Il Ravenna Festival si avvia alla
conclusione e, come consuetudine, è toccato al padrone di casa (acquisito) Riccardo
Muti di dirigere l’ultimo concerto
sinfonico
del 2023 alla testa della sua Cherubini.
PalaDeAndré pieno come un uovo, il che
rende inspiegabile perchè due delle sei sezioni delle tribune laterali fossero
chiuse al pubblico (che poi le ha in parte occupate…)
L’apertura era riservata a Nino Rota
- che fu tra i primi a scoprire in Riccardo Muti un futuro protagonista della
vita musicale italiana e internazionale – con la Suite in 8 movimenti
da Il Padrino (parti
I e II).
1. Sicilian
Pastorale (I)
2. The Immigrant (II)
3. The Pickup (I, non usato)
4. Kay (II)
5. Love Theme (I)
6. A New Carpet (II)
7. Waltz (I)
8. End Title (II)
Ecco qui come Muti la registrò nel 1997
con i Trepper
Philharmoniker. E anche ieri ne ha cavato tutta la
raffinatezza e la profondità.
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Ancora di Rota, Il 54enne Tamás Varga da Budapest, primo violoncello dei Wiener
Philharmoniker (che il Maeschtre
evidentemente conosce assai bene…) ci ha poi offerto il bellissimo Secondo
Concerto.
Che fu composto nel 1973 e dedicato al
sommo Mstislav, con uno sguardo retrospettivo (ma per nulla
anacronistico) alla grande tradizione classico-romantica, come dimostrano l’impianto
rigorosamente tonale (SOL maggiore, con tanto di accidenti in chiave) e la
struttura solo apparentemente eterodossa: due soli movimenti espressamente
indicati ma, come osserva Bruno Moretti nell’introduzione alla partitura
Schott, il secondo (Variazioni e finale) è in realtà una
micro-sinfonia. Nella quale si possono distinguere Andante(tema)/Scherzo(variazioni
1-5)/Adagio(variazione 6) e Finale (variazione 7).
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Seguiamo il concerto accompagnati dal
grande Mario Brunello con la SantaCecilia
diretta da Robin Ticciati.
L’iniziale Allegro moderato (4/4)
si struttura come una forma-sonata liberamente interpretata. Vi si distinguono
due temi principali (T1 e T2) e un motivo di raccordo (R). Sono i primi violini
(1’40”) ad esporre T1, dal carattere giocoso e danzante, su un
accompagnamento ostinato in crome di viole e celli:
Dopo alcune modulazioni cromatiche si
torna a SOL maggiore, dove compare (2’09”) il motivo R, esposto
ancora (in pizzicato) dai primi violini (ora in unisono con i secondi e
le viole) su un martellante tappeto dei corni:
Ecco quindi (2’30”) il
maschio e puntato tema T2, nei legni (qui il primo oboe):
Proprio sulla chiusura di T2 (2’42”)
attacca il solista, con una svolazzata di semicrome che porta (2’53”)
alla ri-esposizione di T1, qui completato (3’20”) da una sua
variante, che si snoda dal SI anziché dal RE, per portare quindi, dopo il
passaggio da R (3’32”), a T2 (3’54”).
E proprio T2 viene manipolato assai,
dando inizio a ciò che si può intendere come sviluppo. Dove infatti
torniamo ad udire (4’32”) spezzoni di T1 nei fiati, accompagnati
languidamente dal solista, poi ancora (5’23”) T2, protervo, fino
ad una perorazione grandiosa (5’43”) dell’incipit di T1.
Il solista si imbarca in volate di
semicrome mentre i corni ripetono T2, seguiti da oboe e tromba (6’09”).
Il tema T1 (6’21”) ritorna
largamente per dare inizio ad una specie di ricapitolazione, dove
gli segue (7’09”) il motivo R pizzicato. Poi il solista (7’30”)
attacca crudamente T2, quindi tutti tornano (7’44”) su T1, con un
finale sberleffo (8’15”) di violini e viole.
Siamo ora all’Andantino cantabile,
con grazia (4/4, SOL maggiore) aperto da solista che ne espone (8’27”)
il nobile tema conduttore, che poi verrà sottoposto a sette variazioni:
La seconda frase (8’50”)
vira momentaneamente (8’56”) a REb maggiore, per poi modulare
ancora (9’12”) a LAb maggiore, dove i violini, poi raggiunti dal
solista, ri-espongono il tema. Che viene ulteriormente ripreso, dopo il ritorno
al SOL maggiore di impianto, dal solista (9’45”) che però lo
chiude anzitempo con una leggera accelerazione. È poi il fagotto (10’06”)
ad esibirsi in una sommessa cadenza, prima che il solista (10’20”)
riprenda solo l’attacco del tema, portandone la tonalità a LAb, su un tremolo
che ne chiude l’esposizione.
Hanno ora inizio le variazioni sul
tema. Come premesso, le prime cinque hanno un carattere mosso e nervoso,
testimoniato dalla continua accelerazione del tempo (come da indicazioni metronomiche).
Il solista (10’37”) attacca la prima scendendo di un
semitono per ripristinare il SOL maggiore, mentre il tempo accelera
moderatamente (da 76-80 a 88 semiminime di metronomo). Assistiamo qui ad un
serrato dialogo (a base di semicrome) fra solista e flauto, che si palleggiano
spezzoni dell’incipit del tema, chiuso dal solista con il ritorno a LAb.
A 11’53” ecco quindi la seconda
variazione, in buona parte in RE maggiore, con il tempo che ancora accelera
(metronomo a 96) e che il solista esegue integralmente in pizzicato, frantumando
letteralmente il tema principale, sempre rimbeccato da fagotti e corni, da
ultimo anche dal flauto.
Chiude a 13’00” sul REb,
da dove inizia (13’05”) in SIb maggiore, la terza
variazione (3/4, Tempo di valzer calmo e cantabile) e metronomo ancora
aumentato a 104-112:
È una variazione assai corposa, dove il
solista è inizialmente accompagnato da oboe, clarinetto e corno, poi (13’28”)
nella ripresa, anche dal flauto. La melodia viene successivamente sottoposta ad
ardite modulazioni (come a 13’52”, SI maggiore, nel corno, poi a
FA minore, 14’22” nel flauto e poi nel clarinetto). Si torna a
4/4 (Liberamente, con fantasia) e il solista chiude e infine sul LA.
Qui (15’30”) dal LA
dominante parte la quarta variazione, in RE maggiore (Alla marcia,
allegramente) con il metronomo ancora accelerato a 132-138. La melodia del
solista si distende sull’arpeggio discendente di RE (da dominante a dominante)
e viene accompagnata da oboe, poi da flauto e infine da squilli di trombetta.
Il solista modula provvisoriamente a LAb maggiore (16’02”) poi
l’orchestra torna sulla melodia in RE.
Siamo così arrivati alla quinta
variazione, con il metronomo ancora accelerante a 144, dove il solista (16’23”)
riprende i suoi arpeggi in SOL maggiore; quindi l’orchestra (16’45”)
prepara il terreno per la lunga cadenza solistica (16’55”) che
porta alla conclusione sul DO grave.
Nella sesta variazione (18’27”,
Calmo, contemplativo) il metronomo torna a 76-80, quello dell’Andantino
cantabile che aveva originato le variazioni. È una pagina di straordinaria
bellezza, dove la melodia sale sempre più in alto per volute successive (cosa
degna del Liebestod, per dire…) passando progressivamente dall’iniziale
DO minore al celestiale SI maggiore (Tristan, appunto!) prima di ricadere sul
SOL minore che la chiude.
SOL che torna maggiore a 21’57”
(Allegro vivo) dove inizia la settima ed ultima variazione, un
vero e proprio Finale, come indica la partitura. Qui il tema viene ripreso
nella sua interezza, ma sottoposto a variazioni e modulazioni continue,
affidate anche ai fiati (oboe, corni, flauto, trombe) e con squarci di
virtuosismo per il solista. La conclusione è asciutta, due classici e semplici
accordi (dominante-tonica) della smagrita orchestra.
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Splendida l’esecuzione di Varga, ben
supportato dai ragazzi paternamente guidati da Muti. Bis con un nobile
Adagio, concordato con il Maestro fra un bagno e l’altro (…)
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La
seconda parte del concerto era tutta di marca spagnola. Ecco infatti di Manuel
De Falla la Seconda Suite dal Cappello a tre punte, brano
che Muti incise già nel 1980 con la Philadelphia.
Vi
sono incorporate tre danze del second’atto del balletto, e precisamente:
- una
Seguidilla (I vicini)
- poi
una Farruca (3’11”, Danza del mugnaio)
- e
infine l’indiavolata Jota (6’14”, Danza finale)
Ha chiuso il
concerto il brano più eseguito in assoluto nella storia della musica: il Bolerodiravel!
Che come al
solito ha portato il pubblico ad un delirante entusiasmo. Prima di salutare
tutti, Muti ha voluto sottolineare il valore della sua creatura, fatta di
giovani e giovanissimi che ogni anno ne rinforzano i ranghi; e dando a tutti
appuntamento per il 2024, quando si festeggerà il 20° compleanno di questa che
ormai è a pieno titolo una delle più solide realtà nel panorama musicale
italiano.