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19 ottobre, 2018

laVerdi 18-19 - Concerto n°4


Sul podio dell’Auditorium (ieri assai poco... frequentato, a dir il vero) fa il suo gradito ritorno Kolja Blacher, come spesso nella duplice veste di direttore e solista in un concerto assolutamente classico, ma con un intermezzo... famigliare: fra Beethoven e Mozart compare infatti il papà del musicista tedesco.

Il quale, dopo averci suonato quelli di Schumann (2011) Brahms (2016) e Mendelssohn (febbraio scorso) ci ri-propone (a distanza di 18 anni!) il monumentale Concerto per violino di Beethoven.

Come di consueto, l’approccio di Blacher è caratterizzato da teutonica rigorosità: quindi totale rispetto della lettera, oltre che dello spirito, del brano, e nessun cedimento a facili quanto discutibili gigionerie. Insomma, è proprio tutto Beethoven! Salvo che nelle cadenze, soprattutto la prima, dove il nostro si scatena in un fantastico duetto con i timpani della Viviana, una cosa invero memorabile.   
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Arriva ora la parentesi domestica: la prima esecuzione italiana di Pentagramm, una specie di sinfonia da camera (16 archi previsti in organico) composta nel 1974 dal padre di Kolja, Boris, in omaggio alla berlinese Philharmonie, dove fu eseguita per la prima volta dai Berliner nell’ormai lontano 1975.



Ecco come il figlio descrive l’opera del padre:

Boris Blacher compose Pentagramm nel 1974 (un anno prima della sua morte) appositamente per i Berliner Philarmoniker. L’ispirazione gli fu data, idealmente, dalla
Philaharmonie, la sala da concerto dei berlinesi, un edificio molto particolare che fin dalla sua inaugurazione (1963) è diventato uno dei simboli della capitale tedesca. Nota
anche come “Circus Karajani”, il suo interno è stato progettato dall’architetto Hans Scharoun, amico del compositore, a forma pentagonale e mantenendo il palco come elemento centrale. Da qui l’idea del titolo Pentagramm. Il brano fu eseguito per la prima volta nell’aprile del 1975 dai Berliner Philharmoniker, tre mesi dopo la morte del
compositore. 

Oggigiorno questa composizione, per molti aspetti estremamente interessante, viene eseguita - purtroppo - molto raramente, soprattutto rispetto al piu noto, e per certi versi somigliante, brano per 12 violoncelli (Blues, Espagnola & Rumba, ndr) composto un paio di anni prima. Elaborata per un organico strumentale che prevede il solo impiego di 16 archi, e caratterizzata da una scrittura che si ispira ad uno stile musicale tardo, molto asciutto, in cui ritroviamo l’utilizzo sia della tecnica del canone inverso “a specchio” sia del canone retrogrado

Nel primo movimento il compositore fa suonare gli archi come fossero delle percussioni
(Blacher fu pioniere in questa tecnica), tamburellando sul corpo dello strumento.

Il secondo movimento è invece tipico del suo modo di sentire la musica: introverso ma allo stesso tempo molto espressivo. Reminiscenze dei suoi primi anni in Cina, in Manciuria, e della Siberia vengono interpretate dagli “a solo” dei violini e dei violoncelli.

Il terzo movimento è anch’esso peculiare dello stile di Blacher, poichè influenzato da un ritmo di 7/8 in continua progressione tipico della musica jazz.

Il quarto movimento è di nuovo un “lento”. Inizia con un ostinato-pizzicato che crea un
effetto di sospensione e dà la sensazione che “il tempo si sia fermato”.
  
Subito abbiamo una conferma alla descrizione di Blacher: a dispetto della presenza sul palco di soli archi (4+4+3+3+2) il brano inizia - e poi proseguirà e si concluderà - con interventi di... percussioni, presenti in incognito nella forma delle casse acustiche, sulle quali si abbattono i polpastrelli degli strumentisti. Brano che ha un andamento curvilineo, dal lento si muove verso il veloce, che culmina nel terzo movimento, per poi tornare a calmarsi. Le quattro prime parti hanno anche modo di esibirsi in difficili passaggi solistici.

Che dire: sono 24 minuti di musica a tratti ostica, in altri più digeribile, che il pubblico accoglie come si suole in casi simili: applausi di cortesia.
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Mozart chiude la serata con la Sinfonia Haffner. Già il collocarla a chiusura del concerto fa capire quanta importanza le dia Blacher, al contrario di ciò che fanno altri Direttori, che magari la impiegano come antipasto. Effettivamente è una sinfonietta (derivata infatti da una precedente Serenata) ma già contiene i germi dei lavori della maturità.

Blacher, come fa spesso in questi casi, si siede al posto del Konzertmeister (spingendo Santaniello alla sedia di concertino) e dà gli attacchi con il... corpo. L’esecuzione è leggera, ma non leziosa, vibrante ed effervescente, con il languido intermezzo dell’Adagio.

Accoglienza calorosa per una proposta che merita più... attenzione (ma gli assenti di ieri hanno ancora due giorni per rimediare).

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