Dopo averci proposto un’opera di un
compositore ormai andato troppo in là con la maturazione (Cherubini, AlìBabà)
ecco che la Scala, per riequilibrare la situazione, ce ne ha offerta una di un
compositore ancora assai lontano dalla maturità (Mozart, La
finta giardiniera): così la media è ristabilita, ma il
risultato è che ci siamo dovuti sorbire due lavori non propriamente
entusiasmanti... cose da festival,
come infatti succede per questo spettacolo importato da Glyndebourne e approdato ieri sera alla terza delle sette recite in
programma, non privo di qualche manipolazione, tipo spostamenti di arie e tagli
ai recitativi.
Aspetti decisamente problematici sono la
piattezza (appunto) dei recitativi e la prolissità di buona parte dei numeri, criticità che fanno quasi
annegare le parti pur mirabilmente ispirate della partitura (dove si prefigura
il Mozart che tutti... conosciamo). Mi permetto di aggiungere come l’approccio barocchista di Diego Fasolis (magari filologicamente corretto) forse non sia il
più adatto a mettere in risalto le qualità dell’opera. Poi ci si è messa pure
la sfiga che ha costretto la protagonista Hanna-Elisabeth
Müller a mimare il suo
ruolo alla prima di lunedi scorso,
mentre la voce (della Martin du Theil)
veniva dalle quinte; e poi a disertare la seconda,
per cantare finalmente ieri sera.
E direi che non abbia cantato male, così
come la travestita Lucia Cirillo e il
convincente Mattia Olivieri. Gli
altri su discreti standard, con qualche bercio di troppo da parte di Kresimir
Spicer.
Frederic Wake-Walker (di cui avevamo
apprezzato... con riserve le sue Nozze
di un paio d’anni fa) propone una messinscena brillante e spiritosa (ne è
testimone il finale davvero
azzeccato) ma sa anche ben rendere le atmosfere da tregenda del second’atto.
Pubblco abbastanza folto, ma piuttosto
parco di entusiasmi, salvo l’accoglienza divertita alla calata del sipario. Qualche
minuto, non di più, di applausi per tutti.
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