L’Opera
di Roma ha aperto la stagione con il Lohengrin della coppia di
esordienti wagneriani in buca e alla regia, cui si è aggiunto l’esordiente
protagonista, Dmitry Korchak. Personalmente ho ascoltato prima in radio
e poi, con calma questa mattina, ho visto la ripresa TV.
Il battesimo di Mariotti è da giudicare a pieni voti, un approccio quasi perfetto per quest’opera che fa da spartiacque nella produzione wagneriana, e ha molte affinità con il belcanto italiano. L’ascolto tecnologico consente solo di valutare con buona approssimazione l’agogica, mentre le dinamiche sono fatalmente falsate rispetto all’ascolto dal vivo. Ecco, sulla gestione dei tempi di Mariotti mi sento di dire solo bene, anzi benissimo.
Il Coro di Ciro Visco, che Wagner impegna spesso a sezioni distinte, è parimenti da lodare, per compattezza ed anche per… dizione.
Fra le voci ha svettato su tutti Korchak, che ha proprio impersonato il protagonista con approccio belcantistico, pienamente aderente alla natura musicale del ruolo.
Bene anche la Elsa di Jennifer Holloway, capace di passare dalla mestizia della sua condizione alla gioia della materializzazione del miracolo, all’ingenuità del suo rapporto con Ortrud, e da qui al lancinante e insopportabile dubbio con conseguente crollo delle sue certezze e perdita della grazia ricevuta.
A proposito di Ortrud, più che apprezzabile Ekaterina Gubanova, dalla quale mi sarei aspettato ancor più grinta di quella messa in campo.
Tómas Tómasson è stato un solido Telramund, vocalmente e scenicamente, anche lui efficace nei cambiamenti psicologici imposti dalle trame della moglie.
Onesta la prestazione di Andrei Bondarenko, il portavoce del RE, mentre proprio quest’ultimo – Clive Bayley – mi è parso decisamente sotto la media degli altri.
I quattro maschi del Progetto Fabbrica e le quattro donne del coro hanno completato degnamente il cast. Per tutti grandi applausi e ovazioni.
Michieletto? Mah, dirò subito che i buh (fra le ovazioni) che lo hanno accolto alla fine mi son parsi eccessivi, se non ingiustificati: definirei la sua una regia innocente, nel senso di non aver perpetrato crimini contro il soggetto. Perché oggi ormai nessuno deve scandalizzarsi se i brabantini non sono abbigliati come nell’anno 1000 o se è Lohegrin a trascinare il cigno e non viceversa… O se la tenzone non è all’arma bianca, ma sa di prova per fachiri. O se, al finale happening sulla Schelde, non vediamo quattro diversi gruppi di soldati arrivare sul palco cavalcando equini in carne ed ossa (come vaneggiava Wagner!) ma un ammasso indistinto di popolo. O ancora: Ortruda che cerca di affogare Elsa alla fine; o la mancanza della… locomotiva della barchetta di Lohengrin per il ritorno (la colomba del Gral). Insomma, tutte trovate gratuite ma, appunto, irrilevanti.
L’unico affronto alla sostanza dell’originale è – a mio modesto avviso - la diversa fine fatta fare ad uno dei quattro personaggi principali dell’opera: Telramund. Presentarcelo come suicida prima e non come vittima di Lohengrin( sia pure per legittima difesa) durante la fatal scena dello spergiuro di Elsa, mi sembra proprio un affronto alla personalità di Telramund, che Wagner ci dipinge come pronto a tutto e perfettamente convinto delle teorie di Ortrud.
Apprezzabili invece i richiami, fin dal Preludio, all’antefatto riguardante Gottfried, con la reiterata apparizione in scena del piccolo; e l’ultima esternazione di Lohengrin, che arriva da fuori scena, cioè da lontano, ormai nel viaggio di ritorno a Monsalvat.
In definitiva, almeno stando a ciò che ci è pervenuto grazie alle diavolerie tecnologiche, una proposta di alto livello.


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