Il sesto
concerto
della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano vede sul podio il Wunderkind
Thomas Guggeis che dirige un programma fatto tutto (si potrebbe dire) in
famiglia.
Siamo
infatti a casa Schumann e ci troviamo un frequentatore abituale: Brahms. Entrambi
pubblicheranno 4 Sinfonie e il concerto prevede l’esecuzione delle due Terze.
Gli esegeti si sono sbizzarriti nel proporre più o meno improbabili
similitudini e confronti: uno di questi apparenterebbe le due sinfonie all’Eroica
beethoveniana: entrambe hanno i movimenti esterni assai energici, il primo di
entrambe è in tempo 3/4 e una di esse ha pure il MIb di impianto…
In realtà sono due
sinfonie dal carattere sereno, in modo maggiore (MIb per Schumann, FA per
Brahms). Schumann evoca la Natura, sotto le spoglie del più grande fiume
romantico, il Reno (nel quale romanticamente si getterà, totalmente uscito di
melonera…) e dell’austero gotico della Cattedrale di Colonia; nella sinfonia
del secondo la padrona di casa, Clara, dichiarerà di vedere (primo
movimento) boschi e foreste con il sole
che sorge dietro gli alberi, i boscaioli (secondo movimento) inginocchiati ai
piedi di una cappella nel verde, e ancora lo sciacquio del ruscello ed il
ronzio degli insetti… (quindi, niente di eroico, ma una Pastorale? Dopo
un’altra pastorale, la Seconda?)
Questi
due esempi possono farci riflettere sull’eterno problema dell’essenza della
musica. Nel caso di Schumann la Sinfonia fu dallo stesso Autore inizialmente arricchita
di attributi extra-musicali: un mattino sul grande fiume, l’austera cerimonia
in una chiesa… attributi poi ritirati per far posto all’invito all’ascoltatore ad
abbandonarsi alle note, solo da esse traendone gratificazione (40 anni dopo il
suo epigono – e ri-orchestratore - Mahler cadrà nella stessa trappola). Quanto
a Brahms, che nulla lasciò trapelare della sua ispirazione per la Sinfonia, la
reazione di Clara è la lampante dimostrazione che i suoni (o certi
suoni) possono generare o far emergere dal profondo della psiche umana immagini
o sensazioni extra-musicali.
In
questo concerto andiamo a ritroso nel tempo, ascoltando per prima la Terza
Sinfonia di Brahms (1883). E qui conviene domandarsi il perché di
questa sequenza, che oltretutto spiega e giustifica anche il titolo dato al concerto: La
Renana.
E
la risposta alla domanda sta nelle note Brahms-iane che arrivano quasi subito alle nostre
orecchie: sì, perché sono di… Schumann!
Brahms
eleva alla dignità di primo tema dell’esposizione un motivo che Schumann
aveva impiegato marginalmente, 33 anni prima, nella ripresa del
movimento iniziale della sua Terza: senza dubbio un omaggio al grande
amico e sostenitore, ed allo stesso tempo un esplicito riferimento al soggetto extra-musicale
che lo aveva ispirato (il
Reno fiancheggia proprio il lato sud di Wiesbaden, dove Brahms compose
la Sinfonia).
Ma
se si tratta di Reno, come si fa a non citare un convitato di pietra a questo
concerto: Richard Wagner, che al grande fiume si ispirò per la sua Commedia
renana. Nella quale troviamo almeno tre Leit-Motive basati su una
variante (la sesta invece della tonica di partenza) del tema
schumanniano: le Figlie del Reno, il Sonno e l’Uccellino del
bosco.
Sarebbe
azzardato affermare che Wagner abbia mutuato il suo tema da Schumann: è ben
vero che la musica del Ring vede la prima luce almeno un paio d’anni
dopo la Renana, ma è difficile immaginare che il Wagner migrante perché inseguito
da un mandato di cattura potesse perder tempo a scopiazzare partiture altrui non ancora fresche di stampa…
Invece, a proposito di Wagner, l’esternazione di Clara richiama alla mente il cosiddetto Waldweben
(il mormorio della foresta, second’atto del Siegfried) composto
7 anni dopo la Sinfonia del marito e 26 prima di quella dell'amico prediletto! Ed era una
indiretta risposta al purista Eduard Hanslick (convinto ammiratore di
Brahms, si noti) che negava alla musica qualsivoglia capacità di esprimere (menchemeno
di descrivere) alcunchè, al di fuori di se medesima. Ma alla base di ciò
vi era un grande equivoco: di certo, senza un testo cantato o almeno ad essa associato
dall’esterno (tipo il soggetto di un Poema Sinfonico) la musica da sola nulla
può descrivere; ma invece è fuor di dubbio che qualunque musica,
indipendentemente da ciò che può averla ispirata, sia in grado di suscitare in
noi le più diverse sensazioni, o evocare alla nostra mente immagini, oggetti e persino
concetti.
Dopodichè
ciascuno di noi può abbandonarsi a fantasticherie indotte dall’ascolto di un
brano musicale, oppure limitarsi a (possibilmente) godere di esso la macro- e
la micro-struttura, esclusivamente dal punto di vista estetico. Accade lo
stesso alla vista di un dipinto, di cui si può ammirare il contenuto esteriore,
oppure il magistero artistico dell’Autore.
Ecco,
nel caso di entrambe le Sinfonie in questione, hanno ragione sia Clara che Hanslick:
e il merito è dei due Autori, che hanno saputo costruire le loro opere con tale
maestria da consentire a noi fruitori di apprezzarle per ciò che evocano alla
nostra mente, oppure per il puro piacere estetico suscitatoci dal loro ascolto.
Le
tre battute iniziali della Sinfonia recano altrettanti pesanti accordi di
FA-LAb-FA, autentico motto dell’opera, dallo stesso Brahms sintetizzato come
FaF, che decodificato sta per Froh aber Frei, felice ma libero. (Oggi
magari, in servile omaggio ai nostri nostalgici governanti, potremmo tradurlo: Libero e Giocondo
!?!)
Motto
che tornerà a più riprese (e spesso quasi in incognito…) nel corso dell’iniziale Allegro con brio e
infine, significativamente, a chiudere con procedimento ciclico l’intera
Sinfonia, con la mutazione in modo maggiore (FA-LA-FA) cui segue una vera perla di Brahms: il
tema schumanniano trasfigurato nei violini:
Che
purtroppo si rischia sempre di perdere, essendo suonato in pianissimo
contro il piano dei corposi accordi dei fiati…
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Ed ecco la Renana,
come ormai si chiamerà nei secoli, a dispetto del disconoscimento del nick
da parte del suo Autore. L’avevamo ascoltata e apprezzata qui – proprio nell’orchestrazione
di Mahler - poche settimane orsono, interpretata dall’ensemble Spira
Mirabilis; ieri è risuonata ancora in tutto il suo splendore, una vera
gioia per l’orecchio e per… l’anima!
È costruita sul modello (variato) della Pastorale
beethoveniana: cinque movimenti, con lo Scherzo avanzato in
seconda posizione e un (insolito) quarto movimento di carattere severo, prima
del radioso finale. Un modello che il suo epigono Mahler impiegherà per tre
(più una… o due…) delle sue nove (dieci...) sinfonie. (Poi
anche Édouard Lalo baserà sulla stessa
struttura, incluso il quarto movimento serioso, la sua Symphonie Espagnole.)
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Orchestra in grande spolvero, in primis
la retroguardia dei fiati, qui messi davvero a dura prova e giustamente lodati dal
Direttore al termine di ciascuno dei due brani.
E, appunto, Guggeis? Ormai non c’è
più nulla da scoprire, solo da apprezzare. Anche ieri ha confermato le sue doti
(innate, penso proprio) di interprete raffinato. Innanzitutto, in Brahms, la
stringatezza ed essenzialità (tempi e dinamiche) che nulla ha concesso a divagazioni
o facili libertà. In Schumann invece un sapiente uso del rubato e di piccole
variazioni agogiche sempre impiegate con equilibrio e misura.
Il suo gesto, a volte fin troppo
appariscente, altre assai secco e imperioso, può far nascere qualche riserva,
ma complessivamente le due prestazioni mi son parse di grande livello e proprio
da incorniciare.
E così
pare averla pensata anche il pubblico (di un Auditorium non affollatissimo, per
la verità) che non ha lesinato ovazioni ed applausi ritmati al Direttore. Il quale,
da parte sua, si è modestamente limitato a due sole uscite alla fine dei due
brani in programma.