovine di Berlino. Ciò ha provocato adirati fischi e cori di Wagner! Wagner!

Più tardi il ragazzo è riapparso in scena, innaffiando uno squallido giardinetto, inducendoci ancora a simpatizzare per l’eroe stordito, che ha difficoltà a comprendere il senso di tutto ciò che lo circonda.

Musicalmente, il tutto è molto più coerente.
(omissis)
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(aspettando ansiosamente che qualcuno realizzi una buona volta la vision di Slavoj Zizek...)

28 febbraio, 2008

Onorificenze




Anna Netrebko riceve da Putin il titolo di “Artista del Popolo” della Russia.




La grande soprano (qualche malignazzo insinua che si faccia “aiutare” più del dovuto dall’elettronica...) aspetta il primo figlio e da luglio sospenderà - temporaneamente - l’attività (canterò solo per mio figlio, ha giustamente affermato).


In Russia siamo proprio sotto elezioni e zar-Vladimir ovviamente non perde occasioni di pubblicità.

Le cronache parlano di una Netrebko “meravigliosamente arrossita” di fronte al riconoscimento.

Certo, a suo tempo il grande Petrolini, ricevendo una “patacca” dal regime, ebbe la presenza di spirito di rispondere: “Me ne fregio”... (altra personalità, ammettiamolo)

26 febbraio, 2008

Poche idee (e confuse?)

Nel giro di pochi giorni la Salome è andata in scena a Londra (Royal Opera House) e al Regio di Torino.

Lassù David McVicar, qui da noi Robert Carsen, due registi dalla fantasia sbrigliata e dalle idee innovative (leggasi: inventare di sana pianta l’ambientazione di un’opera famosa, usando le di lei collaudate parole e musica per garantire il successo alla propria idea sconvolgente).

La Salome - quella originale - di Strauss è ambientata (toh, che strano!) nel palazzo di Erode, ai tempi di Erode. Ma i registi moderni non possono certo abbassarsi a tanta ovvietà (dove finirebbe la loro inventiva?) E allora si scervellano per tirar fuori ambientazioni quali soltanto delle menti sopraffine e fuori dal comune potrebbero inventarsi.

Quindi uno si immagina che McVicar e Carsen ci stupiscano con due invenzioni personalissime ed uniche al mondo.

Vediamo. McVicar ci porta in una specie di casa-bordello, anni ’30-‘40, con ragazze seminude, un culturista, raccolto in strada, nudo completamente, e con annessi accessori di sesso - e cesso. Da parte sua, Carsen ambienta il tutto in una specie di casinò lasvegasiano, con gente che pensa solo ai soldi e, matematico - al sesso.

La Salome ha una notevole componente erotica, veniamo così a sapere, noi poveri pirla che non ci avevamo ancora fatto caso...

Oh, ma quale varietà di idee e di trovate!

Naturalmente, sulle locandine, ci sono i regolamentari avvisi ai naviganti (quelli che si appendono tipicamente fuori dai sex-shops...)
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Una luce nel buio?

A quest’ora la New York Philharmonic di Lorin Maazel avrà già dato il suo concerto a Pyongyang (Dvorak, Wagner, Gershwin). In USA, e non solo, c’è stata accesa polemica riguardo l’opportunità del concerto: da una parte si è sostenuto come fosse un controproducente regalo fatto al più spietato dittatore forse mai apparso al mondo (il famigerato Kim Il Jong) e dall’altra si è sostenuto che, in fin dei conti, la NYPO potrebbe essere un ambasciatore dell’occidente e il suo viaggio in NKorea contribuire alla da tutti auspicata distensione.

Nella foto notturna satellitare si scorge in basso la SKorea, illuminatissima, in alto la moderatamente illuminata Cina, in mezzo la NKorea, al buio-pesto: nulla meglio di questa immagine rende l’idea dell’arretratezza e, davvero, dell’oscurità (materiale ed esistenziale) in cui vivono più di 23 milioni di esseri umani.

La speranza è che la musica (possiamo dire: la nostra musica?) possa accendere almeno una piccola luce in quella disgraziata parte del mondo.

21 febbraio, 2008

Parsifal di Bayreuth 2008 (con Daniele Gatti)

Ecco la locandina completa, pubblicata oggi sul sito Festspiele.

Sono confermati gli interpreti principali, di cui si aveva da un po’ avuto sentore.

13 febbraio, 2008

Wozzeck... chi era costui?

A 5 giorni dalla prima alla Scala, in Internet ci sono 80 posti disponibili. 100 per il 22, 200 per domenica 24! 65, 90, 120 e 70 per le restanti quattro rappresentazioni.

Desolante?

Eppure ci sono Gatti-Flimm, Herlitzius, il “signor Wagner” Wottrich, oltre al giovane Nigl, viennese purosangue, nel ruolo del protagonista.

Nel frattempo si annuncia un’attempata Violetta a rimpiazzare l’Andrea... chissà che - per via del nome - non faccia cassetta almeno lei.

05 febbraio, 2008

Viva la trasparenza

Ormai troppo spesso capita, grazie ai geniali registi di opera, di assistere a spettacoli dove - meno male! - si ascoltano ancora parole e musica delle opere e dei drammi musicali, ma dove si vedono - al posto degli ambienti che tali parole e musica hanno ispirato, o devono giustificare e/o spiegare - scene, costumi e ambientazioni esistenziali del tutto inventate e spesso addirittura antipodiche rispetto a ciò che musica e parole ci raccontano.

Complimenti quindi a chi, invece, non fa l’ipocrita, nè pensa a guadagnarsi quattrini ingannando gli spettatori, propinando loro dei falsi Mozart o Wagner.

Ecco un bell’esempio: il wagneriano Fliegende Holländer fatto a rock! Ri-arrangiato per chitarre elettriche, sassofoni, batteria, etc. E cantato da vere pop-star.

Con piena coerenza e correttezza, la locandina reca una scritta che - invece - i vari registi Eurotrash si guardano bene dall’esporre sulle proprie: nach Richard Wagner.

04 febbraio, 2008

Gigionerie e gigioni

A.C.Douglas, wagner-talebano d’America, se la prende con Lorin Maazel reo, a suo dire, di aver strapazzato il primo e terzo atto della Walküre, trasmessa sabato 2 febbraio dal MET.

Piccola parentesi nostrana: oltre a problemi nello smaltire le immondizie, in Italia facciamo fatica anche ad usare la ICT - Information & Communication Technology - visto che Radio3 non è riuscita a irradiare quasi l’intero primo atto. (chissà, forse per risparmiarci il magone di sentire quel pessimo Wagner?)

Ciò che Douglas rimprovera a Maazel è di non avere nel suo sangue il “gene wagnerita”, un cromosoma sempre più raro da trovare.

Senza bisogno di addentrarsi in ricerche biologiche, basta - per prendere in castagna il Lorin - confrontare ciò che lui ha fatto suonare ai valorosi orchestrali del MET con ciò che Wagner avrebbe inteso fargli suonare.

L’esempio che Douglas porta è assolutamente pertinente: ascoltando da Maazel quelle 24 battute, in cui il tema della Giustificazione viene riproposto, in forma smisuratamente ampliata nel tempo (dopo le parole Denn einer nur freie die Braut, der freier als ich, der Gott!) e senza conoscere nei dettagli la partitura, si dedurrebbe che Wagner abbia infilato, fra le tre sezioni della frase, due misure di pausa, o due coroncine puntate sulle barrette verticali a cavallo delle misure. Ma basta dare un’occhiata alla partitura per non trovar traccia alcuna di pause o corone puntate: semplicemente mancano segni di legatura, quindi ci deve essere solo il “respiro” fra una nota e la successiva.

Direte: chi se ne frega? L’effetto era straordinario. Può darsi, come straordinaria potrebbe essere la resa della frase fatta suonare a sassofoni e chitarra elettrica... solo che non sarebbe più Wagner.

Un’altra perla di Lorin, che abbiamo fatto appena appena in tempo a sentire in diretta, è la chiusa del primo atto. Siamo in 4/4 wuthend (furioso) e dopo il vortice tumultuoso, che sale in SOL maggiore come in un irrefrenabile orgasmo, c’è la repentina chiusa in fff su tre misure: le prime due - piene - in LA, l’ultima con solo due semiminime LA-SOL, un’autentica sincope che ben richiama il tema della frustrazione-schiavitù. Orbene, Maazel suona l’ultima misura come se il LA fosse una minima, con ciò distruggendo in pieno la drammaticità dell’effetto, oltre che tutte le implicazioni psicologiche-esistenziali che esso si porta dietro.

Io, senza tirare in ballo il gene, la chiamo semplicemente: gigioneria. Che affligge spesso quei maestri che - avendo magari calcato il torrido podio dell’Orchestergraben - credono di essere dio, e quindi di potersi permettere qualunque libertà (purtroppo successe anche al povero Sinopoli).

Chi è il più grande interprete wagneriano di oggi? Christian Thielemann, risponderanno in molti, se non proprio tutti. Bene, anche lui gigioneggia, e come! Un paio di esempi:

Meistersinger a Vienna, di recente, il famoso Wacht auf! Fra Wacht e auf il Christian si ferma per 2,5 secondi! In partitura? Nulla, solo e sempre mancanza di segni di legatura. Effetto? A dire di taluni: straordinario. Credo sarebbe piaciuto moltissimo anche a tale Adolf Schicklgruber da Braunau am Inn.

Bayreuth 2007, chiusa del Götterdämmerung: prima delle ultime 7 misure (la redenzione) Wagner, al solito, si limita ad omettere segni di legatura, ma non scrive alcuna pausa, nè corona puntata. Thielemann invece fa una pausa di una minima. Problemi? Quisquilie? No no, solo il travisamento del significato del Ring! La pausa implica: fine di un mondo, punto; adesso comincia un altro mondo (redenzione). Ah davvero? E allora perchè Wagner accompagna la redenzione con: Oro del Reno, Walhall, maledizione dell’Amore, Rheintöchter, schiavitù e anello? E perchè a guidare il nuovo mondo restano le tre ninfe e Alberich? Ah, quella pausa...

Morale: quando la smetteranno i kapellmeister di imbrattare le partiture?

28 gennaio, 2008

L’ultima di Calixto

La bizzarra moda di rappresentare il (presunto) significato, e non il significante, che sta alla base del cosiddetto Regietheater, ha trovato negli ultimi anni un nuovo campione in Calixto Bieito.

Costui - come altri sedicenti artisti - magari avrà anche delle idee originali in testa, quali: la disumanità del capitalismo, la perdita di valori nella nostra società, l’incomunicabilità fra gli uomini, la mercificazione del sesso, e altri simili arditi filosofeggiamenti. Orbene, invece di prendersi la briga, come ci si dovrebbe aspettare da un artista, di scrivere piéces teatrali sui suoi soggetti, magari musicandole egli stesso, o facendole musicare da qualcuno... e poi cercare di rappresentarle da qualche parte, cosa fa un tipo alla Bieito?

Si propone come regista di drammi wagneriani (o di opere mozartiane o verdiane) calati nella nostra moderna società. Con ciò ottiene alcuni interessanti (per lui) risultati:

1. non fa alcuna fatica a scrivere parole, nè musica: li trova già bell’e pronti;
2. non ha alcun problema di promozione della sua immagine, poichè utilizza quella di artisti e di opere collaudati da decenni, se non da secoli di successi in tutti i teatri del mondo;
3. più il pubblico fischia le sue regie, meglio per lui! È il miglior modo per farsi pubblicità ed essere scritturato da teatri la cui importanza è inversamente proporzionale alla preparazione e alla serietà dei rispettivi sovrintendenti.

L’ultima? Una performance a Stoccarda, dove si rappresenta uno spaccato dell’infernale società capitalistica moderna: un manager che ha perso il posto, che vede intorno a sè soltanto disumanità ed arrivismo e che si riduce disperato a cospargersi di benzina, minacciando di darsi fuoco; un gommone che trasporta clandestini, guidato a frustate da un manager in carriera; una donna-oggetto, che vede ogni sua sensibilità soffocata da una famiglia di benpensanti e diventa ossessionata dal far del bene a qualcuno; manager e impiegati di aziende concorrenti che si abbandonano ad orgiastici festini - con conigliette (che escono come cagnolini da una cuccia) e champagne - distruggendo frigoriferi e lavatrici (i prodotti del capitale, già, perchè c’è anche il consumismo!) Il lato davvero debole, quasi incomprensibile, di questa straordinaria opera d’arte è il lieto fine che la conclude, col povero manager disoccupato che trova nella donna pia amore, pace, pietà e tutti i valori positivi!

L’opera, chiederete... Ma perchè, non basta quanto sopra?

E invece sì, c’è anche l’opera: il Fliegende Holländer di Wagner.

Ma, a supportare adeguatamente il capolavoro di Bieito, potevano andar benissimo anche Tannhäuser o Lohengrin, statene pur certi. Il Ring invece lo hanno già interpretato a loro modo altri registi più famosi, e il Calixto dovrà aspettare... però chissà che i prossimi Leiter di Bayreuth non ci facciano un pensierino.